Minime. 445



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 445 del 4 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
2. Roberto Carnero intervista Antonia Arslan (2004)
3. Francesca De Sanctis intervista Ana Blandiana (2004)
4. Ermanno Paccagnini ricorda Luce D'Eramo (2001)
5. Mauro Baudino: Wislawa Szymborska (2005)
6. Sergio Buonadonna intervista Spojmai Zariab (2001)
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

2. LIBRI. ROBERTO CARNERO INTERVISTA ANTONIA ARSLAN (2004)
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 settembre 2004, col titolo "Le armene?
Pazienti tessitrici contro il genocidio".
Roberto Carnero e' docente di Letteratura e cultura nell'Italia
contemporanea all'Universita' di Milano.
Antonia Arslan (Padova, 1938) e' docente universitaria, romanziera e
saggista. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la seguente
scheda: "Antonia Arslan (Padova, 1938) e' una scrittrice e saggista italiana
di origine armena. Laureata in archeologia, e' stata professore di
Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Universita' di Padova. E'
autrice di saggi sulla narrativa popolare e d'appendice (Dame, droga e
galline. Il romanzo popolare italiano fra Ottocento e Novecento) e sulla
galassia delle scrittrici italiane (Dame, galline e regine. La scrittura
femminile italiana fra '800 e '900). Attraverso l'opera del grande poeta
armeno Daniel Varujan - del quale ha tradotto le raccolte II canto del pane
e Mari di grano - ha dato voce alla sua identita' armena. Ha curato un
libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghern, Il genocidio degli
Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti
rifugiatisi in Italia (Husher. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti
armeni). Nel 2004 ha scritto il suo primo romanzo, La masseria delle
allodole (Rizzoli), che ha vinto il Premio Stresa di narrativa e il Premio
Campiello. Il 23 marzo 2007 e' uscito nelle sale il film La masseria delle
allodole tratto dall'omonimo romanzo e diretto dai fratelli Taviani". Tra le
opere di Antonia Arslan: Romanzo storico, d'appendice, di consumo. Guida
bibliografica 1960-1980, Unicopli, 1983; La letteratura per ragazzi,
Mondadori, 1984; La memoria e l'intelligenza. Letteratura e filosofia nel
Veneto che cambia, Il Poligrafo, 1989; Il sogno aristocratico. Angiolo
Orvieto e Neera. Corrispondenza 1889-1917, Guerini e Associati, 1990; Invito
alla lettura di Dino Buzzati, Mursia, 1993; Dino Buzzati tra fantastico e
realistico, Mucchi, 1993; Dame, galline e regine. La scrittura femminile
italiana fra '800 e '900, Guerini e Associati, 1998; Husher la memoria. Voci
italiane di sopravvissuti armeni, Guerini e Associati, 2001; Dal Caucaso al
Veneto. Gli armeni tra storia e memoria, Adle, 2003; La masseria delle
allodole, Rizzoli, 2004, 2007. Il sito di Antonia Arslan e'
www.antoniarslan.it]

"Nel mio libro non c'e' odio, e neppure rancore, ma solo la volonta' di
ricordare e testimoniare". Ci tiene a sottolinearlo Antonia Arslan,
vincitrice del Premio Campiello con il romanzo La masseria delle allodole
(Rizzoli, pp. 238, euro 15). Il libro racconta una storia d'amore, quella
fra Sempad e Shunshanig (i due personaggi danno i nomi alle due parti in cui
e' suddiviso il libro) sullo sfondo di una tragedia collettiva, oggi in
parte dimenticata, quale fu il genocidio del popolo armeno, decretato nel
1915 dal partito dei Giovani Turchi.
Lo stato turco ha deciso che non c'e' posto per le minoranze ed inizia cosi'
la deportazione in massa delle donne armene, mentre gli uomini vengono
sterminati. Antonia Arslan segue la vicenda di tre bambine e un bambino
vestito da donna che, avviati alla deportazione verso il deserto siriano,
attraverso una serie di rocambolesche peripezie riusciranno a salvarsi e
raggiungere l'Italia. La memoria familiare dell'autrice si intreccia con la
storia - il genocidio del popolo armeno e' stato un terribile crimine contro
l'umanita', come ha affermato il Parlamento europeo nel 1987, che e' costato
la vita a piu' di un milione di persone, ma il governo di Ankara tuttora si
rifiuta di riconoscerlo come tale -, dando origine a un libro di grande
impatto emotivo, oltre che di notevole qualita' letteraria, nella scrittura
calda, commossa, vibrante, a tratti lirica, pur nella sua costante
concretezza.
*
- Roberto Carnero: Signora Arslan, che cosa c'e' di vero e cosa di inventato
nel libro?
- Antonia Arslan: L'elemento legato alla storia della mia famiglia e'
predominante, quindi si tratta di memorie reali. Ci sono poi cose
verosimili, ricostruite sulla base di altre testimonianze, oltre ovviamente
a una dose di invenzione. Il libro non e' un saggio storico ma un romanzo,
nonostante la base di documentazione.
*
- Roberto Carnero: Quanto e' stato importante il suo lavoro di studiosa del
romanzo d'appendice per creare la trama del romanzo, con i suoi elementi
avventurosi e picareschi?
- Antonia Arslan: La mia esperienza di lettrice e studiosa di romanzi
popolari e' stata fondamentale. Da li' ho imparato il rispetto per il
lettore e il gusto per il racconto, un racconto disteso, tradizionale,
avvincente. Il lettore ha bisogno di sapere che si crea una storia per lui e
questo gli autori dei romanzi d'appendice l'hanno sempre avuto presente.
*
- Roberto Carnero: Gli armeni chiamano il genocidio di cui furono vittime
all'inizio del Novecento "Mez Yeghern", il grande male, quasi la loro Shoah.
C'era un'"organizzazione speciale" come speciali saranno qualche anno piu'
tardi le SS hitleriane. Esistono altre analogie tra il genocidio armeno e
quello degli ebrei?
- Antonia Arslan: I Giovani Turchi avevano progettato di eliminare tutte le
minoranze: gli armeni, ma anche i greci, gli assiri, i curdi. Era una teoria
nazionalista contraria allo spirito cosmopolita che aveva caratterizzato da
sempre l'impero ottomano. Quando Hitler decise di eliminare gli ebrei pare
che abbia reclutato nelle SS alcuni ufficiali che erano stati attivi nello
sterminio armeno e che, di fronte alle obiezioni di alcuni suoi
collaboratori abbia detto qualcosa come: "Possiamo fare quello che vogliamo;
chi si ricorda piu' dello sterminio degli armeni?". E' analoga l'idea di far
fuori una minoranza all'interno di un paese per la sue caratteristiche
"razziali".
*
- Roberto Carnero: Nel suo libro incontriamo molti personaggi femminili.
Come mai le donne armene si sono salvate dal genocidio, mentre gli uomini
no?
- Antonia Arslan: Gli uomini furono sterminati subito, le donne deportate.
Gli uomini furono eliminati fisicamente nei modi peggiori: legati su barche
poi fatte affondare; ammassati in chiese successivamente incendiate... Nel
mio libro immagino che siano radunati in un magazzino da cui vengono fatti
uscire all'alba per essere fucilati, ma senza dire nulla alle loro donne,
per evitare le reazioni. Le donne si trovarono da sole, con i vecchi e i
bambini al seguito, a dover decidere, spesso in poche ore, cosa prendere con
se', come muoversi, affittando un carro, un cavallo o un asino. La
deportazione fu il lato piu' tragico dell'intera vicenda. Pensi che da una
citta' dell'Anatolia, Karput, partirono in 18.000 ed arrivarono ad Aleppo in
150: tutti gli altri morirono di stenti per strada.
*
- Roberto Carnero: Perche' questa rimozione del genocidio armeno e le
difficolta' a riconoscerlo ancora oggi da parte della Turchia?
- Antonia Arslan: Nel 1915 tutti nel mondo sapevano cosa stava accadendo in
Turchia. La stampa parlava esplicitamente di "sterminio di massa". Dopo la
fine della prima guerra mondiale, pero', le potenze occidentali, Francia,
Inghilterra e Italia, stremate dalle fatiche del conflitto, si
disinteressarono alle cose turche, decidendo di credere a Kemal Ataturk.
Effettivamente nel '18 a Costantinopoli si svolsero dei processi, una specie
di Norimberga, ma poi venne tutto insabbiato.
*
- Roberto Carnero: Torniamo al suo libro: romanzo storico, ma soprattutto
vicenda d'amore...
- Antonia Arslan: Direi di si', e' una storia d'amore di un genere oggi
fuori moda, quello coniugale. Amore tra marito e moglie, un amore forte,
tenace, sensuale, dotato di una fisicita' che si esprime nella prole
numerosa, un amore in cui ciascuno dei due partner non puo' concepire la
propria vita senza l'altro...
*
- Roberto Carnero: Un altro personaggio a cui sembra particolarmente
affezionata e' quello del mendicante Nazim...
- Antonia Arslan: Si', e' un personaggio che matura nel corso della vicenda,
perche' ogni romanzo, in fondo, e' un romanzo di formazione. Prima, come
spia, tradisce la famiglia armena protagonista del libro, poi pero' sara'
all'origine della sua salvezza dallo sterminio. Nazim e' un personaggio che
e' cresciuto con me, man mano che scrivevo il romanzo.
*
- Roberto Carnero: Come descriverebbe il carattere del popolo armeno?
- Antonia Arslan: Nell'antichita' gli armeni erano contadini, poi
diventarono artigiani e commercianti. Ho descritto il loro carattere come
"mite e fantasticante": sono sempre stati persone dolci ed educate,
caratterizzate da una loro ingenuita', intesa come spontaneita' di cuore.
Hanno un forte senso della famiglia, una famiglia allargata che comprende
gli anziani e i vicini. Non una famiglia patriarcale, pero', perche' le
donne non hanno mai subito la figura del "padre padrone". All'inizio del
Novecento erano moltissime le donne armene che si diplomavano nelle scuole
superiori, segno di un'emancipazione femminile che equivaleva all'alta
considerazione in cui erano tenute nella societa'.
*
- Roberto Carnero: Le donne sono quelle che anche nel suo libro si oppongono
alla brutalita' della guerra e del genocidio con la loro capacita' di
conservare la vita, nonostante gli orrori della storia...
- Antonia Arslan: Mi piacerebbe che questo emergesse come il messaggio
centrale del romanzo. Nonostante tutto, le donne armene hanno saputo tenere
duro, senza arrendersi di fronte alle immani difficolta' che si sono trovate
ad affrontare, all'improvviso e senza aiuti dall'esterno. Lo hanno fatto con
l'amore di cui si sono manifestate capaci, ma anche con l'astuzia, con la
furbizia, mettendo insieme i fili e intrecciandoli tra loro, fino a far
comparire, con la pazienza, il disegno del tappeto, per usare una metafora
femminile come quella della tessitura e del ricamo. Le donne armene sono da
sempre abilissime ricamatrici: nell'arte del ricamo si e' espressa per
secoli la loro creativita', attraverso l'originalita' e, ancora una volta,
la pazienza.

3. LIBRI. FRANCESCA DE SANCTIS INTERVISTA ANA BLANDIANA (2004)
[Dal quotidiano "L'Unita'" del primo novembre 2004, col titolo "La poetessa
che trasformo' Ceausescu in gatto".
Francesca De Sanctis e' giornalista e si occupa prevalentemente di temi
culturali.
Ana Blandiana (pseudonimo di Otilia Valeria Coman, nata a Timisoara nel
1942), poetessa e saggista rumena, attivamente impegnata per i diritti umani
e perseguitata sotto il regime di Ceasescu. Opere di Ana Blandiana: Un tempo
gli alberi avevano occhi, Donzelli, Roma 2004]

Ha un sorriso solare Ana Blandiana, lontano dal paesaggio un po' desolato
della sua terra, la Romania che, nei suoi versi, spesso fa capolino
attraverso il patrimonio folclorico. Del resto, il suo stesso nome d'arte,
Ana, evoca la figura della sposa di Mastro Manole, protagonista di una
ballata popolare romena. Blandiana, invece, e' il villaggio dal quale
provengono i genitori della poetessa. Classe 1942, Ana e' nota soprattutto
per il suo impegno politico contro il regime di Ceausescu. Ma l'antologia
che ora arriva in Italia e' semplicemente una raccolta di poesie, a volte
venate di malinconia, essenziali e povere. Un tempo gli alberi avevano
occhi, questo il titolo del volume, raccoglie versi tradotti da Biancamaria
Frabotta e Bruno Mazzoni (Donzelli, pp. 189, con un saggio dell'autrice, La
poesia, tra silenzio e peccato) e ripercorre un iter artistico dagli esordi
negli anni Sessanta a oggi.
*
- Francesca De Sanctis: Nel saggio incluso nella sua antologia italiana lei
scrive che "lo scopo della poesia e' quello di ripristinare il silenzio, la
capacita' di tacere"...
- Ana Blandiana: E' un'equazione semplice: per i moderni la poesia e'
qualcosa che non si puo' spiegare, e' una suggestione. Il poeta cerca di
suggerire delle cose: se si dice poco per comprendere di piu', allora e'
meglio dire ancora meno. Il passo successivo e' non dire nulla. Puo'
sembrare assurdo, ma tutta l'arte moderna e' una via verso l'assurdo. Il
problema e' trovare esattamente il punto di equilibrio tra niente e tutto.
*
- Francesca De Sanctis: Perche' ha deciso di non inserire i testi
"dissidenti" in questa raccolta?
- Ana Blandiana: Credo che non sia giusto mescolare troppo le cose. Nella
mia vita la poesia e l'attivita' politica sono sempre state separate. Come
scrittrice io volevo dire tutto quello che c'era da dire e questo
significava godere di una liberta' che non c'era. Le repressioni che ho
subito mi hanno trasformato agli occhi degli altri in una persona che non
rinuncia a dire la verita', ma la mia verita' era semplicemente poesia. E'
vero che ho parlato di una certa realta', ma non credo che mettere l'accento
solo su quel periodo della mia vita sia corretto. Io non voglio "sporcare"
la poesia. Quei versi avrebbero bisogno di un commentario per spiegare delle
parole che, oggi, nemmeno i giovani romeni comprenderebbero. Nel 1984 il
quotidiano inglese "The Independent" pubblico' una pagina in cui spiegava il
significato delle valenze connotative di Totul, uno dei quattro poemi per i
quali mi venne vietato di firmare e di pubblicare. Ma allora era
interessante per il lettore inglese la situazione della Romania. Oggi
sarebbe assurdo fare una cosa del genere, perche' Ceausescu e' morto da
quindici anni.
*
- Francesca De Sanctis: Era consapevole, quando scriveva, che avrebbe
scatenato tante polemiche?
- Ana Blandiana: Non ho mai pensato di scrivere per impressionare una
categoria sociale o scatenare chissa' cosa. Quando feci leggere a una
poetessa i miei quattro poemi tanto discussi lei mi disse che non erano
pubblicabili. Eppure le avevo consegnato solo i piu' innocenti.
*
- Francesca De Sanctis: Anche la storia del gatto Arpagic, la favola per
bambini che lei ha scritto nel 1988, era innocente. Eppure la censura la
lesse come una parodia delle imprese di Ceausescu.
- Ana Blandiana: Dopo "Amfiteatru" (la rivista che nell'80 pubblico' i
quattro poemi, ndr), quando ho ricominciato a pubblicare, la censura fu
molto piu' dura con me. Ogni parola era sotto la lente d'ingrandimento.
Cosi' ho pensato di pubblicare favole per bambini. In realta' ho iniziato a
scriverle in un altro momento della mia vita: nel 1977 c'e' stato un grosso
terremoto in Romania, il palazzo in cui vivevo e' crollato. Sono morte 300
persone, solo quattro superstiti, tra cui io, che non ero in casa, e mio
marito, che dal settimo piano e' caduto fino al quarto ed e' rimasto sotto
le macerie per dieci ore. Quando la nostra vita e' ricominciata da zero, io
non ero piu' capace di scrivere, era come se avessi una malattia. Ho ripreso
a scrivere come se fossi una bambina, poi un editore mi ha chiesto: perche'
non scrivi per i bambini? E cosi' ho iniziato a pubblicare anche favole.
Arpagic e' poi diventato molto celebre, ha ispirato anche cartoni animati.
Dieci anni dopo il terremoto non avevo alcuna intenzione di provocare
scandali, ma Arpagic divenne Ceausescu... Io, pero', non ho mai pensato una
cosa del genere. Per me era un gioco. Eppure ho di nuovo perduto il diritto
di pubblicare. Tutti i miei libri sono spariti dalle biblioteche e una
macchina parcheggiata sotto casa ha controllato la mia vita 24 ore su 24,
dall'agosto 1988 al dicembre 1989, quando e' caduto il regime.
*
- Francesca De Sanctis: Pero' non ha mai abbandonato la scrittura.
- Ana Blandiana: Al contrario, quello e' stato il mio miglior periodo,
perche' avevo tutto il tempo per scrivere: non avevo una vita sociale,
nessuno veniva a trovarmi. In quel periodo ho scritto anche un romanzo, Il
cassetto con gli applausi (1992). quel libro mi ha fatto sopportare meglio
tutta la situazione, impedendomi di impazzire.
*
- Francesca De Sanctis: Poi ha ripreso a comporre anche poesie, spesso piene
di riferimenti ai miti.
- Ana Blandiana: Credo che esista una categoria di poeti per i quali la
poesia e' qualcosa di vicino alla religione. Entrambe parlano di cio' che
non e' dicibile, l'ineffabile. Questo crea un'attesa per qualcosa che non si
puo' dire.
*
- Francesca De Sanctis: Quali sono i poeti italiani che ama di piu'?
- Ana Blandiana: Tra i viventi Andrea Zanzotto e Mario Luzi. Tra i moderni
Eugenio Montale.

4. MEMORIA. ERMANNO PACCAGNINI RICORDA LUCE D'ERAMO (2001)
[Dal "Corriere della sera" del 7 marzo 2001, col titolo "Scompare Luce
D'Eramo, scrittrice contro" e il sommario "Le rivelazioni sul suo passato,
che racconto' nel romanzo Deviazione, ne fecero un 'caso' alla fine degli
anni Settanta".
Ermanno Paccagnini e' docente di Letteratura italiana contemporanea
all'Universita' cattolica di Milano; si e' occupato in particolare di
Scapigliatura milanese, di fonti manzoniane (i processi alla monaca di Monza
e agli untori), di rapporti letteratura-giornalismo, curando altresi'
riedizione di testi seicenteschi e otto-novecenteschi; si segnala in
particolare il commento alle due redazioni della Storia della colonna infame
di Manzoni nei Meridiani Mondadori; per un quindicennio critico letterario
del supplemento domenicale del "Sole-24 ore", poi collaboratore del
"Corriere della sera". Tra le opere di Ermanno Paccagnini: (con Edmondo
Berselli), Mille libri per il Duemila, Il Sole 24 Ore Libri, 1999; (con
Giuseppe Farinelli e Antonia Mazza), La letteratura italiana dell'Ottocento,
Carocci, 2002.
Luce D'Eramo, scrittrice e testimone straordinaria, nata nel 1925, e'
scomparsa nel 2001. Evasa dal lager nazista, gravemente ferita sotto un
bombardamento, coscienza vigile e inquieta, di tenacissimo impegno civile,
ha collaborato a "Nuovi argomenti", "Tempo presente", "La fiera letteraria"
e al quotidiano "Il manifesto". Opere di Luce D'Eramo: fondamentale e'
Deviazione, Mondadori, Milano 1979, poi Rizzoli, Milano 1990; tra le altre
sue opere: Raskolnikov e il marxismo - Note a un libro di Moravia (1959);
L'opera di Ignazio Silone (1971); Cruciverba politico (1974); Nucleo zero
(1981); Partiranno (1986)]

E' morta ieri mattina al Policlinico di Roma Luce D'Eramo. Aveva 76 anni.
Due settimane fa era stata ricoverata per una peritonite, poi sono
sopraggiunte complicazioni cardiocircolatorie. Lascia il figlio Marco.
Ci sono incontri mancati con cui, prima o poi, ti ritrovi a fare i conti.
Come con Luce D'Eramo. Un incontro mancato piu' a livello recensorio che di
letture: presenti queste ultime anche per la curiosita' destata da una
narratrice anomala (Io sono un'aliena si potrebbe dire col titolo d'un suo
volume edito da Edizioni Lavoro nel 1999), che si e' misurata con varie
esperienze: autobiografiche ("la sconvolgente odissea di una giovane
borghese nel tragico universo hitleriano" recita il sottotitolo di
Deviazione, Mondadori, 1979), il terrorismo (Nucleo Zero, Mondadori, 1991),
la Resistenza (Una strana fortuna, Mondadori, 1997: romanzo iniziato
quarant'anni prima, nel 1959, su tre generazioni di donne di parti politiche
opposte), il neonazismo (Si prega di non disturbare, Rizzoli, 1996), la
science-fiction (Partiranno, Mondadori, 1986): calibrando di volta in volta
la struttura del romanzo sulle diverse istanze che lo dettavano. Sul piano
personale, cio' che di lei resta soprattutto difficile da dimenticare e' il
primo lontano incontro con un suo testo, oltre che sempre fondamentale,
riattualizzato anche dalle recenti polemiche sul caso Silone.
Parliamo de L'opera di Ignazio Silone (Mondadori, 1971), autore su cui e'
spesso tornata con diversi saggi (del 1998 e' poi anche la vittoria del
Premio Silone con Una strana fortuna): un "saggio critico con guida
bibliografica", per dirla con le parole di lei; e pero', per molti aspetti,
il suo primo vero libro di narrativa, in linea con quanto avrebbe poi
caratterizzato le pagine dei suoi romanzi: di scavo, dentro i problemi;
attente a cogliere le ragioni prime degli atti degli uomini e le domande
ultime dell'esistenza ("Forse un giorno sapremo tutto sul come
dell'universo, ma non potremo mai svelarne il perche'. Io chiamo Dio
quest'inconoscibile perche'" fa dire a Silvana dell'Ultima Luna, romanzo
sulla vecchiaia del 1993, Mondadori: Premi Napoli e Fregene). In tal senso
L'opera di Ignazio Silone si puo' leggere quale punto di snodo d'una storia
di scrittrice che aveva sin li' seguito sempre percorsi saggistici
(Raskolnikov e il marxismo. Note a un libro di Moravia, Esse, Milano 1960;
ma si possono ricordare anche altre esperienze, come Idilli in coro,
Gastaldi, 1951, e Finche' la testa vive, Rizzoli, 1964), e che, dopo "una
sua versione del caso Feltrinelli, ricostruita attraverso una demistificata
analisi delle notizie riportate da ottantasei quotidiani italiani,
intitolata Cruciverba politico (come funziona in Italia la strategia della
diversione) (Guaraldi, 1974), approda al romanzo. Con Deviazione. A 54 anni.
Un romanzo nel quale fa conti scarnificanti con se stessa: col proprio
silenzio sulla sua storia personale e su alcune scelte giovanili. E con
l'immagine di se' che e' venuta sovrapponendo a quella passata realta'.
Una storia non facile, quella di Luce Mangione D'Eramo. Storia d'una donna
nata a Reims (17 giugno 1925) da genitori italiani e che a Parigi vive la
propria infanzia sino al 1939, quando la famiglia si trasferisce in Italia.
Da cui riparte nel febbraio 1944 come volontaria (il padre era
sottosegretario a Salo'), per lavorare come operaia in una fabbrica nazista
a Frankfurt-Hoechst (questo il punto di partenza di Deviazione). Da qui
viene internata a Dachau, salvo uscirne, fuggendo a piedi da Monaco di
Baviera a Magonza ove, "nel febbraio del '45, nel portare soccorso a persone
sepolte sotto un bombardamento, e' rimasta gravemente ferita". Restando
pero' paralizzata per sempre e, al rientro in Italia, chiedendo l'iscrizione
al Pci (peraltro rifiutata), ma continuando a sviluppare una ricerca, come
diceva lei stessa, da "marxista-cristiana".
Una geografia, quella franco-tedesca, rimastale nel cuore, se e' vero che
dopo il ritorno a Roma, il matrimonio (1946), la maternita' (Marco, 1947),
le lauree in Lettere (1951) e Storia e filosofia (1954), non ha mai
tralasciato di compiere lunghi soggiorni a Parigi e Berlino e, nell'ultimo
decennio, anche in Polonia. Ma anche anni importanti sul versante creativo:
perche' se solo nel 1979 scoppia ufficialmente il "caso D'Eramo", e' pero'
negli anni 1943-1956 (tra i 18-31 anni) che Luce D'Eramo fa segretamente le
sue prime prove. Giudicate "veramente buone", allora, da Giangiacomo
Feltrinelli e Moravia, ma rifiutate dall'editoria: e solo nel 1999 riunite
nel volume Racconti quasi di guerra (vi e' recuperato anche Il convoglio dei
lituani, edito da Esse nel 1958). Racconti ricchi di forza narrativa e
tenuta di scrittura, ma soprattutto di quella capacita' di attraversare
insieme con dolore e gioia la tragedia del vivere bilicata tra pericolo di
morte e quotidiano rinvenimento della gioia di vivere, che e' la cifra della
scrittrice. Un raccolta ospitata negli Scrittori Italiani e Stranieri di
Mondadori. Dove in aprile sara' offerto, postumo, il suo ultimo romanzo,
Un'estate difficile. Una storia ambientata negli anni '50 che indaga
l'ambito privato di una coppia in continuo scontro. L'ennesimo scandaglio
narrativo teso a capire il presente.

5. PROFILI. MAURO BAUDINO: WISLAWA SZYMBORSKA (2005)
[Dal quotidiano "La Stampa" del 4 maggio 2005, col titolo "Szymborska, il
poeta e' un clandestino che vive di 'non so'" e il sommario "A leggere i
suoi versi in una sala straripante e' stato Mauro Avogadro. Lei con ironica
dolcezza si e' rifiutata di parlare del suo lavoro".
Mauro Baudino (Chiusa di Pesio, 1952) e' scrittore e giornalista. Ha
pubblicato vari volumi di poesia, narrativa, saggistica.
Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata
a Bnin, in Polonia, nel 1923; ha studiato lettere e sociologia a Cracovia,
dove risiede; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria",
nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e
"Kultura"; oltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri
importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di
Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991
il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem
dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book
of the Month Club Translation Prize". Tra le opere di Wislawa Szymborska in
edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente
sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano
1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina
Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998;
Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore,
Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi,
Milano 2004]

Nel discorso di accettazione per il premio Nobel, Wislawa Szymborska spiego'
che cosa intendeva lei per "poeta"; un essere semiclandestino,
inafferrabile, e proprio per questo, forse, insostituibile. Il poeta
odierno, diceva, "e' scettico e diffidente... nei confronti di se stesso.
Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta, quasi se ne vergognasse
un po'": perche' non ci sono "professori di poesia", perche' "il loro lavoro
non e' per nulla fotogenico", ma soprattutto perche' i poeti posseggono due
parolette: "non so". Certo, anche lo scienziato e in genere chiunque, a
questo mondo, deve ripetersi "non so" per non essere condannato a un sapere
"morto", quello di coloro che credono di aver capito tutto. Ma il poeta piu'
di altri.
Il suo "non so" consiste nel cercare di dare risposte e subito dopo essere
morsi dal dubbio, ragion per cui ricomincia all'infinito, "finche' gli
storici della letteratura non legheranno insieme le prove della sua
insoddisfazione e lo chiameranno patrimonio artistico". E' ironica, la
Szymborska, ma di un'ironia che ricorda gli antichi stoici. La sua saggezza
sta nel non sapere, e anche nel non apparire, nel limitarsi a scrivere. Ieri
al Teatro Carignano ha confermato l'inossidabile carattere, leggendo con una
delicatezza niente affatto timida le poesie in polacco, che poi sono state
rese teatralmente in italiano da Mauro Avogadro.
Minuta, i capelli candidi, il volto aguzzo e sorridente, ha scelto di
iniziare con un testo che la rappresenta assai bene; si intitola "Nulla due
volte" e contiene una serie di affermazioni antitetiche al pur amatissimo
Ecclesiaste: "Non c'e' giorno che ritorni/ ne' due notti uguali uguali", per
concludere con quattro versi che paiono una irriverente canzoncina: "Perche'
tu, malvagia ora/ dai paura ed incertezza?/ Ci sei, devi passare/ passerai,
e qui sta la bellezza".
Pietro Marchesani, il suo traduttore, ha parlato di poesia
"post-ideologica", di semplicita' complessa, di stupore che parte dalla
convinzione secondo cui il mondo non e' affatto ovvio, della capacita' di
vedere i "miracoli", soprattutto quelli "alla buona", in base ai quali, per
esempio, "le mucche sono mucche" e la frutta matura nel frutteto.
Sottolineando che questa e' una poesia non scritta per i letterati, benche'
nutrita di una grande sapienza letteraria.
Il regista turco Ferzan Ozpetek, che e' un grande ammiratore della
Szymborska, ha raccontato come il primo incontro con i suoi versi corrispose
anche, magicamente, all'anteprima del suo film d'esordio, Il bagno turco. E
il suo primo incontro con la poetessa in carne ed ossa e' stato invece
proprio quello di ieri, perche' quando lei venne a Roma per l'unica altra
lettura pubblica mai tenuta in Italia, lui era chiuso in studio a girare uno
spot pubblicitario. Che da allora odia.
A questo punto, non c'era altro da dire, se non passare alla poesia. Ma la
scrittrice ha voluto prendere brevemente la parola per ringraziare tutti,
con un discorso non privo di una dolce ironia, guardandosi bene dal parlare
del suo lavoro, dicendo solo: "Sono molto fortunata. Perche' ho un bravo
traduttore, perche' sono qui con voi, e perche' questo antico teatro e'
pieno di ricordi, di memorie di attori e di pubblico". Fortunata, e anche,
nella sua apparente fragilita', d'acciaio.
La vita della poetessa e' stata forgiata da una biografia lunga 82 anni,
tutti in Polonia, dalle iniziali speranze per il comunismo alle precoci
disillusioni, vivendo di nulla, di rubriche su un giornale che l'aveva
licenziata quando lei straccio' la tessera del partito, standosene il piu'
possibile appartata e riuscendo tuttavia a pubblicare le sue raccolte di
versi.
Appartiene alla generazione dell'esilio interno, come il praghese Holan o
l'ungherese Kertesz; quando ha ricevuto il Nobel, nel '96, ha distribuito in
aiuti e beneficenza il premio in denaro e da Cracovia si e' trasferita a
Zakopane, per difendersi dalla notorieta'. In quel momento era gia' tradotta
nelle principali lingue, anche in Italia da Scheiwiller, ma non era affatto
nota. Ora dopo la pubblicazione della raccolta Vista con granello di sabbia
per Adelphi e di 25 componimenti in un "Mito poesia" di Mondadori - la
collana a bassissimo prezzo e grande diffusione - e' un autore molto amato
anche da noi.
La sua poesia, in apparenza semplicissima, e' in realta' insidiosa, niente
affatto tranquillizzante. Antiplatonica, non crede in un mondo immutabile
delle idee, anzi ad ogni verso ne svela l'inganno. La nostra esistenza,
scrive, "e' benvenuto e addio in un solo sguardo": ci salva la meraviglia
davanti alla realta', il poter dire "tutto e' mio, niente mi appartiene".
Nel passaggio stretto della vita c'e' una possibilita': la bellezza che va
oltre il male, oltre la fine - ingiusta - della vita stessa. Si e' parlato
per lei di una sorta di "addomesticamento della morte". Una delle sue
metafore preferite e' quella delle nuvole, eternamente mutevoli e
imprevedibili. E per il resto "Non c'e' vita/ che possa essere immortale/ se
non per un momento". Parla del presente, tutto il resto e' ipotesi,
ricostruita dal passato o proiettata sul futuro. E lo fa con una dolcezza
ironica.
Sempre nel discorso del Nobel, aveva evocato l'intero universo, con le sue
distanze abissali, le stelle infinitamente lontane, i pianeti "gia' morti o
ancora morti", per ricordare che "il nostro stupore esiste per se stesso e
non deriva da alcun paragone con alcunche', e poi perche' il mondo,
qualunque cosa ne pensiamo, spaventati dalla sua immensita' e dalla nostra
impotenza, amareggiati dalla sua indifferenza rispetto alle sofferenze
individuali... qualunque cosa noi pensiamo di questo smisurato teatro, il
mondo e' stupefacente".

6. TESTIMONIANZE. SERGIO BUONADONNA INTERVISTA SPOJMAI ZARIAB (2001)
[Dal quotidiano "Il secolo XIX" del 17 novembre 2001, col titolo "Pronte a
far volare i burqa come aquiloni sul cielo di Kabul".
Sergio Buonadonna, giornalista culturale e saggista, vive a Genova, ha
curato varie pubblicazioni, tra cui: Finestra sul Mediterraneo, trenta
racconti da Consolo a Ben Jelloun (Il melangolo); Liguria svelata, viaggio
d'autori sul territorio "nascosto"; I fiori raccontano, il viaggio di un
folletto nel giardino Liguria.
Spojmai Zariab, scrittrice afgana, nata a Kabul nel 1949, esule in Francia
dal 1990. Tra le opere di Spojmai Zariab: Ces murs qui nous ecoutent,
L'Inventaire, 2000; La plaine de Cain, L'Aube, 2001; Dessine-moi un coq,
l'Aube, 2003]

"Si', voglio tornare in Afghanistan. Credo sia dovere di chi e' in esilio
tornare e partecipare alla ricostruzione. Non sara' facile perche' ho le
figlie che vanno a scuola, ma se potessi partire da sola, lo farei subito
prima che tutto sia ristabilito".
L'esilio Spojmai Zariab lo conosce da dieci anni. I Talebani imposero a lei,
scrittrice e voce tra le piu' alte e liriche della cultura pashtun in lingua
persiana, di non insegnare piu', di non scrivere, di non svolgere il suo
lavoro di traduttrice dal francese. Ed e' stata proprio la Francia ad
accogliere lei e le sue tre figlie in fuga, a Montpellier, dove solo cinque
anni dopo il marito e padre ha potuto raggiungerle.
Nel frattempo Zariab ha continuato a scrivere, pubblicare e farsi apprezzare
in Europa - e da poco anche in Italia - ma non si e' limitata solo a questo.
E' stata ed e' presso le istituzioni umanitarie internazionali ambasciatrice
del desiderio di pace e di liberta' del suo popolo.
L'abbiamo raggiunta per telefono a Montpellier. Lei incollata alla
televisione per seguire e vivere da lontano i primi, timidi profumi di
liberta'. E' emozionata, travolta dal flusso dei sentimenti e dei ricordi.
*
- Sergio Buonadonna: Che idee s'e' fatta dell'improvviso sviluppo della
guerra, dopo l'ingresso dell'Alleanza del Nord a Kabul?
- Spojmai Zariab: Quel che e' accaduto e' stato talmente inaspettato che e'
troppo presto per fare valutazioni precise. Ci saranno sicuramente
cambiamenti rispetto al passato ma non mi aspetto che nell'immediato siano
molto evidenti. Occorrera' il tempo necessario per permettere a tutti di
vedere chiaro. Oggi e' impensabile che l'Afghanistan volti completamente
pagina.
*
- Sergio Buonadonna: Cosa pensa dell'Alleanza del Nord, crede che il suo
popolo possa fidarsi di loro?
- Spojmai Zariab: Si tratta di una popolazione rurale con una tradizione
guerriera. Sono certamente ottimi soldati ma per dirigere un paese, per
creare un governo, occorre una rappresentanza di tutto il popolo, non solo
dei militari. Ma credo che siano coscienti del fatto di non poter agire da
soli. Del nuovo governo dovranno fare parte tutte le tribu afghane
altrimenti, in un modo o nell'altro, il dramma del mio paese continuera'.
*
- Sergio Buonadonna: Ha fiducia negli Stati Uniti e nei loro alleati?
- Spojmai Zariab: Questo lo decidera' il tempo. Non voglio credere che
abbiano un obiettivo diverso da quello di riunirci. Si impegneranno
sicuramente per la ricostruzione, e' loro dovere. Hanno trovato un paese
distrutto, ma hanno anche contribuito a distruggerlo ulteriormente.
*
- Sergio Buonadonna: Non le sembra un giudizio pesante?
- Spojmai Zariab: Io spero che gli Stati Uniti lascino finalmente da parte i
loro interessi. E' giusto combattere il terrorismo, ma i bombardamenti
subiti, che hanno spazzato vite innocenti, non erano anche questi
un'espressione di terrorismo? Il popolo afghano non protegge i terroristi,
ne e' stato l'ostaggio. Come si puo' immaginare domani che qualcuno viva una
vita normale dopo lo strazio e l'inquinamento prodotto da tonnellate di
bombe? Quanto e' accaduto dovrebbe almeno servire agli americani a non
ripetere gli stessi errori.
*
- Sergio Buonadonna: Quali?
- Spojmai Zariab: Sono loro ad avere spinto i Talebani al potere. Sono loro
ad avere aiutato Bin Laden nella speranza di poter controllare questa
regione, usata al tempo dell'Urss come l'ultima propaggine della guerra
fredda.
*
- Sergio Buonadonna: L'ex re Zaher Shah si prepara a rientrare. Condivide
l'opinione di chi lo accusa di non essersi fatto sentire quando il paese era
sottomesso ai sovietici e ai Talebani?
- Spojmai Zariab: Penso che la maggioranza degli afghani sia per l'arrivo
del re. Sanno che non tornerebbe per regnare ma per favorire un'intesa tra
le diverse etnie. La sua e' la sola voce che tutti potrebbero accettare.
Zaher Shah si e' sempre dichiarato pronto a servire il suo paese ma non e'
mai stato ascoltato. Per esempio quando ha cercato di trasferirsi in
Pakistan gli e' stato rifiutato il visto. Il suo ritorno andava sostenuto ma
neanche gli Stati Uniti lo hanno mai appoggiato veramente.
*
- Sergio Buonadonna: A cose fatte, qualcuno ha detto che questa guerra
puntava anche alla liberazione delle donne afghane che hanno pagato un
prezzo altissimo di umiliazione al potere dei Talebani. Una riparazione
tardiva?
- Spojmai Zariab: Alle donne sono state tolte tutte le possibilita':
dall'insegnamento alla scuola fino alla mortificazione del burqua.
*
- Sergio Buonadonna: Che ora timidamente va sparendo.
- Spojmai Zariab: Si', e' un segno di speranza. Ma non sparira' cosi'
velocemente come si crede in Occidente. Sono sei anni che le donne lo
subiscono e la normalita' e' ancora lontana. A distanza, sento che le donne
afghane, almeno quelle meno giovani, vivono l'improvvisa liberta' quasi con
imbarazzo, ma quel che e' certo e' che sono spiritualmente pronte a far
volare il burqa, come gli aquiloni che si sono librati in cielo nella Kabul
liberata.
*
- Sergio Buonadonna: Quali sono oggi le maggiori urgenze?
- Spojmai Zariab: Dare fiducia a uomini e donne che hanno subito da ventidue
anni i deliri di varie potenze. E non ne possono piu'. I nostri bambini non
hanno conosciuto che guerre. L'urgenza e' dunque il grande lavoro che ci
attende tutti per darci il diritto alla vita e liberarci dagli incubi: la
violenza, la fame, la polvere dei cannoni, la miseria morale dei Talebani.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 445 del 4 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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