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Minime. 445
- Subject: Minime. 445
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 4 May 2008 01:33:58 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 445 del 4 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 2. Roberto Carnero intervista Antonia Arslan (2004) 3. Francesca De Sanctis intervista Ana Blandiana (2004) 4. Ermanno Paccagnini ricorda Luce D'Eramo (2001) 5. Mauro Baudino: Wislawa Szymborska (2005) 6. Sergio Buonadonna intervista Spojmai Zariab (2001) 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 2. LIBRI. ROBERTO CARNERO INTERVISTA ANTONIA ARSLAN (2004) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 settembre 2004, col titolo "Le armene? Pazienti tessitrici contro il genocidio". Roberto Carnero e' docente di Letteratura e cultura nell'Italia contemporanea all'Universita' di Milano. Antonia Arslan (Padova, 1938) e' docente universitaria, romanziera e saggista. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la seguente scheda: "Antonia Arslan (Padova, 1938) e' una scrittrice e saggista italiana di origine armena. Laureata in archeologia, e' stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Universita' di Padova. E' autrice di saggi sulla narrativa popolare e d'appendice (Dame, droga e galline. Il romanzo popolare italiano fra Ottocento e Novecento) e sulla galassia delle scrittrici italiane (Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra '800 e '900). Attraverso l'opera del grande poeta armeno Daniel Varujan - del quale ha tradotto le raccolte II canto del pane e Mari di grano - ha dato voce alla sua identita' armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghern, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Husher. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni). Nel 2004 ha scritto il suo primo romanzo, La masseria delle allodole (Rizzoli), che ha vinto il Premio Stresa di narrativa e il Premio Campiello. Il 23 marzo 2007 e' uscito nelle sale il film La masseria delle allodole tratto dall'omonimo romanzo e diretto dai fratelli Taviani". Tra le opere di Antonia Arslan: Romanzo storico, d'appendice, di consumo. Guida bibliografica 1960-1980, Unicopli, 1983; La letteratura per ragazzi, Mondadori, 1984; La memoria e l'intelligenza. Letteratura e filosofia nel Veneto che cambia, Il Poligrafo, 1989; Il sogno aristocratico. Angiolo Orvieto e Neera. Corrispondenza 1889-1917, Guerini e Associati, 1990; Invito alla lettura di Dino Buzzati, Mursia, 1993; Dino Buzzati tra fantastico e realistico, Mucchi, 1993; Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra '800 e '900, Guerini e Associati, 1998; Husher la memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni, Guerini e Associati, 2001; Dal Caucaso al Veneto. Gli armeni tra storia e memoria, Adle, 2003; La masseria delle allodole, Rizzoli, 2004, 2007. Il sito di Antonia Arslan e' www.antoniarslan.it] "Nel mio libro non c'e' odio, e neppure rancore, ma solo la volonta' di ricordare e testimoniare". Ci tiene a sottolinearlo Antonia Arslan, vincitrice del Premio Campiello con il romanzo La masseria delle allodole (Rizzoli, pp. 238, euro 15). Il libro racconta una storia d'amore, quella fra Sempad e Shunshanig (i due personaggi danno i nomi alle due parti in cui e' suddiviso il libro) sullo sfondo di una tragedia collettiva, oggi in parte dimenticata, quale fu il genocidio del popolo armeno, decretato nel 1915 dal partito dei Giovani Turchi. Lo stato turco ha deciso che non c'e' posto per le minoranze ed inizia cosi' la deportazione in massa delle donne armene, mentre gli uomini vengono sterminati. Antonia Arslan segue la vicenda di tre bambine e un bambino vestito da donna che, avviati alla deportazione verso il deserto siriano, attraverso una serie di rocambolesche peripezie riusciranno a salvarsi e raggiungere l'Italia. La memoria familiare dell'autrice si intreccia con la storia - il genocidio del popolo armeno e' stato un terribile crimine contro l'umanita', come ha affermato il Parlamento europeo nel 1987, che e' costato la vita a piu' di un milione di persone, ma il governo di Ankara tuttora si rifiuta di riconoscerlo come tale -, dando origine a un libro di grande impatto emotivo, oltre che di notevole qualita' letteraria, nella scrittura calda, commossa, vibrante, a tratti lirica, pur nella sua costante concretezza. * - Roberto Carnero: Signora Arslan, che cosa c'e' di vero e cosa di inventato nel libro? - Antonia Arslan: L'elemento legato alla storia della mia famiglia e' predominante, quindi si tratta di memorie reali. Ci sono poi cose verosimili, ricostruite sulla base di altre testimonianze, oltre ovviamente a una dose di invenzione. Il libro non e' un saggio storico ma un romanzo, nonostante la base di documentazione. * - Roberto Carnero: Quanto e' stato importante il suo lavoro di studiosa del romanzo d'appendice per creare la trama del romanzo, con i suoi elementi avventurosi e picareschi? - Antonia Arslan: La mia esperienza di lettrice e studiosa di romanzi popolari e' stata fondamentale. Da li' ho imparato il rispetto per il lettore e il gusto per il racconto, un racconto disteso, tradizionale, avvincente. Il lettore ha bisogno di sapere che si crea una storia per lui e questo gli autori dei romanzi d'appendice l'hanno sempre avuto presente. * - Roberto Carnero: Gli armeni chiamano il genocidio di cui furono vittime all'inizio del Novecento "Mez Yeghern", il grande male, quasi la loro Shoah. C'era un'"organizzazione speciale" come speciali saranno qualche anno piu' tardi le SS hitleriane. Esistono altre analogie tra il genocidio armeno e quello degli ebrei? - Antonia Arslan: I Giovani Turchi avevano progettato di eliminare tutte le minoranze: gli armeni, ma anche i greci, gli assiri, i curdi. Era una teoria nazionalista contraria allo spirito cosmopolita che aveva caratterizzato da sempre l'impero ottomano. Quando Hitler decise di eliminare gli ebrei pare che abbia reclutato nelle SS alcuni ufficiali che erano stati attivi nello sterminio armeno e che, di fronte alle obiezioni di alcuni suoi collaboratori abbia detto qualcosa come: "Possiamo fare quello che vogliamo; chi si ricorda piu' dello sterminio degli armeni?". E' analoga l'idea di far fuori una minoranza all'interno di un paese per la sue caratteristiche "razziali". * - Roberto Carnero: Nel suo libro incontriamo molti personaggi femminili. Come mai le donne armene si sono salvate dal genocidio, mentre gli uomini no? - Antonia Arslan: Gli uomini furono sterminati subito, le donne deportate. Gli uomini furono eliminati fisicamente nei modi peggiori: legati su barche poi fatte affondare; ammassati in chiese successivamente incendiate... Nel mio libro immagino che siano radunati in un magazzino da cui vengono fatti uscire all'alba per essere fucilati, ma senza dire nulla alle loro donne, per evitare le reazioni. Le donne si trovarono da sole, con i vecchi e i bambini al seguito, a dover decidere, spesso in poche ore, cosa prendere con se', come muoversi, affittando un carro, un cavallo o un asino. La deportazione fu il lato piu' tragico dell'intera vicenda. Pensi che da una citta' dell'Anatolia, Karput, partirono in 18.000 ed arrivarono ad Aleppo in 150: tutti gli altri morirono di stenti per strada. * - Roberto Carnero: Perche' questa rimozione del genocidio armeno e le difficolta' a riconoscerlo ancora oggi da parte della Turchia? - Antonia Arslan: Nel 1915 tutti nel mondo sapevano cosa stava accadendo in Turchia. La stampa parlava esplicitamente di "sterminio di massa". Dopo la fine della prima guerra mondiale, pero', le potenze occidentali, Francia, Inghilterra e Italia, stremate dalle fatiche del conflitto, si disinteressarono alle cose turche, decidendo di credere a Kemal Ataturk. Effettivamente nel '18 a Costantinopoli si svolsero dei processi, una specie di Norimberga, ma poi venne tutto insabbiato. * - Roberto Carnero: Torniamo al suo libro: romanzo storico, ma soprattutto vicenda d'amore... - Antonia Arslan: Direi di si', e' una storia d'amore di un genere oggi fuori moda, quello coniugale. Amore tra marito e moglie, un amore forte, tenace, sensuale, dotato di una fisicita' che si esprime nella prole numerosa, un amore in cui ciascuno dei due partner non puo' concepire la propria vita senza l'altro... * - Roberto Carnero: Un altro personaggio a cui sembra particolarmente affezionata e' quello del mendicante Nazim... - Antonia Arslan: Si', e' un personaggio che matura nel corso della vicenda, perche' ogni romanzo, in fondo, e' un romanzo di formazione. Prima, come spia, tradisce la famiglia armena protagonista del libro, poi pero' sara' all'origine della sua salvezza dallo sterminio. Nazim e' un personaggio che e' cresciuto con me, man mano che scrivevo il romanzo. * - Roberto Carnero: Come descriverebbe il carattere del popolo armeno? - Antonia Arslan: Nell'antichita' gli armeni erano contadini, poi diventarono artigiani e commercianti. Ho descritto il loro carattere come "mite e fantasticante": sono sempre stati persone dolci ed educate, caratterizzate da una loro ingenuita', intesa come spontaneita' di cuore. Hanno un forte senso della famiglia, una famiglia allargata che comprende gli anziani e i vicini. Non una famiglia patriarcale, pero', perche' le donne non hanno mai subito la figura del "padre padrone". All'inizio del Novecento erano moltissime le donne armene che si diplomavano nelle scuole superiori, segno di un'emancipazione femminile che equivaleva all'alta considerazione in cui erano tenute nella societa'. * - Roberto Carnero: Le donne sono quelle che anche nel suo libro si oppongono alla brutalita' della guerra e del genocidio con la loro capacita' di conservare la vita, nonostante gli orrori della storia... - Antonia Arslan: Mi piacerebbe che questo emergesse come il messaggio centrale del romanzo. Nonostante tutto, le donne armene hanno saputo tenere duro, senza arrendersi di fronte alle immani difficolta' che si sono trovate ad affrontare, all'improvviso e senza aiuti dall'esterno. Lo hanno fatto con l'amore di cui si sono manifestate capaci, ma anche con l'astuzia, con la furbizia, mettendo insieme i fili e intrecciandoli tra loro, fino a far comparire, con la pazienza, il disegno del tappeto, per usare una metafora femminile come quella della tessitura e del ricamo. Le donne armene sono da sempre abilissime ricamatrici: nell'arte del ricamo si e' espressa per secoli la loro creativita', attraverso l'originalita' e, ancora una volta, la pazienza. 3. LIBRI. FRANCESCA DE SANCTIS INTERVISTA ANA BLANDIANA (2004) [Dal quotidiano "L'Unita'" del primo novembre 2004, col titolo "La poetessa che trasformo' Ceausescu in gatto". Francesca De Sanctis e' giornalista e si occupa prevalentemente di temi culturali. Ana Blandiana (pseudonimo di Otilia Valeria Coman, nata a Timisoara nel 1942), poetessa e saggista rumena, attivamente impegnata per i diritti umani e perseguitata sotto il regime di Ceasescu. Opere di Ana Blandiana: Un tempo gli alberi avevano occhi, Donzelli, Roma 2004] Ha un sorriso solare Ana Blandiana, lontano dal paesaggio un po' desolato della sua terra, la Romania che, nei suoi versi, spesso fa capolino attraverso il patrimonio folclorico. Del resto, il suo stesso nome d'arte, Ana, evoca la figura della sposa di Mastro Manole, protagonista di una ballata popolare romena. Blandiana, invece, e' il villaggio dal quale provengono i genitori della poetessa. Classe 1942, Ana e' nota soprattutto per il suo impegno politico contro il regime di Ceausescu. Ma l'antologia che ora arriva in Italia e' semplicemente una raccolta di poesie, a volte venate di malinconia, essenziali e povere. Un tempo gli alberi avevano occhi, questo il titolo del volume, raccoglie versi tradotti da Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni (Donzelli, pp. 189, con un saggio dell'autrice, La poesia, tra silenzio e peccato) e ripercorre un iter artistico dagli esordi negli anni Sessanta a oggi. * - Francesca De Sanctis: Nel saggio incluso nella sua antologia italiana lei scrive che "lo scopo della poesia e' quello di ripristinare il silenzio, la capacita' di tacere"... - Ana Blandiana: E' un'equazione semplice: per i moderni la poesia e' qualcosa che non si puo' spiegare, e' una suggestione. Il poeta cerca di suggerire delle cose: se si dice poco per comprendere di piu', allora e' meglio dire ancora meno. Il passo successivo e' non dire nulla. Puo' sembrare assurdo, ma tutta l'arte moderna e' una via verso l'assurdo. Il problema e' trovare esattamente il punto di equilibrio tra niente e tutto. * - Francesca De Sanctis: Perche' ha deciso di non inserire i testi "dissidenti" in questa raccolta? - Ana Blandiana: Credo che non sia giusto mescolare troppo le cose. Nella mia vita la poesia e l'attivita' politica sono sempre state separate. Come scrittrice io volevo dire tutto quello che c'era da dire e questo significava godere di una liberta' che non c'era. Le repressioni che ho subito mi hanno trasformato agli occhi degli altri in una persona che non rinuncia a dire la verita', ma la mia verita' era semplicemente poesia. E' vero che ho parlato di una certa realta', ma non credo che mettere l'accento solo su quel periodo della mia vita sia corretto. Io non voglio "sporcare" la poesia. Quei versi avrebbero bisogno di un commentario per spiegare delle parole che, oggi, nemmeno i giovani romeni comprenderebbero. Nel 1984 il quotidiano inglese "The Independent" pubblico' una pagina in cui spiegava il significato delle valenze connotative di Totul, uno dei quattro poemi per i quali mi venne vietato di firmare e di pubblicare. Ma allora era interessante per il lettore inglese la situazione della Romania. Oggi sarebbe assurdo fare una cosa del genere, perche' Ceausescu e' morto da quindici anni. * - Francesca De Sanctis: Era consapevole, quando scriveva, che avrebbe scatenato tante polemiche? - Ana Blandiana: Non ho mai pensato di scrivere per impressionare una categoria sociale o scatenare chissa' cosa. Quando feci leggere a una poetessa i miei quattro poemi tanto discussi lei mi disse che non erano pubblicabili. Eppure le avevo consegnato solo i piu' innocenti. * - Francesca De Sanctis: Anche la storia del gatto Arpagic, la favola per bambini che lei ha scritto nel 1988, era innocente. Eppure la censura la lesse come una parodia delle imprese di Ceausescu. - Ana Blandiana: Dopo "Amfiteatru" (la rivista che nell'80 pubblico' i quattro poemi, ndr), quando ho ricominciato a pubblicare, la censura fu molto piu' dura con me. Ogni parola era sotto la lente d'ingrandimento. Cosi' ho pensato di pubblicare favole per bambini. In realta' ho iniziato a scriverle in un altro momento della mia vita: nel 1977 c'e' stato un grosso terremoto in Romania, il palazzo in cui vivevo e' crollato. Sono morte 300 persone, solo quattro superstiti, tra cui io, che non ero in casa, e mio marito, che dal settimo piano e' caduto fino al quarto ed e' rimasto sotto le macerie per dieci ore. Quando la nostra vita e' ricominciata da zero, io non ero piu' capace di scrivere, era come se avessi una malattia. Ho ripreso a scrivere come se fossi una bambina, poi un editore mi ha chiesto: perche' non scrivi per i bambini? E cosi' ho iniziato a pubblicare anche favole. Arpagic e' poi diventato molto celebre, ha ispirato anche cartoni animati. Dieci anni dopo il terremoto non avevo alcuna intenzione di provocare scandali, ma Arpagic divenne Ceausescu... Io, pero', non ho mai pensato una cosa del genere. Per me era un gioco. Eppure ho di nuovo perduto il diritto di pubblicare. Tutti i miei libri sono spariti dalle biblioteche e una macchina parcheggiata sotto casa ha controllato la mia vita 24 ore su 24, dall'agosto 1988 al dicembre 1989, quando e' caduto il regime. * - Francesca De Sanctis: Pero' non ha mai abbandonato la scrittura. - Ana Blandiana: Al contrario, quello e' stato il mio miglior periodo, perche' avevo tutto il tempo per scrivere: non avevo una vita sociale, nessuno veniva a trovarmi. In quel periodo ho scritto anche un romanzo, Il cassetto con gli applausi (1992). quel libro mi ha fatto sopportare meglio tutta la situazione, impedendomi di impazzire. * - Francesca De Sanctis: Poi ha ripreso a comporre anche poesie, spesso piene di riferimenti ai miti. - Ana Blandiana: Credo che esista una categoria di poeti per i quali la poesia e' qualcosa di vicino alla religione. Entrambe parlano di cio' che non e' dicibile, l'ineffabile. Questo crea un'attesa per qualcosa che non si puo' dire. * - Francesca De Sanctis: Quali sono i poeti italiani che ama di piu'? - Ana Blandiana: Tra i viventi Andrea Zanzotto e Mario Luzi. Tra i moderni Eugenio Montale. 4. MEMORIA. ERMANNO PACCAGNINI RICORDA LUCE D'ERAMO (2001) [Dal "Corriere della sera" del 7 marzo 2001, col titolo "Scompare Luce D'Eramo, scrittrice contro" e il sommario "Le rivelazioni sul suo passato, che racconto' nel romanzo Deviazione, ne fecero un 'caso' alla fine degli anni Settanta". Ermanno Paccagnini e' docente di Letteratura italiana contemporanea all'Universita' cattolica di Milano; si e' occupato in particolare di Scapigliatura milanese, di fonti manzoniane (i processi alla monaca di Monza e agli untori), di rapporti letteratura-giornalismo, curando altresi' riedizione di testi seicenteschi e otto-novecenteschi; si segnala in particolare il commento alle due redazioni della Storia della colonna infame di Manzoni nei Meridiani Mondadori; per un quindicennio critico letterario del supplemento domenicale del "Sole-24 ore", poi collaboratore del "Corriere della sera". Tra le opere di Ermanno Paccagnini: (con Edmondo Berselli), Mille libri per il Duemila, Il Sole 24 Ore Libri, 1999; (con Giuseppe Farinelli e Antonia Mazza), La letteratura italiana dell'Ottocento, Carocci, 2002. Luce D'Eramo, scrittrice e testimone straordinaria, nata nel 1925, e' scomparsa nel 2001. Evasa dal lager nazista, gravemente ferita sotto un bombardamento, coscienza vigile e inquieta, di tenacissimo impegno civile, ha collaborato a "Nuovi argomenti", "Tempo presente", "La fiera letteraria" e al quotidiano "Il manifesto". Opere di Luce D'Eramo: fondamentale e' Deviazione, Mondadori, Milano 1979, poi Rizzoli, Milano 1990; tra le altre sue opere: Raskolnikov e il marxismo - Note a un libro di Moravia (1959); L'opera di Ignazio Silone (1971); Cruciverba politico (1974); Nucleo zero (1981); Partiranno (1986)] E' morta ieri mattina al Policlinico di Roma Luce D'Eramo. Aveva 76 anni. Due settimane fa era stata ricoverata per una peritonite, poi sono sopraggiunte complicazioni cardiocircolatorie. Lascia il figlio Marco. Ci sono incontri mancati con cui, prima o poi, ti ritrovi a fare i conti. Come con Luce D'Eramo. Un incontro mancato piu' a livello recensorio che di letture: presenti queste ultime anche per la curiosita' destata da una narratrice anomala (Io sono un'aliena si potrebbe dire col titolo d'un suo volume edito da Edizioni Lavoro nel 1999), che si e' misurata con varie esperienze: autobiografiche ("la sconvolgente odissea di una giovane borghese nel tragico universo hitleriano" recita il sottotitolo di Deviazione, Mondadori, 1979), il terrorismo (Nucleo Zero, Mondadori, 1991), la Resistenza (Una strana fortuna, Mondadori, 1997: romanzo iniziato quarant'anni prima, nel 1959, su tre generazioni di donne di parti politiche opposte), il neonazismo (Si prega di non disturbare, Rizzoli, 1996), la science-fiction (Partiranno, Mondadori, 1986): calibrando di volta in volta la struttura del romanzo sulle diverse istanze che lo dettavano. Sul piano personale, cio' che di lei resta soprattutto difficile da dimenticare e' il primo lontano incontro con un suo testo, oltre che sempre fondamentale, riattualizzato anche dalle recenti polemiche sul caso Silone. Parliamo de L'opera di Ignazio Silone (Mondadori, 1971), autore su cui e' spesso tornata con diversi saggi (del 1998 e' poi anche la vittoria del Premio Silone con Una strana fortuna): un "saggio critico con guida bibliografica", per dirla con le parole di lei; e pero', per molti aspetti, il suo primo vero libro di narrativa, in linea con quanto avrebbe poi caratterizzato le pagine dei suoi romanzi: di scavo, dentro i problemi; attente a cogliere le ragioni prime degli atti degli uomini e le domande ultime dell'esistenza ("Forse un giorno sapremo tutto sul come dell'universo, ma non potremo mai svelarne il perche'. Io chiamo Dio quest'inconoscibile perche'" fa dire a Silvana dell'Ultima Luna, romanzo sulla vecchiaia del 1993, Mondadori: Premi Napoli e Fregene). In tal senso L'opera di Ignazio Silone si puo' leggere quale punto di snodo d'una storia di scrittrice che aveva sin li' seguito sempre percorsi saggistici (Raskolnikov e il marxismo. Note a un libro di Moravia, Esse, Milano 1960; ma si possono ricordare anche altre esperienze, come Idilli in coro, Gastaldi, 1951, e Finche' la testa vive, Rizzoli, 1964), e che, dopo "una sua versione del caso Feltrinelli, ricostruita attraverso una demistificata analisi delle notizie riportate da ottantasei quotidiani italiani, intitolata Cruciverba politico (come funziona in Italia la strategia della diversione) (Guaraldi, 1974), approda al romanzo. Con Deviazione. A 54 anni. Un romanzo nel quale fa conti scarnificanti con se stessa: col proprio silenzio sulla sua storia personale e su alcune scelte giovanili. E con l'immagine di se' che e' venuta sovrapponendo a quella passata realta'. Una storia non facile, quella di Luce Mangione D'Eramo. Storia d'una donna nata a Reims (17 giugno 1925) da genitori italiani e che a Parigi vive la propria infanzia sino al 1939, quando la famiglia si trasferisce in Italia. Da cui riparte nel febbraio 1944 come volontaria (il padre era sottosegretario a Salo'), per lavorare come operaia in una fabbrica nazista a Frankfurt-Hoechst (questo il punto di partenza di Deviazione). Da qui viene internata a Dachau, salvo uscirne, fuggendo a piedi da Monaco di Baviera a Magonza ove, "nel febbraio del '45, nel portare soccorso a persone sepolte sotto un bombardamento, e' rimasta gravemente ferita". Restando pero' paralizzata per sempre e, al rientro in Italia, chiedendo l'iscrizione al Pci (peraltro rifiutata), ma continuando a sviluppare una ricerca, come diceva lei stessa, da "marxista-cristiana". Una geografia, quella franco-tedesca, rimastale nel cuore, se e' vero che dopo il ritorno a Roma, il matrimonio (1946), la maternita' (Marco, 1947), le lauree in Lettere (1951) e Storia e filosofia (1954), non ha mai tralasciato di compiere lunghi soggiorni a Parigi e Berlino e, nell'ultimo decennio, anche in Polonia. Ma anche anni importanti sul versante creativo: perche' se solo nel 1979 scoppia ufficialmente il "caso D'Eramo", e' pero' negli anni 1943-1956 (tra i 18-31 anni) che Luce D'Eramo fa segretamente le sue prime prove. Giudicate "veramente buone", allora, da Giangiacomo Feltrinelli e Moravia, ma rifiutate dall'editoria: e solo nel 1999 riunite nel volume Racconti quasi di guerra (vi e' recuperato anche Il convoglio dei lituani, edito da Esse nel 1958). Racconti ricchi di forza narrativa e tenuta di scrittura, ma soprattutto di quella capacita' di attraversare insieme con dolore e gioia la tragedia del vivere bilicata tra pericolo di morte e quotidiano rinvenimento della gioia di vivere, che e' la cifra della scrittrice. Un raccolta ospitata negli Scrittori Italiani e Stranieri di Mondadori. Dove in aprile sara' offerto, postumo, il suo ultimo romanzo, Un'estate difficile. Una storia ambientata negli anni '50 che indaga l'ambito privato di una coppia in continuo scontro. L'ennesimo scandaglio narrativo teso a capire il presente. 5. PROFILI. MAURO BAUDINO: WISLAWA SZYMBORSKA (2005) [Dal quotidiano "La Stampa" del 4 maggio 2005, col titolo "Szymborska, il poeta e' un clandestino che vive di 'non so'" e il sommario "A leggere i suoi versi in una sala straripante e' stato Mauro Avogadro. Lei con ironica dolcezza si e' rifiutata di parlare del suo lavoro". Mauro Baudino (Chiusa di Pesio, 1952) e' scrittore e giornalista. Ha pubblicato vari volumi di poesia, narrativa, saggistica. Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata a Bnin, in Polonia, nel 1923; ha studiato lettere e sociologia a Cracovia, dove risiede; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria", nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e "Kultura"; oltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991 il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book of the Month Club Translation Prize". Tra le opere di Wislawa Szymborska in edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano 1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998; Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore, Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004] Nel discorso di accettazione per il premio Nobel, Wislawa Szymborska spiego' che cosa intendeva lei per "poeta"; un essere semiclandestino, inafferrabile, e proprio per questo, forse, insostituibile. Il poeta odierno, diceva, "e' scettico e diffidente... nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta, quasi se ne vergognasse un po'": perche' non ci sono "professori di poesia", perche' "il loro lavoro non e' per nulla fotogenico", ma soprattutto perche' i poeti posseggono due parolette: "non so". Certo, anche lo scienziato e in genere chiunque, a questo mondo, deve ripetersi "non so" per non essere condannato a un sapere "morto", quello di coloro che credono di aver capito tutto. Ma il poeta piu' di altri. Il suo "non so" consiste nel cercare di dare risposte e subito dopo essere morsi dal dubbio, ragion per cui ricomincia all'infinito, "finche' gli storici della letteratura non legheranno insieme le prove della sua insoddisfazione e lo chiameranno patrimonio artistico". E' ironica, la Szymborska, ma di un'ironia che ricorda gli antichi stoici. La sua saggezza sta nel non sapere, e anche nel non apparire, nel limitarsi a scrivere. Ieri al Teatro Carignano ha confermato l'inossidabile carattere, leggendo con una delicatezza niente affatto timida le poesie in polacco, che poi sono state rese teatralmente in italiano da Mauro Avogadro. Minuta, i capelli candidi, il volto aguzzo e sorridente, ha scelto di iniziare con un testo che la rappresenta assai bene; si intitola "Nulla due volte" e contiene una serie di affermazioni antitetiche al pur amatissimo Ecclesiaste: "Non c'e' giorno che ritorni/ ne' due notti uguali uguali", per concludere con quattro versi che paiono una irriverente canzoncina: "Perche' tu, malvagia ora/ dai paura ed incertezza?/ Ci sei, devi passare/ passerai, e qui sta la bellezza". Pietro Marchesani, il suo traduttore, ha parlato di poesia "post-ideologica", di semplicita' complessa, di stupore che parte dalla convinzione secondo cui il mondo non e' affatto ovvio, della capacita' di vedere i "miracoli", soprattutto quelli "alla buona", in base ai quali, per esempio, "le mucche sono mucche" e la frutta matura nel frutteto. Sottolineando che questa e' una poesia non scritta per i letterati, benche' nutrita di una grande sapienza letteraria. Il regista turco Ferzan Ozpetek, che e' un grande ammiratore della Szymborska, ha raccontato come il primo incontro con i suoi versi corrispose anche, magicamente, all'anteprima del suo film d'esordio, Il bagno turco. E il suo primo incontro con la poetessa in carne ed ossa e' stato invece proprio quello di ieri, perche' quando lei venne a Roma per l'unica altra lettura pubblica mai tenuta in Italia, lui era chiuso in studio a girare uno spot pubblicitario. Che da allora odia. A questo punto, non c'era altro da dire, se non passare alla poesia. Ma la scrittrice ha voluto prendere brevemente la parola per ringraziare tutti, con un discorso non privo di una dolce ironia, guardandosi bene dal parlare del suo lavoro, dicendo solo: "Sono molto fortunata. Perche' ho un bravo traduttore, perche' sono qui con voi, e perche' questo antico teatro e' pieno di ricordi, di memorie di attori e di pubblico". Fortunata, e anche, nella sua apparente fragilita', d'acciaio. La vita della poetessa e' stata forgiata da una biografia lunga 82 anni, tutti in Polonia, dalle iniziali speranze per il comunismo alle precoci disillusioni, vivendo di nulla, di rubriche su un giornale che l'aveva licenziata quando lei straccio' la tessera del partito, standosene il piu' possibile appartata e riuscendo tuttavia a pubblicare le sue raccolte di versi. Appartiene alla generazione dell'esilio interno, come il praghese Holan o l'ungherese Kertesz; quando ha ricevuto il Nobel, nel '96, ha distribuito in aiuti e beneficenza il premio in denaro e da Cracovia si e' trasferita a Zakopane, per difendersi dalla notorieta'. In quel momento era gia' tradotta nelle principali lingue, anche in Italia da Scheiwiller, ma non era affatto nota. Ora dopo la pubblicazione della raccolta Vista con granello di sabbia per Adelphi e di 25 componimenti in un "Mito poesia" di Mondadori - la collana a bassissimo prezzo e grande diffusione - e' un autore molto amato anche da noi. La sua poesia, in apparenza semplicissima, e' in realta' insidiosa, niente affatto tranquillizzante. Antiplatonica, non crede in un mondo immutabile delle idee, anzi ad ogni verso ne svela l'inganno. La nostra esistenza, scrive, "e' benvenuto e addio in un solo sguardo": ci salva la meraviglia davanti alla realta', il poter dire "tutto e' mio, niente mi appartiene". Nel passaggio stretto della vita c'e' una possibilita': la bellezza che va oltre il male, oltre la fine - ingiusta - della vita stessa. Si e' parlato per lei di una sorta di "addomesticamento della morte". Una delle sue metafore preferite e' quella delle nuvole, eternamente mutevoli e imprevedibili. E per il resto "Non c'e' vita/ che possa essere immortale/ se non per un momento". Parla del presente, tutto il resto e' ipotesi, ricostruita dal passato o proiettata sul futuro. E lo fa con una dolcezza ironica. Sempre nel discorso del Nobel, aveva evocato l'intero universo, con le sue distanze abissali, le stelle infinitamente lontane, i pianeti "gia' morti o ancora morti", per ricordare che "il nostro stupore esiste per se stesso e non deriva da alcun paragone con alcunche', e poi perche' il mondo, qualunque cosa ne pensiamo, spaventati dalla sua immensita' e dalla nostra impotenza, amareggiati dalla sua indifferenza rispetto alle sofferenze individuali... qualunque cosa noi pensiamo di questo smisurato teatro, il mondo e' stupefacente". 6. TESTIMONIANZE. SERGIO BUONADONNA INTERVISTA SPOJMAI ZARIAB (2001) [Dal quotidiano "Il secolo XIX" del 17 novembre 2001, col titolo "Pronte a far volare i burqa come aquiloni sul cielo di Kabul". Sergio Buonadonna, giornalista culturale e saggista, vive a Genova, ha curato varie pubblicazioni, tra cui: Finestra sul Mediterraneo, trenta racconti da Consolo a Ben Jelloun (Il melangolo); Liguria svelata, viaggio d'autori sul territorio "nascosto"; I fiori raccontano, il viaggio di un folletto nel giardino Liguria. Spojmai Zariab, scrittrice afgana, nata a Kabul nel 1949, esule in Francia dal 1990. Tra le opere di Spojmai Zariab: Ces murs qui nous ecoutent, L'Inventaire, 2000; La plaine de Cain, L'Aube, 2001; Dessine-moi un coq, l'Aube, 2003] "Si', voglio tornare in Afghanistan. Credo sia dovere di chi e' in esilio tornare e partecipare alla ricostruzione. Non sara' facile perche' ho le figlie che vanno a scuola, ma se potessi partire da sola, lo farei subito prima che tutto sia ristabilito". L'esilio Spojmai Zariab lo conosce da dieci anni. I Talebani imposero a lei, scrittrice e voce tra le piu' alte e liriche della cultura pashtun in lingua persiana, di non insegnare piu', di non scrivere, di non svolgere il suo lavoro di traduttrice dal francese. Ed e' stata proprio la Francia ad accogliere lei e le sue tre figlie in fuga, a Montpellier, dove solo cinque anni dopo il marito e padre ha potuto raggiungerle. Nel frattempo Zariab ha continuato a scrivere, pubblicare e farsi apprezzare in Europa - e da poco anche in Italia - ma non si e' limitata solo a questo. E' stata ed e' presso le istituzioni umanitarie internazionali ambasciatrice del desiderio di pace e di liberta' del suo popolo. L'abbiamo raggiunta per telefono a Montpellier. Lei incollata alla televisione per seguire e vivere da lontano i primi, timidi profumi di liberta'. E' emozionata, travolta dal flusso dei sentimenti e dei ricordi. * - Sergio Buonadonna: Che idee s'e' fatta dell'improvviso sviluppo della guerra, dopo l'ingresso dell'Alleanza del Nord a Kabul? - Spojmai Zariab: Quel che e' accaduto e' stato talmente inaspettato che e' troppo presto per fare valutazioni precise. Ci saranno sicuramente cambiamenti rispetto al passato ma non mi aspetto che nell'immediato siano molto evidenti. Occorrera' il tempo necessario per permettere a tutti di vedere chiaro. Oggi e' impensabile che l'Afghanistan volti completamente pagina. * - Sergio Buonadonna: Cosa pensa dell'Alleanza del Nord, crede che il suo popolo possa fidarsi di loro? - Spojmai Zariab: Si tratta di una popolazione rurale con una tradizione guerriera. Sono certamente ottimi soldati ma per dirigere un paese, per creare un governo, occorre una rappresentanza di tutto il popolo, non solo dei militari. Ma credo che siano coscienti del fatto di non poter agire da soli. Del nuovo governo dovranno fare parte tutte le tribu afghane altrimenti, in un modo o nell'altro, il dramma del mio paese continuera'. * - Sergio Buonadonna: Ha fiducia negli Stati Uniti e nei loro alleati? - Spojmai Zariab: Questo lo decidera' il tempo. Non voglio credere che abbiano un obiettivo diverso da quello di riunirci. Si impegneranno sicuramente per la ricostruzione, e' loro dovere. Hanno trovato un paese distrutto, ma hanno anche contribuito a distruggerlo ulteriormente. * - Sergio Buonadonna: Non le sembra un giudizio pesante? - Spojmai Zariab: Io spero che gli Stati Uniti lascino finalmente da parte i loro interessi. E' giusto combattere il terrorismo, ma i bombardamenti subiti, che hanno spazzato vite innocenti, non erano anche questi un'espressione di terrorismo? Il popolo afghano non protegge i terroristi, ne e' stato l'ostaggio. Come si puo' immaginare domani che qualcuno viva una vita normale dopo lo strazio e l'inquinamento prodotto da tonnellate di bombe? Quanto e' accaduto dovrebbe almeno servire agli americani a non ripetere gli stessi errori. * - Sergio Buonadonna: Quali? - Spojmai Zariab: Sono loro ad avere spinto i Talebani al potere. Sono loro ad avere aiutato Bin Laden nella speranza di poter controllare questa regione, usata al tempo dell'Urss come l'ultima propaggine della guerra fredda. * - Sergio Buonadonna: L'ex re Zaher Shah si prepara a rientrare. Condivide l'opinione di chi lo accusa di non essersi fatto sentire quando il paese era sottomesso ai sovietici e ai Talebani? - Spojmai Zariab: Penso che la maggioranza degli afghani sia per l'arrivo del re. Sanno che non tornerebbe per regnare ma per favorire un'intesa tra le diverse etnie. La sua e' la sola voce che tutti potrebbero accettare. Zaher Shah si e' sempre dichiarato pronto a servire il suo paese ma non e' mai stato ascoltato. Per esempio quando ha cercato di trasferirsi in Pakistan gli e' stato rifiutato il visto. Il suo ritorno andava sostenuto ma neanche gli Stati Uniti lo hanno mai appoggiato veramente. * - Sergio Buonadonna: A cose fatte, qualcuno ha detto che questa guerra puntava anche alla liberazione delle donne afghane che hanno pagato un prezzo altissimo di umiliazione al potere dei Talebani. Una riparazione tardiva? - Spojmai Zariab: Alle donne sono state tolte tutte le possibilita': dall'insegnamento alla scuola fino alla mortificazione del burqua. * - Sergio Buonadonna: Che ora timidamente va sparendo. - Spojmai Zariab: Si', e' un segno di speranza. Ma non sparira' cosi' velocemente come si crede in Occidente. Sono sei anni che le donne lo subiscono e la normalita' e' ancora lontana. A distanza, sento che le donne afghane, almeno quelle meno giovani, vivono l'improvvisa liberta' quasi con imbarazzo, ma quel che e' certo e' che sono spiritualmente pronte a far volare il burqa, come gli aquiloni che si sono librati in cielo nella Kabul liberata. * - Sergio Buonadonna: Quali sono oggi le maggiori urgenze? - Spojmai Zariab: Dare fiducia a uomini e donne che hanno subito da ventidue anni i deliri di varie potenze. E non ne possono piu'. I nostri bambini non hanno conosciuto che guerre. L'urgenza e' dunque il grande lavoro che ci attende tutti per darci il diritto alla vita e liberarci dagli incubi: la violenza, la fame, la polvere dei cannoni, la miseria morale dei Talebani. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 445 del 4 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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