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Minime. 370
- Subject: Minime. 370
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 19 Feb 2008 01:24:24 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 370 del 19 febbraio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: La peste a Tebe 2. Tutte le informazioni per l'assemblea di Bologna del 2 marzo 3. Tutte le informazioni per l'assemblea di Mestre del 21 febbraio 4. Maria G. Di Rienzo: Suggerimenti di metodo per le riunioni 5. Stefano Ciccone: Un gesto per incidere su un processo piu' largo 6. Una glossa al testo che precede 7. Rosangela Pesenti: Le donne con le donne possono 8. Una glossa al testo che precede 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: LA PESTE A TEBE Where have all the flowers gone, long time passing? Where have all the flowers gone, long time ago? Provo a dire ancora una volta nella forma piu' semplice e breve quello che veramente penso. Penso che l'invasione e l'occupazione dell'Afghanistan da parte della coalizione militare guidata dagli Usa e di cui l'Italia fa parte ha prolungato di un altro decennio la guerra e le stragi e gli orrori in Afghanistan. Penso che proprio la scelta della guerra e dell'occupazione militare straniera abbia impedito e tuttora impedisca la ricerca di una via politica e civile per la cessazione delle stragi e delle altre violazioni dei diritti umani. Penso che i governi italiani che hanno deciso la partecipazione alla guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista in Afghanistan, siano corresponsabili di tutte le stragi che avvengono in quel paese dall'inizio dell'invasione e dell'occupazione (questa ennesima invasione e occupazione in un paese in cui almeno due generazioni non hanno mai conosciuto la pace), siano corresponsabili dei crimini, dell'orrore, della miseria e dell'odio che la loro presenza armata esegue, crea e suscita. E quindi penso che quei ministri, quei parlamentari e quei partiti politici italiani che in questo primo decennio del XXI secolo hanno deciso la guerra e votato per la guerra, in violazione del diritto internazione e della stessa legalita' costituzionale del nostro paese, siano colpevoli di crimini di guerra e crimini contro l'umanita': siano degli stragisti, siano dei terroristi, siano dei razzisti sterminatori postisi alla scuola di Hitler. * Ed aggiungo che la guerra e' ancora in corso, e' ancora in corso la carneficina, ed essendo in corso chi vota per i partiti e i politici stragisti si fa complice consapevole e reo confesso della prosecuzione della guerra, della carneficina, dell'orrore. Ed aggiungo che almeno io non votai nel 2006 per la coalizione allora antiberlusconiana perche' continuasse la guerra, ma perche' ponesse termine alla partecipazione italiana ad essa e si impegnasse per una soluzione politica del conflitto. E come me pensavano e volevano tante altre persone fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana, fedeli all'unica umanita'. Prendo atto che il governo cosiddetto di centrosinistra che vinse le elezioni anche con il mio voto ha tradito nel modo piu' scellerato la volonta' di pace di tante elettrici e tanti elettori, ha tradito e violato la stessa Costituzione della Repubbica Italiana cui pure aveva giurato fedelta'. * Dichiaro che votare oggi per i partiti che hanno voluto e deliberato e finanziato e fatto continuare la guerra, la guerra terrorista e stragista che tuttora prosegue, e' come votare per il nazismo trionfante. Dichiaro che almeno io non voto per i partiti e le liste dei partiti che, fuorilegge e assassini, hanno votato per la guerra, il terrorismo della guerra, le stragi di cui essa consiste. Io non sono un assassino. E quindi io non voto per gli assassini. Io non sono uno stragista. E quindi non voto per gli stragisti. Questo e' cio' che penso. Senza perifrasi. E provando una pena infinita per le tante persone in Afghanistan morte in questi anni, morte anche perche' noi non abbiamo saputo imporre almeno al nostro paese di cessare di partecipare alla guerra e di impegnarsi per la pace, per salvare le vite anziche' sopprimerle. Provo una pena, un dolore, una vergogna, che sento inestinguibili. Che mi fanno ruggire e piangere ogni notte e ogni giorno. 2. AGENDA. TUTTE LE INFORMAZIONI PER L'ASSEMBLEA DI BOLOGNA DEL 2 MARZO [Da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo e Mao Valpiana riceviamo e diffondiamo] L'assemblea promossa dall'appello di Michele Boato, Maria G. Di Rienzo, Mao Valpiana, "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" per verificare la possibilita' di liste femministe, ecologiste e della nonviolenza alle elezioni di aprile, si svolgera' domenica 2 marzo a Bologna, dalle ore 10 alle 17 circa, nella sala sindacale dei ferrovieri (appena usciti dalla porta principale della Stazione, lato piazzale, a sinistra si vede il parcheggio delle biciclette, dove c'e' un'entrata con una sbarra per andare alla mensa e alla sede dei carabinieri: poco avanti, sulla destra, c'e' la sala con la scritta Cub). Tutti gli interventi avranno un limite di tempo che stabiliremo assieme all'inizio (proposta: non oltre i 10 minuti); da un certo momento in poi (se lo stabiliremo assieme) spazio privilegiato alle proposte, su cui prendere eventuali decisioni. Se ci sono gia' proposte abbastanza precise, attinenti al tema (programmi, metodi di lavoro, eccetera) sarebbe meglio portarle scritte, in una cinquantina di copie, per distribuirle dall'inizio. * Per informazioni, adesioni, contatti: micheleboato at tin.it Per contattare individualmente i promotori: Michele Boato: micheleboato at tin.it, Maria G. Di Rienzo: sheela59 at libero.it, Mao Valpiana: mao at nonviolenti.org Chi volesse inviare contributi scritti anche a questo notiziario, indirizzi a: nbawac at tin.it 3. AGENDA. TUTTE LE INFORMAZIONI PER L'ASSEMBLEA DI MESTRE DEL 21 FEBBRAIO [Da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo e Mao Valpiana riceviamo e diffondiamo] Giovedi' 21 febbraio dalle ore 18 in punto alle ore 20 a Mestre, presso il nuovo Centro culturale "Cittaperta" (in via Col Moschin 20, angolo via Felisati, a 300 metri dalla stazione Fs, lungo via Piave), si svolgera' un incontro, aperto a tutte le persone delle regioni del nord-est interessate, sull'appello promosso da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo, Mao Valpiana su "Crisi politica, cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?". * Per informazioni, adesioni, contatti: micheleboato at tin.it Per contattare individualmente i promotori: Michele Boato: micheleboato at tin.it, Maria G. Di Rienzo: sheela59 at libero.it, Mao Valpiana: mao at nonviolenti.org 4. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: SUGGERIMENTI DI METODO PER LE RIUNIONI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza? Discutiamone il 2 marzo a Bologna". Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] Spesso la caduta di un governo viene considerata un evento disastroso dalle conseguenze terribili. E' possibile, persino, che questo sia il nostro caso. Ma se guardiamo l'evento da prospettive differenti vedremo che si tratta anche dell'opportunita' di fermarsi a riflettere, di analizzare i problemi, le relazioni e i modi di comunicare. Imparare dalle difficolta' incontrate in passato e' un buon modo per evitare qualche errore in futuro. E' umano esprimere sentimenti di disperazione in situazioni distruttive o deprimenti. Ma bisogna riconoscere che la disperazione sovente frena l'azione, la possibilita' di trasformare le situazioni. Scegliere la speranza, e cioe' di lavorare anche attraverso la propria angoscia, generalmente porta a soluzioni costruttive. Poiche' se avete deciso di tenere un incontro vorrete anche che esso riesca bene, mi permetto di darvi qualche piccolo suggerimento sull'andamento delle cose. Come al solito, prendete quel che vi serve, adattate il resto alle vostre esigenze, o ignoratelo. * Dopo aver accolto le persone, riassumete ragioni e scopi dell'incontro, e stabilite accordi di gruppo: ribadite che tutti e tutte possono intervenire, ma che l'intervento non deve durare piu' di cinque minuti per dare a chiunque la possibilita' di esprimersi (se c'e' tempo di interventi poi se ne possono fare due, o tre). Non crediate che cinque minuti siano pochi. Io ho imparato non solo a sintetizzare quel che ho da dire, grazie a questa buona pratica, evitando di far addormentare l'uditorio ripetendomi ad libitum, ma a sfrondare idee e proposte sino a riuscire a presentarle nella loro essenzialita'. Dopo di che, tracciate le prospettive emerse, le linee comuni, e vedete se ne esce una possibilita' d'azione. In caso positivo (e solitamente lo e', c'e' sempre qualcosa che si puo' fare) chiedete alle altre persone se questa possibilita' sembra loro praticabile, se potrebbero impegnarsi per realizzarla, o se vorrebbero modificarla. Pensate a quel che dite: la vostra posizione, ad esempio, e' un punto di vista generalmente specifico nel suo scopo, alla cui base stanno i vostri interessi. Mentre questi ultimi tendono ad identificarsi con bisogni fondamentali, la posizione espressa in nome di essi e' spesso semplicemente una dichiarazione su come raggiungerli, e puo' trasformarsi facilmente. Non perdete la faccia se per arrivare al punto A usate un tram invece di una bicicletta: l'importante e' dove volete arrivare. Aggredite i problemi, con tutta la forza che decidete di metterci, ma rispettate le persone. Se c'e' un problema e' quello che va risolto; le persone attorno a voi, anche quando la pensano in maniera diametralmente opposta non sono il problema, sono coloro con cui potete risolverlo. Fate lo sforzo di ascoltare in modo attento e attivo. Lasciate che chi sta parlando termini il suo intervento, rifletteteci un momento e in caso rispondete. Se non vi e' chiaro qualcosa, non abbiate timore di chiedere spiegazioni. Essere ascoltati significa essere presi sul serio, e' quel piccolo incantesimo umano che trasforma il sentirsi isolati nel sentirsi accettati e partecipi; inoltre, molte persone non presteranno davvero attenzione al vostro punto di vista se non sono convinte che voi avete ascoltato il loro. Fate lo sforzo di parlare in modo attento e attivo: rivolgendovi al piu' profondo livello di umanita' delle persone a cui parlate, alla loro dignita', integrita' e compassione, che risuonano in sintonia con la vostra dignita', la vostra integrita', la vostra compassione. In questo modo, parlando e ascoltando un po' diversamente dal solito, potremo andar oltre le nostre paure. Spesso la realta' della situazione e' meno importante, ai nostri occhi, della percezione che ne abbiamo. A volte percepiamo una minaccia laddove non ve n'e' alcuna, ma questo e' sufficiente a scatenare le nostre reazioni. Prima di dire "e' cosi'" e correre al conflitto, prendetevi un minuto per valutare se alcune percezioni hanno creato fraintendimenti e inquinato la comunicazione: se vi accorgete di questo, ditelo. Cogliete l'occasione per espandere la vostra identita'. Qualche anno fa c'era poco piu' della sottoscritta a sostenere che le identita' umane sono "puzzle" e non blocchi di granito, oggi ve lo stanno dicendo fior di filosofi e sociologi, ecc. Alleluja. Spesso noi entriamo in un dialogo presumendo di dover difendere un'identita' che deriviamo dall'appartenenza a qualche gruppo, il che purtroppo conduce assai velocemente ad impostare la discussione nel modulo di scontro "noi/loro". Provate ad entrare nel dialogo pensando ad una nuova categoria, un "noi variegato". Noi che siamo qui oggi, noi che abbiamo scelto di incontrarci, noi che siamo di opinioni diverse ma ugualmente impegnati, preoccupati, accorati: noi cosa possiamo fare insieme? 5. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: UN GESTO PER INCIDERE SU UN PROCESSO PIU' LARGO [Ringraziamo Stefano Ciccone (per contatti: ciccone at uniroma2.it) per questo intervento. Stefano Ciccone, intellettuale e militante della sinistra piu' limpida e rigorosa, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita' sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei movimenti delle donne; e' uno dei promotori dell'esperienza di "Maschileplurale" e dell'appello "La violenza contro le donne ci riguarda"] Carissimo Peppe, ho seguito la proposta di una presenza nella campagna elettorale di "donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza" girata anche nella rete dei gruppi di maschileplurale. Credo che la proposta centri la necessita' di misurarsi con la crisi della politica sia nelle sue forme sia nella sua capacita' di produrre conflitti e cultura su dimensioni della vita oggi da essa rimosse. Mi pare, pero', che la promozione di liste sia una forma poco adatta, non tanto per l'efficacia (i concretissimi rischi di un risultato insoddisfacente) quanto per cio' che dice e il terreno che propone: non credo che la soggettivita' e la pratica politica debbano concretizzarsi in una lista, credo, altresi', che una iniziativa come questa debba promuovere una apertura di discussione piu' che una (seppur temporanea) appartenenza. Credo anche che il terreno istituzionale della rappresentanza non possa essere assunto come terreno di espressione di questa proposta senza tener conto di una riflessione critica proprio sul rapporto tra politica e rappresentanza. A proposito dell'appartenenza ho l'impressione che gia' in questa prima fase questa "collocazione" abbia generato una qualita' dei "toni" che mi lascia perplesso. Citando a memoria Brecht, "anche urlare contro l'ingiustizia rende roca la voce". Ecco io vorrei che la nostra indignazione non stravolgesse le nostre voci generando una semplificazione della nostra cultura politica. Come agire in modo radicale conflitti senza assumere rappresentazioni semplificate dell'avversario, degli altri e della propria soggettivita' e' un nodo al centro della ricerca sia del movimento delle donne che del movimento contro la guerra... ma anche un terreno su cui queste esperienze negli ultimi tempi hanno secondo me espresso un'inadeguata capacita' a tenerne conto nelle proprie pratiche e proposte. Come sai per me l'incontro tra critica della politica e delle forme di produzione e socialita' prodotte dal femminismo, dalla nonviolenza e dall'ambientalismo e' fondativo del mio percorso politico. Mi sento dunque totalmente dentro questa riflessione anche come uomo che ha tentato di guardare dentro di se' le tante complicita' con una politica e un'organizzazione della societa' e dei rapporti tra i sessi distruttiva di spazi di vita e di liberta'. Per questo, pero', credo che questa iniziativa debba cercare un'interlocuzione con quella parte della politica plurale sia nelle forme organizzate che nelle culture, che sta promuovendo "la sinistra, l'arcobaleno". Ne conosco tutti i limiti ma anche la grande potenzialita' e pluralita'. Credo sia opportuno rendere visibile una soggettivita' critica e propositiva (e dunque condivido l'idea di promuovere un'assemblea nazionale etc) ma credo anche che l'assemblea (o la rete di chi ha raccolto la proposta) debbano produrre un'iniziativa pubblica nazionale di interlocuzione con il soggetto unitario e plurale della sinistra che stimoli una discussione ma anche scelte politiche e organizzative coerenti. Ci sono esperienze e singole individualita' con cui credo sarebbe importante costruire un dialogo e un lavoro comune di reciproca "contaminazione": penso alla rete delle donne della Sinistra europea e al forum delle donne di Rifondazione, penso all'associazione per la sinistra di Firenze, penso alla rete di associazioni riunitasi a Roma etc. Perche' non tentare un gesto che non si limiti a promuovere delle proprie liste ma cerchi di incidere su un processo piu' largo? Non mi dilungo oltre. Seguo la discussione con interesse. A presto Stefano 6. AMICIZIE. UNA GLOSSA AL TESTO CHE PRECEDE (Servirebbe da exergo Presso il Bisenzio di Mario Luzi) Sono assai grato a Stefano Ciccone, persona di molti meriti, amico per cui nutro profondo affetto e profonda stima, per questa lettera. Ma la conclusione del suo ragionamento, se intendo bene (e se posso cosi' esplicitare cio' che e' implicito ma dal mio punto di vista ineludibilmente ne consegue), e' di continuare a delegare il potere ad alcuni partiti che hanno per due anni ripetutamente votato per la prosecuzione della guerra, partiti che hanno governato con politiche e provvedimenti razzisti e stragisti, partiti violatori della Costituzione, quindi eversori della legalita' democratica. O peggio: entrare in combutta con essi. No, grazie. 7. RIFLESSIONE. ROSANGELA PESENTI: LE DONNE CON LE DONNE POSSONO [Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it) per questo intervento. Rosangela Pesenti, laureata in filosofia, da molti anni insegna nella scuola media superiore e svolge attivita' di formazione e aggiornamento. Counsellor professionista e analista transazionale svolge attivita' di counselling psicosociale per gruppi e singoli (adulti e bambini). Entrata giovanissima nel movimento femminista, nell'Udi dal 1978 di cui e' stata in vari ruoli una dirigente nazionale fino al 2003, collabora con numerosi gruppi e associazioni di donne. Fa parte della Convenzione permanente di donne contro tutte le guerre, della Convenzione delle donne di Bergamo, collabora con il Centro "La Porta", con la rivista "Marea" e la rivista del Movimento di cooperazione educativa. Tra le opere di Rosangela Pesenti: Trasloco, Supernova editrice, Venezia 1998; (con Velia Sacchi), E io crescevo..., Supernova editrice, Venezia 2001; saggi in volumi collettanei: "Antigone tra le guerre: appunti al femminile", in Alessandra Ghiglione, Pier Cesare Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio, Euresis Edizioni, Milano 1998; "Una bussola per il futuro", in AA. VV., L'economia mondiale con occhi e mani di donna, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 1998; AA. VV., Soggettivita' femminili in (un) movimento. Le donne dell'Udi: storie, memorie, sguardi, Centro di Documentazione Donna, Modena 1999; "I luoghi comuni delle donne", in Rosangela Pesenti, Carmen Plebani (a cura di), Donne migranti, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 2000; "Donne, guerra, Resistenza" e "Carte per la memoria", in AA. VV., Storia delle donne: la cittadinanza, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 2002; Caterina Liotti, Rosangela Pesenti, Angela Remaggi e Delfina Tromboni (a cura di), Volevamo cambiare il mondo. Memorie e storie dell'Udi in Emilia Romagna, Carocci, Firenze 2002; "Donne pace democrazia", "Bertha Von Suttner", "Lisistrata", in Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne Disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003; "I Congressi dell'Udi", in Marisa Ombra (a cura di), Donne manifeste, Il Saggiatore, Milano 2005; "Tra il corpo e la parola", in Io tu noi. Identita' in cammino, a cura dell'Udi di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, 2006] Rispondo perche' ritengo che vadano sostenute in questo momento, almeno con un cenno di riconoscimento, le persone che si muovono a favore di un impegno politico che introduce innovazioni o almeno discontinuita' nell'area della molto sgarrupata sinistra, e in particolare in questo caso perche' sono grata a Maria per la puntualita' dei suoi interventi e traduzioni. Non so se sono pacifista e nonviolenta, so per certo che sono le mie principali "culture di riferimento" insieme a quella femminista, nella mia vita la piu' radicata, e quella del movimento operaio, che ha segnato la mia crescita politica. Per culture di riferimento non intendo un decalogo di imperativi o buone azioni, ma la lettura e progressiva crescita mia intorno alle opere che testimoniano le idee e la vita di alcune/molte alcuni/meno autrici e autori, non necessariamente quelle e quelli consacrati dal canone. Non posso dire di me e delle mie pratiche perche' penso che non bastino le dichiarazioni a illuminare le vite e la scrittura e' insieme una straordinaria forma di sintesi e quindi di traduzione, un solido ponte per la comunicazione, ma anche un continuo rischio di tradimento, delle intenzioni come della realta'. Anch'io comunque mi accingo a scrivere perche' mi fa piacere poter scambiare pensieri oltre i confini ristretti che sono in grado di percorrere i miei piedi. Mi piacerebbe venire a Bologna (come a Roma o in altri luoghi) anche solo per incontrare persone con cui scambiare liberamente idee, ma non verro' per alcuni motivi che non riguardano direttamente la proposta. Il primo e piu' importante motivo e' il fatto che alla fine del 2003 ho giurato a me stessa che non sarei mai piu' andata in giro a mie spese per partecipare ad incontri politici. Detto cosi' so che e' brutale, richiede una spiegazione che, mi dispiace, non puo' essere breve. * Non e' sempre facile mettere d'accordo piedi e pensieri e nella sua straordinaria creativita' la vita si diverte talvolta/spesso a mettere in gioco risorse curiosamente divergenti, che determinano conflitti interiori difficili da mediare. Ho cominciato ad essere afflitta dalla passione politica fin da bambina ed ho quindi costretto sempre i miei piedi a seguire i pensieri. La contraddizione mi e' stata presentata due volte e al di la' del modo un po' brutale (ma quando la vita non lo e'?) sempre utile. La prima volta alla fine degli anni '70, quando la passione politica mi aveva portata a lasciare l'universita' per lavorare ad un sogno di cambiamento che, avendo scelto il femminismo e le donne, richiedeva un surplus di energie e risorse a motivo del deficit di riconoscimento che otteneva. Ad un certo punto la bilancia tra le lodi alla mia "bravura" e la diffidenza per la mia schiettezza (di cui ero poco consapevole) non fu piu' in equilibrio e sopra la diffidenza per i contenuti arrivo' il peso di un giudizio sulla forma: probabilmente mi dedicavo alla politica perche' non ero in grado di laurearmi e di trovare un lavoro vero. Si trattava di insinuazioni prevalentemente maschili, ma la contiguita' dei luoghi politici e riusciva ad arruolare anche un'area femminile piu' sprovveduta, forse anche piu' ricattabile. Cominciava a prendere piede l'idea, giusta in se', che bisognava prendere i politici direttamente dalla societa' civile e, meno giusta, dalle professioni di successo, medici avvocati architetti e simili. Anche tra le donne davano certamente un'idea di maggiore serieta' quelle che avevano utilizzato appieno la vittoria dell'emancipazione per reclamare l'eredita' di famiglia o di classe sociale e misurarsi alla pari con gli uomini. Fu un boccone amaro da ingoiare, soprattutto perche' le connotazioni personali mi impedivano di farne una traduzione politica, ma mi fu utile: in cinque anni, 1980-'85, ho cominciato ad insegnare e intanto mi sono laureata, ho vinto tre concorsi, messo al mondo due bambini, fatto tre traslochi senza abbandonare il mio ruolo dentro l'Udi, ne' a livello locale ne' a quello nazionale, che in quel momento viveva il passaggio storico dell'XI congresso. Per i concorsi sono stata fortunata perche' ci sono stati e non prevedevo quello che sarebbe accaduto dopo nella scuola e per la scuola. Ovviamente il modo, insieme ipocrita e brutale, ha lasciato i suoi segni perche' a lungo mi sono sentita un'incapace e resto una persona attraversata sempre da dubbi sulle proprie competenze, ma oggi, che ho quasi il doppio dei suoi anni, guardo con ammirazione a quella ragazza che sono stata e grazie a lei ho qualche indulgenza in piu' per la donna che sono oggi. Dieci anni fa ho raccontato questa storia, in forma poetica, in un libro di nessun successo, di cui pero' le due edizioni, esaurite nell'anno stesso di pubblicazione, ancora circolano di mano in mano con mia sorpresa e piacere. Vengo alla seconda volta. Nel fermento politico di quegli anni all'Udi, tra le tante parole dette, mi aveva colpito la frase di una compagna "Se le donne vogliono sostenere l'associazione e venire a Roma basta che rinuncino a un maglioncino e riescono. L'autonomia e' una scelta". Giusto mi sono detta e l'ho fatto, anche se non ero cosi' sprovveduta da non capire che chi aveva parlato di rinunciare ai maglioncini ne aveva una scorta, anche se nel mio caso le rinunce erano a ben altro che un maglioncino. Non ho rimpianti, ho creduto alla possibilita' di partire dai luoghi delle donne per sperimentare quella meta' di pensiero e pratica che manca all'attuale democrazia. Purtroppo, in questo Paese, le condizioni economiche dei lavoratori a stipendio fisso (come siamo io e il mio compagno) non sono migliorate negli anni e non e' bastato nemmeno il fatto che insieme alla politica io abbia mantenuto come secondo lavoro (serale) la formazione, per arrotondare le entrate. Quando si e' trattato di occuparmi di un altro congresso con responsabilita' nazionali ho posto la questione del "rimborsospeseviaggio", al momento accettata senza problemi. L'entusiasmo, ancora dopo tanti anni, cancellava l'accumulo di fatiche, finche', a congresso ormai quasi concluso, una compagna molto responsabile non mi ha detto chiaramente che l'Udi non era in grado di sostenere i costi della mia presenza. Il boccone e' stato ancora piu' amaro da ingoiare, ma mi sono ritirata in buon ordine senza dire niente piu' dell'essenziale che, nella sua brevita', e' stato facilmente rimosso. Ho accettato che, senza la mia presenza, le forme politiche alle quali tenevo, perche' mi sembravano l'elemento di vera discontinuita' dell'associazione rispetto ad altri luoghi della politica, e non solo maschile, venissero accantonate senza rimpianti. Posso parlarne ora perche' sono grata a quella compagna e alla sua schiettezza, e' vero che l'associazione non aveva nessun bisogno di me e altre potevano degnamente sostituirmi e l'hanno fatto anche in meglio, e a minor costo perche' residenti a Roma, ma soprattutto, nonostante avessi dedicato a quel luogo esattamente meta' della mia vita, dai 25 ai 50 anni, io in quel luogo ero ormai nella scomoda posizione di parvenu, non era piu' il mio posto. Nella deriva gerarchica e sessista del nostro Paese, in cui la liberta' delle donne e' stata in ogni modo mortificata, un'associazione di donne, a cui e' stato negato l'accesso alle risorse pubbliche, non puo' che applicare con rigore le regole della democrazia formale per sopravvivere. E l'applicazione della democrazia paritaria formale e' il livello massimo che possono chiedere le donne in questo momento. Ho capito di colpo perche' ho apprezzato il fatto che l'Udi abbia liberato, dalla clandestinita' dei nostri sogni e della nostra impotenza, la proposta del 50&50, ma non sono riuscita a scrivere niente a favore piu' di un ovvio consenso e sostegno. Perche' so che in quel 50&50 io non ci sono e non ci potro' mai essere finche' i luoghi della democrazia formale non prenderanno seriamente in considerazione le questioni di quella democrazia sostanziale su cui l'Occidente implode, con danni spaventosi, ormai da piu' di due secoli. Il 50&50 resta oggi per noi, nelle condizioni date, una meta imprescindibile, ma la democrazia non e' solo questione di numeri e le donne non sono semplicemente la meta' della popolazione, ma una storia altra che ha gia' cominciato da tempo la propria elaborazione politica a favore di tutte e tutti. Non mi sono piu' pagata un viaggio per andare all'Udi e non lo faro' per nessun'altra occasione politica, a meno che non senta di essere portatrice di qualche proposta o pratica straordinariamente utile, e non e' il mio caso in questo momento, o che vi sia un aumento significativo degli stipendi e delle pensioni, anche questo caso molto se non assolutamente improbabile. So che il denaro e' il grande tabu' e che non e' elegante esporre le proprie condizioni perche' mi e' stato detto in altre occasioni, tanto tabu' che ne' il cinema ne' la letteratura riescono degnamente ad indagare al di sotto di quel tetto di cristallo che ammutolisce la maggioranza della popolazione e soprattutto le donne; non sono nemmeno una fautrice dell'esposizione delle budella o dell'autocoscienza a tutti i costi e ovunque, ma per quanto mi riguarda pratico la discrezione sui sentimenti e penso che le concrete condizioni di vita siano invece parte di quel privato politico che molte donne hanno cominciato coraggiosamente a scoperchiare tanti anni fa, resistendo ad ogni facile ironia sulla felice sintesi di questo slogan. Ovviamente le questioni che pongo non si risolvono con qualcuno che mi regala il viaggio, perche' sarebbe come accettare denaro in cambio di prestazioni che non sono meno fisiche solo perche' non si configurano nel senso classico. Quindi non mettero' la mia ghinea per venire a Bologna. Ho parlato di me perche' la mia condizione ha qualche tratto singolare, ma per molti aspetti e' del tutto analoga a quella di qualche migliaio di donne tra quelle incontrate negli anni della mia limitata esperienza, e certo anche molte piu' di quante si immagini. Se anche decidessi di superare le due difficolta' citate, (sono comunque una donna disposta a ricredermi e cambiare, e la compagnia m'invoglia) c'e' un secondo grande motivo di impedimento. Non sono piu' in grado di discutere una giornata intera, tornare in treno la sera (con i rischi che conosciamo dato il disastro delle ferrovie) e la mattina dopo affrontare sei ore di lavoro a scuola, cinque in classe e una "buca" che occupo spesso a chiacchierare con colleghe/i, bidelle o alunne/i. Anche su questo ho avuto negli anni molti buoni consigli e perfino esempi: "programma un compito, magari una verifica, cosi' stai tranquilla", oppure "io non mi fermo a scuola un minuto di piu', faccio il mio dovere e basta, perfino troppo per lo stipendio che prendo". Sono buoni suggerimenti tutto sommato e comunque all'interno della legalita', ma io non riesco proprio a metterli in pratica, in classe perche' sento il dovere e spesso anche il piacere di confrontarmi con allieve e allievi dando il meglio di me, nei corridoi e in sala professori perche' oggi piu' che mai, nella mortificazione delle intelligenze e delle coscienze favorita dalle molte stupidita' organizzative, favorire il dialogo con tutti e tra tutti e' l'unico modo per conservare alla scuola la dignita' di scuola. La scuola e' cambiata in peggio da quando ho cominciato ad insegnare e per ora non c'e' altro da fare che opporre una tenace creativa nonviolenta ironica e laboriosa resistenza a tutto cio' che scompostamente e malauguratamente ci piove addosso. Su questo non mi dilungo perche' non c'e' mediazione che tenga. * Visto che ho preso la parola dico qualcosa anche sull'oggetto della convocazione: liste e candidature. Dal mio punto di vista, mi sembra preferibile cercare di utilizzare questo tempo incerto per trovare modi utili al dialogo tra le varie forme politiche che definisco per brevita' a sinistra del Pd. Dialogo difficile, ma credo inevitabile se stiamo davvero nel qui ed ora della situazione. Puo' darsi che il mio punto di vista sia inficiato dal mio orizzonte limitato e comunque non mi sento di fare affermazioni nette perche' davvero non ho proposte generali su come favorire, oggi e nel prossimo parlamento, l'affermazione politica delle culture di cui sopra e avviare un cambiamento della sensibilita' quotidiana dei singoli cittadine e cittadini. Ho solo una serie di pratiche quotidiane minute relative a scuola, casalingato, relazioni umane tra eta' diverse e cose affini sulle quali sono in grado anche di produrre qualche riflessione "teorica", ma niente di piu'. Ho qualche idea piu' chiara invece sulle candidature delle donne. Posta la necessita' storica del "50&50" non si tratta certo di candidare solo sulla base del sesso anagrafico, magari operando abilmente e rozzamente in modo da escludere l'esperienza politica autonoma delle donne. Sarebbe come se in Italia avessero escluso dalle candidature alla Costituente tutti coloro che avevano vissuto e guidato la Resistenza. Di fatto c'e' stata un'esclusione delle donne, presenti in piccolo numero, ma, senza assolvere nessuno, dato che i conti storici sono ancora da fare, possiamo dire che a ridosso della fine della guerra le donne non si erano ancora organizzate o, quelle che lo erano, non avevano ancora forza contrattuale, visto che gli stessi attori della Resistenza faticavano a riconoscere appieno la dimensione del protagonismo femminile. Su questo e altro l'elaborazione collettiva della memoria e' ancora deficitaria. Qualsiasi donna puo' essere candidata e considero stupido avanzare richieste di preparazione intelligenza o altro che non vengono avanzate per gli uomini, oltretutto con i risultati che tutti conosciamo. Ma non e' vero che qualsiasi donna va bene o una vale l'altra. Trovo anche volgare che si scopra una donna come possibile candidata quando e' "balzata" agli onori della cronaca perche' le hanno ammazzato il marito, il fratello, il padre, il figlio. Che poi queste donne siano brave, spesso bravissime, e mostrino un volto femminile nel quale finalmente possiamo tutte riconoscerci, proprio a partire dalla capacita' di gestire l'emergenza tragica di cui si trovano di colpo protagoniste, non stupisce, dato che nella vita normale la piu' sprovveduta delle casalinghe e' comunque capace di far fronte a problemi nuovi con competenza e buon senso sconosciuti alla maggior parte dei politici. La questione resta, perche' queste donne, bravissime e che voterei a quattro mani, sono li' perche' sollecitano il consenso attraverso l'appello, ovviamente mai esplicitamente dichiarato, a sentimenti arcaici, per i quali le donne si presentano in pubblico solo in quanto madri, mogli, figlie e sorelle. E' ancora difficile essere semplicemente una donna se "pubblica" e gli insulti a Rita Levi Montalcini, che fanno vergogna all'intero Paese, sono solo uno dei tanti segnali di un patriarcato greve che perduta la maschera del buon padre di famiglia sragiona in modo violento e scomposto. Le "donne pubbliche" sono il gradino piu' basso dell'asservimento degli esseri umani, spesso al confine o coincidente con la schiavitu', significato esattamente agli antipodi, e quindi forse speculare, di quell'"uomo pubblico" che come tale e' al servizio del bene comune. La questione resta perche' anche quando le donne arrivano per meriti propri, secondo le regole della democrazia borghese, dalle professioni cosiddette liberali a connotazione prevalentemente maschile o, per esempio, dal sindacato (sempre luogo maschile, ma con qualche apertura "di classe"), devono comunque passare per le forche caudine di incarichi inadeguati alla loro preparazione e spesso in quei settori considerati tradizionalmente femminili, di cui non sanno giustamente nulla, con spreco della loro intelligenza e poco vantaggio per i settori che gia' navigano in cattive acque. Alle donne e' sempre chiesto un di piu': di preparazione, di successo professionale, di esposizione mediatica, meglio se a motivo di una tragedia famigliare, o almeno di obbedienza e di fedelta' alle decisioni dei vertici di partito, atteggiamento che non e' quasi mai di bieco opportunismo, ma semplicemente dovuto alla storia femminile interiorizzata per cui le donne, conoscendo i costi umani del raccogliere i cocci, tendono ad essere conservatrici, attuando molto prima che avesse questo nome la pratica della riduzione del danno, anche in contesti in cui sarebbe piu' utile qualche ribellione o almeno una moderata discontinuita'. Le candidature delle donne andrebbero discusse tra le donne, prima che contrattate con le segreterie dei partiti, tenendo conto che le donne, emarginate dalla politica istituzionale e spesso estranee alla casta, sono quella gran parte di societa' che agisce la politica nel quotidiano, in una miriade di associazioni di un volontariato che sopperisce purtroppo e per fortuna alle deficienze delle cosiddette politiche sociali. * Anch'io ho comunque da spendere, se non le tre ghinee, qualche manciata di ore. Virginia Woolf scriveva in un tempo in cui il denaro era la forma suprema della ricchezza, oggi sappiamo che il tempo e' ancora piu' prezioso. La prima manciata di ore l'ho spesa l'altra sera andando, a Bergamo, ad un'assemblea promossa dal Coordinamento "La Sinistra. L'Arcobaleno" dopo vent'anni che non partecipavo ad un'assemblea politica "mista", perche' da qualche parte bisogna ricominciare, magari anche da qualche dialogo interrotto. Una manciata la tengo a disposizione di Lidia Menapace se fosse necessario, spero vivamente di no, rifare il lavoro gia' fatto per la sua candidatura. Ho motivato piu' volte questa scelta, ma voglio aggiungere la ragione che, per me, riguarda specificamente le donne il movimento e le loro associazioni. Lidia ha praticato da sempre il riconoscimento, di se' come donna, delle altre donne nella loro singolarita' e talenti e vite concrete, e di tutte le nostre forme associative, come modo di costruzione di un'espressione politica femminile multiforme, vitale e democratica. In particolare, pur avendo vissuto nell'Udi alcune significative sconfitte delle sue proposte politiche, Lidia non ha mai sottratto il suo pubblico riconoscimento a questa associazione, favorendone la conoscenza nei moltissimi luoghi del suo vagabondare politico, anche in tempi in cui molte dirigenti storiche non esibivano la propria appartenenza, che appariva forse tradizionale, forse retro', in quei luoghi del femminismo elitario dove si sviscerava di filosofia e i problemi delle donne facevano "miseria". Il mondo politico delle donne non e' il migliore tra i possibili, ma non si puo' cancellare e ricominciare da capo. Si puo', sempre, segnalare da quali idee e con quali donne ci e' piu' utile ricominciare. E su questo spero che il dibattito sia aperto. Una manciata, anzi un'intera domenica (se togliamo il tempo dedicato a lavatrici e affini) l'ho spesa oggi per scrivervi e forse ho perfino esagerato, per me e per voi. * A conclusione posso dire che continua a non essere facile mettere d'accordo piedi e pensieri. Sono convinta che tra conflitti interiori non risolti, o risolti con il soffocamento di una parte, ci sia un continuo rapporto di osmosi con i conflitti sociali e la loro traduzione nelle forme violente e in quella massima forma politica violenta che e' la guerra. Ma per ora questo e' fuori argomento. Su molte cose ho taciuto a lungo, non perche' mi senta di aderire alle regole di quel melmoso bon ton piccolo borghese nel quale ci siamo tutti infognati, ma piuttosto perche' in fondo in fondo ero ancora arrabbiata con mia madre, che mi ha voluta a tutti i costi e poi io non sono stata per lei la figlia che avrebbe voluto e lei pero' mi ha messa in una condizione che io non avrei proprio scelto (non solo luogo e risorse ma anche dotazione genetica). Poi alla fine lei mi ha accettata, perfino con un certo orgoglio, e io ho scoperto la meravigliosa e durissima liberta' delle madri. Perche' se anche si potesse, e per fortuna non e' possibile, sarebbe terribile per i figli e le figlie esercitare il diritto a nascere (o addirittura averlo gia' delegato per legge ad altri) e per fortuna nostra tutte e tutti siamo al mondo per le buone ragioni di una madre. Ragioni che non fanno di lei necessariamente quella buona madre del modello piu' corrente o quella che a noi piacerebbe tanto. Sono ragioni che ci restano perfino ignote, o sentiamo estranee, o nemmeno condivisibili, ma per questa buona ragione della madre noi siamo al mondo e questa e' la prima vera alterita' e insieme il limite con cui ci confronteremo per tutta la vita. In questa "buona ragione" delle madri, in quella che abbiamo chiamato autodeterminazione delle donne in ordine alla procreazione, penso ci sia il nucleo di quel misterioso rapporto tra esistenza e coscienza che tanto spaventa le religioni, sollecita la scienza, circoscrive il terreno della politica. In una parola, nella potenzialita' femminile di diventare madre c'e' tutto il mistero delle singole esistenze come della specie, ed e' quel mistero che tanto spaventa gli uomini perche' sottratto concretamente a tutti i marchingegni tecnici sociali e politici con cui cercano di dispiegare il loro potere, spesso con grandi danni ma invano. 8. AMICIZIE. UNA GLOSSA AL TESTO CHE PRECEDE Sono assai grato a Rosangela Pesenti, persona splendida, per questa bellissima testimonianza ancora una volta profonda e luminosa, preziosa e intensa. Ma dove scrive che "da qualche parte bisogna ricominciare" e sembra ritenere (se intendo bene e non mi inganno invece grossolanamente) che questa parte possa essere la cosiddetta "sinistra arcobaleno" dei quattro partiti che hanno partecipato al governo in questi ultimi due anni ripetutamente deliberando la prosecuzione della guerra terrorista e stragista, li' obietto con tutto il mio cuore. E se mi sto cosi' tenacemente impegnando a sostenere la necessita' che persone amiche della nonviolenza presentino liste della nonviolenza, femministe ed ecologiste, alle imminenti elezioni politiche e' proprio anche per il dolore immenso del cedimento - un cedimento reiterato per due anni - alla guerra e alle stragi di tante vecchie amiche e tanti vecchi amici (tra cui una che Rosangela evoca, e per la cui persona provo un ancor grande affetto, ma per la cui azione in parlamento tragicamente in pro della guerra non solo provo una delusione indicibile, ma ho espresso ed esprimo un'opposizione esplicita, nitida e intransigente). Io non voto per chi ha votato per la guerra. E credo che tutti coloro che per la guerra terrorista e stragista hanno votato, cosi' violando anche la Costituzione, mai piu' dovrebbero entrare nel luogo in cui si fanno le leggi. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 370 del 19 febbraio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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