La domenica della nonviolenza. 147



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 147 del 20 gennaio 2008

In questo numero:
1. "Amistrada": Una sottoscrizione straordinaria per la scuola delle ragazze
e dei ragazzi di strada di Citta' del Guatemala
2. Sara Valentina Di Palma: Bambini italiani nella Shoah. Una bibliografia
ragionata

1. APPELLI. "AMISTRADA": UNA SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA PER LA SCUOLA
DELLE RAGAZZE E DEI RAGAZZI DI STRADA DI CITTA' DEL GUATEMALA
[Dagli amici di "Amistrada, Rete di amicizia con le ragazze ed i ragazzi di
strada - onlus" (per contatti: e-mail: amistrada at libero.it, sito:
www.amistrada.net) riceviamo e diffondiamo]

Care amiche e cari amici delle ragazze e ragazzi di strada,
ci rivolgiamo a voi, che ricevete il bollettino o le lettere dalla strade e
le comunicazioni di Amistrada, per chiedervi di aiutarci a fronteggiare
un'improvvisa e grave emergenza che rischia di danneggiare molto le ragazze
e ragazzi di strada del Guatemala.
L'Ufficio tecnico del Comune di Citta' del Guatemala  ha dichiarato
inagibili i locali della scuola del Movimento delle ragazze e dei ragazzi di
strada (in sigla: Mojoca) che, come sapete, sono quelli in cui si svolgono
tutte le attivita' del movimento ad eccezione di quelle allocate nella Casa
8 marzo e nella Casa degli amici, destinate ambedue all'ospitalita'
transitoria di un limitato numero di persone.
Il Movimento delle ragazze e ragazzi di strada che sosteniamo ha fatto
predisporre il progetto di ristrutturazione da un'architetta di provata
affidabilita' che a sua volta si e' avvalsa per i calcoli strutturali di
tecnici di fiducia, ha individuato attraverso un'accurata selezione
un'impresa idonea ed ha approntato il contratto di appalto. Insomma ha fatto
un ottimo lavoro, dando prova tra l'altro di aver maturato una capacita'
gestionale all'altezza della situazione.
Dopo un iter rivelatosi faticoso poiche' i locali da ristrutturare fanno
parte del patrimonio architettonico della citta', ha ottenuto anche i
necessari permessi, validi fino al 10 ottobre di quest'anno.
E' necessario iniziare i lavori al piu' presto, sia per non mettere a
rischio l'incolumita' delle persone, sia per evitare che l'accesso ai locali
venga impedito dall'intervento del Comune.
Per tutti questi motivi abbiamo ritenuto di dovere incoraggiare il Movimento
delle ragazze e dei ragazzi di strada a dare inizio senza indugio alla
esecuzione delle opere progettate, assicurando che Amistrada provvedera'
alla copertura finanziaria. Il fabbisogno si aggira intorno ai 114.000,00
euro.
Amistrada, che fornisce al Movimento delle ragazze e dei ragazzi di strada d
Citta' del Guatemala il maggiore contributo finanziario per lo svolgimento
delle attivita' ordinarie, deve raccogliere entro l'anno il finanziamento
straordinario. Se non lo facessimo si correrebbe il rischio che i locali
benche' ristrutturati potrebbero non essere utilizzati pienamente nei
prossimi anni per l'insufficiente finanziamento delle attivita' ordinarie.
Per evitare questo rischio, abbiamo lanciato una sottoscrizione
straordinaria con l'appello che alleghiamo, che vi chiediamo di sostenere
sia partecipandovi personalmente, sia diffondendolo con il vostro invito
personale a sottoscrivere, sia pubblicizzando l'iniziativa negli ambienti
dove siete conosciuti.
L'importo occorrente non e' in definitiva enorme: per coprirlo basterebbero
114 sottoscrizioni da 1.000 euro. Con l'impegno di tutte le amiche e di
tutti gli amici del Movimento delle ragazze e dei ragazzi di strada e' senza
dubbio possibile raggiungere questo obiettivo.
Il Mojoca fa affidamento su ciascuna e ciascuno di voi. Da parte nostra vi
assicuriamo che la sottoscrizione sara' gestita con la massima trasparenza:
pubblicheremo sul sito l'elenco dei sottoscrittori, nonche' tutta la
documentazione relativa ai lavori ed alle relative spese. Saremo ben lieti
ovviamente di fornirvi tutto il sostegno di cui doveste aver bisogno.
Vi rivolgiamo in anticipo a nome dei ragazzi e delle ragazze di strada del
Mojoca un grazie  per quanto farete.
Chi avesse la possibilita' di impegnarsi maggiormente potrebbe esplorare
presso enti ed istituzioni locali (Comuni, Amministrazioni Provinciali,
Fondazioni Bancarie, etc.) la possibilita' di ottenere un contributo. Una
volta che avesse individuato l'ente cui presentare la domanda ed aperto un
canale di comunicazione potrebbe chiederci la documentazione da presentare
(domanda a firma del presidente di Amistrada, Remo Marcone, progetto e
preventivo dei lavori, l'indicazione della ditta appaltatrice, cronogramma
dei lavori).
Il comitato di gestione di "Amistrada, Rete di amicizia con le ragazze ed i
ragazzi di strada - onlus", via Ostiense 152/b, 00154 Roma, e-mail:
amistrada at libero.it, sito: www.amistrada.net
*
Guatemala: emergenza scuola. Un appello alla sottoscrizione straordinaria.
114.000 euro perche' le ragazze e i ragazzi di strada possano continuare a
realizzare i loro sogni.
Affinche' la nostra speranza di una societa' piu' fraterna e piu' giusta
possa ancora vivere.
La scuola delle ragazze e dei ragazzi di strada del Guatemala non deve
chiudere.
Kenya, 19 anni, uscita dalla strada da qualche mese, frequenta la seconda
media: "Il mio sogno e' di diventare avvocatessa per aiutare le donne e i
bambini maltrattati e per difendere le mie compagne e i miei compagni di
strada".
Maria Elena, 19 anni, da un anno fuori dalla strada, frequenta la terza
media: "Il mio sogno e' di diventare psicologa per poter aiutare le donne e
gli uomini del mio popolo Maya a liberarsi dell'oppressione secolare che
subiscono".
Sono due dei cinquecento sogni che rischiano di non potersi realizzare se
chiude la scuola del Movimento delle ragazze e dei ragazzi di strada (in
sigla: Mojoca). Infatti l'Ufficio tecnico del Comune di Citta' del Guatemala
ha dichiarato inagibili i locali della scuola del Mojoca.
Dopo mesi di estenuanti trattative il Mojoca e' riuscito ad ottenere i
permessi per ricostruire tali locali, che fanno parte del patrimonio
architettonico della capitale del Guatemala. Per effettuare i lavori
occorrono circa centoquattordicimila euro senza i quali la scuola rischia di
chiudere.
La scuola e' uno dei cardini del processo educativo del Mojoca, che permette
alle ragazze e ai ragazzi che vivono nella strada di reinserirsi in modo
dignitoso nella vita sociale e cittadina. Per raggiungere tale scopo il
Mojoca ha organizzato vari programmi e servizi:
- dal lavoro di strada (protezione contro assassinii, violenze e stupri,
prevenzione dell'Aids e altre malattie, alfabetizzazione, ecc.) alla scuola
elementare riconosciuta dal Ministero della Pubblica Istruzione nella Casa
del Mojoca ed ai laboratori per la formazione professionale e per
l'avviamento al lavoro;
- dalla Casa "Otto Marzo" per l'ospitalita' transitoria delle adolescenti,
delle giovani donne, delle giovani madri con i loro figli, alla Casa "degli
amici" per l'ospitalita' transitoria dei ragazzi;
- dall'aiuto al reinserimento abitativo, all'aiuto per trovare un lavoro,
creare una microimpresa o una cooperativa;
- dai gruppi di auto-aiuto (ragazze, ragazzi e genitori usciti dalla strada)
alle borse di studio (per bambini e ragazzi che hanno la stabilita' per
frequentare una scuola esterna: dalle elementari all'universita');
- dal servizio legale per aiutare le ragazze e i ragazzi ad ottenere i
documenti d'identita' e ad essere difesi contro le accuse di cui sono
vittime, spesso in modo infondato, al servizio di salute psicofisica (prime
cure in strada, educazione sanitaria ed assistenza infermieristica, servizio
psicologico per singoli e gruppi) ed al servizio mensa per assicurare
l'alimentazione a tutti quelli che partecipano alle attivita'.
Il Mojoca lavora con piu' di 500 persone che hanno un'eta' compresa tra la
nascita e i 30 anni.
Le sue caratteristiche sono:
1. l'autodeterminazione: spetta ad ogni giovane decidere se vuole iniziare
il processo educativo, frequentare la scuola, entrare in una casa; ognuno
elabora il proprio progetto di vita per realizzare i suoi sogni;
2. l'autogestione: sono le ragazze e i ragazzi stessi che dirigono il
movimento (ad esempio le case delle ragazze e dei ragazzi sono autogestite);
l'assemblea generale elegge un comitato di gestione composto da nove ragazze
e ragazzi; gli adulti hanno solo una funzione di guida, di orientamento e di
consulenza tecnica;
3. il Mojoca utilizza la pedagogia dell'amicizia liberatrice fondata sul
rispetto di ogni persona, della sua autonomia, sulla fiducia e la parita';
4. la aprita' tra i generi: in un Paese in cui le donne sono emarginate,
spesso vittime di maltrattamenti, stupri ed assassinii, il Mojoca s'impegna
nella difesa dei diritti delle donne, che sono la maggioranza in tutti gli
organi direttivi dell'associazione;
5. l'educazione come mezzo principale di promozione umana: la scuola e la
formazione integrale sono l'aspetto essenziale del nostro metodo educativo;
per questo la scuola non puo' chiudere.
Il Mojoca e' stato fondato, a meta' degli anni '90 a Citta' di Guatemala, da
Gerard Lutte, professore di psicologia dello sviluppo all'Universita' "La
Sapienza" di Roma, e da un gruppo di ragazze e ragazzi di strada, e si e'
sviluppato soprattutto grazie all'appoggio di "Amistrada, rete di amicizia
con le ragazze e i ragazzi di strada - onlus" che assicura all'associazione
guatemalteca la maggior parte delle risorse di cui ha bisogno. Il Mojoca ha
ricevuto dal 1999 al 2004 una sovvenzione dell'Unione Europea che ha
permesso di acquisire i locali della scuola. Ha ricevuto anche due
sovvenzioni dell'Unesco per il lavoro di strada e l'apertura della casa
delle ragazze.
Amistrada e' composta da gruppi di volontari che promuovono varie iniziative
per raccogliere le risorse necessarie per lo sviluppo del Mojoca ed ha
ricevuto gia' alcuni riconoscimenti per la sua attivita' (2003, Premio
Citta' di Ferrara per la difesa dei diritti umani nel mondo; 2004, Primo
premio tra i progetti per il reintegro sociale dei minori in difficolta',
attribuito dal Comitato di Lecco per la pace e la cooperazione tra i
popoli). Purtroppo Amistrada non ha le risorse necessarie per assumere
l'onere della ricostruzione della casa. Per questo fa un appello urgente
alle istituzioni, alle associazioni e a tutte le persone che cercano un
mondo piu' umano (senza bambine e bambini maltrattati, umiliati, stuprati,
assassinati) perche' partecipino a una sottoscrizione straordinaria per la
ricostruzione della scuola del Mojoca.
Vi chiediamo di aiutarci in questa sottoscrizione straordinaria affinche'
Kenya, Maria Elena e le loro cinquecento compagne e compagni di strada possa
no continuare a realizzare i loro sogni.
Per aderire a questa sottoscrizione straordinaria i contributi vanno versati
ad Amistrada, Rete di amicizia con le ragazze ed i ragazzi di strada -
onlus, Via Ostiense 152/B, 00154 Roma, indicando come causale "emergenza
scuola" mediante:
- bollettino postale, sul c/c postale n. 42561035 (presso un qualsiasi
Ufficio Postale);
- oppure bonifico al Banco Posta (presso un qualsiasi Ufficio Postale o
presso un qualsiasi sportello bancario) utilizzando le seguenti coordinate
bancarie: Paese: IT, Check: 55, CIN: Z, ABI: 7601, CAB: 3200, n. conto:
42561035.
Per ulteriori informazioni: tel. presidenza: 065160035 e 33346440336;
e-mail: amistrada at libero.it; sito: www.amistrada.net
Roma, 10 gennaio 2008
Gerardo Lutte (fondatore del Mojoca e di Amistrada); Il comitato di gestione
di Amistrada: Remo Marcone (presidente), Nora Habed (vicepresidente), Manila
D'Angelomaria (tesoriera), Adriana Cancellieri, Luigi Colavincenzo, Nino
Lisi, Massimo Silvestri.

2. MATERIALI. SARA VALENTINA DI PALMA: BAMBINI ITALIANI NELLA SHOAH. UNA
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
[Dalla utilissima rivista telematica "Deportate, esuli, profughe. Rivista
telematica di studi sulla memoria femminile", nel sito:
http://venus.unive.it/rtsmf, riproponiamo ancora una volta la seguente
bibliografia apparsa nel n. 3 del luglio 2005, fascicolo monografico sul
tema "I bambini nei conflitti. Traumi, ricordi, immagini".
Sara Valentina Di Palma (Vigevano, 1977), studiosa della Shoah, laureata in
storia contemporanea con una tesi dal titolo Bambini e adolescenti nella
Shoah. Storia e memoria della persecuzione nazista e fascista, che ha vinto
quattro premi ((Premio Pontecorvo 2001; Premio Associazione Figli della
Shoa' 2002; Premio Istituto Storico della Resistenza di Pistoia 2002; Prix
Fondation Auschwitz, Bruxelles, 2002) ed e' stata pubblicata da Unicopli. Ha
collaborato all'organizzazione del convegno internazionale "Storia, verita',
giustizia. Il XX secolo e i suoi crimini" (Siena, 16-18 marzo 2000), curando
la pubblicazione degli atti del medesimo convegno e traducendo le relazioni
presentate in lingua inglese (Marcello Flores, a cura di, Storia, verita',
giustizia. I crimini del XX secolo, Milano, B. Mondadori, 2001). Tra il 2001
e il 2002 ha condotto, per conto del museo Amis di Roma (Associazione museo
intolleranze e stermini), una ricerca sulla persecuzione degli omosessuali
sotto il nazismo, per la realizzazione di un sito internet
(www.museodelleintolleranze.it) e di un cd-rom dedicati allo studio di
intolleranze e stermini nel Novecento. Ha partecipato ai due convegni
internazionali, "If This is a Man. The Life and Legacy of Primo Levi"
(Hofstra University, NY, 23-24 ottobre 2002) e "Beyond Camps and Forced
Labour. Current International Research on Survivors of Nazi Persecution"
(London, Imperial War Museum, 29-31 gennaio 2003): gli atti di entrambi i
convegni sono in corso di pubblicazione. Nel 2003 ha collaborato alla
realizzazione di un cd-rom sui totalitarismi nel XX secolo. Negli anni
accademici 2003/2004 e 2004/2005 e' collaboratrice e tutor degli studenti
del Master in Diritti Umani presso l'Universita' di Siena. Tra le opere di
Sara Valentina Di Palma: "Triangoli rosa. La persecuzione degli
omosessuali", in Francesco Soverina (a cura di), Olocausto/Olocausti. Lo
sterminio e la memoria, Odradek, Roma 2003; Bambini e adolescenti nella
Shoah. Storia e memoria della persecuzione in Italia, Unicopli, Milano 2004;
Le Edot ha Mizrah in Israele, in "Storia e Futuro", n. 5, ottobre 2004]

1. Testimonianze di bambini e adolescenti
Luigi Fleischmann, Un ragazzo ebreo nelle retrovie, Firenze, Giuntina, 1999.
Dal 1943, il quindicenne Luigi - ebreo di Fiume nato nel 1928 e internato
con la famiglia in Abruzzo, a Navelli - tiene un diario in forma di appunti
brevi sugli avvenimenti bellici e di disegni in cui ritrae sia paesaggi sia
gli episodi di guerra cui assiste personalmente. Il ragazzino, nascosto
sotto falsa identita' per non essere deportato dai tedeschi dopo l'8
settembre 1943, passa il suo tempo con altri internati, tra l'ascolto
clandestino della radio inglese, passeggiate e quotidiano appello presso i
carabinieri.
L'avvicinarsi del fronte e l'arrivo in paese dei tedeschi, che cercano la
sua e altre famiglie ebree, comportano in Luigi una brusca comprensione del
pericolo che sta correndo e del significato di essere ebrei sotto la
Repubblica Sociale Italiana che, insieme all'alleato nazista, e'
intenzionata ad attuare una dura persecuzione antiebraica in Italia. Per
sfuggire al senso di impotenza e alla paura di essere tradito da quanti
hanno scoperto la vera identita' della sua famiglia, Luigi si unisce ai
partigiani della zona e assiste in prima persona alle ultime scaramucce,
alla ritirata tedesca e all'arrivo delle truppe inglesi.
*
Donatella Levi, Vuole sapere il nome vero o il nome falso?, Padova, Il
Lichene Edizioni, 1995.
Si tratta di uno dei pochi casi in cui, come nelle testimonianze di Liliana
Treves Alcalay e di Lia Levi, l'autrice cela la rievocazione immedesimandosi
in se stessa bambina per suggerire meglio il senso di straniamento e
l'incapacita' dell'infanzia nella piena comprensione razionale dei fatti
visti o raccontati, che non sempre appaiono credibili. Il linguaggio e'
volutamente piano e semplice, la sintassi poco articolata, il ritmo
spezzato. Come Donatella stessa afferma (lettera a Sara V. Di Palma, 5
luglio 2000) "E' una testimonianza scritta il piu' possibile in linguaggio
infantile".
Nata a Verona nel 1939, la piccola Donatella si nasconde con la famiglia nel
Casentino e a Roma, dove vede la fine della guerra. Diversamente dalla
maggior parte dei testi memorialistici, nella testimonianza di Donatella il
discorso sul ritorno alla liberta' nel 1945 occupa uno spazio maggiore
rispetto alla persecuzione, e cio' risponde all'esigenza di descrivere come
per la bambina il mondo del dopoguerra sia piu' difficile da affrontare che
non la guerra stessa. L'arrivo a casa, per una bambina nata nel 1939,
coincide con il ritorno ad un nulla, a qualcosa di ignoto che appartiene al
mondo di un "prima" che per lei non e' mai esistito.
Si aggiunge, poi, l'angoscia di vedere anche gli adulti trasformarsi nella
"nuova" casa, come se anch'essi non fossero piu' gli stessi della fuga e del
nascondiglio a Roma. In Donatella si manifesta la paura degli spazi vasti e
vuoti nella casa sconosciuta, insieme al terrore di restare sola lontana dai
grandi che ha avuto sempre accanto.
Inoltre, nessuno le spiega cio' che sta accadendo, i discorsi che sente
sulla Shoah, il motivo per cui debba andare in chiesa pur appartenendo ad
una famiglia ebrea. Battezzatala alla nascita nella speranza di salvarla, la
madre pretende ora che Donatella cresca nel cattolicesimo ma cio' e' fonte
di contrasti in famiglia e di confusione nella bambina. Ella sente che il
dopoguerra non fa decisamente per lei, e' troppo complicato e doloroso;
decide percio' di non fare domande per evitare litigi in casa ma la sua
origine ebraica si scontra inevitabilmente con quanto apprende su Gesu' e
sulle "responsabilita'" degli ebrei.
Altri momenti salienti della sua testimonianza sono: la difficolta' di
comportarsi da adulta di fronte a genitori impauriti che sembrano bambini e
l'incapacita' di soddisfare la fragile emotivita' dei familiari rendendoli
felici; e, soprattutto, l'incomprensione della falsa identita'. Donatella si
trova all'improvviso con un nome nuovo, Maria Bianchi. Alla paura di
sbagliare il nuovo nome o di dimenticarlo si somma il timore che lei stessa
diventi un'altra o che la madre - a sua volta con una nuova identita' - muti
sotto i suoi occhi.
La piccola si convince che i nomi si possono regalare e ricevere, che ci
sono nomi pericolosi (quelli veri), nomi da ricchi (come Maria), negozi per
comprare i nomi. O, forse, i nomi si vincono e si perdono come nel gioco
delle carte, ma per uscire di casa e' assolutamente necessario avere di
nuovo il nome adatto. Forse i nomi si imparano a scuola, insieme ai
comportamenti per affrontare la guerra e salvarsi la vita.
*
Renzo Modiano, Di razza ebraica, Milano, Libri Scheiwiller, 2005.
A sette anni non ancora compiuti, Renzo scopre che l'8 settembre 1943 non
significa fine della guerra in senso tradizionale, ma inizio di nuovi
pericoli per gli ebrei. Nascosto in Abruzzo (a Civitatomassa) presso
conoscenti della famiglia, Renzo trascorre con il fratello Guido un autunno
campagnolo relativamente sereno, turbato dalla mancanza di notizie dei
genitori, fino a quando un altro conoscente del padre va a prendere i due
bambini. Insieme al fratello e poi da solo, Renzo e' costretto a cambiare
continuamente nascondiglio per ragioni di sicurezza. Lasciare la campagna
abruzzese significa anche, per il bambino, perdere compagni di giochi e una
vita spartana ma libera: a Roma e' costretto a restare sempre in casa e puo'
sgattaiolare fuori raramente per non essere visto dalla portinaia del
palazzo.
La testimonianza da' particolare rilievo al senso di ingiustizia per non
poter vivere insieme alla madre e al padre, che vivono altrove, cui si
aggiungono la gelosia per il fratello quando questi viene nascosto con i
genitori e il dolore per la perdita dell'amato zio, di cui non si hanno
notizie ma che il bambino intuisce essere morto, perche' "I tedeschi
prendono gli ebrei" (p. 83).
Nel marzo 1944 Renzo riesce ad ottenere di essere nascosto con i genitori e
con Guido; perche' la famiglia sia riunita manca ora solo la sorella Elena,
cui il bambino puo' fare solo rare e veloci visite.
La liberazione, invece, occupa poche pagine e corrisponde, secondo l'autore,
ad un rapido accelerarsi dei ricordi, che tra l'8 settembre 1943 e il 5
giugno 1944 si sono impressi come in fotogrammi e in "istantanee" (p. 115),
in una parentesi vorticosa e traumatica.
*
Emanuele Pacifici, "Non ti voltare". Autobiografia di un ebreo, Firenze,
Giuntina, 1993.
Le memorie di Emanuele appartengono alle testimonianze rese da quanti, come
anche Aldo Zargani, dichiarano esplicitamente di scrivere a distanza di
tempo e manifestano la volonta' di parlare per onorare la memoria sia dei
loro morti sia di tutte le vittime della Shoah, e soprattutto perche' i
giovani e le generazioni future facciano tesoro delle vicende narrate e ne
tramandino il ricordo.
Emanuele, nato nel 1931, viene nascosto in un convento e sopravvive alla
guerra. Nel suo racconto si intrecciano drammi personali - l'allontanamento
da casa dopo la morte di una sorellina in un incidente domestico e la
nascita del fratellino Raffaele - e il dramma storico della Shoah, che il
bambino vive in un istituto religioso dove e' nascosto con il fratello,
sotto falsa identita'. La fede lo aiuta sia a mantenere segreta la sua
origine ebraica, sia a non lasciarsi attrarre dal cattolicesimo per
riconoscenza o desiderio di appartenenza.
La liberazione, dopo l'emozionante incontro con un soldato della Brigata
Ebraica, assume nel suo racconto toni particolarmente dolorosi da un lato
con l'arrivo a Roma e la scoperta che tanti parenti, compresi i genitori,
non ci sono piu', dall'altro con gravi problemi di salute che gli
impediscono di partire alla volta di Eretz Israel, il futuro Stato ebraico.
*
Davide Schiffer, Non c'e' ritorno a casa... Memorie di vite stravolte dalle
leggi razziali, Milano, 5 Continents Editions, 2003.
Dopo un'infanzia serena, nel 1944 il sedicenne piemontese Davide, figlio di
matrimonio misto, vede arrestare e sparire per sempre il padre, ebreo. Piu'
delle leggi razziali, che comportano discriminazione, paura e precarieta'
economica, la scomparsa del padre - una non morte, un'impossibilita' di
elaborare il lutto in assenza di una sepoltura - e' l'evento che segna la
sua adolescenza, al punto che Davide decide di partecipare attivamente alla
lotta contro la dittatura nazifascista e si unisce ai partigiani insieme al
fratello Ede. Il senso di colpa per essere un "bravo ragazzo" (p. 85)
incapace di reagire con la forza e liberare il padre lo accompagnera'
sempre.
La vita da partigiano, che Davide ricorda nei particolari, significa guerra
vera, rastrellamenti, fame, stanchezza ma anche il senso di combattere dalla
parte giusta, per la liberta'. Diversamente dalla maggior parte delle
testimonianze, il ritorno alla vita occupa un ampio spazio nella narrazione,
in cui Davide descrive quello che in realta' e' un non ritorno: manca il
padre, non c'e' piu' una casa con una famiglia completa, e riprendere la
vita quotidiana e' difficile.
L'inizio della facolta' di medicina a Milano segna una svolta importante non
tanto per il cambiamento di vita, quanto per la scoperta della sorte del
padre, morto di consunzione ad Auschwitz pochi giorni prima della
liberazione del campo. La certezza della sorte paterna chiude il capitolo
dell'attesa e apre quello degli studi, delle amicizie, delle ragazze, di una
brillante carriera, in altre parole della vita dei suoi coetanei che non
avevano esperito la Shoah.
L'intreccio di testimonianza emotivamente sentita, considerazioni storiche,
filosofiche e letterarie, riflessioni personali sulla societa' italiana
nell'immediato dopoguerra, ne fanno un raro esempio in cui la vicenda
personale della persecuzione e' inserita nel contesto piu' generale della
storia umana.
*
Liliana Treves Alcalay, Con occhi di bambina (1941-1945), Firenze, Giuntina,
1994.
Gia' il titolo in se' e' espressivo per comprendere la prospettiva: come la
testimone afferma nella premessa (p. 12), si tratta de "La storia dei miei
primi cinque anni di vita visti con occhi di bambina". In un'intervista a
Sara V. Di Palma (11 ottobre 2000), Liliana afferma che "Nel momento in cui
ho dovuto scrivere [per il libro] e' stato proprio come un ripiombare o un
ritornare volutamente a quei momenti. Quello mi ha ancora di piu' fatto
venire a galla certe sensazioni. (...) cercavo di concentrarmi, di ritornare
bambina, innanzi tutto perche' volevo scrivere con quel linguaggio, e poi
perche' volevo ri-sentire le mie sensazioni. E le ho sentite, era una cosa
incredibile come ho rivissuto queste fasi di incredulita', di rabbia contro
gli adulti, di timidezza dopo, di non saper parlare. (...) E' stato un
processo di riflessione, ma poi proprio di ri-ascoltare e di ri-sentire le
sensazioni di una volta. La scelta di scrivere 'con occhi di bambina', con
il linguaggio infantile, e' stata voluta: lo volevo fare come una
testimonianza per i bambini".
Nata nel 1939, Liliana ha quattro anni quando, dopo l'8 settembre 1943, la
famiglia decide di nascondersi. Il suo primo contatto con la guerra e' molto
confuso e vago. Durante l'intero periodo della persecuzione, la bimba viene
tenuta all'oscuro degli eventi, nel tentativo forse di proteggerla e di non
gravarla con un peso eccessivo, sebbene il suo straniamento e la sua
incomprensione degli adulti aumentino a dismisura.
Come accade a Donatella Levi, anche Liliana assiste sgomenta alla debolezza
paterna di fronte alla paura che alla sua bambina e al resto della famiglia
possa accadere qualcosa di terribile, e analogo e' lo sgomento provato per
l'assunzione di un nuovo nome, elemento di disturbo psicologico.
Assai diversa e' invece l'esperienza, centrale nella testimonianza, della
fuga in Svizzera: non si tratta della fine delle sofferenze, ma anzi di un
nuovo doloroso capitolo. Liliana e' infatti costretta, similmente a molti
bambini nascosti presso altre famiglie nei territori occupati dal nazismo, a
cambiare di continuo sistemazione senza riuscire ad adattarsi, sballottata
da una casa all'altra dove la attendono persone non sempre affettuose e
disinteressate. E' il terzo luogo dove Liliana e' mandata, a causarle la
sofferenza piu' grande: ospitata da tre sorelle che l'hanno accolta solo per
usufruire delle sue tessere annonarie e che le mostrano apertamente
indifferenza e disprezzo, Liliana e' privata dei beni che le spettano e
inizia a deperire; a cio' si aggiunge lo sprezzante antigiudaismo cattolico
delle tre zitelle che la puniscono perche' non fa il segno della croce, non
va a messa e appartiene al popolo degli uccisori di Cristo. Le vessazioni
subite, ottengono in realta' l'effetto contrario, vale a dire il
rafforzamento dell'identita' ebraica della piccola, la quale non cede al
ricatto di dover fare il segno della croce e ogni sera recita lo Shema' come
raccomandatole dalla madre.
La liberazione significa dunque, per Liliana, non tanto la fine della
guerra, quanto la fine della disperazione, con l'arrivo dei genitori e dei
fratelli che la portano via dalla casa delle tre zitelle.
*
Aldo Zargani, Per violino solo. La mia infanzia nell'Aldiqua 1938-1945,
Bologna, il Mulino, 1995.
Tutti i bambini che sono passati attraverso la Shoah, sopravvivendo ad essa,
conoscono la medesima dilatazione di quella tragica esperienza, che Aldo
Zargani descrive come una "escrescenza dell'anima" (p. 14).
Nato nel 1933, Aldo e' nascosto durante la persecuzione in un convento con
il fratellino Roberto, prima di raggiungere i genitori rifugiati sulle
montagne gia' in mano ai partigiani, riuscendo a sopravvivere.
Centrali nella sua testimonianza sono sia la dolorosa umiliazione del livore
antiebraico che segue le leggi razziali nel 1938, sia l'esperienza presso i
religiosi cattolici - che sono a conoscenza della sua identita' ebraica e la
rispettano diversamente da quanto accade ad altri bambini.
Aldo non parla direttamente della fine della guerra che, del resto, per il
bambino non avviene con la ritirata delle truppe tedesche, se si considera
che la sua famiglia si trova gia' sulle montagne controllate dai partigiani
in un ambiente percio' non ostile - nonostante periodici rastrellamenti e
pericoli. Le sue memorie non si chiudono con la fine della testimonianza, ma
continuano sotto forma di lettera aperta al nipotino: epilogo e' il ricordo
dell'estate 1945, del ritorno alla scuola e all'infanzia. La fase della
liberazione vera e propria non trova posto, ne' forse ha senso, alla luce
della sofferenza patita in guerra e che ancora avvolgera' i sopravvissuti
nel computo tragico dei propri morti.
L'autore riferisce, quasi in conclusione del racconto, un altro tipo di
ricordo, una sorta di antitesi della liberazione. E' l'opposto speculare di
quel lieto fine implicito in ogni testimonianza: l'autore e' sopravvissuto,
la sua storia puo' essere raccontata in prima persona, come se cio'
implicasse una minimizzazione delle sofferenze patite da chi e' tornato
proprio per essere tornato e sminuisse il dolore per la perdita di tanti
parenti e amici. Ancora prima della liberazione, dunque, un episodio
drammatico segna il passaggio all'irrimediabile fine delle speranze - nelle
quali soprattutto il padre di Aldo cerca, contro l'evidenza, di convincere
se stesso che il peggio per il popolo ebraico sia la sterilizzazione: Aldo
ricorda le notizie carpite in modo discontinuo e disturbato da Radio Mosca,
nel febbraio del 1945, sulla liberazione di Auschwitz da parte dell'Armata
Rossa. In parte incomprensibili, le parole pronunciate alla radio non
lasciano dubbi sulla gravita' dello sterminio ebraico, in termini di
dimensioni e di modalita' di attuazione. Solo il nome del lager poi divenuto
simbolo della Shoah e del male assoluto non e' chiaro: "perche' Austerlitz?
Perche' il posto della battaglia di Napoleone?" (p. 204).
*
2. Curatele di testimonianze di bambini
Titti Marrone, Meglio non sapere, Roma-Bari, Laterza, 2003.
La giornalista Marrone ripercorre la vicenda di tre bambini ebrei deportati
nel 1944 con le madri ad Auschwitz: le sorelline Alessandra (detta Andra) e
Tatiana Bucci, di quattro e sei anni, e il cugino Sergio De Simone, di sei
anni. Figli di matrimoni misti tra due sorelle ebree e due uomini cattolici,
contrariamente alla norma del campo di sterminio i tre bambini e le loro
madri non sono condotti alle camere a gas appena giunti ad Auschwitz, ma
vengono immatricolati tutti e separati nel campo. L'istinto di sopravvivenza
porta i piccoli, come ricorda Tatiana, ad annullare immediatamente la
propria emotivita' ("non ricordo di aver mai ne' pianto ne' riso, ad
Auschwitz", p. 46) e a non porsi domande, in altre parole ad accettare le
regole del campo, a non cercare la madre neppure quando cessano le sue
visite e a non impressionarsi alla vista dei mucchi di cadaveri.
I tre bambini disimparano l'italiano e iniziano ad esprimersi nella babele
delle lingue del campo, fino a quando un evento ne divide i destini: Andra e
Tatiana, su suggerimento di una blockova che si era loro affezionata, non
cadono nel tranello della selezione, mentre Sergio, alla domanda del dottor
Mengele su chi volesse rivedere la mamma, non capisce l'inganno e fa un
passo avanti, un passo che significa deportazione a Neuengamme, essere cavia
umana di crudeli esperimenti pseudoscientifici ed impiccagione ad Amburgo,
nella scuola di Bullenhuser Damm.
Tatiana e Andra restano, invece, nel blocco 11 di Auschwitz sino alla
liberazione del campo, quando sono condotte a Praga. Qui ricordano i loro
nomi, ma non la loro provenienza, e per un anno e mezzo abitano in un
istituto per bambini ebrei orfani dove imparano il ceco e vivono in una
sorta di attesa, rotta nel marzo 1946 quando inizia, finalmente, il ritorno
all'infanzia: accolti nella campagna inglese di Lingfield con altri bambini
sopravvissuti ed educatori a loro volta scampati allo sterminio nazista, i
bambini sono per la prima volta seguiti psicologicamente e aiutati a
riappropriarsi del gioco, dell'istruzione, della curiosita' per il mondo
circostante, della propria sfera emotiva e affettiva.
La vita serena di Lingfield cessa, paradossalmente, quando i genitori delle
due bambine riescono finalmente a ritrovarle tramite la Croce Rossa e, nel
dicembre 1946, tornano in Italia, in un Paese di cui non conoscono piu' la
lingua e da una famiglia che non ricordano. Inizia una nuova, difficile fase
di adattamento, cui si aggiunge la difficile responsabilita' di soddisfare i
desideri della zia che spera nel ritorno di Sergio e di tutti gli altri
ebrei che non hanno rivisto i loro bambini, come ricorda Andra (pp. 10-11):
"Ci mettevano in mano tutte quelle foto e noi non sapevamo perche'. Le
guardavamo, ma ci sembrava di non riconoscere nessuno. Eravamo piccole,
probabilmente un po' impaurite, non avremmo voluto essere li' (...). Pero'
avvertivamo che ci si aspettava qualche cosa da noi. Istintivamente ci
sembrava difficile troncare quelle attese con dei no o alimentarle con dei
si'. Cosi' per non farci capire, io e mia sorella confabulavamo in ceco tra
noi, ci consultavamo per ogni foto che ci veniva mostrata (...). Avevamo
solo sette e nove anni, ci sentivamo pressate da tutta quella gente, e molto
confuse".
Anche se Sergio non tornera', sua madre Gisella non accettera' mai di
dichiararlo morto e ancora negli anni Ottanta, quando il giornalista
Guenther Schwarberg ha ormai identificato suo figlio in una delle piccole
vittime di Bullenhuser Damm, dichiarera' di dover diventare molto vecchia
per aspettare l'arrivo di Sergio.
*
Emanuela Zuccala', Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime
testimoni della Shoah, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2005.
Il primo capitolo della lunga intervista racconta la storia di Liliana, nata
nel 1930 e deportata ad Auschwitz con il padre dopo essere stata respinta
dalla Svizzera, qui un ufficiale li accusa di essere impostori, rimandandoli
in Italia dove li aspettano prima il carcere e poi il lager. Saliente nella
testimonianza e' il racconto dell'esclusione dalla scuola pubblica nel
1938 - evento particolarmente doloroso e incomprensibile per una bambina
cresciuta in una famiglia laica e agnostica, costretta a riconoscersi ebrea
e come tale discriminata - cui si lega una riflessione sulla debolezza
psicologica dovuta alla mancanza di un'identita' ebraica che avrebbe aiutato
Liliana ad affrontare meglio la persecuzione.
All'abbrutimento morale dei persecutori, la Segre contrappone il ricordo dei
detenuti comuni nel carcere milanese di San Vittore, capaci di pieta' e di
comprensione per gli ebrei che partono verso lo sterminio; il tentativo di
sopravvivere estraniandosi dal proprio corpo e dalla vita del lager per
vivere in una dimensione mentale astratta; e il regalo di una fettina di
carota cruda da parte di una donna durante le cosiddette "marce della
morte", in cui i nazisti in ritirata trascinavano con se' i prigionieri che
morivano di stenti lungo il cammino. Tuttavia, allo stesso tempo Liliana non
nasconde quelle che definisce con severita' le "mie poverta' morali di
allora" (p. 52): quella perdita di sensibilita' e di empatia necessari a
sopravvivere in lager e che portano la ragazzina a non voltarsi per
esprimere una parola di solidarieta' all'amica Janine condannata a non
passare la selezione e ad essere uccisa.
Il volume si occupa poi del lungo processo psicologico verso la scelta di
diventare una testimone della Shoah (capitolo II), delle difficolta' emotive
dell'immediato dopoguerra (capitolo III), e infine di alcune tra le numerose
lettere scritte dagli studenti che hanno ascoltato la testimonianza di
Liliana nelle scuole (capitolo IV).
Colpiscono soprattutto il faticoso processo di elaborazione della volonta'
di testimoniare - con motivazioni non solo pubbliche e legate all'importanza
della memoria, ma anche e soprattutto private: parlare a nome e nel ricordo
di quanti non sono sopravvissuti e il cui unico segno resta nelle parole del
testimone - e il parallelo percorso di ritorno alla vita, da quella che
Liliana definisce una sorta di ubriachezza di liberta' alla dolorosa
comprensione che i parenti e la societa' intera non vogliono ascoltare e non
comprendono la portata dello sterminio nazista; dal rapporto difficile con
il cibo e con il proprio corpo irriconoscibile alla sensazione di non poter
comunicare, fino all'incontro con il futuro marito e alla lenta
riappropriazione di se'.
*
3. Raccolte di testimonianze miste di bambini e di adulti
Chiara Bricarelli (a cura di), Una gioventu' offesa. Ebrei genovesi
ricordano, Firenze, Giuntina, 1995.
Il testo raccoglie, tra le altre testimonianze, quelle di alcuni bambini di
allora:
- Pupa Dello Strologo (nata nel 1935), la quale riesce a fuggire in Svizzera
con la famiglia). La sua testimonianza compare anche in Le non persone di
Roberto Olla;
- Elisa (detta Lilli) Della Pergola (nata nel 1930), che si nasconde e
sopravvive alla persecuzione ed e' intervistata anche da Nicola Caracciolo
in Gli ebrei e l'Italia durante la guerra 1940-45;
- Gilberto Salmoni (nato nel 1928) il quale e' catturato con la famiglia
poco prima di raggiungere la salvezza in Svizzera ed e' deportato a
Buchenwald.
*
Nicola Caracciolo, Gli ebrei e l'Italia durante la guerra 1940-45, Roma,
Bonacci Editore, 1986.
Contiene la testimonianza della gia' ricordata Elisa Della Pergola.
*
Bruno Maida (a cura di), 1938. I bambini e le leggi razziali in Italia,
Firenze, Giuntina, 1999.
Il volume, che raccoglie gli atti di un convegno svoltosi a Torino nel 1998,
ricostruisce le conseguenze della legislazione antisemita del 1938 sui
bambini ebrei di allora, soprattutto per quanto concerne la propaganda nella
scuola fascista, l'esclusione dalla scuola pubblica e l'ambiente scolastico
ebraico.
Rendono testimonianze, oltre ad Aldo Zargani e a Lia Levi,
- Esther (Susetta) Ascarelli: nata nel 1934, all'eta' di dieci anni fugge in
Svizzera insieme alla madre, al patrigno e alla sorellina Simonetta;
- Giovanni Finzi Contini. Nato nel 1933, si nasconde con la famiglia e
sopravvive alla Shoah.
*
Roberto Olla, Le non persone. Gli italiani nella Shoah, Roma, Rai Eri, 1999.
Olla intervista, oltre alla gia' menzionata Pupa Dello Strologo:
- Ida Marcheria (o Marcaria), nata nel 1929, deportata ad Auschwitz;
- Piero Terracina, nato nel 1928 e sopravvissuto ad Auschwitz.
*
Daniela Padoan, Come una rana d'inverno. Conversazioni con tre donne
sopravvissute ad Auschwitz, Milano, Bompiani, 2004.
Contiene l'intervista a Liliana Segre. Il lungo colloquio mira non tanto a
ricostruire la vicenda individuale di Liliana, quanto la peculiarita'
dell'esperienza femminile nel lager e la diversita' della memorialistica
prodotta.
Le donne (e Liliana, quando e' deportata, e' ancora una bambina) subiscono,
attraverso la rasatura, la nudita', la perdita del ciclo mestruale, una
brutale privazione della loro femminilita'. Il loro diverso modo di
affrontare l'esperienza concentrazionaria si riflette in una testimonianza
differente: le donne riflettono maggiormente sulla violazione del corpo,
sulla privazione della propria sessualita', sulle particolari umiliazioni
perpetrate da altre donne ma anche sulla solidarieta' femminile con le
compagne prigioniere.
Emerge poi l'importanza della testimonianza: Liliana ricorda di avere scelto
di testimoniare nel 1990, attorno al suo sessantesimo compleanno. Era
un'idea cui pensava da tempo, ma l'urgenza a parlare si manifesto' quando il
fenomeno negazionista divenne piu' vistoso agli occhi dell'opinione
pubblica: si deve raccontare prima che tutti i sopravvissuti siano morti.
*
Liliana Picciotto Fargion, Gli ebrei in provincia di Milano: 1943/1945.
Persecuzione e deportazione, Fondazione Centro di Documentazione ebraica
Contemporanea, Milano, Arcadia Edizioni, 1992.
Compaiono le interviste a:
- Tiziana Tedeschi Sforni (nata nel 1930), la quale si nasconde con la
famiglia;
- Ugo Del Monte (nato nel 1931) che riesce con la madre e la sorella a
fuggire in Svizzera;
- Miriam Romanin Guetta (nata nel 1940) che e' arrestata con la famiglia a
Milano, ma la guerra finisce prima che dal carcere di San Vittore sia
deportata verso la morte.
*
Giuseppe Vico, Milena Santerini (a cura di), Educare dopo Auschwitz, Milano,
Vita e Pensiero, 1995.
Contiene la testimonianza di Liliana Segre.
*
Voci dalla Shoah. Testimonianze per non dimenticare, Firenze, La Nuova
Italia Editrice, 1996.
Contiene la testimonianza di Liliana Segre.
*
4. Ricostruzioni delle vicende di bambini e adolescenti
Maria Bacchi, Cercando Luisa. Storie di bambini in guerra 1938-1945, Milano,
Sansoni, 2000.
Il testo intreccia ricostruzione storica, memorialistica e uso della
testimonianza, riflessioni personali e analisi psicanalitica per ricostruire
la storia dell'infanzia mantovana durante la seconda guerra mondiale - con
uno sguardo attento sia ai diversi gruppi di bambini, sia agli eventi.
Spiccano dunque le memorie diverse dei piccoli balilla e dei bambini ebrei,
le leggi razziali del 1938 e l'esclusione dei piccoli ebrei dalle scuole
pubbliche, la caduta del fascismo e l'armistizio, i bombardamenti e le
deportazioni.
Luisa Levi, adolescente ebrea deportata con la famiglia ad Auschwitz e che
compare anche nelle memorie della gia' citata cugina Donatella Levi e della
piccola compagna di prigionia Arianna Szoereny, e' il filo conduttore del
racconto.
*
Lidia Beccaria Rolfi, Bruno Maida, Il futuro spezzato. I nazisti contro i
bambini, Firenze, Giuntina, 1997.
Pionieristico lavoro storiografico iniziato da Lidia Beccaria Rolfi
vent'anni prima di riprenderlo con Bruno Maida, ricostruisce la vicenda
della Shoah infantile, soffermandosi anche sui bambini deportati dall'Italia
e dal Dodecanneso.
Riporta anche un'intervista ad Arianna Szoereny, nata a Fiume nel 1933 e
deportata con la famiglia prima a San Sabba e poi ad Auschwitz.
*
Maria Pia Bernicchia (a cura di), I venti bambini di Bullenhuser Damm,
Milano, Proedi Editore, 2005.
Basato su fotografie e su testi del giornalista Guenther Schwarberg, che ha
avuto il merito di scoprire e ricostruire la vicenda nonche' di assicurare
alla giustizia alcuni dei carnefici ancora in liberta', il testo ripercorre
l'orrore di dieci bambine e dieci bambini - tra cui il gia' ricordato Sergio
De Simone, unico italiano - prelevati dalla baracca 11 di Birkenau nel
novembre 1944 mediante una selezione condotta dal famigerato dottor Mengele
in persona. Perche' i bambini restino tranquilli, sono ingannati con la
promessa di vedere la mamma se si fanno avanti; tra quanti cedono sono
scelti dieci maschi e dieci femmine che il 27 novembre partono alla volta di
Neuengamme, lager situato vicino ad Amburgo. Vi arrivano il 29 novembre,
giorno del compleanno di Sergio.
In gennaio, il medico Kurt Heissmeyer inizia i suoi esperimenti sui bambini,
cui viene effettuato un taglio sotto un'ascella per introdurre i bacilli
della tubercolosi. Scopo dell'esperimento e' studiare le difese immunitarie
dei bambini e vedere se sviluppano anticorpi: il dottore vuole inventare un
vaccino per la tbc, diventare famoso, fare carriera. In marzo i bambini,
ormai apatici e seriamente malati, sono operati e vengono loro asportate le
ghiandole sotto l'ascella. Le ghiandole non presentano anticorpi e
l'esperimento e' fallito; e' l'aprile del 1945 e l'arrivo imminente degli
alleati impone l'eliminazione delle prove.
Il 20 aprile 1945, i venti bambini sono portati da Neuengamme ad Amburgo e,
nella scuola di Bullenhuser Damm ora vuota, impiccati "come quadri alla
parete", come dichiarera' nel 1946 uno degli assassini, Johann Frahm (p.
65).
Oggi Bullenhuser Damm e' di nuovo una scuola, dove il 20 aprile di ogni anno
avviene una cerimonia commemorativa per i venti bambini ebrei qui
assassinati. Ad Amburgo, dal 1995 venti strade portano il loro nome.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 147 del 20 gennaio 2008

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