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Minime. 336
- Subject: Minime. 336
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 16 Jan 2008 01:08:39 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 336 del 16 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Un po' per celia e un po' per non morir 2. Rosa Luxemburg: No 3. Rigoberta Menchu': No 4. Gianfranco Capitta ricorda Giorgio Strehler 5. Ettore Masina: Il mio "Giorno". Lettera a un collega 6. Ilide Carmignani presenta "Pareti di cristallo" di Barbara Lanati 7. Riedizioni: Dino Carpanetto, Giuseppe Ricuperati, L'Italia del Settecento 8. Riedizioni: Francis Jennings, L'invasione dell'America 9. L'Agenda dell'antimafia 2008 10. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UN PO' PER CELIA E UN PO' PER NON MORIR Di tanto in tanto alcuni amici molto cari mi chiedono di ospitare su questo foglio la posizione di chi sostiene, giustifica, propaganda la guerra e la violazione della Costituzione. Rispondo: a sostenere questa posizione ci sono gia' tutti i quotidiani e tutte le televisioni d'Italia. Questo foglio non e' disponibile. * Ed aggiungo: Per chi redige e si assume la responsabilita' di questo foglio la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan e' un crimine, e i ministri e i parlamentari che hanno ripetutamente votato per essa hanno commesso un crimine, anzi: un duplice crimine: il crimine della guerra che consiste di stragi di vite umane, e il crimine della violazione della Costituzione della Repubblica Italiana, il cui articolo 11 la partecipazione a quella guerra inequivocabilmente proibisce. * Questa e' l'opinione di questo foglio e della persona che questo editoriale firma. Puo' non piacere, ma e' questa. E' la posizione che anche tanta parte della sinistra parlamentare italiana sosteneva - o diceva di sostenere - fino all'aprile del 2006. E' la posizione che tutto il movimento pacifista in Italia sosteneva fino all'estate del 2006. Io la sostengo ancora. Chi ha cambiato idea e ha deciso di prestare i suoi servigi al partito della guerra e delle stragi e dell'illegalita' non pretenda di avere il nostro plauso. E non pretenda di chiamare nonviolenza la complicita' con i massacri e l'anomia. * Comica finale: non e' mancato chi e' arrivato a sostenere che difendere la Costituzione ed opporsi alla guerra sia condotta irresponsabile e peggiore del commettere stragi ed infrangere il fondamento stesso del nostro ordinamento giuridico. Ma ci sembra che questi illustrissimi e colendissimi maestri abbiano davvero esagerano un pocolino, e qui in guisa di pietoso velo cali dunque il sipario. 2. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: NO [Da Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 189. E' un passo estratto da una lettera del dicembre 1914 alla redazione del "Labour Leader". Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi, Torino 1975, 1976; Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976 (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore 1970; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia, Milano 1974; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta, Milano 1977] La cosa piu' fatale per il futuro del socialismo sarebbe che i partiti operai dei diversi paesi decidessero di accettare pienamente la teoria e la prassi borghesi, per la quale e' naturale ed inevitabile che i proletari delle diverse nazioni in guerra si sgozzino reciprocamente al comando delle loro classi dominanti, per tornare poi, dopo la guerra, a scambiarsi abbracci fraterni, come se niente fosse successo. Una Internazionale che cosi' coscientemente riconoscesse la propria attuale decadenza come prassi normale anche per il futuro, e tuttavia pretendesse di esistere, sarebbe solo una sfacciata caricatura del socialismo, un prodotto dell'ipocrisia, in tutto simile alla diplomazia degli Stati borghesi, alle loro alleanze e ai loro trattati internazionali. No! Il terribile reciproco macello di milioni di proletari, cui stiamo adesso assistendo con orrore, queste orge del truce imperialismo che sotto l'ipocrita insegna della "patria", della "cultura", della "liberta'" e del "diritto dei popoli" distruggono paesi e citta', offendono la civilta' e calpestano il diritto dei popoli, sono un puro tradimento del socialismo. 3. MAESTRE. RIGOBERTA MENCHU': NO [Da Rigoberta Menchu' Tum, Rigoberta, i maya e il mondo, Giunti, Firenze 1997, p. 266. Rigoberta Menchu', india guatemalteca, premio Nobel per la pace, e' una delle figure piu' belle dell'impegno per la dignita' umana, i diritti, la pace, la solidarieta'. Tra le opere di Rigoberta Menchu': Mi chiamo Rigoberta Menchu', (a cura di Elisabeth Burgos), Giunti, Firenze 1987; Rigoberta, i maya e il mondo, (con la collaborazione di Dante Liano e Gianni Mina'), Giunti, Firenze 1997] Gli anni non rimarginano le cicatrici di una violenza subita. Le ferite delle vittime restano aperte, il danno loro arrecato non puo' essere risarcito. Vi sono governi ed esperti che ritengono che le vittime dovrebbero perdonare, per decreto; che le vittime dovrebbero dimenticare, per decreto. Io, che faccio parte delle vittime, dico "no". In ultima istanza, la decisione di perdonare, di come perdonare, di quando perdonare, spetta alle vittime. E noi, le vittime, ci battiamo perche' le crudelta' che abbiamo subito non possano piu' ripetersi, per nessuno. 4. MEMORIA. GIANFRANCO CAPITTA RICORDA GIORGIO STREHLER [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre 2007, col titolo "Il militante Strehler" e il sommario "Dieci anni fa, la notte di Natale, moriva il fondatore del Piccolo di Milano e di un pensiero teatrale che fece scuola. Fu lui a portare in Italia autori come Gorkij o Cechov e a rielaborare con lucidita' i testi di Brecht. Ebbe onori e potere e fu avversato da molti. Il ricordo in mostre e pieces". Gianfranco Capitta vive e lavora a Roma, dove ha studiato Storia del teatro e dello spettacolo e si e' laureato in lettere moderne con una tesi su Cesare Zavattini. E' critico teatrale del quotidiano "Il manifesto"; per Radiotre Rai cura servizi e rubriche di cultura e spettacolo; ha pubblicato, insieme a Roberto Canziani, un'opera monografica su Harold Pinter, e un'altra dedicata al regista Cesare Lievi; con Gigi Cristoforetti ha realizzato il volume dedicato ai venti anni del Centro Teatrale Bresciano, per il quale ha scritto il saggio sul regista Massimo Castri. Dal 1980 al 1987 e' stato responsabile del teatro per il Comune di Roma; dal 1995 e' direttore artistico de Le vie del festival, rassegna internazionale di spettacolo che fa parte del Festival d'autunno di Roma, la maggiore manifestazione interdisciplinare di spettacolo a Roma. Giorgio Strehler (Barcola, Trieste 1921 - Lugano 1997), regista teatrale e uomo di cultura di forte impegno civile. Dal sito www.strehler.org riprendiamo la seguente notizia biografica: "Strehler nasce a Barcola, un paesino vicino a Trieste, in una famiglia in cui si intrecciano lingue e culture. Suo nonno e' musicista (anche lui studiera' musica e direzione d'orchestra) e di cognome fa Lovric; sua nonna e' francese e si chiama Firmy, cognome che il nipote prendera' quando firmera' le prime regie durante l'esilio svizzero. Suo padre, Bruno, muore giovanissimo, quando il figlio ha poco piu' di due anni; la madre, Alberta, e' un'apprezzata violinista. Il giovane Strehler cresce cosi' in un'atmosfera artisticamente 'predestinata', e in un ambiente a forte matrice femminile. Questa immersione nel femminile gli sara' utile nel disegnare le sue protagoniste, e lo rendera' impareggiabile nel rendere sensibile il mistero e l'incanto, ma anche il bugiardo silenzio delle sue eroine. Da ragazzino Strehler si trasferisce con la madre a Milano, dove compie gli studi prima al convitto Longone e poi al liceo Parini, fino a frequentare l'universita', facolta' di legge; ma fin da adolescente, accanto allo studio, coltiva l'amore per il teatro, frequentato anche (dice la sua leggenda) come claqueur. Si iscrive all'Accademia dei Filodrammatici di Milano, dove trova il suo maestro di elezione in Gualtiero Tumiati. Le sue prime prove fuori dalla scuola sono da attore, nel gruppo Palcoscenico di 'Posizione' a Novara e anche alla Triennale, in un testo di Ernesto Treccani. Ma gia' qui, a soli ventidue anni, pensa che il teatro italiano, allora dominio degli ungheresi e dei falsi dottori, abbia bisogno della scossa salutare e demiurgica della regia. Lo scrive in un articolo del 1942, Responsabilita' della regia, pubblica su 'Posizione': fondamentale, pur nello slancio assoluto tipico dell'epoca, per capire anche lo Strehler successivo. In quegli anni che precedono la guerra Strehler, legato da un'amicizia fortissima a Paolo Grassi, conosciuto (come hanno sempre affermato i protagonisti) alla fermata angolo via Petrella del tram numero sei, direzione Loreto-Duomo, fa la fronda nei Guf e morde il freno. L'entrata in guerra dell'Italia lo trova militare e poi rifugiato in Svizzera nel campo di Murren, dove stringera' amicizia, fra gli altri, con il commediografo e regista Franco Brusati. Qui, poverissimo, ma gia' con una grande abilita' nell'usare a proprio favore le difficolta', riesce, con il nome di Georges Firmy, a trovare i soldi per mettere in scena, fra il 1942 e il 1945, Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot, Caligola di A. Camus e Piccola citta' di T. Wilder. La fine della guerra lo vede pero' di ritorno in Italia, ormai deciso a fare il regista. Il suo primo spettacolo e' Il lutto si addice ad Elettra di O'Neill, con Memo Benassi e Diana Torrieri. Firma anche tutta una serie di regie d'occasione per compagnie famose, senza crederci troppo, e torna a recitare in Caligola di Camus (che ha spesso fra i suoi spettatori un altro signore della scena, Luchino Visconti), dove dirige Renzo Ricci e riserva a se stesso il ruolo di Scipione. Nel frattempo e' stato anche critico teatrale per 'Momento sera', senza mai rinunciare pero' al sogno, condiviso con Paolo Grassi, di costruire dal nulla un teatro diverso. L'occasione sara' la fondazione nel 1947 del Piccolo Teatro della Citta' di Milano: primo stabile pubblico italiano, che aprira' i suoi battenti il 14 maggio, con l'andata in scena di L'albergo dei poveri di Gor'kij dove Strehler riserva a se' il ruolo del ciabattino Alijosa. Questo spettacolo, che riesce a coagulare buona parte della compagnia che per alcuni anni sara' stabile al Piccolo e che avra' le sue punte in Gianni Santuccio, Lilla Brignone e Marcello Moretti, ha avuto un anno prima un'anticipazione in Piccoli borghesi di Gor'kij, andato in scena con la regia di Strehler e l'organizzazione di Paolo Grassi all'Excelsior. Alla fondazione del Piccolo corrisponde anche la prima regia operistica di Strehler, una Traviata alla Scala destinata a lasciare il segno. Dal 1947, pero', gli sforzi maggiori di Strehler (prima regista stabile, poi direttore artistico, poi direttore unico) sono essenzialmente per il Piccolo Teatro, dove dirige spettacoli che appartengono alla storia del teatro e della regia. All'interno di questa storia, che potremmo definire positivamente eclettica, si puo' tuttavia rintracciare una costante: l'interesse per l'uomo in tutte le sue azioni. Questa scelta, che Strehler perseguira' per tutta la vita, e' un atto di fedelta' alle ragioni profonde dell'esistenza di cui si fa portatore Satin, uno dei protagonisti dell'Albergo dei poveri: 'Tutto e' nell'uomo'. E, in questo suo porre l'uomo sotto la lente d'ingrandimento del suo teatro, ecco venire alla luce alcuni rapporti che gli interessano: l'uomo e la societa', l'uomo e se stesso, l'uomo e la storia, l'uomo e la politica. Scelte che si riflettono a loro volta nella predilezione per alcuni autori chiave, veri e propri compagni di strada nel lavoro teatrale del grande maestro (anzi 'Maestro e basta', come e' stato chiamato): Shakespeare soprattutto, ma anche Goldoni, Pirandello, la drammaturgia borghese, il teatro nazional-popolare di Bertolazzi, Cechov e, nei primi anni, la drammaturgia contemporanea; Brecht gli rivela un diverso approccio al teatro, alla recitazione, una 'via italiana' all'effetto di straniamento. All'interno di questi autori, pur non potendo entrare nel merito delle piu' di duecento regie da lui firmate, sono enucleabili alcuni spettacoli guida: Riccardo II (1948), Giulio Cesare (1953), Coriolano (1957), Il gioco dei potenti (1965), Re Lear (1972), La tempesta (1978) per Shakespeare; Arlecchino in tutte le sue versione (a partire dal 1947) lo spettacolo italiano pi? visto nel mondo e quello di piu' lunga vita, La trilogia della villeggiatura (1954), Le baruffe chiozzotte (1964) e Il campiello (1975) per Goldoni; Platonov (1959) e Il giardino dei ciliegi (1955 e 1974) per Cechov; le diverse edizione de I giganti della montagna (1947, 1966, 1994) e Come tu mi vuoi (1988) per Pirandello; El nost Milan (1955 e 1979) e L'egoista (1960) per Bertolazzi; La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca (1955) e, soprattutto, Temporale di Strindberg (1980) per la drammaturgia borghese; La visita della vecchia signora di Durrenmatt (1960), La grande magia di Eduardo De Filippo (1985) per la drammaturgia contemporanea; L'opera da tre soldi (1956), L'anima buona di Sezuan (1958, 1981 e 1996), Santa Giovanna dei macelli (1970) e soprattutto Vita di Galilei (1963) per Brecht. Ma, all'interno di una produzione stupefacente, a venire in primo piano e' il lavoro sui segni del teatro (le scene, le atmosfere, le sue inimitabili luci, e quella capacita' prodigiosa nel saper ricreare, con apparente leggerezza, situazioni di altissima poesia) e lo scavo esigente, duro, mai soddisfatto, sulla recitazione, che trova il suo vertice nel vero e proprio corpo a corpo che egli instaura con gli attori: un vero esempio di maieutica; e, per chi ha avuto la fortuna di assistere alle sue prove, l'epifania di un metodo teatrale. La storia di Strehler, scandita dall'aprirsi e dal chiudersi dei sipari, si svolge eminentemente al Piccolo Teatro, ma non solo: nel 1968 abbandona via Rovello per fondare un suo gruppo, il Teatro Azione, su basi cooperativistiche; con questo gruppo presenta La cantata del fantoccio lusitano di P. Weiss (1969), spettacolo anticipatore di un teatro concettualmente 'povero', e Santa Giovanna dei macelli (1970) che sigla il suo ritorno 'a casa'. Strehler ha anche diretto il neonato Teatro d'Europa, voluto da Jack Lang e da Francois Mitterand a Parigi. Del resto il suo cursus honorum e' lunghissimo: parlamentare europeo, senatore della Repubblica, un lungo elenco di onorificenze, fra cui l'amatissima Legion d'onore. Notevole l'apporto registico di Strehler all'opera lirica, favorito dalla conoscenza della musica e dalla 'abilita' di saper svecchiare i gesti inseparabili e tradizionali dei cantanti'. Delle tantissime regie, da ricordare le partecipazioni al Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia (Lulu di A. Berg, 1949; La favola del figlio cambiato di G. F. Malipiero, 1952; L'angelo di fuoco di S. Prokof'ev, 1955), al Maggio musicale fiorentino (Fidelio di Beethoven, 1969), al Teatro alla Scala (fin dalla primavera del 1946 con Giovanna d'Arco al rogo di A. Honegger, con Sarah Ferrati), almeno per il Verdi, oltre che della gia' citata Traviata, del Simon Boccanegra (1971), del Macbeth (1975) e del Falstaff (1980); e di Mascagni, della lodatissima Cavalleria rusticana diretta da Karajan (1966); alla Piccola Scala per L'histoire du soldat di I. Stravinskij (1957), Un cappello di paglia di Firenze di N. Rota (1958) e Ascesa e caduta della citta' di Mahagonny di K. Weill (1964); oltre al lavoro sul prediletto Mozart, condotto attraverso Il ratto dal serraglio (1965) e Il flauto magico (1974) al festival di Salisburgo, Le nozze di Figaro a Parigi (1973), Don Giovanni alla Scala (1987) e la soave leggerezza di Cosi' fan tutte, inno all'amore e alla giovinezza: piu' che un testamento, un ponte (anche se dall'impalcatura ancora scoperta, a causa dell'improvvisa scomparsa a pochi giorni dalla prima) gettato fra il lavoro di cinquant'anni e il nuovo secolo. E' morto nella notte di Natale del 1997: le sue ceneri riposano a Trieste, nel cimitero di sant'Anna, nella semplicissima tomba di famiglia"] Dieci anni fa, proprio la notte di natale, moriva a Lugano Giorgio Strehler. L'uomo-chiave del teatro italiano della seconda meta' del Novecento. Idolatrato dagli ammiratori, criticato e bersagliato dai detrattori e dagli invidiosi. L'uomo che assieme a Paolo Grassi ha inventato il concetto di teatro pubblico in Italia, decidendo follemente di fondarlo nel cinemetto sotterraneo di via Rovello dove i nazifascisti avevano torturato le loro vittime, e dando cosi' una connotazione di impegno civile al proprio lavoro. Oggi qualcuno potrebbe sorridere a quell'idea e a quel valore, o forse li ignora del tutto, visto che a Roma per il teatro pubblico sono in corsa frotte di comici. Strehler ha vissuto per tutta la vita (era nato nel 1921 da una "complicata" famiglia mitteleuropea) il proprio impegno, o se si vuole anche la propria vocazione, legato a filo stretto alla societa' civile e politica. Socialista alla vecchia maniera, tanto che in epoca Craxi passo' al Pci, per il quale fu anche eletto senatore come indipendente (e la sua proposta di legge sul teatro resta mitica nella memoria, anche solo per la foga e il fascino delle manifestazioni in cui la presento', nella ricerca vana di alleati ed appoggi). Ma la sua "militanza" il regista l'ha puntualizzata lungo tutta la vita. Militanza nel teatro innanzitutto, dove e' divenuto lui stesso l'incarnazione della regia, ereditando ed elaborando tutti i grandi artisti del secolo, creando un canone che divento' talmente importante da risultare ingombrante per tutti gli altri, che cominciarono a sparlare, cospirare, invidiare e, se possibile, boicottare il suo lavoro. Senza riuscire a dargli troppo fastidio in verita'. Perche' fino all'ultimo Strehler ha ribadito la sua arte e la sua posizione, diventando una sorta di "papa" del teatro del continente, con l'invenzione assieme a Jack Lang dei Teatri d'Europa, i massimi luoghi produttivi della scena europea, con il Piccolo in testa. E nonostante le ferite e i malumori (la salute, il fisco, la sordita' delle istituzioni) ne era molto fiero. Ma la militanza di Strehler parlava soprattutto con i suoi atti e i suoi spettacoli. La fondazione del Piccolo ovviamente, giusto sessant'anni fa. E il repertorio di autori trascurati o misconosciuti in Italia, quando non espressamente vietati: Gorkij e Cechov. Ma anche Goldoni letto in chiave cechoviana seguendo l'intuizione geniale di Anna Banti, e rovesciando nei lividi bianco e nero di Luciano Damiani una lucidita' acida senza piu' nei e cicisbei (ma piuttosto con le maniche arrotolate di Lina Volonghi nelle Baruffe). E Pirandello rovesciato dal mito, con una terribile visione dei Giganti della montagna che, nel finale lasciato incompiuto dall'autore, fanno cadere la mannaia sulla carretta dei comici, con tanti saluti per la magia registica di Cotrone-Strehler. Ma fu Brecht il suo maestro d'elezione, trasformando via Rovello nel luogo della verita' rivelata alla cultura di sinistra (e sancita dalla visita esclusiva del poeta tedesco poco prima della morte). Anche su quel teatro Strehler fondo' un canone, che esplose roboante nel 1963 con la Vita di Galileo, osteggiata duramente da democristiani e Vaticano, che pure dopo qualche anno fu costretto a "riabilitare" lo scienziato. E non si fermo' neppure a Brecht: in pieno '68 abbandono' pure l'amato Piccolo, per fuggire con un pugno di attori pugnaci (c'era anche Marisa Fabbri) nel Gruppo Teatro e Azione, portando in luoghi poco deputati il Fantoccio lusitano e antifascista di Peter Weiss. Non nascondeva Strehler le proprie debolezze: la vanita' innanzitutto, la consapevolezza del proprio fascino, la passione per le donne (e in particolare per una certa tipologia aggressiva e sensuale) che da pedagogo amorevole trasformava in fantastiche protagoniste del suo teatro. Ma le sue debolezze gli davano anche la forza combattiva della speranza. Era meraviglioso sentirlo parlare, ancora negli ultimi anni, anche se non si era d'accordo con lui. Aveva avuto onori e potere, ma infantilmente rincorreva l'utopia. La complessita' delle sue radici era un bacino di ossigenazione per la sua concreta, immaginifica follia teatrale. Si e' inaugurata da pochi giorni a Trieste, sua citta' natale, una mostra dedicata proprio a Strehler privato, si potrebbe dire "all'artista da piccolo", che cresce e matura tra la fine di una guerra e l'addensarsi di un'altra ancor piu' terribile. Con la madre violinista, senza il padre morto quando lui aveva solo due anni, ma con il retaggio del nonno impresario di spettacolo, dedicandosi allo studio della musica, finche' poi, dopo le scuole milanesi, si iscrivera' a legge. C'e' nella mostra triestina anche il suo tavolo di lavoro, e qualche estrapolazione gustosa del suo quotidiano. Sul tavolo di lavoro i copioni importanti, le corrispondenze illustri da Fellini a Visconti a Glenda Jackson, ma in qualche bacheca occhieggiano anche i romanzacci semiporno del saltuario relax. Una umanita' a tutto tondo quella di Strehler, che solo dieci anni dopo la morte, paragonata all'oggi, sembra archeologia, per quanto felice e grandiosa. 5. MAESTRI E COMPAGNI. ETTORE MASINA: IL MIO "GIORNO". LETTERA A UN COLLEGA [Dal sito di Ettore Masina (www.ettoremasina.it) riprendiamo la seguente lettera a un collega giornalista del giugno 2007. Ettore Masina, nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, giornalista, scrittore, fondatore della Rete Radie' Resch, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura e della prassi di pace. Sulle sue esperienze e riflessioni si vedano innanzitutto i suoi tre libri autobiografici: Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e guerriglieri (Gamberetti, 1997); Il prevalente passato. Un'autobiografia in cammino (Rubbettino, 2000); L'airone di Orbetello. Storia e storie di un cattocomunista (Rubbettino, 2005). Tra gli altri suoi libri: Il Vangelo secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud. Cile, Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995), Comprare un santo (Camunia, 1994; O. G. E., 2006), Il volo del passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo, 2002). Un piu' ampio profilo di Ettore Masina, scritto generosamente da lui stesso per il nostro foglio, e' nel n. 418 de "La nonviolenza e' in cammino"] In uno degli articoli compresi nel libro "Il Giorno": Cinquant'anni di un quotidiano anticonformista (a cura di Ada Gigli Marchetti, Franco Angeli, Milano 2007), un collega scrive che prima di diventare l'informatore religioso di quel quotidiano in cui ho lavorato fra il 1957 e il 1969 io sarei stato un "cronista giudiziario". Gli ho scritto: Caro X, non credo che ti capitera' ancora di scrivere di me - o tutt'al piu' le poche righe di un necrologio. Pero' se ti toccasse la triste bisogna, vorrei proprio che tu non mi facessi ricordare come "cronista giudiziario". Non che in quella definizione ci sia qualcosa di disdicevole, tutt'altro: ma la verita' e' che mi occupai, come inviato, soltanto di qualche clamoroso processo (Carlo Dal Re, la spia di regime, vs Ernesto Rossi, la banda di via Osoppo, il mostro di Pontoglio...), ma il mio lavoro prevalente fu altro. Fui assunto come vice-capocronista, con delega per la "bianca" e ben presto mi trovai immerso (felicemente) in una lotta alla corruzione dei socialdemocratici che governavano Milano, una specie di purtroppo abortita inchiesta pre-tangentopoli: interessi personali nella mastodontica Centrale comunale del latte, tangenti sulla semaforizzazione dei grandi viali milanesi, finte cooperative di posteggiatori, abusi nella concessione di pompe di benzina, etc. Questa "cronaca", di gran lunga la migliore dei giornali milanesi, era diretta da Enrico Forni e la sua punta di lancia era Giancarlo Galli. Ben presto passai a fare l'inviato e a occuparmi di inchieste abbastanza importanti, come ricorda Giulio Giuzzi nel suo minisaggio. Ho ritrovato ne Il Paese mancato di Guido Crainz notizia di alcune di esse: sulla riforma della scuola media, sulle migrazioni interne, sul turismo italiano (e francese e svizzero), sul lavoro minorile, sulle sofisticazioni alimentari etc. Tutti temi dei quali l'altra stampa non si occupava. Uno, poi, non lo dimentichero' mai, per la sua singolarita' e la difficolta' di raccogliere dati: fu nel 1958 e riguardava la diffusione della tbc fra le vacche della Val Padana, con gravissimi pericoli per i consumatori. Vuoi ridere? Se oggi le mucche della Padania vivono "gioiosamente" (!) all'aria aperta anziche' marcire perennemente stabulate, lo devono anche a me... Quisquilie, direbbe Toto', ma tu sei uomo di troppa esattezza informativa perche' io non te le esponga. Sempre per il tuo archivio. Non ho mai detto che prima di me l'informazione religiosa sul "Giorno" non esistesse. Vero e' che era molto saltuaria, discontinua, affidata pero' a quel grande informatore religioso che fu Carlo Falconi (l'unico, fra l'altro, a prevedere che Roncalli sarebbe diventato papa). Credo che, prima dell'indizione del Concilio, il direttore Pietra avesse cercato di rendere piu' "regolare" (e forse meno puntuta) la collaborazione di Falconi. Mi mostro' una volta una lettera dell'ex gesuita in cui Falconi scriveva che non accettava di lasciarsi ingabbiare e aggiungeva, con l'audacia di certi timidi, che almeno la gabbia avrebbe dovuto avere le sbarre d'oro. Le cronache vaticane furono "coperte" allora, per un certo periodo, da Filippo Pucci; e poi arrivo' il mio momento - e il nostro indimenticabile incontro romano. 6. LIBRI. ILIDE CARMIGNANI PRESENTA "PARETI DI CRISTALLO" DI BARBARA LANATI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 gennaio 2008, colt itolo "Traduttori trasparenti dentro il labirinto del testo" e il sommario "Da Emily Dickinson a Angela Carter, un percorso di riflessione critica che si porge come una sorta di autobiografia culturale nel libro dell'americanista Barbara Lanati Pareti di cristallo, da poco uscito per Besa". Ilide Carmignani, finissima ispanista, e' docente universitaria, consulente editoriale, traduttrice. Dal sito dell'Universita' di Pisa riprendiamo la seguente scheda: "Si e' laureata all'Universita' di Pisa, perfezionandosi poi alla Brown University (USA) e all'Universita' di Siena nell'ambito della letteratura spagnola e ispanoamericana e della traduzione letteraria. A partire dal 1984 ha svolto attivita' di consulenza, editing e traduzione dallo spagnolo e dall'inglese per alcune fra le maggiori case editrici italiane: Adelphi, Anabasi, Bompiani, Bur, Fabbri, Feltrinelli, Guanda, Marco Tropea, Marietti, Longanesi, Meridiani Mondadori, Passigli, Ponte alle Grazie, Saggiatore, Salani, Serra e Riva, Utet, Zanichelli. Ha collaborato con "Linea d'ombra", "Latinoamerica", "TransLitterature", "In forma di parole", "Il gallo silvestre", "Comunicare. Letterature. Lingue", "Stilos", "L'Avvenire", ìCroceviaî, ìIn Other Wordsî, librialice.it. Fra gli autori da lei tradotti vi sono Jorge Luis Borges, Luis Cernuda, Carlos Fuentes, Almudena Grandes, Gabriel Garcia Marquez, Mayra Montero, Pablo Neruda, Octavio Paz, Arturo Perez-Reverte, Luis Sepulveda. Nel 2000, ha vinto il I Premio di Traduzione Letteraria dell'Instituto Cervantes. La traduzione del libro di Luis Cernuda, Variazioni su tema messicano (Firenze, Passigli, 2003), realizzata dai suoi allievi durante il corso 2001/2002 della Setl, ha ricevuto una menzione d'onore al Premio Monselice di Traduzione 2003. E' professoressa a contratto nel Corso di laurea specialistica in traduzione letteraria dell'Universita' di Pisa. Ha tenuto e tiene corsi e seminari di traduzione letteraria per il Master in Traduzione del Centro di Poesia Contemporanea dell'Universita' di Bologna, per la Scuola Europea di Traduzione Letteraria diretta da Magda Olivetti, per il Collegio Italiano dei Traduttori Letterari del Grinzane Cavour, per il British Centre for Literary Translation presso la University of East Anglia e la Cambridge University, per il Corso di perfezionamento in traduzione di testi letterari per l'editoria della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici 'San Pellegrino' e per il Master Redattori Editoriali dell'Universita' di Urbino. Dal 2000 e' consulente per la traduzione letteraria della Fiera del Libro di Torino, dove cura incontri e seminari con il titolo 'l'AutoreInvisibile'. Dal 2003 cura, insieme al professor Stefano Arduini, le Giornate della Traduzione Letteraria, convegno annuale presso l'Universita' di Urbino". Barbara Lanati, docente universitaria, saggista e traduttrice, insegna Letteratura americana al'Universita' di Torino, ha svolto un'intensa attivita' di critica letteraria su giornali e riviste; e' tra le piu' acute studiose italiane di Emily Dickinson, cui ha dedicato vari volumi di traduzioni e ricerche. Tra le opere di Barbara Lanati: L'avanguardia americana. Tre esperimenti: Faulkner, Stein, W. C. Williams, Einaudi, Torino 1977; Frammenti di un sogno: Hawthorne, Melville e il romanzo americano, Feltrinelli, Milano 1987; Vita di Emily Dickinson. L'alfabeto dell'estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Ottocento e dintorni: E.A. Poe, W. Whitman, H. Melville, N. Hawthorne, Celid, 2006; Pareti di cristallo, Besa, 2007] Scriveva nei primi anni Quaranta l'insigne linguista Benvenuto Terracini, costretto dalle leggi razziali a un esilio argentino, che il traduttore deve trovare la ragione espressiva della propria fatica non annullando la propria personalita' - cosa manifestamente impossibile - ma rendendola trasparente, riducendola "a una parete di cristallo che lascia vedere senza deformazioni cio' che sta dall'altra parte": un testo, una lingua, una cultura irrimediabilmente diversa. Soltanto in questo modo riuscira' a evitare che le sue simpatie, i suoi interessi spirituali, lo attraggano con decisione verso il suo autore, facendogli correre il rischio di non essere capito, o all'inverso, solo cosi' sapra' vincere un "troppo vivo sentimento di fratellanza verso i lettori", peccando d'infedelta' nei confronti dell'originale. Da allora gli studiosi hanno dimostrato non solo quanto sia problematica questa ideale trasparenza, ma anche come esista un gran numero di fattori, che vanno ben oltre la "personalita'" del traduttore, in grado di influire sulle strategie di mediazione - siano queste source oriented o target oriented, come diremmo oggi - a partire dal tipo di rapporto esistente fra le due culture coinvolte, dal genere di testo e dalla funzione che esso avra' all'interno del sistema socioculturale in cui e' destinato a collocarsi, dal prestigio dello scrittore, dalla natura del committente e, non ultimo, dal lettore cui ci si rivolge. Insomma, molta acqua e' passata sotto i ponti della traduttologia, ma l'immagine della parete di cristallo continua ancora oggi a esercitare un grande fascino, tanto da dare il titolo al raffinato volumetto sulla traduzione letteraria, di recente edito da Besa, in cui Barbara Lanati raccoglie quattro saggi dedicati a Gertrude Stein, Henry James, Angela Carter e Emily Dickinson, scrittori da lei acutamente indagati e amorevolmente restituiti in italiano nel corso degli anni (Pareti di cristallo, prefazione di Gianni Vattimo, Besa 2007, pp. 151, euro 13). Studiosa e docente di letteratura anglomericana, Barbara Lanati rivela di essere giunta un po' per caso alla traduzione letteraria, affascinata sui banchi del liceo dal rigore delle lingue classiche e poi sedotta, giovane ricercatrice appena rientrata dagli Stati Uniti, dalla stessa Emily Dickinson che Beniamino Placido le aveva proposto di tradurre per Savelli. Da allora si sono susseguiti svariati autori sulla sua scrivania di fine interprete - William Carlos Williams, la poesia americana degli anni Ottanta, Ferlinghetti, Amy Lowell, Edgar Allan Poe - in un "lungo (e periglioso) viaggio" che ha affiancato quello dell'insegnamento e della critica, ma sempre e solo nella felice sinergia di un rapporto elettivo: tranne rarissime eccezioni, dichiara Barbara Lanati, la sua etica professionale la spinge a tradurre solo scrittori che lei stessa ha suggerito o sui quali ha lavorato a lungo. Il volume, naturalmente, non vuol essere affatto un manuale, ne' fornire indicazioni pratiche, ma ci offre preziosi esempi di quel cammino verso l'opera, di quel lavoro di ricontestualizzazione letteraria e analisi testuale, che e' premessa essenziale all'esercizio della riscrittura, il tutto all'interno di un percorso di riflessione critica che si porge quasi come una sorta di autobiografia intellettuale. "Pochi giri di parole" sintetizza Barbara Lanati, "il traduttore serio deve sempre essere anche 'critico'; deve entrare cioe' nei labirinti verbali e filosofici di un testo, armato di coraggio, di umilta' e passione nel senso letterale del termine". Ed e' cosi', per esempio, che per tradurre Angela Carter, la studiosa decide di inseguirne lo sguardo: visita la Brown University, dove la scrittrice ha lavorato, percorre le strade dove lei e' andata a spasso, legge quello che la Carter ha letto, trova infine anche il modo di incontrarla, con l'obiettivo di intrecciare con l'autrice un dialogo che non sia soltanto implicito nella pagina tradotta. Il rigore con cui Barbara Lanati accosta un testo da trasporre si rispecchia nelle sue attente analisi di traduzioni altrui, in particolare nel contributo sulle due versioni italiane del Ritratto di signora di Henry James. "Ogni traduttore - si sa - e' responsabile delle proprie scelte, ma soprattutto dei propri errori" scrive, e molti traduttori tremeranno, consapevoli non solo di quanto sia facile commettere errori ma anche di come, agli occhi altrui, sia spesso impossibile distinguerli dalle scelte, specie se lo sguardo si chiude nell'orizzonte dell'originale. Come afferma Gianni Vattimo nella sua prefazione, il testo da tradurre non e' mai solo "un oggetto che sta di fronte al traduttore in una sua immobile e cristallina verita'. E' sempre un appello che chiede di essere ascoltato - certo in cio' che e' e vuole essere; ma sempre anche da orecchie storicamente determinate", le orecchie di questo o quel traduttore, lettore privilegiato che fa della sua lettura l'oggetto della lettura altrui, pur sapendo che come ogni altra forma di interpretazione, compresa la critica letteraria, la traduzione non potra' mai esaurire l'originale. Forse, come scriveva Henry James, "the whole of anything is never told". 7. RIEDIZIONI. DINO CARPANETTO, GIUSEPPE RICUPERATI: L'ITALIA DEL SETTECENTO Dino Carpanetto, Giuseppe Ricuperati, L'Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, Laterza, Roma-Bari 1986 (e Longman, London - New York 1987), "Il giornale", Milano s.d. (ma 2008), pp. X + 508, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Scritto originariamente per il pubblico inglese, questo libro e' una utile ed accurata sintesi. 8. RIEDIZIONI. FRANCIS JENNINGS: L'INVASIONE DELL'AMERICA Francis Jennings, L'invasione dell'America. Indiani, coloni e miti della conquista, Einaudi, Torino 1991, "Il giornale", Milano 2007, pp. XVIII + 416, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Invasione, appunto. Un bel saggio di etnostoriografia e di demistificazione. Un libro per "dissotterrare la storia che Parkman e soci avevano sepolto sotto il cumulo della loro ideologia: la storia dei rapporti tra europei e indiani durante il periodo cosiddetto coloniale degli Stati Uniti d'America. Dal punto di vista indiano, in realta', esso corrisponde al periodo legato all'invasione e alla penetrazione europea nella loro societa'". 9. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008 Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia 2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007, euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse. L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it 10. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008 Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di "antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 336 del 16 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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