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Minime. 466
- Subject: Minime. 466
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 25 May 2008 00:36:15 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 466 del 25 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Oggi a Viterbo 2. Ann Jones: Le voci delle donne dalle zone di conflitto 3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 4. Alessandro Mezzena Lona ricorda Bruno Maier (2002) 5. Roberto Morelli ricorda Bruno Maier (2002) 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. OGGI A VITERBO Oggi, domenica 25 maggio 2008, il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo promuove una passeggiata nei luoghi d'interesse naturalistico e storico-culturale che l'eventuale realizzazione di un mega-aeroporto devasterebbe irreversibilmente. Il programma della passeggiata e' il seguente: Alle ore 16,30 ritrovo davanti all'Orto botanico, con interventi di Giuseppe Nascetti e Silvano Onofri. Inizio della passeggiata, accompagnati da Paolo Giannini che illustrera' nel corso della passeggiata le emergenze naturalistiche e storico-culturali. Alle ore 17,30 circa: al Bulicame. Alle ore 18 circa: alle Pozze della Tuscanese. Alle ore 19 circa: alle Sorgenti delle Zitelle, con intervento di Antonello Ricci. Alle ore 20: fine della passeggiata e prosecuzione della serata al centro sociale "Valle Faul" con cena e musica. A tutti i partecipanti sara' messo a disposizione l'opuscolo "Low cost quanto ci costi!". * Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito: www.coipiediperterra.org Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it 2. ESPERIENZE. ANN JONES: LE VOCI DELLE DONNE DALLE ZONE DI CONFLITTO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Ann Jones dal titolo originale "Crescendo globale: le voci delle donne dalle zone di conflitto". Ann Jones, scrittrice, fotografa, attivista per i diritti umani, sta lavorando come volontaria con l'International Rescue Committee ad uno speciale progetto contro la violenza di genere dal nome "Crescendo globale: voci di donne dalle zone di conflitto". Opere di Ann Jones: Kabul in inverno: vita senza pace in Afghanistan, Metropolitan Books, 2007] Bukavu, Repubblica democratica del Congo. L'ultima volta che sono stata negli Usa tutti parlavano di "cambiamento". Cambiare sembra significhi eleggere Barack Obama presidente, dopo di che tutti gli americani si uniranno in un accordo idilliaco. Ma il vero cambiamento non accade cosi'. Il tizio che ha la carica in questo momento non aveva promesso di essere un "unificatore"? Il vero cambiamento ha contenuti, e una direzione. Viene portato avanti da persone coraggiose che non temono di parlare a voce alta, anche quando (o forse specialmente quando) e' rischioso. Ad ogni modo, ci sono un mucchio di statunitensi con cui non andro' mai d'accordo, percio' mi trovo in esilio autoimposto in Africa, dove lavoro con donne che mi stanno insegnando molto su cos'e' un vero cambiamento e sui pericoli che bisogna affrontare per averlo. Le donne di cui parlo vivono i dopoguerra delle guerre civili, e cioe' vivono nel bel mezzo di una guerra contro le donne fatta di sfruttamento sessuale, stupro e violenza domestica. Ne hanno abbastanza. Come volontaria per l'International Rescue Committee (Irc), vado di paese in paese, gestendo un piccolo semplice progetto sognato dall'unita' dell'Irc che si occupa di violenza di genere (violenza di genere e' il termine neutro per quella che io chiamo ancora violenza contro le donne). Il progetto, chiamato "Crescendo globale: le voci delle donne dalle zone di conflitto", intende fornire alle donne una possibilita' di documentare le loro vite di ogni giorno, i loro problemi, le loro consolazioni e gioie. E' progettato per dar loro uno spazio in cui parlare insieme e comporre insieme la loro propria agenda per il cambiamento. Lo strumento sono le macchine fotografiche digitali. Io arrivo e le presto alle donne, la maggior parte delle quali non ne hanno mai visto una prima. Insegno loro ad inquadrare e scattare, solo questo, poi sono libere di riprendere quel che vogliono, io chiedo che mi portino qualche immagine dei loro problemi e delle loro benedizioni. Lavorano in gruppo, due-tre donne che condividono una macchina fotografica, e all'inizio sono molto nervose; alcune addirittura tremano. Ci vuole l'intero gruppetto per prendere le prime foto: una tiene la macchina, un'altra inquadra, la terza scatta. Il lavorare insieme e' un passo verso la solidarieta'. Una volta la settimana, per quattro o cinque settimane, i vari gruppi si riuniscono (dalle dieci alle quindici donne in tutto) per guardare insieme le fotografie e parlare di perche' hanno scelto proprio quei soggetti. Per la maggioranza di queste donne, le cui vite sono consumate da impegni domestici infiniti, e' rara l'opportunita' di sedersi a parlare, a parlare veramente, con le loro vicine di casa. La maggioranza e' analfabeta. Non hanno televisioni. Poche hanno la radio. Qualsiasi notizia abbiano la ricevano largamente dai loro mariti, e i mariti spesso non dicono loro nulla, eccetto cosa devono fare. Escluse dalla vita pubblica, non hanno voce in capitolo nelle decisioni degli uomini, i quali determinano tutto, in materia di sessualita' e gravidanze, di guerra e "giustizia". Persino nelle loro case non viene mai chiesta la loro opinione, non vengono mai incoraggiate a prendere una decisione su qualsivoglia argomento. Per donne in tale situazione, una conversazione vera con altre donne inevitabilmente si dimostra una rivelazione. Per me, che ascolto e pongo domande, e' il tornare ai vecchi giorni del movimento delle donne, alle sedute informali di autocoscienza che espansero la mente collettiva della mia generazione. Ora che sono una cittadina anziana, ho il privilegio di cavalcare un'altra ondata del femminismo, ad un continente di distanza. Ma di cosa parlano, queste donne che lottano per sopravvivere, per costruire una vita per loro stesse e i loro figli, in paesi devastati dalle guerre dei "grandi uomini"? Dipende da dove ci si trova. In Costa d'Avorio, le donne dei villaggi parlano del carico di lavoro che spezza le loro schiene, mentre gli uomini fanno assai poco. In Liberia, le donne urbanizzate parlano del non guadagnare abbastanza con i loro impieghi per trattenere i loro mariti (che fanno assai poco) dal delinquere. In Sierra Leone, parlano dei problemi delle vedove di guerra che non riescono a mantenere i loro bambini, a mandarli a scuola e a salvare le ragazzine dallo sfruttamento sessuale. Nella Repubblica democratica del Congo, parlano dei problemi delle donne che hanno sofferto stupri di gruppo, che sono state ripudiate dai loro mariti, che non possono piu' avere figli, che in molte sono state letteralmente lacerate in due e non saranno mai piu' intere. In tutti questi paesi, le semplici domande saltano fuori subito, e sono: E' giusto? E' equo? * Prendendo fotografie le donne vedono cio' che una vita di esperienze ha gia' detto loro: che gli uomini dirigono il mondo, il paese, la provincia, il villaggio, la casa. In questi paesi, uomini di ogni credo politico hanno provocato guerre disastrose, alcune durate piu' di un decennio e una (in Congo) che continua in via non ufficiale, caratterizzate da atrocita' indicibili. Persino molti uomini ammettono di aver causato una terribile confusione. In tutti questi paesi, quando gli uomini armati smettono di sparare e dicono che c'e' "la pace", continuano ad assalire, stuprare ed uccidere donne. Una volta che lo schema dell'assalto alle donne sia stato adottato come tattica di guerra, diviene un'abitudine fra gli ex combattenti. I civili finiscono per adottarlo anche loro. In Congo, i bersagli degli stupratori ora sono le bambine. Un gruppo di donne di villaggio con cui ho lavorato nella provincia di Kivu, al sud, mi hanno testimoniato di cinque stupri avvenuti, nell'ultimo mese, su bambine con meno di nove anni. Il piu' recente e' quello di una bimba di sei anni, da parte del pastore della sua chiesa. Percio', ogni volta in cui le donne cominciano a parlare, a parlare veramente, delle loro vite, la parola "giustizia" e' destinata a saltar fuori, anche se la conversazione concerne solo questioni che sembrano banali (sebbene siano fondamentali), tipo chi va a prendere l'acqua e a chi e' permesso fare il bagno. Le donne a cui presto le macchine fotografiche prendono un incredibile numero di foto che riguardano la violenza fisica contro le donne: uomini che battono donne nelle case, nei cortili, nelle strade, nei mercati. Uomini che scagliano donne per terra. Uomini che brandiscono bastoni, rami d'albero, manici di scopa. Atti di violenza intesi per punire le donne di cose che hanno fatto o non fatto, o per forzarle a fare cose che non hanno la volonta' o la forza di fare. Questi atti di violenza mirano a controllare le loro vite. Le donne possono facilmente scattare queste foto, perche' gli uomini si sentono liberi di picchiare le donne ovunque, a qualsiasi ora, senza timore di essere interrotti o disapprovati. La guerra ha fissato un precedente. * Le donne prendono immagini di altre donne abbandonate, spesso incinte, con i loro bambini, come la foto di una giovane senza un soldo che vive, con i tre minuscoli figlioletti, all'aperto, fuori da un villaggio. L'immagine e' profondamente disturbante in modi che non sono ovvi a chi viene da fuori. La maggioranza delle donne dell'Africa occidentale sostengono se stesse e i figli lavorando nelle fattorie, vendendo i prodotti al mercato, producendo oggetti per commerciarli. Ma la casa appartiene all'uomo, assieme a tutto quel che c'e' dentro e alla terra su cui sorge. Essere ripudiate significa diventare vagabonde. La minaccia dell'abbandono e' cio' che costringe le donne a sopportare ogni sorta di abuso. Numerose donne fotografano anche la violenza economica. In Costa d'Avorio, per esempio, una donna ha fotografato il campo di cacao della sua famiglia. La parte che appartiene al marito si stende nell'immagine come un ricco tappeto verde; la sua, quella della principale lavoratrice della fattoria, e' una piccolo mucchio di terra appena percettibile su un lato dell'immagine. Un'altra fotografa, in Sierra Leone, ha preso l'immagine di una donna al lavoro, in ginocchio, in una buca colma di olio di palma, mentre il marito sta in piedi ad intascare i proventi della sua fatica. Poi c'e' il lavoro di tutti i giorni. Le donne prendono foto di donne che lavorano nei campi, nelle foreste, nelle piantagioni, nei mercati e nelle case: donne che coltivano, mietono, cucinano e servono cibo, donne che lavano piatti, vestiti, bambini; donne che spazzano case e cortili; donne che portano acqua e legna; donne che sostengono pesi di ogni sorta sulle loro teste (ceste di ortaggi, bidoni di pomodori, carichi di legna, mucchi di biancheria) mentre camminano su lunghe distanze per arrivare al campo, al mercato, al fiume. Anche nelle grandi citta', le donne fanno tutto questo. A Monrovia, la capitale della Liberia, donne che vivono nel cuore della citta' passano molte ore al giorno andando avanti e indietro fra i pozzi contaminati, in cerca di acqua. Il mio computer, ora, contiene migliaia di fotografie di donne al lavoro. Cio' che ne emerge, principalmente, e' un'immagine piu' grande, una definizione piu' vasta della violenza contro le donne. Non e' solo il picchiare le mogli, lo stupro, la schiavitu' sessuale. Non e' solo la tirannia psicologica o la minaccia. Per troppe donne, nei villaggi e nelle citta', la violenza contro le donne e' la vita stessa, una vita che richiede loro lavoro forzato senza requie solo perche' sono donne. * Dovunque io vada, il progetto "Crescendo globale" culmina in una mostra fotografica. Invariabilmente, e' la "prima mostra fotografica fatta da sole donne" ed un grande evento. Ogni fotografa seleziona le immagini che ritiene piu' importanti. Io stampo ingrandimenti e li faccio laminare. Le fotografe scelgono la modalita' di presentazione e fanno inviti formali ai capi ed ai sottocapi, ai notabili ed ai dignitari, alle famiglie e agli amici, e a volte all'intero villaggio. Se la mostra si tiene in uno spazio pubblico o in una scuola, appendiamo le foto alle pareti. Se si tiene sotto l'albero del villaggio, le fotografe stesse reggono le loro immagini. Ogni donna, a turno, parla delle proprie fotografie: perche' le ha fatte, cosa esse mostrano di giusto e sbagliato nella comunita', cosa deve cambiare. Cio' che accade poi dipende largamente dalla leadership locale. Gli stranieri spesso generalizzano sulle "culture diverse" come se fossero tutte uguali. La verita' e' che le culture africane sono fluttuanti e spesso variano tra di loro in modo drastico. Vecchie tradizioni possono essere difese accanitamente da un capo, e ripudiate da un altro del villaggio confinante. Le "culture" africane dipendono dal conservatorismo o dal coraggio di questi uomini, e dall'alzarsi delle voci delle donne. Lo scorso settembre, nel villaggio ivoriano di Zatta, le fotografe (che non avevano mai partecipato ad un'assemblea, parlato in pubblico, o persino osato dare un'occhiata al capo) si sono mostrate ai notabili del villaggio reggendo le loro immagini sul duro lavoro delle donne. Una delle fotografe, Zounan Sylvie, mostro' l'immagine della gamba sanguinante di una donna. Il marito di quest'ultima l'aveva picchiata di brutto. Sylvie disse che la donna non ne poteva piu' dei pestaggi, e voleva che agli abitanti del villaggio fosse mostrato il suo intero corpo pieno di lividi, ma Sylvie non l'aveva fatto poiche' temeva che se la donna fosse stata riconosciuta il marito avrebbe potuto ucciderla. Al che, il capo alzo' il braccio: "Ho ascoltato il tuo messaggio", disse, "Io non voglio violenza di nessun tipo. Se violenza del genere si da' in questo villaggio, deve cessare ora". Dopo la mostra, il capo invito' le fotografe, che avevano formato un'organizzazione chiamata Anouanze (unita'), ad unirsi al gruppo dei suoi consiglieri, e invito' tutte le donne del villaggio a partecipare alle assemblee. Nello spazio di una notte, con le macchine fotografiche in mano, le donne del villaggio di Zatta, che non avevano mai avuto voce negli affari pubblici, si sono mosse al centro della governance, e la' restano piu' di otto mesi dopo. Questo e' stato il piu' grande successo del nostro progetto, e un rabbuffo a chi ripete che "per cambiare ci vuole tanto tempo". * Nello scorso febbraio, alla mostra fotografica tenutasi nella citta' di Kailahun in Sierra Leone, un altro potente capo attacco' tutte le ong straniere (senza le quali la sua citta' dilaniata dalla guerra avrebbe molto meno in termini di assistenza sanitaria, scuole e cibo) ed ammoni' tutti i presenti: "Non parlate di mutilazioni genitali femminili. E' la nostra tradizione. Non vogliamo tradizioni forestiere". Dopo di che usci', seguito dai suoi anziani consiglieri. Io rimasi sorpresa, perche' quest'uomo ci aveva all'inizio accolte con calore, e perche' nel corso dell'intero progetto nessuna aveva parlato di mutilazioni. Io mi faccio un punto d'onore del discutere solo le questioni che le donne sollevano con le loro immagini: le mutilazioni genitali femminili sono un'atrocita', ma sono pure circondate da potenti tabu'. Dopo la mostra, quando i membri ivoriani dell'Irc andarono a parlare al capo, egli disse loro che le mutilazioni sono una cattiva pratica, e dovrebbero cessare, ma gradualmente: ecco un altro che crede che ci voglia "tanto tempo" per cambiare, nonostante tutto il potere che detiene. Una settimana piu' tardi, dopo che io avevo lasciato il posto, cinquecento donne marciarono attraverso la citta' per mostrare lealta' al loro capo, reggendo cartelli su cui era scritto in mende ed in inglese: "Noi non ne parliamo" (delle mutilazioni). Io ho visto questa cosa come il nostro piu' grande fallimento fino a che non ho ricevuto un'e-mail da un'appartenente all'Irc nazionale: "E' veramente una cosa buona", mi ha scritto questa donna, "Prima, delle mutilazioni non si faceva neppure menzione. Ora, grazie al capo, almeno le persone stanno parlando del perche' non ne possono parlare. E' un passo avanti". * Ora capite cosa intendo quando parlo dei rischi connessi al cambiamento? La maggioranza delle donne africane non ne puo' piu' della violenza, della propria schiavitu' legata al lavoro o alle esigenze sessuali maschili. Vogliono una vita migliore per le loro figlie. Vogliono essere in grado di mandarle a scuola e di tenerle al sicuro dalle violenze sessuali dei loro insegnanti, degli adulti e dei ragazzi. Vogliono un cambiamento, e molte di loro, come la donna picchiata che desiderava mostrarsi interamente in fotografia, sono disposte a mettere in gioco le proprie vite. Nella regione congolese di Kivu dove sto lavorando ora, abbiamo appena dovuto sospendere il progetto per ragioni di sicurezza. L'area si sta "scaldando" di nuovo, e gli specialisti in sicurezza dell'Irc non vogliono mettere in pericolo le fotografe. Le donne, pero', che sono gia' sopravvissute a violenze che non ho il coraggio di narrarvi, erano disposte a rischiare. Il loro concetto di pericolo differiva radicalmente dal nostro. Una di loro mi racconto' che aveva trovato devastante l'essere odiata, persino da suo marito e dai suoi familiari, perche' era stata stuprata da un gruppo di soldati. Trovo' aiuto nell'unirsi ad un gruppo di donne sopravvissute alla violenza sessuale (ce ne sono migliaia nel paese, di questi gruppi). Era riuscita a sconfiggere la vergogna, mi disse, quando aveva capito che l'esperienza da lei vissuta era "normale". I desideri che le donne esprimono sono quelli di base. Vogliono che i loro mariti le "perdonino" per essere state stuprate. Vogliono che i loro mariti diano una mano nelle faccende della fattoria e della casa. Vogliono che gli uomini si assumano responsabilita' nei confronti dei bambini, che diano una mano, che abbiano cura. Vogliono che gli uomini smettano di impegnarsi in guerre orrende e senza senso. Una mi ha detto: "Vogliamo essere al sicuro nelle nostre case, nel nostro paese, e questo e' un nostro diritto". E un'altra: "Abbiamo il diritto di sognare un paese libero e sicuro, perche' e' possibile". Diritto, come giustizia, e' una parola che le donne usano sempre di piu'. Cosa e' ragionevole aspettarsi che vedano, queste donne con cui ho lavorato, nei prossimi cinque anni? Vera sogna che tutti gli edifici distrutti verranno ricostruiti e che bambine e bambini andranno tutti a scuola, insieme. Anna spera di poter camminare liberamente per strada, senza dover temere un'aggressione. Mantina vuole che le donne e le bambine non subiscano violenza nelle loro case. Esther auspica che le ragazze vengano istruite, e che poi abbiano posto nel governo. Kebeh spera che la sorella, rimasta paralizzata dopo uno stupro di gruppo, torni a camminare. Betty vuole che le donne agiscano in solidarieta'. Lei dice: "Siamo come un fascio di ramoscelli. Se il mazzo non e' stretto, gli uomini possono prenderci una alla volta e spezzarci. Ma se il mazzo e' stretto non puo' essere spezzato". * Quando la mostra e' terminata, raccolgo le macchine fotografiche, faccio i bagagli, e mi sposto nel prossimo paese. Gli staff locali dell'Irc continuano a lavorare con le donne e a sostenere la loro agenda per il cambiamento. Mentre scrivo, sono stata appena informata tramite e-mail che dopo aver mostrato la serie di fotografie ad un comitato parlamentare della Sierra Leone, lo staff dell'Irc e le fotografe sono state invitate a portare la mostra all'intero parlamento. Noi non lasciamo le macchine fotografiche perche' le donne non hanno modo di curarsene o di far poi sviluppare le immagini e perche', e questa e' la cosa piu' importante, non ne hanno bisogno. Il progetto non e' centrato sulla fotografia. Il progetto riguarda le voci delle donne che si alzano, nelle zone di conflitto, in un crescendo globale di dolore, protesta e speranza. La macchina fotografica e' solo il mezzo per incoraggiare altri modi di guardare. Le discussioni che le donne fanno sulle fotografie stimolano nuovi metodi di analisi. La mia collega ivoriana dell'Irc, Tanou Virginie, ha detto questo alle fotografe: "I vostri occhi sono le lenti. La memoria e' nel vostro cervello. E l'immagine puo' uscire dalle vostre labbra". Io lo ripeto a tutte le donne con cui lavoro. E loro sono d'accordo. Una fotografa liberiana ha commentato nel mezzo del gruppo di discussione: "Alcune persone usano macchine fotografiche, altre lo sono. Io, sono la macchina fotografica". * Attraverso le zone di conflitto africane, fra le donne consumate dalla violenza e dalle guerre, in cui non hanno altro ruolo se non quello dei bersagli, e il cui principale desiderio e' poter nutrire i figli, ci sono donne che si sono messe insieme, si sono organizzate per aiutare le altre. Hanno formato gruppi che si chiamano "unita'" o "comune delle donne". Sono intelligenti e coraggiose, e moltissime sono arrabbiate. Stanno valutando criticamente le loro vite, gestite dagli uomini e dalle "tradizioni". Alcune di esse hanno preso parte al progetto "Crescendo globale", guardando alle cose con occhi nuovi, discutendone, parlando pubblicamente ed argomentando a favore del cambiamento in modo persuasivo. Fra le rovine dei loro paesi, le loro voci si alzano sempre di piu', ogni giorno. 3. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4. MEMORIA. ALESSANDRO MEZZENA LONA RICORDA BRUNO MAIER (2002) [Dal quotidiano "Il Piccolo" di Trieste del 3 gennaio 2002, col titolo "Maier, la letteratura come passione" e il sommario "E' morto a Trieste il grande studioso, autore del romanzo L'assente. Aveva 79 anni. Con alcuni saggi ha fatto luce su Svevo e gli scrittori triestini del '900". Alessandro Mezzena Lona, giornalista, cura le pagine culturali del quotidiano "Il Piccolo" di Trieste. Bruno Maier (1922-2003), critico e storico della letteratura, docente universitario e saggista; socio di varie accademie ed istituzioni culturali, ha collaborato alle principali riviste letterarie; ha curato edizioni di Boccaccio, Lorenzo de' Medici, Poliziano, Castiglione, Guicciardini, Della Casa, Cellini, Tasso, Guidi, Baretti, Parini, Alfieri, Monti, Caterina Percoto, Mantegazza, Cosmo, Benco, Giotti, Ettore Cantoni, Gavardo, Cecovini, Sgorlon, di novellieri del Cinquecento e di lirici del Settecento ed ovviamente di e su Svevo e altri autori della letteratura triestina. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Bruno Maier (Capodistria, 1922 - Trieste, 2001) e' stato un critico letterario, scrittore e docente italiano, noto per essere stato un profondo conoscitore di letteratura sia rinascimentale che contemporanea. Era da molti considerato il massimo esperto dell'opera e della figura di Italo Svevo. Nato a Capodistria (oggi in Slovenia), allora appartenente al Regno d'Italia, Bruno Maier frequenta il ginnasio Carlo Combi (ex ginnasio Giustino Politano), dove prima di lui avevano studiato Gian Rinaldo Carli, Vittorio Italico Zupelli, Pier Antonio Quarantotti Gambini e altri istriani celebri. Terminati gli studi liceali (1940), si trasferisce a Trieste, e si iscrive presso la locale Universita', laureandosi in lettere nell'immediato secondo dopoguerra. La sua prima pubblicazione di rilievo la dedica interamente alla figura di Cecco Angiolieri (La personalita' e la poesia di Cecco Angiolieri, 1947), cui seguira' un approfondito studio su Lorenzo de' Medici uscito due anni piu' tardi che ricevera' una favorevole recensione nei 'Quaderni della Critica' di Benedetto Croce. Negli anni Cinquanta usciranno altri importanti volumi sugli autori rinascimentali italiani e in particolare su Benvenuto Cellini (Umanita' e stile in Benvenuto Cellini scrittore, 1952) e Agnolo Poliziano (1956). Dopo essersi interessato all'Arcadia (Faustina Maratti Zappi, donna e rimatrice dell'Arcadia, 1954) e a Vittorio Alfieri (in due volumi usciti nel 1956 e 1957), tornera' nella prima meta' degli anni Sessanta al Cinquecento italiano con Baldassarre Castiglione e, nuovamente, con Cellini. Nel 1965 gli viene offerta dall'Universita' di Trieste la cattedra di Lingua e letteratura italiana che ricoprira' per ben venticique anni, fino al 1990. Sara' sicuramente questo il periodo piu' fecondo della sua attivita' di critico letterario e saggista, perche', pur continuando ad interessarsi degli autori classici, ed estendendo anzi i suoi interessi fino a comprendere anche il neoclassicismo, rivolgera' la sua attenzione anche alla letteratura contemporanea della Venezia Giulia e del Friuli, ormai formanti un'unica realta' amministrativa. Di questo periodo sono i saggi: La Letteratura tristina del Novecento (1968), Saggi sulla letteratura triestina del novecento (1972), Dimensione Trieste, nuovi saggi sulla letteratura triestina (1987) e Il gioco dell'alfabeto, nuovi saggi tristini, 1990. Bruno Maier e' tra i primi a riconoscere il talento letterario di Carlo Sgorlon, uno fra i massimi autori italiani contemporanei, pubblicando recensioni e articoli sullo scrittore friulano fin dagli anni Settanta del Novecento e nel 1985 gli dedichera' un importante saggio. Bruno Maier inizia a interessarsi di Italo Svevo, il massimo narratore triestino del Novecento, fin dagli anni di gioventu', pubblicando un interessante Profilo della critica su Svevo, 1892-1951 (1952), che non passa inosservato. Successivamente sara' quasi interamente assorbito dai suoi studi sul Rinascimento italiano e solo sette anni piu' tardi dedichera' a Svevo un Profilo di Italo Svevo (1959), molto bene accolto dalla critica del tempo. Negli anni Sessanta e' la volta di Italo Svevo (1968) che oltre ad ottenere l'unanime riconoscimento degli studiosi riscuote anche un grande successo di pubblico. Ne verranno infatti stampate, vivo l'autore, ben sei edizioni. Ancor oggi questo testo e' alla base per qualsiasi approfondimento si voglia fare sul celebre narratore. L'archivio di Svevo, con il prezioso carteggio e gli appunti inediti, viene aperto a Maier dagli eredi dello scrittore; ne uscira' un volume prezioso: Iconografia sveviana (1981), steso con la collaborazione personale di Letizia Svevo Fonda Savio, figlia del grande triestino e contenente scritti inediti, appunti intimi e foto di eccezionale interesse storico e umano. Bruno Maier continua a scrivere anche dopo aver abbandonato la docenza (1990) e aver accettato, su insistenza di alcuni amici, la presidenza dell'Universita' Popolare di Trieste. Continua ad occuparsi di letteratura italiana classica (Da Dante a Croce, 1992), di Italo Svevo (Italo Svevo, una burla riuscita, 1993), di letteratura triestina contemporanea (in collaborazione, fra gli altri, con Silvio Benco, Aurelia Gruber Benco, Oliviero Honore' Bianchi, Luciano Budrigna provvedera' alla stesura di Trieste nella cultura italiana del Novecento, 1998). Nel 1994 pubblichera' anche un romanzo, L'assente, ridotto quattro anni piu' tardi in piece di teatro con grande successo di pubblico (dopo essere stata rappresentata in Italia, sara' tradotta anche in croato e rappresentata a Zagabria e a Fiume). Negli ultimi anni della sua vita il grande critico amera' anche dedicarsi alla sua Istria natale e lo fara' con uno splendido saggio, La letteratura italiana dell'Istria dalle origini al Novecento (1996), e con una serie di articoli scritti per riviste storiche o letterarie, fra cui La letteratura in Istria fra Ottocento e Novecento e la poesia in vernacolo capodistriano di Tino Gavardo, apparso in 'Quaderni veneti' nel 1993 e Letteratura e cultura in Istria nel Novecento, pubblicato nel 1996-1997 sugli 'Annali del museo storico italiano della guerra' di Rovereto. Molte notizie sulla civilta' letteraria istriana e sugli autori istriani del Novecento sono anche contenute ne La letteratura italiana nel dopoguerra al di qua e al di la' del confine orientale (1993), scritto da Bruno Maier e da altri autori. Bruno Maier si spegne a Trieste in una fredda giornata di dicembre del 2001 all'eta' di settantanove anni". Tra le opere di Bruno Maier: La personalita' e la poesia di Cecco Angiolieri, Cappelli, Bologna 1947; Lettura critica del Corinto di Lorenzo de' Medici, Zigiotti, Trieste 1949; Problemi ed esperienze di critica letteraria, "Maia", Siena 1950; Profilo della critica su Italo Svevo. 1892-1951, Universita' di Trieste, Trieste 1952; Umanita' e stile di Benvenuto Cellini scrittore, Trevisini, Milano 1952; La critica di Aurelio Bertola, Steb, Bologna 1953; Faustina Maratti Zappi donna e rimatrice d'Arcadia, "L'Orlando", Roma 1954; Agnolo Poliziano, Marzorati, Milano 1956; Vittorio Alfieri, Marzorati, Milano 1956; Alfieri (storia e antologia della critica), Palumbo, Palermo 1957 e 1973; Invito alla letteratura triestina del Novecento, Circolo della Cultura e delle Arti, Trieste 1958; Introduzione a Svevo, Dall'Oglio, Milano 1959; Baldesar Castiglione, Marzorati, Milano 1961; Benvenuto Cellini, Marzorati, Milano 1961; Il Canto XXIV dell'Inferno, Le Monnier, Firenze 1962; Il Neoclassicismo. Storia e antologia della critica, Palumbo, Palermo 1964, 1970; Introduzione a Svevo, Mursia, Milano 1968, 1980; La letteratura triestina del '900, Lint, Trieste 1969, 1990; Rimatori d'Arcadia, Del Bianco, Udine 1972; Saggi sulla letteratura triestina del Novecento, Mursia, Milano 1972; Antonio Gramsci, Le Monnier, Firenze 1978, 1982; Il realismo letterario di Lorenzo de' Medici, Palumbo, Palermo 1980; (con Letizia Svevo Fonda Savio), Iconografia sveviana, Studio Tesi, Pordenone 1981, 1991; Carlo Sgorlon, Il Castoro, Firenze 1985; Dimensione Trieste. Nuovi saggi sulla letteratura triestina, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1987; "Il Settecento", in AA. VV., Letteratura e conoscenza. Storia e antologia della letteratura italiana, Firenze 1988; Il gioco dell'alfabeto. Nuovi saggi triestini, Istituto Giuliano di Cultura, Storia e Documentazione, 1990; Da Dante a Croce. Saggi di letteratura italiana, Mursia, Milano 1992; "La letteratura italiana del dopoguerra al di qua e al di la' del confine orientale", in AA. VV., Storia della letteratura italiana. Il secondo Novecento, Milano 1993; L'assente, Studio Tesi, Pordenone 1994; La letteratura italiana dell'Istria dalle origini al Novecento, Istituto Italo Svevo, Trieste 1996] Bruno Maier se n'e' andato in punta di piedi. Il grande studioso di letteratura e scrittore triestino ha chiuso per sempre gli occhi il 27 dicembre. Ma la moglie Enza ha diffuso la notizia della sua morte soltanto ieri mattina, al termine del funerale. Rispettando la sua volonta': "Bruno non voleva clamori". Non ha mai amato le luci della ribalta, Bruno Maier. Non frequentava i salotti alla moda, le conventicole letterarie, politiche, sociali. Da sempre, da quand'era una giovane promessa della critica letteraria italiana, preferiva trascorrere lunghe ore circondato dai suoi libri. Dalla Vita di Benvenuto Cellini e la mai abbastanza letta Coscienza di Zeno di Italo Svevo. Dalle Stanze di Agnolo Poliziano e il Canzoniere di Umberto Saba. In una lunga "Autopresentazione" scritta da Maier per la promozione editoriale del suo primo e unico romanzo, L'assente, pubblicato da Studio Tesi di Pordenone nel 1994, scriveva: "Ho avuto vari hobby (la pesca, il calcio, i francobolli, la musica operistica, le canzoni, il cinema...); mi sono sempre preoccupato, certo eccessivamente, della mia salute; e sono vissuto appartato, tra i miei libri e le mie carte, frequentando pochissime persone". Ma il vero, grande hobby di Bruno Maier e' sempre stata la letteratura. Nato a Capodistria nel 1922, brillante studente della Normale di Pisa, nel '47, a venticinque anni, aveva gia' pubblicato, con Cappelli, il suo primo, importante volume di critica: La personalita' e la poesia di Cecco Angolieri. Di questo amore letterario, repentino e incontenibile, per il primo "maudit" della letteratura italiana, Angolieri, e di altre sue passioni di carta, ne parlava nell'"Autopresentazione": "Ho preferito ai moschettieri di Dumas quelli di Nizza e Morbelli (o, addirittura, quelli riproposti alla televisione dal Quartetto Cetra...); mi sono letto con grandissimo piacere Quelle signore di Umberto Notari e L'immorale testamento dello zio Gustavo di Tom Antongini; ho avuto sempre un debole per Achille Campanile e l'ho ritenuto un grande scrittore; il solo giornale da me costantemente, congenialmente letto e' stato, tra il 1937 e il 1943, il "Bertoldo" di Mosca e Metz. Non e' forse un caso che il primo autore da me studiato a fondo sia stato un anticonformista, un 'poeta maledetto' ante litteram, Cecco Angiolieri... E potrei rammentare altre presenze, piu' o meno sorprendenti e imprevedibili, che affollano la mia 'corsia preferenziale'". Quando nel 1965 Maier fu nominato ufficialmente professore ordinario di lingua e letteratura italiana, nella facolta' di Magistero all'Universita' di Trieste. parecchi dei suoi saggi piu' importanti erano gia' conosciuti e apprezzati dagli studiosi. Testi come Profilo della critica su Italo Svevo, Umanita' e stile di Benvenuto Cellini scrittore. Ma soprattutto Alfieri (Storia e antologia della critica), quell'Invito alla letteratura triestina del Novecento rimasto a lungo un punto di riferimento per chi voleva approfondire il milieu letterario di quest'angolo d'Italia, Introduzione a Italo Svevo e La personalita' e l'opera di Italo Svevo, piu' volte ristampato, in seguito, con arricchimenti, da Mursia. E, negli anni Sessanta, La letteratura triestina del Novecento. "Sono (piu' esattamente sono stato) un professore universitario. Quasi tutta la mia vita si e' svolta all'Universita'. Qui ho studiato e qui, per molti anni, ho insegnato. Ho percorso intera la carriera accademica. E tuttavia non posso definirmi un accademico. In apparenza, forse si': ho tenuto regolarmente i miei corsi di lezioni; ho partecipato a numerosi convegni di studio; e ho scritto molti libri di saggistica e di critica letteraria". Cosi' Maier raccontava il lunghissimo periodo trascorso all'Ateneo di Trieste, dal 1965 fino al 1990. In effetti, dietro quel suo sorriso contagioso, dietro il rigore di studioso, dietro l'impassibile maschera di lettore, dietro l'aplomb del socio dell'Accademia dell'Arcadia, del presidente, per lunghi anni, dell'Universita' popolare di Trieste, si nascondeva un narratore. Che, quasi fino alla fine della sua vita, e' rimasto incatenato all'urgenza di giudicare i libri degli altri. Di chiosare, con sapiente partecipazione, l'attivita' letteraria del passato e del presente. Quelle catene, Bruno Maier le ha spezzate quando, nel 1994, ha dato alle stampe L'assente. Una sorta di autobiografia, come lui stesso la definiva. Ma un'autobiografia condotta per percorsi narrativi. Dalla quale finiva per emergere un irrequieto uomo di carta. Nevrotico, insoddisfatto. Inguaribilmente contagiato dalla passione per i libri. Come lui. 5. MEMORIA. ROBERTO MORELLI RICORDA BRUNO MAIER (2002) [Dal "Corriere della Sera" del 3 gennaio 2002, col titolo "Addio a Bruno Maier, estremo testimone della Trieste di Svevo" e il sommario "Critici. E' stato uno degli ultimi eredi della grande tradizione che ha avuto come sfondo la cultura mitteleuropea. Rimase sempre legato all'Istria dove nacque un anno prima della pubblicazione della 'Coscienza'" Roberto Morelli (Trieste, 1954, giornalista, docente, dirige un'emittente televisiva ed e' corrispondente del "Corriere della Sera" per Trieste e il Nordest; insegna Teoria e tecnica del giornalismo e delle pubbliche relazioni all'Universita' di Trieste. Tra le opere di Roberto Morelli: E' la stampa, bellezza. Corso generale di tecnica giornalistica, Lint, 1999] La sua figura curva appariva sempre piu' minuta, la gentilezza discreta un po' piu' assente, come il personaggio dell'unico romanzo che ha incastonato la sua ricchissima produzione saggistica (L'assente, 1994). Non da altri segni Bruno Maier, uno dei maggiori critici italiani di Italo Svevo, aveva lasciato intendere la fine imminente. Parlava ben poco di se', per il pudore e la distanza dalle proprie cose che imbarazza molti uomini di cultura, e men che meno lo avrebbe fatto negli ultimi tempi. Si e' spento ieri nella sua casa di Trieste. Aveva da poco compiuto i 79 anni; da mesi aveva diradato i suoi impegni pubblici. Ordinario di Lingua e letteratura italiana all'Universita' giuliana, e' stato forse l'ultimo critico erede di una "triestinita'" da circolo letterario d'inizio secolo, che pure non conobbe. Nasceva l'anno prima che il "suo" Svevo pubblicasse La coscienza di Zeno, e aveva solo sei anni quando questi mori'. Eppure avrebbe incarnato al meglio, nel dopoguerra e finche' le energie glielo hanno consentito, cio' che rimase di quelle tensioni letterarie che avevano fatto di Trieste una delle culle del romanzo del Novecento e avevano nutrito la formazione di Svevo e di Joyce, anche attraverso l'oscura eppure determinante fertilizzazione culturale di personaggi come Bobi Bazlen, a cui Maier nel suo intimo piaceva d'ispirarsi. Non nacque a Trieste ma a Capodistria, riparando esule in Italia nell'immediato dopoguerra, quando i confini si spostarono e la sua citta' si ritrovo' jugoslava. L'Istria, come per ogni profugo di allora, e' rimasta una delle cifre della vita. Vi ha dedicato una parte pregnante della sua attivita' saggistica, culminata con la pubblicazione dell'unico vero compendio oggi esistente (La letteratura italiana dell'Istria dalle origini al Novecento, 1996), simbolo di un definitivo ritorno individuale alle radici. Ha presieduto a lungo anche l'Universita' popolare, che e' il tratto d'unione culturale tra gli italiani di Slovenia e Croazia e la madrepatria, interessandosi a fondo, con la curiosita' minuziosa che gli apparteneva, di un vastissimo novero di autori minori e misconosciuti. Lo fece con la stessa, certosina attenzione che aveva dedicato a uno dei grandi della letteratura italiana, dando alle stampe quell'Italo Svevo che e' rimasto la sua opera principale in tre distinte edizioni (1961, 1968 e 1980). La saggistica sveviana e la passione per la letteratura italiana di confine hanno cosi' offuscato la sua vastissima produzione critica precedente, che spaziava in quattro secoli, da Poliziano all'Arcadia. Ma ne avevano affinato la dimensione che gli era piu' consona, e l'adesione intima a quella "triestinita'" a cui Maier e' rimasto fedele fino all'ultimo. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 466 del 25 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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