Minime. 319



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 319 del 30 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Danilo Dolci come educatore
2. Peppe Sini: L'allarme del Prefetto di Viterbo, "L'aeroporto rischia di
portare la mafia"
3. Tiziana Guerrisi intervista Antonio Cassese
4. Angela Giuffrida: La moratoria della pena di morte e la questione
maschile
5. Nino Mairena: Un passo nella giusta direzione
6. Fulvio Papi: Un breve profilo autobiografico
7. L'Agenda dell'antimafia 2008
8. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. DANILO DOLCI COME EDUCATORE
[Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel
'43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di
Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale
(Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente
contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'.
Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di
massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del
1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica
scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento"
ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e
botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il
28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver
lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a
Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu'
povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio
al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la
denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si
impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la
costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a
Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le
disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro
intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2
febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di
disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una
strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958)
si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del
fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli
attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a
Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci
e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a
processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo
metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E'
convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non
nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di
costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro
economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che
faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento
di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per
tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno
necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni,
per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di
migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e
cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per
valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti
internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto,
frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con
numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla
distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci
evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi
al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di
effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione
capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della
complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone
"all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a
tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco
adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu'
recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra
esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica
e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge
della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30
dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo
spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel
portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita".
Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento
segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e
di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di
poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di
riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988;
La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le
opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze
1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988
(sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe
Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo
Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro
fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e
la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali
audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo
Dolci. Memoria e utopia, 2004. Tra i vari siti che contengono molti utili
materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.it,
danilo1970.interfree.it, www.danilodolci.toscana.it, www.cesie.org,
www.nonviolenti.org]

Dieci anni sono passati dalla scomparsa di Danilo.
E non passa giorno che dalle sue esperienze io non impari ancora.

2. EDITORIALE: PEPPE SINI: L'ALLARME DEL PREFETTO DI VITERBO, "L'AEROPORTO
RISCHIA DI PORTARE LA MAFIA"

"L'aeroporto rischia di portare la mafia", con questo titolo in prima pagina
un quotidiano locale, "La voce di Viterbo", sintetizza un passaggio cruciale
della conferenza stampa di fine anno tenuta il 28 dicembre 2007 dal Prefetto
di Viterbo Alessandro Giacchetti.
Ed e' allarme fondato.
*
Il viterbese gia' in passato ha subito gravissime vicende di penetrazione da
parte dei poteri criminali organizzati, e tali vicende di penetrazione
mafiosa sono state sovente collegate agli appalti pubblici e alle grandi
opere.
In anni lontani chi scrive queste righe (che fu presidente della Commissione
d'inchiesta sulla penetrazione dei poteri criminali promossa
dall'Amministrazione Provinciale di Viterbo)denuncio' e documento' varie
gravissime vicende di penetrazione mafiosa nell'Alto Lazio, ed elaboro'
altresi' un modello interpretativo che vedeva nell'intreccio tra modello di
sviluppo di servitu' (le servitu' energetiche e militari, le servitu'
speculative, l'uso del territorio viterbese come discarica  e colonia) e
regime della corruzione (un ceto politico, amministrativo ed affaristico
degradato, condizionato da poteri occulti e sussunto a dinamiche fortemente
corruttive, criminali e criminogene) i prerequisiti che favorivano la
penetrazione dei poteri criminali nell'Alto Lazio.
*
L'allarme lanciato ora dal Prefetto di Viterbo conferma la correttezza di
quelle analisi ed esplicita autorevolmente le attuali preoccupazioni di
tanti osservatori, analisi e preoccupazioni sulle quali peraltro verteva la
relazione sul tema "Modello di sviluppo di servitu', intreccio
politico-affaristico, penetrazione dei poteri criminali, devastazione
ambientale nell'Alto Lazio: una ricostruzione storica, un modello di
analisi, alcune proposte di intervento" che il sottoscritto ha presentato al
recente convegno svoltosi il 4 dicembre 2007 a Viterbo su "Le emergenze
ambientali e sanitarie nell'Alto Lazio. La situazione attuale, le azioni da
proseguire, le iniziative da intraprendere", terzo dei convegni di
approfondimento scientifico promossi dal Comitato che si oppone al terzo
polo aeroportuale del Lazio e s'impegna per la riduzione del trasporto
aereo.
*
La realizzazione a Viterbo di un mega-aeroporto per voli low cost del
turismo "mordi e fuggi" per Roma danneggia la salute e il benessere dei
cittadini viterbesi, devasta fondamentali beni ambientali e culturali,
danneggia le autentiche vocazioni produttive del territorio.
L'opera e' interna a quel modello di sviluppo di servitu' che favorisce il
degrado civile e il disastro economico ed ecologico.
L'opera implica un colossale sperpero di pubbliche risorse e un danno
immenso alla citta', al territorio, alla popolazione, al pubblico erario (e
contribuisce a danneggiare l'umanita' intera aumentando l'effetto serra
responsabile del disastro climatico che sta provocando il collasso della
biosfera).
L'opera non solo dunque costituisce un enorme danno certo per il territorio
e la popolazione; ma rappresenta altresi' un ancor maggiore pericolo per la
sicurezza dei cittadini, per la civile convivenza, per la qualita' della
vita di tutti.
L'opera, infine, e' priva delle verifiche e quindi dei requisiti stabiliti
dalla legislazione in materia di protezione dell'ambiente e della salute.
L'allarme lanciato dal Prefetto di Viterbo si aggiunge a questo quadro
esplicitando un ulteriore inquietante elemento, e ne conferma e ne illumina
ulteriormente la pericolosita' e la drammaticita'.
*
Contrastare i poteri criminali e' possibile solo difendendo la legalita', la
democrazia, i diritti dei cittadini, promuovendo la coscientizzazione e la
responsabilizzazione, avendo cura dei beni comuni e del pubblico bene.
Opporsi alla realizzazione del mega-aeroporto a Viterbo e' un dovere
fondamentale per difendere la democrazia e la legalita', la salute, la
sicurezza e i diritti di tutti i cittadini, l'ambiente, la cultura, la
storia e il futuro di Viterbo.
Opporsi alla realizzazione del mega-aeroporto a Viterbo e' il compito
dell'ora per ogni persona di volonta' buona e per ogni istituzione
democratica.

3. RIFLESSIONE. TIZIANA GUERRISI INTERVISTA ANTONIO CASSESE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 dicembre 2007, col titolo "C'e' vita
sulla terra. Un voto che pesa, specie per Usa e Cina. Intervista a Sabino
Cassese, esperto di diritto internazionale: per i mantenitori sara'
difficile non rivedere le loro posizioni".
Tiziana Guerrisi, giornalista, e' collaboratrice dell'associazione
indipendente di giornalisti "Lettera 22".
Antonio Cassese, docente universitario, esperto di diritti umani, membro di
autorevoli istituzioni giuridiche internazionali; e' professore di Diritto
internazionale alla Facolta' di Scienze politiche dell'Universita' di
Firenze; e' stato Visiting fellow all'All Souls College, Oxford (1979-1980);
professore all'Istituto Universitario Europeo (1987-1993). Membro
dell'Institut de Droit International. Doctor iuris honoris causa,
Universita' Erasmus a Rotterdam (1998), Parigi-X (1999), Ginevra (2000). E'
stato presidente del Comitato del Consiglio díEuropa per la prevenzione
della tortura e poi primo presidente del Tribunale penale internazionale per
l'ex Jugoslavia, nel quale ha operato come giudice fino al 2000. Nel
2001-2002 ha tenuto a Parigi la Chaire internationale de recherche B.
Pascal. Nel 2002 ha ottenuto il premio della Academie Universelle des
Cultures presieduta da Elie Wiesel, "per il carattere eccezionale del suo
contributo alla protezione dei diritti umani in Europa e nel mondo". Nel
2004 e' stato nominato da Kofi Annan presidente della Commissione
internazionale di inchiesta dell'Onu sui crimini nel Darfur. Nel gennaio
2005 la Commissione ha presentato le proprie conclusioni al Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, ottenendo che il Consiglio deferisse i
crimini nel Darfur alla Corte Penale Internazionale. E' autore di numerose
pubblicazioni nel settore del diritto internazionale pubblico. Membro del
Comitato di direzione dell'"European Journal of International Law". Editor
in Chief di "The Journal of International Criminal Justice". Ha scritto per
"Il Messaggero" e "La Stampa"; attualmente collabora con "La Repubblica".
Tra le opere di Antonio Cassese: Violenza e diritto nell'era nucleare,
Laterza, Roma-Bari 1986; I diritti umani nell'era nucleare, Laterza,
Roma-Bari 1988; Umano-Disumano, Laterza, Roma-Bari 1994; I diritti umani nel
mondo contemporaneo, Laterza, Roma-Bari 1994; International Criminal Law,
Oxford University Press, Oxford 2003; International Law, Oxford University
Press, Oxford 2004; I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari 2007]

La moratoria Onu sulla pena di morte apre la strada a nuovi scenari
internazionali? "Al di la' delle differenze nazionali - sostiene Antonio
Cassese, esperto di diritto internazionale e gia' presidente del tribunale
internazionale contro i crimini nella ex Jugoslavia - il successo di ieri ha
un peso concreto, e per i paesi mantenitori sara' difficile non rivedere,
almeno in parte, le proprie posizioni".
*
- Tiziana Guerrisi: Dopo il voto alle Nazioni Unite cosa succedera' in Cina
nei prossimi mesi? Pechino sara' costretta a rivedere la sua politica?
- Antonio Cassese: Si puo' ipotizzare che la Cina decida di proseguire nella
direzione segnalata a settembre dalla direttiva della Corte suprema
nazionale, ovvero verso la diminuzione del numero dei condannati e della
tipologia di reati che prevedono la pena capitale. Possiamo quindi augurarci
che Pechino esenti progressivamente dalla condanna a morte almeno alcuni
gruppi di persone, come i minori. Su un piano diverso Pechino potrebbe anche
decidere di aumentare le garanzie di equita' all'interno dei processi.
Questo voto, inoltre, rappresenta una svolta storica perche' dovrebbe
mettere fine al lungo silenzio delle istituzioni sulle esecuzioni: il
governo cinese, infatti, d'ora in poi sara' chiamato ogni anno a comunicarne
il numero al segretario delle Nazioni Unite. E' difficile pensare che, dopo
il si' alla moratoria, Pechino rifiuti del tutto di rilasciare informazioni,
e anche se malvolentieri sara' costretto a un compromesso. A quel punto
l'Assemblea e l'opinione pubblica internazionale avrebbero accesso a
statistiche ufficiali che, per quanto incomplete, rappresenterebbero un dato
non piu' ritrattabile. Non resta che da aspettare e vedere su quali aspetti
Pechino si dimostrera' piu' conciliante.
*
- Tiziana Guerrisi: Negli ultimi due giorni quattro persone sono state
giustiziate in Iran: la posizione di Teheran sembra addirittura piu'
irremovibile di quella di Pechino. Ci sono margini per un'inversione di
tendenza?
- Antonio Cassese: Al momento non c'e' da farsi troppe illusioni.
L'atteggiamento della Repubblica islamica ha radici molto diverse da quelle
di Pechino, e la principale differenza sta proprio nelle motivazioni che
sottendono l'uso della pena capitale. In Iran sono fondamentalmente
ideologiche, mentre la Cina considera la pena di morte niente altro che uno
strumento funzionale al mantenimento dell'ordine pubblico. In un contesto
come quello iraniano, insomma, l'ipotesi di un cambiamento e' destinata a
incontrare maggiori resistenze.
*
- Tiziana Guerrisi: Negli Stati Uniti l'opinione pubblica sembra sempre piu'
sensibile al dibattito sulla pena di morte, e nei giorni scorsi lo Stato del
New Jersey ha addirittura deciso per l'abolizione. E' il segnale di un
cambiamento anche oltreoceano?
- Antonio Cassese: La storica decisione dell'Onu avra' necessariamente
conseguenze concrete anche negli Usa, dove l'opinione pubblica nazionale del
resto e' sempre piu' divisa. C'e' da aspettarsi che dalla decisione delle
Nazioni Unite gli abolizionisti traggano forza per alzare il livello di
attenzione sul tema, elemento che alla lunga potrebbe rafforzare il fronte
pro-abolizione.
*
- Tiziana Guerrisi: Crede che il dibattito possa sconfinare nella campagna
elettorale per il nuovo presidente?
- Antonio Cassese: No. Difficilmente repubblicani e democratici potrebbero
decidere di assumersi questa responsabilita', la posta in gioco e' troppo
alta. Sanno bene che inserire il tema nell'agenda politica dei prossimi mesi
si rivelerebbe un'arma a doppio taglio, soprattutto a campagna elettorale
gia' iniziata.
*
- Tiziana Guerrisi: Che peso avra' il voto di ieri su quei paesi mantenitori
che non appartengono allo zoccolo duro del no?
- Antonio Cassese: E' proprio su quei paesi che nei prossimi mesi si
giochera' una partita importante. Una presa di posizione cosi' forte delle
Nazioni Unite non puo' non intaccare almeno in parte vecchi equilibri, e
spingera' molti stati a rivedere le proprie normative. Non e' da escludere,
insomma, che sia gia' iniziato un processo di erosione del fronte del no,
che riunisce paesi del resto con motivazioni molto diverse. Un'inversione di
tendenza, se non verso l'abolizione, almeno verso la sospensione di fatto
delle esecuzioni, in linea con il trend degli ultimi anni. Ma sara' anche
possibile assistere a cambiamenti, meno plateali ma importanti, verso
maggiori garanzie durante i processi.

4. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: LA MORATORIA DELLA PENA DI MORTE E LA
QUESTIONE MASCHILE
[Ringraziamo Angela Giufrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per averci
messo a disposizione questo suo intervento.
Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue
pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]

Non mi unisco al coro che saluta la moratoria della pena di morte [moratoria
deliberata a maggioranza dall'Assemblea generale dell'Onu - ndr] come un
passo decisivo nell'evoluzione civile dell'umanita', non solo perche' si
tratta di un atto puramente simbolico - e ormai non possiamo piu'
accontentarci di semplici "segnali" - ma anche e soprattutto per l'estrema
parzialita' che ne annulla la portata anche a livello di mero simbolismo. La
guerra, infatti, resta fuori dalla moratoria, cosi' come le altre forme di
sopraffazione che costituiscono gli elementi strutturali delle
organizzazioni sociali patricentriche e determinano di fatto la morte di
milioni di esseri umani ogni giorno.
Secondo me non ha alcun senso chiedere il rispetto della vita di persone che
si presumono colpevoli di crimini efferati (anche se sappiamo che spesso non
e' cosi'), permettendo nel contempo che un numero incalcolabile di innocenti
venga falcidiato dalla guerra e da un sistema economico aventi l'una e
l'altro il solo scopo di assicurare il potere ad individui che si sentono
deboli ed impotenti. Che dire poi del femminicidio e dell'infinita serie di
lutti che gli uomini procurano a se' e agli altri, persino nei momenti
ludici?
Io credo che la specie fara' un reale passo in avanti quando comincera' a
scorgere nel tenace disprezzo della vita da parte di viventi, quali gli
uomini sono, il segno di un serio problema cognitivo. Quando un uomo uccide
la compagna pronunciando la fatidica frase "o mia o di nessuno", non sta
forse manifestando l'incapacita' di distinguere una persona da una cosa,
dato che solo su un oggetto posseduto a vario titolo si puo' vantare il
diritto di proprieta'? Non evidenziano forse la stessa difficolta' gli
uomini di stato che scatenano guerre mettendo sullo stesso piano territori,
materie prime, ricchezza, potere e vite umane che hanno un ben diverso peso
specifico?
La vita non e' un bene che si puo' barattare, perche' e' solo il suo
possesso che permette qualsiasi esperienza. Cio' vale anche per gli uomini
che possono inseguire il potere in quanto viventi; l'oblio della vita rivela
percio' una falla rilevante nella loro percezione della realta'. Non c'e'
ragione che possa giustificare le infinite sofferenze e i lutti che essi
provocano, tranne il fatto che scambiano le persone per cose ed hanno la
puerile e irrazionale convinzione che il mondo esiste solo per compensare la
loro debolezza.

5. RIFLESSIONE. NINO MAIRENA: UN PASSO NELLA GIUSTA DIREZIONE
[Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento del nostro buon amico
Giovanni Mairena]

La deliberazione dell'assemblea generale delle Nazioni Unite per la
moratoria delle esecuzioni capitali e' un atto politico rilevante. Che va
nella direzione dell'inveramento del fondamento stesso della Dichiarazione
universale dei diritti umani del 1948.
Certo, ora si tratta di valorizzare questo pronunciamento in due direzioni.
In primo luogo con l'azione affinche' la moratoria universale passi
dall'ambito dei desiderata a quello degli impegni concreti e cogenti: e la
comunita' internazionale dispone degli strumenti per rendere conveniente per
qualunque stato fermare la mano del boia - attraverso una strategia di
incentivi positivi nelle relazioni internazionali, nella cooperazione e
negli aiuti; e mentre le istituzioni sovranazionali e gli stati possono
agire in tal senso, occorre che anche dal basso prosegua e si estenda
l'impegno abolizionista - giacche' anche la moratoria e' ancora solo un
passaggio verso la meta dell'abolizione universale delle esecuzioni
capitali.
In secondo luogo, e decisivamente, con l'azione affinche' l'affermazione del
principio della illiceita' della soppressione delle umane vite si estenda
dall'ambito giurisdizionale del sistema penale interno agli stati all'ambito
delle relazioni internazionali, ovvero in direzione della eliminazione della
guerra dal novero degli strumenti di regolazione delle controversie
internazionali. Il voto dell'assemblea generale delle Nazioni Unite
contrario alla pretesa statuale di attribuirsi il potere di irrogare la
morte ad personam, puo' ipso facto contribuire alla lotta per far cadere la
pretesa degli stati di irrogare la morte in forma massiva ed
extragiudiziale. La lotta per abolire la pena di morte si connette pertanto
alla lotta per abolire la guerra; e nella lotta per abolire la guerra e' imp
licata la necessita' di abolire gli strumenti ad essa efficienti: gli
eserciti, le armi. Il pronunciamento dell'Onu va valorizzato anche in questa
prospettiva.
Naturalmente restano aperti tanti altri problemi, contraddizioni e
conflitti, restano tante altre oppressioni e violenze - ed anche contro esse
la lotta deve continuare; ma quel voto - con tutti i suoi limiti - e' un
passo nella giusta direzione, la direzione dell'affermazione del principio
che a nessun essere umano deve essere tolta la vita, che uccidere non e'
lecito mai.

6. PROFILI. FULVIO PAPI: UN BREVE PROFILO AUTOBIOGRAFICO
[Dal sito della rivista di filosofia "Oltrecorrente" (www.oltrecorrente.it).
Fulvio Papi, nato a Trieste, vive a Milano e a Stresa; filosofo, docente
universitario, saggista autore di molte pubblicazioni; figura filosofica
originale che ha ereditato e svolto, in una libera interpretazione, il
patrimonio culturale e teorico della "scuola di Milano", ha tenuto per
decenni la cattedra di Filosofia teoretica, ed ha attraversato le varie
direzioni della filosofia contemporanea: neokantismo, fenomenologia,
marxismo, neopositivismo, ontologia, decostruzionismo; il suo recente
scritto Sull'ontologia (2005) offre una sintesi del suo pensiero filosofico]

Quando nell'autunno del 1949 mi iscrissi alla Facolta' di Lettere a Milano
non avrei mai supposto di avere in futuro un piccolo destino di filosofo. Il
mio modello era Vittorio Sereni, poeta gia' celebre, professore di italiano
nel mio liceo, presente nella vita culturale della citta', se pure con un
certo naturale riserbo. Inoltre avevo avuto un'insegnante di italiano
allieva di Errante e Borgese, amica del cuore della poetessa Antonia Pozzi,
che mi aveva trasmesso un gusto neoromantico della letteratura che, del
resto, rispecchiava i miei gusti e le mie immaginarie attitudini.
All'Universita' trovai molta filologia che riduceva di molto il pathos e, al
contrario, richiedeva molta disciplina. Ero gia' fuori posto. La presenza di
Antonio Banfi, il fascino delle sue lezioni, la visione comune negli
ambienti che frequentavo intorno allo stretto rapporto tra politica (l'altra
passione accanto alla letteratura) e filosofia, decisero il mio passaggio
agli studi filosofici. Allora il mio (come quello di altri) problema divenne
quello di un'interpretazione marxista che sfuggisse all'intollerabile
dogmatismo del Dia-Mat sovietico. Una prospettiva insopportabile per chi
viveva nella cultura kantiana e neohegeliana mitteleuropea e nel contempo
immaginasse che da una corretta filosofia potesse discendere una corretta
linea politica. Questo secondo tema derivava certamente da una emozionata e
affrettata lettura di Gramsci. Questa prospettiva cresceva come una visione
del marxismo come autocoscienza storica e non come sapere positivo,
un'autocoscienza che ha una sua temporalita' che condiziona il suo stesso
campo d'azione. Un'autocoscienza come kairos. Questa visione critica del
marxismo consentiva una comprensione aperta delle dinamiche plurali della
cultura non sottoposte alle forche caudine del rapporto
struttura-sovrastruttura. Avrei potuto anticipare la famosa frase di Sartre
secondo cui Flaubert era certamente un borghese, ma non tutti i borghesi
sono Flaubert. Questa, in rapida sintesi, la prospettiva di uno storicismo
critico che mi trovavo ad ereditare dall'interpretazione di Banfi e in
genere dal clima della "scuola di Milano". Non esistono ne' leggi ne'
destini storici, vi sono situazioni storiche e il presente e' dominato dalla
dialettica storica tra il capitale e il lavoro. E' questa dialettica
oggettiva che apre la possibilita' di essere soggetto che, in quanto
autocoscienza, e' anche soggetto politico. Una buona interpretazione
filosofica puo' dire quale sia il percorso politicamente corretto. Si
capisce che vi era una certa sopravvalutazione del senso della competizione
culturale. Anche qui giocava il senso della "egemonia" teorizzata da
Gramsci.
*
Desidererei aggiungere che non ho vissuto in quegli anni questo spazio
intellettuale come una pura possibilita' di pensiero o, in piccolo, un
accesso universitario. Quello era il contesto, il lessico, con il quale
parlavo la mia partecipazione politica diretta. In questo clima l'avversario
era il dogmatismo marxista, l'alleato prossimo l'esperienza di Sartre (meno
Merleau-Ponty), il che fece si' che negli anni successivi, quando ebbe il
suo trionfo una ricca rinascita husserliana ad opera di Enzo Paci, la
declinazione fenomenologica del marxismo non ebbe per me una particolare
risonanza, certo minore rispetto a quel rapporto Marx-Dewey che, attraverso
Giulio Preti, mi aveva colpito all'inizio degli anni Cinquanta, e contro cui
si scaglio', in particolare, un allora poliziesco custode della ortodossia.
La fenomenologia, per quanto mi riguardava, valeva soprattutto per la sua
straordinaria capacita' descrittiva piuttosto che per i temi
dell'originario, del fondante, del precategoriale. Il mio libro monografico
su Banfi e la filosofia contemporanea riassumeva queste esperienze, in una
interpretazione non proprio scorretta, ma che, negli anni successivi, mi
trovai a rettificare.
Nel mentre declinava la mia esperienza politica diretta, nel mio piano di
lavoro filosofico si incontravano due matrici. L'una, una quasi inevitabile
conversione della filosofia in lavoro di storia della filosofia per chi,
avendo quella vicenda culturale alle spalle, si dedicasse completamente allo
studio e alla ricerca. Non ho alcun dubbio che l'aggettivo che ho usato in
questo testo, "inevitabile", mostri una netta carenza, al tempo, di una
nuova riflessione teorica. La seconda matrice era un rilevante interesse per
le "scienze umane", in particolare per l'antropologia culturale e sociale e
per la psicoanalisi. Il tema dell'antropologia come problema della
conoscenza dell'altro che nasce da un rimorso diventava per me molto
importante. Non avevo tanto problemi di metodo relativi a questi saperi, il
problema sara' se mai successivo, quanto una domanda: la "nostra civilta'"
come si era pensata nel luogo proprio del pensiero, la filosofia? Fu
attraverso questa prospettiva che interrogai due classici del pensiero.
Inutile qui riassumere quei risultati: la ricerca bruniana mi pare ebbe
buoni echi in quel campo di studi anche quando il mio viaggio volgeva verso
altre mete. Il tema della follia in Kant fu probabilmente un'anticipazione.
Dal punto di vista di quella che piu' o meno chiaramente e' sempre
un'autoriflessione, mi parve chiaro che il mio lavoro univa una mimesi
scientifica nella ricerca storica alla domanda intorno al valore e al senso
della ricerca medesima. Senza un buon controllo teoretico mi trovavo in una
classica dimensione weberiana. Mi trovavo dunque in una decorosa dimensione
della filosofia della istituzione. La coincidenza dei miei primissimi anni
tra filosofia e politica, tra concezione della storicita', coscienza e
azione, si era tramutata nel rapporto tra un interesse filosofico (quali
sono le radici culturali, morali, religiose, emotive della nostra forma di
civilta'?) e la sua rappresentazione, nella forma del sapere storico (avevo
alle spalle il Warburg, le "Annales", il "Journal of History of Ideas" e, in
genere, alcuni ottimi livelli della storiografia filosofica italiana). La
ripresa del discorso teoretico avvenne quasi contemporaneamente in due
direzioni: la problematica morale della filosofia analitica anglosassone
(Stevenson, Hare) e la revisione del significato teorico dell'opera
marxiana. La prima esperienza fu importante perche' la ricerca del
significato apriva ancora di piu' l'ormai acquisita capacita' di
problematizzazione dei discorsi chiusi. Ma fu la frequentazione di
Althusser, il primo Althusser, che mise in crisi in modo definitivo le
radici umanistiche e, inconsciamente, idealistiche, della mia esperienza
filosofica. Il giovane Marx non era piu' una risorsa filosofica da declinare
prima con Dewey, poi con il Lukacs di Storia e coscienza di classe, infine
con una riscoperta fenomenologica del soggetto: era solo una ripresa
filosofica dei temi di Feuerbach. Detta oggi questa riflessione puo'
apparire una banalita'. Allora, alla meta' degli anni Sessanta, fu una
lettura che non consentiva alcun ritorno. Cio' che contava per Marx era
l'analisi teorica del Capitale intorno al modo di produzione capitalistico.
Completavo cosi': il mondo moderno si presentava gia' nella forma di una sua
crisi come critica dell'economia politica. Ma quello che maggiormente
contava in prospettiva non era un cambio di orizzonte in una scena marxista:
non ho mai condiviso il rapporto scienza-filosofia e scienza-politica in
Althusser. Contava invece l'ingresso in una nuova dimensione di pensiero
dove trovavo i temi delle formazioni discorsive di Foucault, la critica di
Derrida al rapporto saussuriano e husserliano tra significante e
significato, l'inconscio lacaniano come linguaggio. Questa "immersione" nel
post-strutturalismo francese richiedeva una ripresa della conoscenza di
Nietzsche e di Heidegger molto piu' approfondita rispetto alle immagini che
ne avevo, l'uno come "critico della cultura", l'altro come magistrale autore
dell'analitica esistenziale.
*
Furono anni di lavoro molto intenso, poiche' la mia educazione all'apertura
alle esperienze filosofiche e il rifiuto implicito a chiudere la riflessione
in qualche privilegiata esegesi di cui poi si perdeva il senso, mi imponeva
attenzione a varie dimensioni del sapere filosofico, nei limiti sempre di
una riflessione e non di una conoscenza di tipo specialistico. Nella prima
meta' degli anni Settanta, nel clima della "contestazione", mi parve che un
luogo centrale dell'interpretazione della congiuntura fosse dato dalla
problematica della educazione nel senso piu' ampio del termine. A questo
tema dedicai una ricerca teorica che doveva qualcosa ai francofortesi e alla
cosiddetta "sinistra freudiana", contraddicendone tuttavia gli eccessi
irrazionalistici. Da quella esperienza nacque il concetto di "educazione
spontanea" adatto per interpretare un poco paradossalmente sia le societa'
"primitive" che le societa' in cui la comunicazione avviene con un alto
contenuto tecnologico. Da Milano, inoltre, partiva una ricca diffusione dei
temi della filosofia della scienza. In questa prospettiva si riapriva il
problema della razionalita' che nella prima esperienza del neopositivismo mi
lasciava in sospetto per quello che mi pareva (forse un po'
semplicisticamente) una generale riduzione metodica al modello razionale
della scienza piu' avanzata, la fisica. In particolare, la metodica
neopositivista per la storia e per la psicoanalisi mi lasciava piu' che
dubitoso sui suoi risultati nell'orizzonte della cultura. La nuova filosofia
della scienza creava invece la possibilita' di nuovi incontri. Il mio
neokantismo d'origine, interpretato nella concezione pluralistica delle
pratiche razionali di Cassirer (luogo in cui, dopo uno straordinario cammino
teoretico, terminava Giulio Preti) trovava facile sbocco nell'abbandono di
qualsiasi modellistica astratta della razionalita' scientifica per
privilegiare gli autori che indagavano storicamente ed epistemologicamente
gli eventi storici della scienza. E, nella teoria, mostravano come "il
reale" fosse una costruzione pluralistica di forme di realta' che gli
apparati della ricerca o dell'impresa scientifica mettono in luce.
Ovviamente Lakatos, Kuhn, Feyerabend furono gli autori di allora, anche se
l'eccesso anarchico di Feyerabend mi pareva un poco "dada" e, invece, mi
rimproveravo di non aver studiato in modo piu' approfondito i lavori di
Quine. Dal punto di vista epistemologico si riapriva in un contesto piu'
vasto il tema classico delle condizioni di possibilita' di un sapere, e
quindi delle sue condizioni di legittimazione: un approccio teorico a quelli
che si erano manifestati come orizzonti culturali pieni di interesse:
l'antropologia e la psicoanalisi. Ripresi in quegli anni anche gli studi
estetici che con Banfi, Dino Formaggio e Luciano Anceschi e la
frequentazione dell'ambiente artistico di "Corrente" avevano sempre
rappresentato una grande ragione di impegno intellettuale. Il problema era
ora l'uso adeguato (non dogmatico, formalistico o ideologico) dei nuovi
strumenti analitici di ricerca intorno alle varie forme di testualita' che
la semiotica metteva a disposizione. In questa direzione furono gli studi di
Cesare Segre a chiarirmi la strada. E, tuttavia, se riguardo i miei scritti
sulla poesia e sulla letteratura, mi appare chiaro che su un'antica radice
diltheyana e simmeliana fioriva una propensione spontaneamente ermeneutica,
soltanto raramente supportata dalle nuove possibilita' di analisi testuale.
Siamo nel periodo tra gli anni Settanta e Ottanta quando con i miei allievi
di allora pubblicai la rivista "Materiali filosofici" che dedicava ogni
numero a un determinato orizzonte di ricerca (l'antropologia, la
linguistica, il romanzo. l'epistemologia dell'invenzione, la politica). Il
sottotitolo della rivista recava: "Studi di analisi teorica e culturale". La
parola "analisi" mostra bene quale era la linea teorica prevalente, ma anche
il limite teoretico di questa posizione, che risentiva ancora gli echi di
una lontana "filosofia della cultura".
*
Con il terminare degli anni Ottanta presi definitivo congedo dalla
esperienza compiuta e, nel clima prevalente intorno al "compimento della
filosofia", mi posi il problema di quale potesse essere, nel quadro
effettivo e complesso della comunicazione contemporanea, il fare proprio
della filosofia, la sua relazione con le modalita' di apparizione del mondo,
la sua possibilita' di realizzazione attraverso le risorse della scrittura.
La finalita' teorica di questo tentativo di dare un compito alla filosofia,
era di condurre alla visibilita' quelle relazioni di senso che la
quotidianita', o altre forme di sapere, impediscono di vedere. Il fare
filosofico diveniva un lavoro sul linguaggio. Per dire in modo complicato:
attraverso la produzione di effetti di significato, la filosofia diveniva
un'esplorazione dell'essere nella sua contingente temporalita'. La filosofia
si dava il compito di mostrare, di far vedere quelle relazioni che tendono a
sfumare nell'invisibile. E' ovvio dire che questa prospettiva apparteneva
alla "svolta linguistica", dove probabilmente, per quanto riguardava il mio
cammino, agiva una contaminazione tra costruttivismo e fenomenologia. Non si
trattava di far apparire con lo strumento dell'astrazione filosofica il
"mondo della vita", ma di comporre con la pratica della scrittura e con la
pluralita' delle sue risorse, la visibilita' di sensi e di eventi che
percorrono la nostra contingenza. L'essere come linguaggio si trasformava in
scrittura che esplora spazi dell'essere, tentando di conseguire un effetto
di verosimiglianza.
*
In questa prospettiva, ma con le necessarie "aperture" alla ricerca teorica
e agli interessi culturali degli amici, degli allievi e dei collaboratori,
fondai una nuova rivista filosofica, "Oltrecorrente". Qui naturalmente posso
solo descrivere la superficie di questa direzione filosofica che si trovava
in una posizione lontana da ogni forma di positivismo filosofico come di
nichilismo filosofico. Credo sia esatto quanto e' stato osservato in alcuni
studi sulla mia strada filosofica: la mia concezione propria di una
adolescenza filosofica, secondo cui la filosofia doveva accadere nel mondo
per trasformarlo a sua somiglianza, si era trasferita, in un lungo percorso,
in un fare, che e' il lavoro stesso della filosofia, la sua forma di verita'
e il suo limite, l'irriducibile temporalita' dei suoi significati e il suo
continuo tentativo di far apparire l'esperienza in una trama simbolica non
riducibile alle forme del fare scientifico e di quello poetico. Forse
un'apertura dentro la quale ricominciare, ma illic mea carpitur aetas.

7. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008
Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia
2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007,
euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro
Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse.
L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel.
0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it

8. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008
Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di
riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla
nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di
"antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente
rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo.
Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it
Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti
progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 319 del 30 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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