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Minime. 453
- Subject: Minime. 453
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 12 May 2008 00:33:19 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 453 del 12 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Stella Spinelli intervista Giovanni Impastato 2. Anna Simone intervista Judith Butler 3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 4. Daniele Giglioli presenta "Critica della ragione postcoloniale" di Gayatri Chakravorty Spivak (2005) 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. STELLA SPINELLI INTERVISTA GIOVANNI IMPASTATO [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo ampi stralci della seguente intervista del 9 maggio 2008 col titolo "Orgoglio siciliano" e il sommario "A Cinisi tre giorni di Forum sociale antimafia in nome di Peppino Impastato, nel trentennale della morte per mano mafiosa". Stella Spinelli, esperta di questioni latinoamericane, scrive su "Peacereporter". Giovanni Impastato, figlio di Felicia Bartolotta Impastato e fratello di Peppino Impastato, ne prosegue la lotta; e' animatore dell'"Associazione Peppino Impastato-Casa Memoria" di Cinisi (Pa), impegnato nel Centro Impastato di Palermo e in molte altre iniziative antimafia. Giuseppe Impastato nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile", fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, seconda edizione Palermo 2003. Opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994. Tra le pubblicazioni recenti: AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo). Ma cfr. anche le molte altre ottime pubblicazioni del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it)] "Sono tre giorni importanti quelli che stiamo vivendo a Cinisi, in questo forum sociale contro la mafia riproponiamo parole, azioni, lotte e pensieri che Peppino perseguiva quarant'anni fa. Quello che mio fratello andava dicendo negli anni Settanta, quello che gridava dai microfoni della sua radio decenni orsono e' quanto di piu' attuale si possa dire oggi. E' sorprendente per quanto e' attuale". Giovanni Impastato, fratello minore di Giuseppe, ucciso dalla mafia siciliana trent'anni fa per le sue coraggiose denuncie lanciate da Radio Aut, ha un tono deciso e gentile. Lo raggiungiamo telefonicamente a Cinisi dove si sta svolgendo il Forum sociale antimafia (9-11 maggio), organizzato dalla Fondazione intitolata all'eroe siciliano per eccellenza, a colui che, figlio e nipote di mafiosi, ha sentito dentro di se' il fuoco della ribellione ed e' vissuto e morto per il suo no alla mafia. "Il 9 maggio di trenta anni fa - spiega Giovanni - ce lo ammazzarono come un cane, ma il suo pensiero vive ancora ed e' piu' forte e piu' deciso che mai. In questi tre decenni troppo poco e' cambiato in questa regione, in questo stato. Si', fra i siciliani si e' mosso qualcosa a livello di costume, di coscienza, di conoscenza, di consapevolezza e, d'accordo, ci sono stati cambiamenti anche a livello di amministrazione della giustizia: l'istituzione del reato di associazione mafiosa, i tanti processi finiti con l'ergastolo, il tramonto, dunque, di quell'assoluzione per insufficienza di prove che prima era la garanzia di impunita' per tutti i boss... passi avanti innegabili, certo, ma e' ancora troppo poco". Secondo Impastato si tratta di passi troppo piccoli per cambiare le cose, per questo la fondazione e tutta la gente che le gravita attorno continua a denunciare, organizzare, raccontare. "Abbiamo ideato i percorsi sulla legalita' nelle scuole, in modo da costruire dal basso una cultura antimafiosa. Abbiamo lavorato molto nel sociale, ottenendo risultati ottimi. Ma e' ancora roba piccola, perche' non mi tiro indietro nel dire che la nostra classe politica era e resta collusa con la mafia. Per cambiare davvero le cose c'e' bisogno di una mobilitazione differente. Il movimento antimafia deve diventare capillare, penetrare nei meandri della societa' e rinnovarla dall'interno. Ma ora come ora questo processo stenta". Giovanni Impastato prende l'esempio del movimento dei senza casa di Palermo, gruppo forte e determinato, in cui la fondazione e' molto radicata, in cui e' presente per aiutare queste persone a restare libere da gangli mafiosi e anzi valorizzare le leggi antimafia per ottenere quanto spetta loro. In base alla legge 109 sui beni confiscati ai mafiosi, infatti, una volta diventata definitiva la confisca, gli immobili dovrebbero passare a quei siciliani bisognosi. "Ma questo avviene ancora troppo di rado. Purtroppo questa legge viene soffocata dai tentacoli della burocrazia, tanto che per una confisca definitiva ci vogliono anche 15 anni. E' assurdo e ingiusto - incalza il fratello di Peppino - ma questa e' la Sicilia del 2008, questa e' l'Italia". Eppure secondo il movimento antimafia di Cinisi e anche secondo l'associazione che fa capo a don Ciotti, Libera, e' solo promuovendo un'economia sana, equosolidale, che si combatte il marciume mafioso. E lavorare e produrre nei terreni tolti ai boss e' un ottimo primo passo. "Molte cose devono ancora cambiare e da questo appuntamento di Cinisi in occasione del trentennale noi cominceremo con la vera svolta - incalza -. Da troppi anni in troppi si sciacquano la bocca con il concetto di lotta ai mafiosi. Mi sto stancando, ci stiamo stancando. Da oggi il nostro obiettivo e': arrivare a sconfiggerla questa mafia. Sconfiggiamola, punto e basta". Impastato e' convinto che sia arrivato il momento di iniziare un progetto rivoluzionario antimafia, che parta dal basso, dalle esigenze e dai bisogni urgenti della gente comune, la gente semplice. "Coltivare la memoria e' importante, denunciare lo e' altrettando, ma non basta piu'. Occorre mettere su' un progetto sociale, civile, economico serio, pulito, costruttivo, sano e vincente da opporre a quello mafioso, altrimenti non vinciamo... Rendiamoci conto che il volume d'affari della mafia e' salito a cento miliardi di euro all'anno. E' dunque un problema globale, che va oltre le coste siciliane e i confini italiani. Per annientarla occorre creare reti di solidarieta', di economia onesta, di gente che sceglie la legalita' e la giustizia, facndo terra bruciata intorno alla mafia. Questa e' la nostra idea e in questo lungo fine settimana siciliano lo comunicheremo al mondo, con orgoglio". 2. RIFLESSIONE. ANNA SIMONE INTERVISTA JUDITH BUTLER [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente intervista apparsa sul quotidiano "Liberazione" del 3 maggio 2008 col titolo "Judith Butler: Per fare movimento mettiamo a frutto quello che ci divide". Anna Simone (Altamura, 1971), ricercatrice nell'ambito delle scienze umane, saggista; collabora con l'Istituto di sociologia del dipartimento di Scienze storiche e sociali dell'Universita' di Bari. Opere di Anna Simone: L'oltre e l'altro, Besa, Lecce 2000; Divenire sans papier. Sociologia dei dissensi metropolitani, Mimesis, Milano 2002. Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna attualmente retorica e letteratura comparata all'Universita' di Berkeley, California; e' figura di primo piano del dibattito contemporaneo su sessualita', potere e identita'; le sue ricerche rappresentano uno dei contributi piu' originali all'interno dei cultural studies e della queer theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. 'La rivista del manifesto' ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la soppressione delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione dei 'corpi che non contano', per le strade di Baghdad e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006. Da "Alias" del 7 ottobre 2006 riprendiamo anche la seguente scheda: "Di Judith Butler, filosofa californiana fra le piu' amate e discusse del panorama femminista internazionale, sono disponibili in italiano Scambi di genere (Sansoni 2004, opinabile traduzione di Gender Trouble, il libro del 1990 che l'ha resa famosa, consacrandola come teorica queer), Corpi che contano (Feltrinelli 1996), La rivendicazione di Antigone (Bollati Borighieri 2003), Vite precarie (Meltemi 2003), La vita psichica del potere (Meltemi 2005). Critica della violenza etica testimonia la piu' recente curvatura del percorso di Butler, che la porta ben oltre il dirompente inizio di Gender Truble, come lei stessa argomenta in Undoing Gender (Routledge 2004) di prossima uscita (Meltemi): la sua ricezione italiana, troppo legata alla sua immagine di partenza, dovrebbe giovarsene. Per un confronto fra posizioni diverse all'interno di una comune matrice femminista poststrutturalista, cfr. Il resoconto di un recente incontro in Polonia fra Butler e Rosi Braidotti in www.metamute.org". Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente recentissima scheda: "Judith Butler e' Maxine Elliot Professor nel Dipartimento di Retorica e Letterature comparate all'Universita' della California di Berkeley. Ha insegnato in precedenza a Princeton e tiene frequentemente corsi e conferenze a Parigi e Francoforte. Di formazione post-strutturalista, e' una figura-ponte fra la filosofia europea continentale e la filosofia e le scienze umane nordamericane: fra gli autori piu' ricorrenti nei suoi scritti: Hegel, Nietzsche, Foucault, Derrida, Freud, Lacan, De Beauvoir, Irigaray, J. L. Austin. Nota in tutto il mondo per il contributo decisivo che ha dato al pensiero femminista con la teoria della performativita' del genere (Gender Trouble, 1990), lavora al confine fra filosofia politica, psicoanalisi e etica. Muovendo, fin dai primi libri, dalla teoria della sessualita', dalla critica della nozione di identita' e dal rapporto fra costituzione della soggettivita', desiderio e norme, negli scritti piu' recenti si interroga sullo statuto dell'umano e delinea una "ontologia della fragilita'" in risposta alla crisi del soggetto sovrano e della sovranita' statuale. Per Gender Trouble, tradotto in venti lingue, e' stata annoverata dal magazine britannico "The Face" fra le cinquanta personalita' di maggiore influenza sulla cultura popolare negli anni Novanta. Con Precarious Life si e' affermata come una delle piu' impegnate voci critiche del pensiero politico americano del dopo 11 settembre. Attualmente sta lavorando sulla critica della violenza di stato nel pensiero ebraico pre-sionista. Quasi tutta la sua opera e' disponibile in italiano e la sua visita a Roma coincide con la traduzione italiana del suo primo libro, Subjects of Desires, e dell'ultimo, Who Sings the Nation State?, scritto con Gayatri Chakravorty Spivak. Opere di Judith Butler: Subjects of Desire: Hegelian Reflections in Twentieth-Century France, Columbia University Press, New York 1987 (di prossima traduzione presso Laterza); Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, London 1990 (trad. it. Scambi di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Milano 2004); Bodies that Matter. On the Discoursive Limits of "Sex", Routledge, London 1993 (trad. it. Corpi che contano. I limiti discorsivi del "sesso", Feltrinelli, Milano 1996); Exitable Speech: A Politics of the Performative, Routledge, London-New York 1997; The Psychic Life of Power: Theories in Subjection, Stanford University Press, Stanford 1997 (trad. it. La vita psichica del potere, Meltemi, Roma 2005); Antigone's Claim. Kinship between Life and Death, Columbia University Press, New York 2000 (trad. it. La rivendicazione di Antigone. La parentela fra la vita e la morte, Bollati Boringhieri, Torino 2003); Precarious Life. The Power of Mourning and Violence, Verso, London 2004 (trad. it. Vite precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004); Undoing Gender, Routledge, London-New York 2004 (trad. it. La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006); Giving an Account of Oneself, Fordham University Press, New York 2005 (trad. it. Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006)"] L'arrivo di Judith Butler e di Wendy Brown in Italia - invitate il 27 marzo a tenere due conferenze su "Sovranita', confini, vulnerabilita'" da Giacomo Marramao e da Ida Dominijanni presso l'Universita' di Roma Tre - ha consentito alla gran parte del movimento femminista italiano, nelle sue molteplici anime, di discutere, a volte anche animatamente, di gender, sex, orientamento sessuale. Noi le abbiamo dedicato un "Queer" ("Butler oltre Butler", 23 marzo 2008 ["Queer" e' un suppllemento settimanale del quotidiano "Liberazione" - ndr]) prevalentemente orientato nel comprendere i punti di novita' e di rottura del suo pensiero e su come avrebbe potuto farsi "pratica" in Italia. Tuttavia, quando si scrive "su" un'autrice o "su" un autore, si corre sempre il rischio di forzare parti del loro pensiero per orientarli nella direzione di chi cerca di tradurlo ed interpretarlo. Quest'intervista a Judith Butler vuole essere, quindi, una sorta di completamento di quel numero di "Queer", ma anche un'opportunita' in piu' per comprendere meglio punti di unione e frizione del femminismo contemporaneo. Un modo per sciogliere nodi e per riattivare, all'interno del femminismo, un lavoro di comunanza, di relazione, laddove per relazione si intenda anche una forma possibile del conflitto tra generi, tra culture e all'interno dello stesso genere. * - Anna Simone: Dopo l'uscita di Gender Trouble nel '90 negli Stati Uniti (Scambi di genere, Sansoni) hai cercato di rivedere le tue tesi sul "queer" in Bodies that matter (Corpi che contano, Feltrinelli) apparso nel '93 sempre negli Stati Uniti. In Italia e' uscito prima Corpi che contano e poi Scambi di genere. Perche' secondo te e' meglio lavorare sul "criticamente queer" piuttosto che sul "queer", cosi' come paventi in Corpi che contano? Hai temuto che il queer - codificatosi nel frattempo all'interno delle discipline accademiche - dopo Scambi di genere divenisse a sua volta una costruzione identitaria? - Judith Butler: All'epoca la mia sensazione era che il queer potesse diventare un concetto identitario. Solo con ironia, penso, si puo' dire: "Sono queer". E comunque io preferisco intendere "queer" come verbo, una certa pratica di pensiero critico su come il genere e la sessualita' siano in relazione. Inoltre "queer" indica anche una certa apertura alla possibilita' che il genere e la sessualita' siano accostati in modi non completamente prevedibili e per i quali non abbiamo un linguaggio, ne' una pratica pronta. Pensare o agire criticamente coincide con il non dare per scontati certi tipi di distinzione (che includerebbero la distinzione tra femminista e queer, per esempio). Significa anche considerare che non c'e' niente a proposito della designazione queer che ne impedisca un uso politico a noi sgradito. Il termine "criticamente queer", quindi, voleva suggerire un certo modo di fare attenzione a come funzionano i significanti politici e a non dimenticare gli obiettivi politici generali che vogliamo che quei termini sostengano e realizzino. * - Anna Simone: In Undoing gender (La disfatta del genere, Meltemi) la critica al dispositivo della norma eterosessuale, inteso come principio fondativo di qualsiasi codificazione sociale, giuridica, culturale e politica e' diventata anche una critica piu' chiara e diretta al pensiero della differenza sessuale europeo (citi Braidotti, in particolare). O meglio, mi e' sembrato che sollevassi delle perplessita'. Ma come fare per praticare una politica dell'"agency", di un'azione che e' al contempo soggettivazione, senza avere piu' riferimenti di sex e gender? Se proclamiamo la "disfatta" del genere, a partire da cosa poi dovremmo posizionarci? - Judith Butler: Devo procedere con cautela nel rispondere alla tua domanda. Non penso ci sia una "tradizione della differenza sessuale europea". Esistono diversi approcci alla questione della differenza sessuale e in Undoing Gender chiarisco che la mia posizione e' un po' quella di assumerne alcuni in modo critico e quindi produttivo. Non penso che una pratica del queer "non abbia piu'" riferimenti legati alla sessualita' e al genere. Dobbiamo avere questi riferimenti, ma la differenza politica del nostro agire deve consentirci di attivare delle abilita' per trovare modalita' piu' aperte e produttive per risignificare questi stessi riferimenti. Non sono per l'abolizione del genere - temo che il titolo italiano del mio libro (La disfatta del genere) non descriva accuratamente il significato di "undoing" gender. Quello che sostengo e' che le norme che costruiscono il genere sono anche quelle che causano un certo nostro "disfarci" ("undo") di esse. Ci separano in maschile e femminile in quanto esseri umani. Ma in inglese "essere disfatto" ("to be undone") indica anche una condizione del desiderio e, in questo senso, l'atto di disfare norme restrittive di genere puo' essere l'occasione per una nuova vitalita' del desiderio. Penso che dobbiamo cambiare e innovare i nostri riferimenti alla sessualita' e al genere per ripensarli da capo, ma non penso che si debbano abolire le categorie di sesso e genere. * - Anna Simone: Negli ultimi tuoi testi, Precarious Life (Vite precarie, Meltemi), Critica della violenza etica (Feltrinelli) sino a Chi canta lo Stato-Nazione con Gayatri Spivak (appena edito in italia da Filema) ti interroghi su Hannah Arendt, sul totalitarismo e sul tema del "diritto ad avere diritti", pensando anche alle migrazioni e al popolo palestinese. Secondo te e' piu' importante, da parte dei movimenti femministi contemporanei, pensare ad una rifondazione del concetto stesso di politica o sarebbe piu' utile proseguire nell'insegnamento foucaultiano? Capire, cioe', come continuare a praticare la resistenza nei confronti dei saperi-poteri del presente? Dobbiamo interrogarci sulla crisi della politica o dobbiamo continuare a chiederci chi e come puo' prendere la parola per decostruire questa stessa idea della politica? - Judith Butler: Non sono sicura della contrapposizione che mi stai proponendo. Mi sembra che dobbiamo essere in grado di pensare alle condizioni nelle quali i diritti si possono esercitare, specialmente quando questi diritti non sono ancora codificati da qualche legge in vigore. L'intero movimento anti-apartheid, per esempio, ha dovuto ricorrere a diritti che erano gia' in vigore in altri sistemi giuridici ma non in quello del Sudafrica. Alcuni pensano alla condizione in cui i diritti si esercitano facendo ricorso alla tradizione della legge naturale, altri suggeriscono che dobbiamo prendere a prestito diritti da altri sistemi giuridici, da altre convenzioni che sanciscono principi di uguaglianza, per metterli in relazione con contesti politici dove non e' ancora riconosciuto quel diritto specifico che ci interessa. Secondo me non si "fondano" nuovi ordini politici ex nihilo, ma sempre attraverso una negazione di un ordine esistente e attraverso l'amalgama, l'assimilazione di altre convenzioni che sono a disposizione trasferendole da un contesto all'altro. Non saprei dire se questa posizione sia foucaultiana o arendtiana. Sicuramente pero' Foucault deriva parti della sua teoria della agency dalla convergenza dei campi discorsivi (concordo su questo), mentre Arendt propone un modo per pensare all'esercizio dei diritti come esercizio performativo (e concordo anche su questo). * - Anna Simone: Negli ultimi mesi il movimento femminista italiano e' rinato attraverso una grande manifestazione di piazza che si e' tenuta il 24 novembre scorso contro la violenza maschile sulle donne. Per la prima volta dopo molti anni il femminismo italiano "etero", se vogliamo usare queste categorie un po' fuori dal tempo, ha sfilato con il "lesbo-femminismo". Un successo che tende a spostare il femminismo contemporaneo piu' sull'asse della lotta alle forme di discriminazione nei confronti dei migranti, dei gay, delle lesbiche eccetera, dell'antirazzismo piuttosto che riconsolidare la categoria della "donna" in quanto tale. Questo spostamento, tuttavia, non e' affatto scevro da problemi e da ritorsioni identitarie. Anche qui come possiamo, secondo te, provare a soggettivarci, a praticare il tuo pensiero, senza cadere nella trappola delle identita', delle codificazioni dei movimenti cosiddetti di "minoranza"? - Judith Butler: Penso che la cosa piu' importante sia ricordare a cosa ci stiamo contrapponendo. Adesso che Berlusconi e' tornato al potere in Italia sara' importante per il movimento femminista tenere a mente precisamente i temi centrali: contestare la violenza sulle donne, assicurare salari paritari, garantire liberta' riproduttiva, tanto per citarne alcuni. La politica di coalizione, di concerto, non richiede che tutti i partecipanti condividano la stessa sessualita' o, di fatto, lo stesso discorso sulla sessualita'. E non ci si deve fare da "specchio" per poter lavorare insieme. Forse possiamo restare aperte anche all'idea che ci possano essere antagonismi all'interno della politica femminista e progressista che si esprime sulla sessualita'. Lavorare insieme non significa che quegli antagonismi debbano essere risolti. Devono solo trovare un modo di coesistere produttivamente. In altre parole, un movimento politico, per restare forte, deve trovare modi di dare rifugio e forma ai propri antagonismi interni e di distinguerli dai veri pericoli - diseguaglianze, ingiustizie - che il movimento si propone di combattere. Il mio istinto mi dice che non dobbiamo "essere le stesse, tutte eguali" sulle questioni che concernono il desiderio o addirittura il credo di ognuna di noi. Bisogna lavorare insieme al fine di mantenere i diritti fondamentali e alcune politiche in grado di consentire alle persone di tutti i generi di sopravvivere e prosperare. Dobbiamo lavorare affinche' vi sia questa base comune. * - Anna Simone: Vorrei chiederti ancora molte cose ma non e' possibile. Solo un'ultima curiosita': Hegel, Foucault, Althusser, Arendt, sicuramente non Lacan. Quale tra questi autori ti ha influenzata di piu'? - Judith Butler: Resto probabilmente un'hegeliana. Hegel ha mostrato come de facto siamo tutti "in pericolo", tutti esposti, gli uni rispetto agli altri, ci ha mostrato che siamo tutti "precari", in relazione gli uni con gli altri. Inoltre ci ha anche mostrato come la lotta per il riconoscimento possa fornire un'alternativa al conflitto violento. Foucault mi ha insegnato che il riconoscimento puo' avvenire solo attraverso norme stabilite e che talvolta la nostra sopravvivenza dipende dal trovare il limite e l'oltrepassamento di queste stesse norme. Simone de Beauvoir, invece, a partire dalla sua articolazione del "donne si diventa", mi ha indubbiamente permesso di vedere il dinamismo e l'apertura del genere. Io sono tutte queste cose. 3. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4. LIBRI. DANIELE GIGLIOLI PRESENTA "CRITICA DELLA RAGIONE POSTCOLONIALE" DI GAYATRI CHAKRAVORTY SPIVAK (2005) [Dal settimanale "Alias", supplemento de "Il manifesto" del 28 febbraio 2005, col titolo "Sfida all'etnocentrismo imperialista, e agli studi". Daniele Giglioli, docente e saggista, insegna Letterature comparate all'Universita' di Bergamo; collabora ad "Alias", supplemento culturale del quotidiano "Il manifesto"; ha curato tra l'altro l'edizione italiana di Claude Bremond, Il divenire dei temi, La Nuova Italia, Firenze 1998; la riedizione di John Steinbeck, Viaggio con Charley, Bur, Milano 2005. Tra le opere di Daniele Giglioli: (a cura di, con Federico Bertoni), Quindici episodi del romanzo italiano, Pendragon, Bologna 1999; Tema, La Nuova Italia, Firenze 2001; Il pedagogo e il libertino, Sestante, Bergamo 2002; (con Alessandra Violi), L'immaginario dell'isteria, Bruno Mondadori, Milano 2005; All'ordine del giorno e' il terrore, Bompiani, Milano 2007. Gayatri Chakravorty Spivak insegna alla Columbia University di New York; bengalese di nascita, vive negli Stati Uniti; e' una delle piu' note e apprezzate teoriche femministe americane e tra le massime rappresentanti degli studi postcoloniali. Tra le opere di Gayatri Chakravorty Spivak: In Other Worlds: Essays in Cultural Politics, London, Methuen 1987; Selected Subaltern Studies, edited with Ranajit Guha, Oxford, Oxford University Press 1988; The Post-Colonial Critic: Interviews, Strategies, Dialogues, edited by Sarah Harasym, London, Routledge 1990; Outside In the Teaching Machine, London, Routledge 1993; A Critique of Post-Colonial Reason: Toward a History of the Vanishing Present, Harvard University Press 1999; Death of a Discipline, New York, Columbia University Press 2003; in italiano: "La politica delle interpretazioni" in AA. VV., Spettri del potere, Meltemi, Roma 2002; Morte di una disciplina, Meltemi, Roma 2003; Critica della ragione postcoloniale, Meltemi, Roma 2004. Su Gayatri Chakravorty Spivak riproduciamo la seguente scheda apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2005: "Gayatri Chakravorty Spivak e' nata il 24 febbraio 1942 a Calcutta dove si e' laureata. Nel 1960 e' andata a studiare negli Stati Uniti, alla Cornell University, dove ha preso un master nel 1962 e il PhD nel 1967. Ha insegnato inglese e letteratura comparata in numerose universita', tra cui Stanford, Santa Cruz e la Goethe-Universitat a Francoforte. E' Avalon Foundation Professor nelle Humanities alla Columbia University di New York dove insegna dal 1991. Non ha mai voluto prendere la cittadinanza statunitense. Nel 1976 ha tradotto De la Grammatologie di Jacques Derrida firmando una prefazione che l'ha resa famosa. Ha scritto piu' di cento saggi, sparsi in volumi collettanei: alcuni di essi sono raccolti nei suoi pochi libri. In Italia, i suoi primi testi a essere tradotti sono stati due saggi: "Decostruire la storiografia", contenuto in Subaltern Studies, Modernita' e (post)colonialismo, pubblicato da Ombre corte nel 2002; e "La politica delle interpretazioni" nel volume collettaneo Spettri del potere, edito da Meltemi nel 2002. Sempre Meltemi ha curato la traduzione di Morte di una disciplina (2003) e ora del volume A Critique of Postcolonial Reason (Harvard University Press, 1999), nelle librerie italiane con il titolo Critica della ragione postcoloniale. Verso una storia del presente in dissolvenza.Tra i suoi testi pubblicati in inglese ricordiamo: In Other Worlds: Essays in Cultural Politics, Methuen, New York 1987; The Post-Colonial Critic: Interviews, Strategies, Dialogues, ed. Sarah Harasyn, Routledge, New York 1990; Outside in the Teaching Machine, Routledge, New York, 1993"] Si percorrono le oltre quattrocento pagini di questo libro (Gayatri Chakravotry Spivak, Critica della ragione postcoloniale, a cura di Patrizia Calafato, traduzione di Angela d'Ottavio, Meltemi, pp. 477, euro 228) accompagnati da un costante sentimento di inadeguatezza; e con il sospetto (o la speranza) che sia il mondo giusto di leggerlo. Quando non e' una consolazione a basso costo, e' il dono piu' prezioso che la critica puo' offrire. Bengalese di nascita, newyorkese d'adozione, militante femminista, allieva di de Man e traduttrice di Derrida, Spivak brilla come un astro di prima grandezza in quello star-system americano e percio' internazionale che viene rubricato sotto l'equivoca etichetta di teoria. E tuttavia, pur condividendone retroterra, orizzonti e modalita' discorsive (da cui la difficolta' per il lettore, o la lettrice, cui Spivak preferisce rivolgersi, non iniziati al gergo della corporazione), questo libro non contiene tanto una teoria quanto un'allegoria di che cosa possa essere la critica. Suddiviso in quattro lunghissimi capitoli rispettivamente dedicati alla filosofia, alla letteratura, alla storia e alla cultura, Critica della ragione postcoloniale fa ruotare la sua nebulosa di materiali apparentemente eterogenei attorno a un centro di gravitazione insieme necessario e impossibile: la figura dell'"informante nativo", e lo sguardo che questo getterebbe, se potesse parlare, su una soggettivita' "occidentale" che si e' fondata, istituita e consolidata, materialmente e filosoficamente, proprio a partire dalla sua cancellazione. L'etnografia contemporanea ha da tempo sottoposto a critica l'idea che sia possibile appropriarsi delle culture altre sulla base della testimonianza di un "aborigeno" che ragguaglia circa miti, riti e usanze quell'antropologo cui spetta poi il ruolo sovrano di soggetto della conoscenza. Si potrebbe dunque pensare che basti rinunciare a quel privilegio per recuperarne la voce, vanificando in un afflato universalistico secoli e latitudini di rimozione, e facendo riemergere la vera natura di quell'alterita' che l'episteme occidentale ha dovuto occultare per definirsi in quanto tale. Non e' cosi' per Spivak, ne' di una rimozione si tratta ma di un forclusione (termine che Spivak riprende in maniera deliberatamente infedele da Lacan), e cioe' di un'esplosione dell'"altro da noi" dal campo visivo in cui si delineano i contorni di cio' che definiamo "essere umano"; esplosione, pero', questo e' il punto, che e' al tempo stesso un'inclusione, perche' cio' che consideriamo umano non puo' essere pensato che a partire dei limiti di quanto riteniamo non lo sia. Seguace di Derrida, e quanto lui poco incline a imbalsamare l'empirico, fuggevole e sempre in dissolvenza, nella raggelante custodia del trascendentale, Spivak continua e per certi versi supera il maestro grazie alla sua capacita' di radicare storicamente e geograficamente (tra imperialismo, neocolonialismo e multiculturalismo benedetto dalla Banca Mondiale), oltre che logicamente, quella cancellatura della differenza che presiede alla fondazione dell'identita'. Che colui che e' stato posto come altro possa parlare al di fuori del discorso di chi si definisce espungendolo da se' e' dunque una contraddizione in termini, che vieta di ipotizzare qualcosa come una teoria generale dell'alterita'. Chi e' stato ridotto al silenzio tace per definizione, o parla nella misura in cui e' complice della procedure di esclusione (per esempio le elites dei paesi coloniali e postcoloniali, o i migranti di lusso cooptati nelle istituzioni economiche, politiche e accademiche internazionali). E tuttavia, se il silenzio dell'altro e' il vuoto torricelliano in cui prende forma il discorso del dominio, l'evocazione dell'impossibile necessita' che venga rotto e' il gesto che permette al pensiero critico di negare a quel discorso la legittimita' di istituirsi come regola, norma, descrizione di una modalita' di essere che pretende di prescrivere agli altri (per esempio i paesi "in via di sviluppo") come devono essere se vogliono essere qualcosa. Piuttosto che una teoria capace di redimere il passato, quella di Spivak e' una critica che preserva la possibilita' di un futuro diverso dalla mera presecuzione del presente. Non renderebbe percio' giustizia alla straordinaria ricchezza di questo libro l'affermare che quanto riassunto fin qui costituisca la tesi (la teoria, appunto) di Spivak, quando non ne rappresenta che il fulcro archimedico, il punto di fuga, il guanto di sfida da gettare in faccia non solo all'etnocentrismo imperialista e ai suoi successori, ma anche a quelle opzioni culturali e politiche che gli si oppongono, replicandone pero' troppo spesso il gesto fondativo, la riduzione al silenzio di quel subalterno in nome del quale non si puo' (non) parlare. Differenzialismo essenzialista e apologie del soggetto nomade, femminismo universalista e terzomondismo accademico, cultural studies, gender studies, postmodernismo euforico alla Lyotard, storicista alla Jameson o neoilluminista alla Rorty meritano lo stesso trattamento riservato a Kant, a Hegel, al Marx del "modo di produzione asiatico" o alle grandi narrazioni romanzesche del colonialismo nascente e maturo, nonche' alle loro palinodie novecentesche. Non si tratta di accusare ne' di scusare, di accettare in toto ne' di rifiutare, ne' di assemblare Frankenstein teorici (come quelli di Zizek, per intenderci, o ancora di Jamenson), quanto piuttosto di restituire ogni discorso alla sua contingenza dislocandolo criticamente nel tentativo di individuare, nei suoi punti di minor resistenza, i varchi attraverso cui potra' inserirsi quell'unica reale verifica della teoria che e' il rinvio alla prassi. Che tutte le teorie siano inadeguate proprio in forza della loro pretesa di universalita' (e non per nulla Spivak rivendica la sua professione di critica letteraria, specialista nella manipolazione di testi che sono irriducibilmente "singolari" e "non totalizzabili", come non lo e', potremmo aggiungere,l'informante nativo), costituisce esattamente il punto di sutura tra la traccia del discorso e quella critica delle cose che e' l'agire politico, nonche' la possibilita' cui si accennava all'inizio, di considerare l'inadeguatezza un'opportunita' piuttosto che una castrazione. Compreso cio', tra l'altro, l'insistenza di Spivak su di un'etica della responsabilita' intesa come "esperienza dell'impossibile" perde buona parte della sua astruseria. Resterebbe da capire come compiere quel passaggio tra il discorso e l'azione. Su questo, inutile, negarlo, Spivak e' consapevolmente povera di indicazioni, rischio costante di ogni critica radicale gia' intuito e messo alla berlina da Marx nelle sue puntate polemiche contro la "critica critica" di Bruno Bauer & Co, e scotto altissimo da pagare per chi crede che la verita' non sia ne' "la' fuori" ne' un mero effetto di discorso, ma accade nello sguardo dell'altro. Si sa di lei che partecipa attivamente a progetti di alfabetizzazione nelle zone piu' povere dell'India: una scelta che al lettore italiano ricorda quella di Lorenzo Milani, anche lui contraddittoriamente ossessionato dalla possibilita' che i senza voce potessero parlare, e magari scrivere alle professoresse che volevano mantenerli in silenzio. E' solo una fantasia, ovviamente, ipotizzare che una di queste lettere sia arrivata sulla scrivania della professoressa Spivak. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 453 del 12 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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