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Minime. 277
- Subject: Minime. 277
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 18 Nov 2007 00:41:40 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 277 del 18 novembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 0. Una comunicazione di servizio 1. Hannah Arendt: Della dignita' 2. Una lettera aperta all'assessore all'ambiente della Provincia di Viterbo 3. Renato Novelli: L'arpa birmana 4. Antonio Caponi: L'Iraq e' l'inferno in terra 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 0. UNA COMUNICAZIONE DI SERVIZIO Per problemi tecnici, che non e' in nostro potere tempestivamente risolvere, invitiamo chi ci scrive ad utilizzare in questi giorni l'indirizzo centropacevt at gmail.com poiche' la corrispondenza inviataci al nostro consueto indirizzo nbawac at tin.it non ci perviene che a tratti, e la quasi totalita' delle e-mail vanno quindi perse. 1. MAESTRE. HANNAH ARENDT: DELLA DIGNITA' [Da Hannah Arendt, Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004, p. 40 (e' la chiusa di uno scritto del 1964, "La responsabilita' personale sotto la dittatura"). Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo líanno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dellíedizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentissimi Diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] In tal senso la domanda da rivolgere a quanti parteciparono e obbedirono agli ordini non e' tanto "Perche' hai obbedito?", quanto "Perche' hai dato il tuo sostegno?". L'importanza di questa piccola sfumatura semantica non sfuggira' a coloro che conoscono lo strano e potente influsso che semplici "parole" possono esercitare sulla mente degli uomini - uomini che sono sempre in primo luogo animali parlanti. Ne trarremmo tutti un gran profitto se riuscissimo a eliminare per sempre il dannoso termine "obbedienza" dal nostro vocabolario politico e morale. Se riuscissimo a farlo, potremmo forse riacquistare un po' di fiducia in noi stessi e magari pure un po' d'orgoglio. Potremmo insomma riacquistare in parte cio' che un tempo chiamavamo la nostra dignita' di esseri umani - che non e' magari dignita' del genere umano nel suo insieme, ma e' comunque dignita' dell'essere umano. 2. DOCUMENTI. UNA LETTERA APERTA ALL'ASSESSORE ALL'AMBIENTE DELLA PROVINCIA DI VITERBO [Riportiamo la lettera aperta all'assessore all'ambiente della Provincia di Viterbo diffusa il 17 novembre dal comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo] Egregio assessore all'ambiente della Provincia di Viterbo, lei certo non ignora che tanta parte del territorio viterbese e' gia' gravata da un pesante inquinamento atmosferico, conseguente alle emissioni del polo energetico Civitavecchia-Montalto. E lei non ignora neppure che la realizzazione a Viterbo di un mega-aeroporto per voli low cost oltre ad una serie di altre conseguenze nefaste avrebbe anche quella di recare un nuovo pesantissimo carico di inquinamento atmosferico, quindi di avvelenamento dei cittadini, di ulteriore degrado ambientale, di ulteriore aggravamento della situazione sanitaria. Al danno alla salute dei cittadini causato dall'inquinamento atmosferico si aggiunge quello causato dall'inquinamento acustico, che in alcune zone di Viterbo sara' tremendo. Ai danni citati si aggiunge poi quello della devastazione dell'aerea termale del Bulicame: un'area che costituisce uno straordinario bene naturalistico, storico-culturale, sociale e terapeutico, economico e finanche simbolico, di estrema importanza per Viterbo e per i viterbesi. Infine lei sa anche che l'incremento del trasporto aereo implica l'incremento dell'effetto serra (cui il trasporto aereo contribuisce in ingente misura), ovvero l'aumento di quel disastro climatico che e' oggi la principale emergenza planetaria. Ne' c'e' bisogno di aggiungere che la realizzazione di un devastante e nocivo mega-aeroporto significhera' lo sperpero di enormi risorse finanziarie pubbliche, a vantaggio di pochi spregiudicati affaristi e a danno di tutti i cittadini. Lei sa tutto cio', ne' puo' fingere di non saperlo. Sapendolo, quale e' il suo dovere di assessore all'ambiente della Provincia di Viterbo? Difendere l'ambiente e quindi la salute e i diritti dei cittadini; o consentire che si devasti l'ambiente e si danneggi la salute dei cittadini? Noi crediamo che lei sappia riconoscere la differenza tra il bene e il male, tra il giusto e l'ingiusto, tra il lecito e l'illecito. La preghiamo quindi di assumersi le sue responsabilita', e di esprimere finalmente un impegno forte e chiaro in difesa dell'ambiente, della salute e dei diritti dei cittadini, del pubblico bene. La preghiamo di opporsi ad un'opera distruttiva, nociva, speculativa come il dissennato progetto del mega-aeroporto per voli low cost. Distinti saluti, Il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti Viterbo, 17 novembre 2007 3. RIFLESSIONE. RENATO NOVELLI: L'ARPA BIRMANA [Dal mensile "Lo straniero", n. 89 del novembre 2007 (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net). Renato Novelli e' docente universitario di sociologia dei processi economici e del lavoro, ed autore di molte ricerche e pubblicazioni] Chissa' se le tre generazioni di generali, succedutesi alla guida della Birmania, dal colpo di stato del 1962 a oggi, saranno un giorno oggetto di studi storico-antropologici. Lo meriterebbero, per la singolare capacita' di coniugare il dominio piu' odioso con le continue e provocatorie promesse di ritorno alla normalita'. Meritiamo anche noi, milioni di democratici del mondo presente, di essere ricordati per non aver capito la debolezza della loro forza apparente e averli sempre sottovalutati. I generali pazzi e ridicoli, da ben quaranta anni controllano con la pura forza e il terrore preventivo l'economia e la popolazione di un paese nato, nella sua configurazione attuale, da una costola del colonialismo britannico che aveva unificato amministrativamente territori da sempre autonomi di fatto. Dopo poco piu' di un decennio di regime democratico (1948-1962), questo paese e' diventato un regime militare, socialista fino al 1988, a economia globale di mercato poi, attraversato da periodiche rivolte della popolazione birmana nel nucleo geografico centrale e circondato nelle periferie da guerriglie indipendentiste combattute nella foresta da gruppi etnici diversi, ai quali, fin dal periodo britannico, e' stato difficile spiegare che la tradizionale organizzazione "a nebulosa", di entita' autonome tributarie attorno a uno stato dominante, tipica di questa regione del mondo, dagli incerti confini e dalle mille culture, possa essere sostituita da uno stato centralizzato e militarizzato. I generali di Yangon (fino a qualche anno fa Rangoon) hanno affrontato il problema dell'ordine statale coniugando il carattere post-coloniale dello stato a un agire violento, da laboratorio degli orrori, ispirato alla tradizione del potere assoluto in Asia, che ha denotato uno dei caratteri dell'autorita' del potere politico asiatico, quella capacita' di prendere decisioni dall'alto che gli osservatori occidentali, non riuscendo a comprendere la societa' locale, definirono "dispotismo orientale". * La grande novita' della rivolta di questo 2007, e' stata la leadership dei monaci fino ai giorni del nuovo massacro; ma la storia del pronunciamento di massa parte da molto prima. A febbraio nelle strade della capitale Yangon un piccolo gruppo denominatosi Myanmar Development Committee, invita pubblicamente la giunta a rivedere i prezzi al consumo, il sistema sanitario, la scuola, la mancanza di infrastrutture per la distribuzione dell'energia elettrica. Da molti anni non si vedeva niente di simile in pubblico e la protesta e' durata il tempo record di trenta minuti. Ma il fatto di autoidentificare il gruppo con un nome indicava la volonta' di organizzarsi e di inviare un messaggio organizzativo alla popolazione. La voglia di superare la rassegnazione, emergeva qua e la' nel paese. I leaders dell'insurrezione del 1988, per esempio, dopo anni di silenzio, si erano organizzati in un'associazione e tutti sapevano che i monasteri buddisti venivano raggiunti da molti giovani per prendere gli ordini proprio perche' assicuravano una relativa liberta' di discussione. Il 15 agosto, il governo ha deciso di tagliare i sussidi di sostegno al prezzo della benzina. Il prezzo e' salito del 100% immediatamente ed e' arrivato in poco tempo a un aumento del 500%. L'inflazione, gia' al 17,7% nel 2005 e al 21,4% nel 2006, ha subito un'ulteriore impennata. Il taglio dei sussidi era parte di un piano piu' ampio di riforme strutturali, "naturalmente" consigliato dagli immancabili e irremovibili "masters of disasters" piu' noti: Fondo monetario internazionale e Banca mondiale. Il governo militare ha prodotto un deficit altissimo con la costruzione della nuova capitale Napyidaw, un centro amministrativo moderno realizzato in area non abitata, e del progetto della capitale cibernetica IT (Information Technology), la citta' di Yadanabon. A questi due piani vanno aggiunti gli aumenti al personale statale, indispensabile ai fini del consenso, l'acquisto di un reattore nucleare, le spese militari correnti. Dal 1988, i generali hanno trasformato l'economia della Birmania in un sistema globalizzato totalmente orientato all'export di risorse naturali e dipendente dagli investimenti esteri. La citta' IT, che copia un simile progetto della Malaysia, e' un tipico esempio di scarsa programmazione e problematica realizzazione di programmi concreti da parte della giunta. Anche le piantagioni di jatropha (la pianta tropicale tipica di zone semiaride dai cui semi si ricava un olio per la produzione di biodiesel), che il piano nazionale ha moltiplicato, non sono, poi, coordinate con le infrastrutture necessarie a rendere il biodiesel utilizzabile. La popolazione vive in condizioni pesanti: secondo un recente survey dell'Onu, la maggioranza dei birmani spende il 60% di quello che guadagna in acquisto di cibo quotidiano e beni di sopravvivenza. Per i trasporti pubblici un cittadino puo' arrivare a dover pagare il 40% dell'entrata giornaliera. Esiste, diffuso e non quantificabile, il lavoro forzato. Dopo il 1988, l'emigrazione verso la Thailandia si e' fatta frequente e si calcola che almeno un milione di birmani viva fuori del paese. * Il 19 agosto iniziano le prime proteste organizzate dall'Associazione ex studenti del 1988. E ci sono i primi arresti immediati dei partecipanti e dei presunti organizzatori. Ai primi di settembre nella citta' di Pakokku, centro della produzione e commercio del tabacco e naturalmente dei famosi sigari fumati da almeno un milione di signore birmane, vicino a Pagan, nella Birmania della religiosita' profonda, si svolge la prima manifestazione di monaci, che viene attaccata e dispersa. In pochi giorni iniziano cortei di monaci nelle citta' principali del paese. I religiosi portano il loro contenitore per il cibo rivolto verso il basso a simboleggiare il rifiuto di accettare le offerte dei militari e delle loro famiglie. Il confronto duro tra le due istituzioni piu' significative del paese e' senza precedenti: il governo contro il clero buddista che difende un popolo allo stremo, che vive in un paese lager a economia duale divisa tra l'economia minima della lotta per la sopravvivenza quotidiana e l'economia della dipendenza dall'estero e della vendita forsennata di tutte le risorse naturali. Nelle vesti arancione e rosse dei monaci e' cucita una nuova politica del dissenso e una nuova intelligenza della politica. Marciano a piedi nudi in doppia fila, ogni giorno piu' numerosi e cantano e cantano come i loro predecessori descritti in "L'arpa birmana". Allora attraverso le note di quel canto si diffondeva la critica piu' radicale e pacifista della guerra, oggi nell'autunno dei monsoni, c'e' l'invito al popolo a praticare la pace, ai governanti ad ascoltare il popolo, a rispettare le richieste provenienti dal basso, all'intera societa' la proposta di una dimensione di rispetto degli altri. In altre parole, il dissenso dei monaci ha proposto ai cittadini piegati da una indicibile oppressione e ha raccomandato a un governo violento di sviluppare nei rapporti sociali i principi dell'amore attento agli altri che il buddismo predica da sempre. Vi sono tre mosse che indicano la traduzione concreta di questa nuova intelligenza politica: 1) I monaci compiono il gesto radicale di rifiutare le offerte dei militari, ma non marciano sui palazzi simbolo del potere. Vanno verso i templi piu' significativi in ogni citta', rivendicando l'autonomia della protesta da obiettivi politici immediati. Sottolineano la richiesta di un cambiamento dei rapporti sociali e la necessita' di valori condivisi come base di una democrazia operante nella realta' specifica della Birmania. 2) Marciano sull'Ambasciata della Cina, dimostrando di avere compreso perfettamente che la resistenza dei generali al potere deve molto alle relazioni internazionali. Non si tratta solo delle solite amicizie di interesse che spesso i pacifisti rimproverano a governi potenti, ma di un sistema organico, economico innanzitutto, ma anche di forti legami soprattutto con Cina, India, Russia e i paesi asiatici confinanti, che permette alla casta militare di organizzare il paese come un campo di prigionia per i sudditi e come un paese dei balocchi per se stessi e per i propri protetti, in cui tutte le prepotenze e le provocazioni dello sfarzo sono possibili. 3) I monaci sono andati a rendere omaggio a Aung San Suu Kyi, di fronte alla casa dove e' prigioniera da 13 anni e da dove e' uscita anche prima solo a intervalli. Suu Kyi e' la donna simbolo dell'opposizione, della richiesta di democrazia. Il suo partito ha stravinto le uniche elezioni che si siano tenute dal 1962 a oggi, ma gli eletti della sua lista non sono mai entrati in un parlamento e hanno varcato piu' volte le soglie delle carceri. I monaci collegano la loro protesta all'esempio di Suu Kyi e nello stesso tempo indicano la nascita di una dimensione della politica che parta da una visione generale della societa' birmana. Qualche considerazione sul buddismo va fatta. Noi siamo abituati con spirito occidentale a giudicare il buddismo una grande filosofia spirituale di vita, profonda e significativa, materializzata poi per debolezza in culti dispersi di spiriti, forze recondite, livelli invisibili di vita che misteriosamente attraversano il nostro mondo visibile. Pochi studiosi delle scienze sociali hanno preso sul serio il buddismo popolare dell'Asia tropicale ed equatoriale. Stanley Tambiah e' rimasto isolato, come eccezione, nei suoi studi sul clero thailandese e sul culto degli spiriti delle foreste nei villaggi. Ho l'impressione che per le strade della Birmania sia sfilato proprio questo buddismo, fatto di spiritualita' profonda sia quando invita alla meditazione sia quando offre ai contadini, alle donne dei villaggi, una visione misterica della vita. L'approccio dell'amore attento agli altri come atteggiamento di fondo dell'agire sociale, non va scambiato per un fondamento politico a suo modo religioso e "fondamentale", ma come la rivendicazione di una cultura della convivenza, lontana da chi, sotto qualsiasi cielo, vede nei valori di una religione il fondamento della societa' politica. Questo atteggiamento e' piu' comune tra i monoteisti, come e' arcinoto. * Quello che e' accaduto in ottobre e' evidente a tutti. I generali hanno incassato l'appoggio di fatto di Cina e India, la neutralita' benevola dei vicini dell'Asean, le dure dichiarazioni degli Usa, gli intransigenti, futuri propositi dell'Unione Europea, ma hanno agito con la loro intelligenza violenta e senza contegno alcuno. Dopo avere sciolto le manifestazioni con un dispiegamento enorme di forza, richiamando, perfino, le truppe dai confini di guerra, hanno decretato il coprifuoco, poi rotto da loro stessi sistematicamente per andare a prendere nelle case e nei monasteri le persone riconoscibili nei filmati. Hanno arrestato presunti leaders, setacciato interi quartieri e villaggi. Hanno, anche, come e' loro tattica, insultato Aung San Suu Kyi, dicendosi disposti a incontrarla per discutere una pacificazione a patto che lei si pentisse pubblicamente di avere invocato le sanzioni internazionali contro di loro e la mobilitazione dei cittadini contro il loro governo. Ancora una volta gran parte dei media ci sono cascati e hanno cercato segnali di un qualche cedimento tra le righe delle dichiarazioni. Il presupposto da cui partire e' che non c'e' nessuna possibile intesa con i generali, e che le loro dure divisioni interne danno luogo a complotti, intrighi senza fine, cordate segrete e sottocordate, ma che tutti si ricompattano di fronte al pericolo che il loro potere venga messo in discussione. L'idea stessa di governare un paese stando reclusi in una capitale lontana e concedendosi qualche svago milionario in eleganti citta' del continente asiatico, e' una follia, ma il potere reale dei generali non deriva affatto dalla canna del fucile, come pensava Mao, quanto piuttosto dal "business", dalla vendita del paese stesso e dai progetti avveniristici, da quella corruzione che aveva preoccupato nel 2006 perfino i dirigenti cinesi. Questi ultimi si erano lamentati del fatto che il lavoro delle ditte di Pechino era intralciato dalla dispersione di fondi e dai passaggi di una catena imposta dalla corruzione locale. Eppure i monaci hanno fatto bene a marciare sull'ambasciata cinese, per chiedere, in fondo, a tutti una solidarieta' operativa. Per la societa' civile internazionale, la scelta e' stata facile: da una parte monaci pacifici, forti solo dei loro canti, dall'altra militari violenti. C'e' stato anche nei giorni dello scontro in Birmania il segnale di una societa' civile internazionale piu' attenta e creativa del passato, coinvolta in modo trasversale. Forse e' giunto anche il momento di riuscire a mobilitarsi oltre il tempo dell'esposizione mediatica degli avvenimenti, di finirla con il saltare da una questione all'altra, seguendo l'emotivita', e far entrare ogni campagna, in particolare sin da ora quella per la democrazia birmana, nella pratica di ogni giorno, come forza del carattere dell'agire sociale. Si possono allora discutere le forme e la pratica di questo agire sociale aggiornato al mondo dei Putin, dei Bush, degli Hu Jin Tao, e forse tra breve dell'ordinaria Hillary. 4. RIFLESSIONE. ANTONIO CAPONI: L'IRAQ E' L'INFERNO IN TERRA [Dal mensile "Lo straniero", n. 89 del novembre 2007 (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net)] L'Iraq e' l'inferno in terra. Meglio essere chiari, netti. Un recente studio presentato dalle Ong internazionali in Iraq (Ngo Coordination Committee in Iraq, "Weekly Highlight", n. 83, settembre 2007) ha calcolato che ci sono stati 75.000 morti violente di iracheni dalla cacciata di Saddam. 75.000 persone morte in quattro anni di invasione del suolo iracheno a causa di attentati, violenze tra gruppi armati, attacchi delle truppe di occupazione, incidenti. Incidenti appunto. Cosi' sono cominciate molte insurrezioni nelle citta' irachene. Soldati americani poco preparati mandati a pattugliare zone ostili. Giovani, spesso riservisti o membri della guardia nazionale, che dovrebbero servire solo negli Stati Uniti in caso di catastrofi, vengono obbligati ad andare in Iraq. E hanno paura. Perche' gli insorti iracheni li colpiscono in ogni momento, in ogni luogo, anche in mezzo a deserti che sembrano desolati. E i soldati americani hanno cominciato a sparare a ogni cosa che si muoveva. Mors tua vita mea. La battaglia di Falluja e' cominciata quando dei cittadini iracheni che protestavano in piazza sono stati uccisi brutalmente. Quando alcune famiglie sono state straziate a un posto di blocco perche' avevano sbagliato a fare manovra. Con delle perquisizioni violente e umilianti, in cui rispettati membri della comunita' venivano messi con la faccia a terra nel cuore della notte, terrorizzati, e la sacra intimita' delle loro abitazioni violata senza alcun rispetto. Gli iracheni hanno attaraversato anni di guerre e ogni famiglia ha persone addestrate militarmente. E' stato semplice, per alcuni, prendere la strada dell'insurrezione. I militari americani hanno subito perso, incidente dopo incidente, qualsiasi possibilita' di conquistare i cuori e le menti degli iracheni. Invece molti soldati americani hanno cominciato a perdere la loro, di mente. Alcuni utilizzando violenza cieca, barbara, come quel gruppo di soldati che, entrati in un villaggio iracheno della provincia di Anbar, ha violentato una ragazza durante una perquisizione, e per coprire il misfatto ha fatto strage di lei e di tutta la sua famiglia. Sfortuna ha voluto che si trattasse di parenti di un diplomatico iracheno in servizio proprio negli Stati Uniti. Lo scandalo e' dovuto emergere e i militari sono stati giudicati e condannati negli Stati Uniti, a differenza della maggior parte dei casi, quando cade immediatamente il silenzio, almeno in Occidente. Ma molti altri soldati americani subiscono la situazione e ne comprendono l'assurdita'; le associazioni di veterani americani riportano casi di soldati rimpatriati d'urgenza e ricoverati per disturbi psichici. Basta scorrere i siti delle associazioni come Military Families Speak Out per leggere la rabbia e la protesta dei veterani, di quelli al fronte e delle loro famiglie. La moglie di un riservista raccontava che il marito, un ingegnere civile arruolatosi nella guadia nazionale per arrotondare lo stipendio, e' stato inviato al fronte senza preparazione alcuna. Nella sua unita' non avevano neanche i giubbotti antiproiettile. Lei ha raccolto un po' di risparmi per comprargliene uno. Il marito ha detto che era necessario prenderne per tutta l'unita' e non voleva essere l'unico privilegiato. La moglie ha avviato una colletta via internet, ha mobilitato attivisti e media. L'esercito ha sentito il rumore e ha provveduto, e il marito e' stato trasferito in una zona peggiore dell'Iraq. Migliaia sono le storie simili, solo dalle loro voci puo' nascere una differente consapevolezza nella pubblica opinione americana che possa cambiare le scelte dei politici statunitensi. Il rumore intanto si sente e cresce, nonostante la propaganda degli apparati americani lavori costentemente per limitare le voci dei veterani, le smussi, le censuri, nonostante la chiusura di tutti i blog dei militari al fronte. Nonostante gli articoli che compaiono, anche sulla stampa italiana, in cui si racconta che la "surge" del generale Petreus ha successo. La "surge", la grande onda, una definizione beffarda verso le migliaia di morti di questo conflitto. * Le voci degli iracheni e dei militari americani raccontano invece una realta' quotidiana differente. Sembra irrilevante ma i soldati americani si lamentano del cibo che viene servito nelle loro basi. L'esercito americano funziona come una fabbrica post-fordista: tutto e' esternalizzato all'interno della base, tutti i servizi sono affidati con appalti al ribasso a ditte di lavanderia, di catering, di logistica. E il cibo in scatola che viene servito deve rispondere alle leggi di mercato. La macchina militare americana e' gia' in se' un grande business per le imprese che ci lavorano. Il Congresso americano ha cominciato a indagare, dato che tra un appalto e l'altro sono scomparsi milioni di dollari. Due dati noti ma utili da ricordare (vedi: Antonio Carlucci, "La truffa Usa nell'Iraq libero", in "Limes", n. 3, 2007): la Halliburton, la ditta di cui era amministratore delegato l'attuale vicepresidente americano Cheney, ha ricevuto appalti per 20 miliardi di dollari in Iraq. Di cui buona parte con trattativa privata e con la clausola della segretezza. I servizi resi da questa e altre ditte non hanno, in molti casi, corrisposto alla spesa. Il congresso americano sta indagando su numerosi casi di truffa, frode, sovrafatturazione. 1,4 miliardi di dollari dovevano garantire al 90% degli iracheni acqua corrente nelle loro abitazioni. A oggi, la ricevono solo il 32% a differenza del 50% nel periodo di Saddam. Nel 2003 la piccola Ong italiana "Un Ponte per..." ha portato acqua a circa 50.000 persone a Bassora con meno di un milione di dollari, con soldi raccolti da enti locali e pacifisti italiani. E quando voleva intervenire sulla centrale che riforniva tutta la citta' le e' stato detto che era compito di una grossa ditta americana. Allora sono stati sostituiti solo due pezzi con diecimila euro della Provincia di Ferrara, in attesa del grande intervento. Nulla e' piu' accaduto da allora. Le truffe non finiscono qui. Il congresso americano indaga anche su 12 miliardi di dollari in contanti, in biglietti da 100, inviati in Iraq nel 2003 su aerei cargo: 363 tonnellate di carta moneta di cui si e' persa ogni contabilita' e traccia. Un grossa fetta di questo affare sulla pelle degli iracheni va alle ditte occidentali di sicurezza privata. Il primo governatore americano dell'Iraq provvedette immediatamente a esentare da qualsisasi giurisdizione locale i mercenari in servizio in Iraq. E ne sono arrivati centinaia di migliaia, per proteggere gli affari e per i lavori piu' sporchi. Negli hotel di Amman in Giordania se ne vedono tanti a riposarsi dalle fatiche irachene: gurka nepalesi, ex Sas inglesi che si sono fatti "onore" nell'Irlanda del Nord, ex membri di forze speciali sudafricane e tanti altri, gente che fa paura solo a guardarla, molto violenta e senza scrupoli, il cui unico codice etico e' il denaro. Tutti ci si affidano e anche il governo di centrosinistra italiano ha pensato di proteggere i suoi cooperanti affidando la protezione a una di queste ditte, una scelta molto contestata dato che i dirigenti della ditta in questione sono stati coinvolti in alcuni omicidi efferati avvenuti nell'Ulster. E cosi' gli iracheni si sono ritrovati oltre a un esercito d'occupazione, oltre all'ovvio tentativo di sfruttare le loro risorse petrolifere e al saccheggio dei beni e del patrimonio archelogico millenario, anche un esercito di lanzichenecchi, che hanno ulteriormente appestato la valle tra il Tigri e l'Eufrate. * Quattro milioni di iracheni hanno capito che l'unica soluzione era la fuga. Lasciarsi tutto alle spalle. Alcuni, che erano rientrati nel 2003 felici di ritrovare un paese liberato dal suo feroce dittatore, hanno dovuto riprendere la loro strada. Tre milioni di iracheni sono in Siria e Giordania, un milione sono sfollati interni all'Iraq: un esodo di persone in Medio Oriente comparabile solo all'esilio dei palestinesi del 1948. L'insicurezza per loro in Iraq e' all'ordine del giorno. Attentati, sequestri a scopo di riscatto, impossibilita' di muoversi, di mandare i figli a scuola. 18 milioni di iracheni prigionieri a casa loro, prigionieri di bande criminali, sette forze di occupazione. Un iracheno diceva amaramente: prima avevamo un dittatore feroce, ora ne abbiamo uno per ogni strada. E appunto l'unica speranza puo' essere nella fuga. La Giordania con i suoi sei milioni di abitanti ha ricevuto gli iracheni finche' non sono diventati un milione e le citta' hanno cominciato a cambiare aspetto. La Siria, in nome della solidarieta' araba, ha aperto la frontiera e ne sono arrivati due milioni, un impatto socioeconomico enorme su un piccolo paese con 18 milioni di abitanti. Basta sedersi in uno dei quartieri di Damasco dove si raccolgono gli iracheni per vedere a intervalli regolari arrivare minibus carichi di persone. Duemila persone al giorno, un flusso continuo e inarrestabile. E le strutture siriane sono al collasso, incapaci di rispondere, ma comunque determinate ad accogliere. La Siria ha chiesto il sostegno della comunita' internazionale ma senza che si determinasse un'operazione umanitaria invasiva. I siriani non vogliono interferenze e anche se non hanno la capacita' di gestire interventi di emergenza su vasta scala temono il circo umanitario e le sue strumentalizzazioni. La comunita' internazionale non si fida dei siriani e i siriani non si fidano di loro; i fondi, se arrivano, si muovono a rilento. E gli iracheni profughi in Siria sopravvivono con difficolta'. Senza lavoro, con una forte crescita di sfruttamento e vulnerabilita'. Sembra un paradosso, ma gli iracheni liberati sono fuggiti nella Siria baathista e securitaria, dove subiscono soprusi e poverta' ma non temono per la vita loro e dei loro cari. I governi occidentali non sono disposti ad accogliere iracheni, non vogliono assumersi la responsabilita' dopo aver causato la tragedia. Gli americani hanno aperto una ridicola quota per 7.000 rifugiati iracheni da accogliere negli Stati Uniti: 7.000 persone preferibilmente loro ex collaboratori in Iraq o cristiani, persone sicuramente in fuga e che necessitano assistenza, ma la cui selezione si muove su criteri molto discrezionali. Gli inglesi invece hanno cominciato a rimpatriare gli iracheni che raggiungono illegalmente la Gran Bretagna. E li rimandano in Iraq. In Europa solo gli svedesi hanno accolto migliaia di iracheni mentre il resto dei paesi hanno chiuso loro le porte. E in ambito Onu, per evitare di affermare il fallimento americano, si stenta a dichiarare che in Iraq e per gli iracheni in fuga c'e' una crisi umanitaria di amplissime proporzioni. Forse guardando la situazione da Tanf, la citta' di frontiera nel cuore del deserto tra Iraq e Siria, si sarebbe meno riluttanti. Gli americani che controllano il varco iracheno ogni giorno aprono la frontiera solo a una determinata ora e nel giro di mezz'ora si affollano al varco siriano duemila persone. Sarebbe piu' semplice cadenzare i passaggi ma la cortesia reciproca impone agli americani di non facilitare il lavoro dei siriani. I profughi attendono ore sotto al sole, con temperature che toccano anche i 50 gradi. Non tutti riescono a entrare. C'e' una comunita' di palestinesi che non avendo nazionalita' e' stata tenuta alla frontiera: i palestinesi iracheni sono stati perseguitati in Iraq dopo il 2003 perche' considerati dei protetti di Saddam e hanno anche loro cominciato a fuggire. Ma nessuno accoglie i palestinesi per non aprire il loro capitolo politico irrisolto e quelli provenienti dall'Iraq sono rimasti nella terra di nessuno alla frontiera di Tanf. Mille persone, con delle tende in mezzo a un deserto roccioso conosciuto solo per i suoi enormi scorpioni. Sono i piu' disperati, perche' chi aveva dei soldi si e' comprato un passaporto iracheno ed e' entrato in Siria. Loro invece sono li' da un anno cercando di fuggire alle persecuzioni. Il Venezuela o il Brasile forse ne accogliera' qualcuno. Intanto le agenzie Onu e qualche coraggiosa organizzazione umanitaria li assistono nel silenzio generale. Le donne incinte hanno il permesso di entrare in Siria per un periodo limitato e vengono assistite dalle suore cristiane, ma finito il periodo devono rientrare nella terra di nessuno del deserto, con i loro neonati. Per fortuna gli iracheni, i palestinesi, le loro famiglie in fuga sono molto piu' forti e arrabbiati dell'indifferenza generale, come tutti coloro che non hanno piu' nulla da perdere. Un profugo raccontava sorridendo che nel suo campo non c'erano zanzare, secondo lui perche' le zanzare hanno paura di lui e della sua gente. E ricevono solidarieta' da persone che in silenzio si oppongono al corso violento degli eventi, come gli attivisti americani del Christian Peacemaker Team che, in collaborazione anche con alcuni veterani americani, girano per i sobborghi di Damasco a incontrare profughi e a offrire borse di studio per dare ai loro figli la possibilita' di studiare all'estero, compiendo gesti di solidarieta' quotidiani, costruendo pace con la pazienza dell'artigiano, gettando qualche seme nel deserto. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 277 del 18 novembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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