Minime. 231



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 231 del 3 ottobre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: La differenza
2. Transnational Foundation: Verso la pace in Iraq e con l'Iraq (parte
prima)
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: LA DIFFERENZA

Il nostro governo fa ammazzare gli afgani, il governo birmano i birmani.
La seconda cosa molto molti scandalizza, la prima scandalizza quasi solo me.

2. DOCUMENTI. TRANSNATIONAL FOUNDATION: VERSO LA PACE IN IRAQ E CON L'IRAQ
(PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi at tin.it) per averci messo a
disposizione nella sua traduzione (curata per il Centro studi "Sereno Regis"
di Torino) il seguente documento della Transnational Foundation for Peace
and Future Research (in sigla: Tff) dal titolo "Verso la pace in Iraq e con
l'Iraq. Una proposta costruttiva della Transnational Foundation" approvata
il 16 agosto 2007 dal Comitato direttivo della prestigiosa fondazione di
peace research diretta da Jan Oberg. Pur non condividendone alcuni assunti
ci sembra una utile proposta di riflessione.
Jan Oberg (per contatti: oberg at transnational.org), danese, nato nel 1951,
illustre cattedratico universitario, e' uno dei piu' importanti
peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della
nonviolenza in cammino;  e' direttore della Transnational Foundation for
Peace and Future Research (in sigla: Tff), uno dei punti di riferimento piu'
rilevanti del movimento per la pace a livello internazionale, che ha sede a
Lund in Svezia. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop
Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable
Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte
della propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento
Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta]

Tre sfide poste dalla situazione irachena
Ad eccezione dell'amministrazione Bush e di pochi altri attori politici, si
viene delineando un vasto consenso su scala mondiale. L'invasione e
l'occupazione militare dell'Iraq sono considerate come un mezzo
controproducente in vista del raggiungimento di qualsivoglia scopo pratico
(ufficiale o implicito che fosse) possa avere presieduto all'invasione del
marzo 2003.
L'Iraq e i suoi cittadini, la regione mediorientale, l'ordine mondiale e la
posizione stessa degli Stati Uniti si sono deteriorati sensibilmente in
seguito alle politiche fallimentari dei paesi dirigenti del mondo
occidentale. Il recente rapporto Come fronteggiare la sfida umanitaria che
si pone in Iraq (1) costituisce un forte richiamo dell'urgenza di sviluppare
un nuovo ed umano approccio al problema iracheno. E' urgentemente
necessario, pertanto, pensare positivamente e pensare in una prospettiva a
lungo termine.
Formulate semplicemente, tre sfide esistenzialmente importanti, di carattere
morale, intellettuale e politico, non possono fare a meno di porsi a
chiunque si preoccupi del futuro dell'Iraq e di quello del mondo.
1. Come e' potuto accadere che una politica cosi' scapestrata, disinformata
e mal progettata potesse essere presentata come (e si sia potuto credere che
fosse) un esempio di "Realpolitik", e abbia potuto essere anteposta, da
parte dei responsabili di questa decisione, ad altre opzioni politiche in
vista della promozione di valori come i diritti umani, la democratizzazione,
la pace e la giustizia? In breve, quali lezioni si possono apprendere, da
questi fatti, circa i limiti dello strumento rappresentato dall'intervento e
dal confronto militare come metodi di gestione dei conflitti e strumenti di
attuazione della pace nel caso specifico dell'Iraq e in generale? E, avendo
appreso tutti quanti un certo numero di lezioni, non possiamo prevenire che
si verifichi qualcosa di simile anche in futuro?
2. Dal momento che l'occupazione, in se' e di per se stessa, ha avuto
effetti di gran lunga piu' distruttivi che costruttivi sull'Iraq odierno e
sui suoi cittadini, come si puo' porre termine all'occupazione quanto prima
possibile?
3. Quali nuove politiche finalizzate al conseguimento della pace, alla
riconciliazione e alla normalizzazione dei rapporti, possono essere prese in
considerazione e messe in atto all'interno dell'Iraq, in tutta la regione
circostante e fra il popolo iracheno e le nazioni occupanti?
Il "fuoco" di questa proposta dovra' essere concentrato sul modo di porre
termine all'occupazione e di procedere in direzione della riconciliazione
degli animi e della normalizzazione. Le visioni di una pace futura
costringono tutti a cercare di sviluppare approcci che vadano molto al di
la' del paradigma bellico e interventista e della prospettiva quasi
esclusivamente occidentale che dominano attualmente la ricerca
internazionale e il mondo dei media.
*
Dalle prospettive distruttive a quelle di carattere costruttivo
Una delle principali ragioni per cui le truppe non sono state gia' ritirate
consiste nel fatto che ci sono, oggi come oggi, estremamente poche visioni,
e tanto meno piani concreti, che trattino in modo sistematico di cio' che
dovrebbe accadere una volta che gli occupanti abbiano lasciato l'Iraq.
Una grande quantita' di energia intellettuale, di copertura dei media e di
opere scritte e' dedicata a illustrare come tutto vada male e vada storto (e
non c'e' dubbio che le cose stiano effettivamente cosi'), mentre non c'e'
quasi nessuna concentrazione dell'attenzione su cio' che si potrebbe e si
dovrebbe fare nel corso dei prossimi dieci o vent'anni. I conflitti non
possono essere risolti, tuttavia, senza che si abbia una qualche veduta o
proiezione di un futuro migliore. Dal 2003 in poi, i movimenti
internazionali per la pace si sono impegnati a fondo contro la guerra, ma
hanno avuto - sorprendentemente - ben poco da dire su cio' che avrebbe
dovuto subentrare all'occupazione e prenderne il posto. Cio' li rende
importanti come movimenti contro la guerra, ma, in larga misura, sterili e
fallimentari come movimenti per la pace.
Finche' la prospettiva generale e' cosi' prevalente e pervasiva, si puo'
formulare con certezza l'ipotesi che non ci sara' nessun ritiro delle truppe
o che si verra' a determinare una situazione ancora peggiore dopo un ritiro
di questo genere. La continuazione dell'occupazione fino almeno al 2009
costituisce un'opzione verosimile secondo il "Joint Campaign Plan" (2).
Non fare altro che ritirarsi e non offrire agli Iracheni nulla di meglio
dopo avere scaricato questo disastro senza precedenti sulle loro vite e
sulla loro societa' sarebbe una scelta indifendibile, per non dire immorale.
L'Iraq ha bisogno di guarire nel senso piu' ampio e piu' profondo del
termine.
Il ritiro delle truppe e delle basi straniere e' solo un primo passo in una
serie di operazioni intese a favorire il progresso verso la pace e la
riconciliazione in tutto il paese.
*
Perche' i fautori dell'occupazione possono ancora avere la meglio
Il dibattito generale in merito e', fino a questo momento, altrettanto
deficiente. Argomentazioni vengono sviluppate da molti e diversi attori nel
senso che gli americani e i loro pochi alleati rimasti dovrebbero ritirarsi;
dopo di che ha luogo uno scambio di vedute contrastanti fra editorialisti,
esperti e diplomatici sul problema se l'Iraq, a quel punto, andra' in pezzi
o sara' in grado di riprendersi. Pochi sembrano riconoscere e prendere
coscienza del fatto che la risposta a questa domanda non possa essere che la
seguente: il futuro dell'Iraq non dipendera' solo dagli effetti della
ritirata in se stessa, ma, in misura molto maggiore, dal modo in cui
decideremo di cooperare con l'Iraq e coi suoi cittadini.
La ragione principale per cui gli iracheni si uccidono fra loro oggi e'
l'occupazione a cui sono sottoposti. Cio' non significa, pero', che tutto
questo finira' una volta che l'occupazione sara' stata tolta. Se offriremo
qualcosa di completamente nuovo, qualcosa di costruttivo e che sia veramente
in grado di promuovere e di sviluppare un processo di pace e di
riconciliazione, il rischio di sprofondare in un caos totale e in una guerra
civile permanente sara' considerevolmente limitato.
Nel corso dell'estate 2007 si assiste a un'ondata di articoli intorno al
fatto che diversi iracheni (per lo piu' appartenenti all'elite) mostrano di
nutrire un timore sempre crescente del giorno in cui i soldati americani
torneranno in patria. Cionondimeno una larga maggioranza di resoconti e
rassegne di testimoni oculari mostrano che la maggior parte degli iracheni
danno l'impressione di ritenere che la situazione che si e' venuta a creare
a partire dal marzo 2003 e' nettamente peggiore di quella esistente sotto il
regime di Saddam Hussein e che essi non vedono alcuna luce in fondo alla
galleria per tutto il tempo in cui gli occupanti rimarranno sul posto.
L'ondata di articoli favorevoli all'occupazione fa parte di una piu' vasta
offensiva degli strumenti di opinione intesa a provare che non c'e' nessuna
alternativa "viabile" (e cioe' effettivamente percorribile) alla
continuazione della presenza Usa nel paese. Se si consente a questo muro di
disinformazione di restare intatto, i sostenitori della necessita' di
continuare l'occupazione avranno partita vinta nella discussione che si
svolge sui media.
Non e' probabile che il ritiro si verifichi finche' un numero molto maggiore
di cittadini in tutto il mondo non potra' scorgere alternative concrete
all'occupazione. Elise Boulding, la grande "old lady" delle ricerche sulla
pace, ha affermato, in maniera molto eloquente, che difficilmente la gente
puo' essere disposta a battersi per cio' che non puo' visualizzare
concretamente. Cio' che possiamo "vedere", oggi, e' l'occupazione e i suoi
terribili effetti. Di qui l'impegno dei cittadini nel denunciare questo
stato di cose [Che non e', pero', in grado di spingersi piu' in la' - ndt].
*
Cio' che occorre e' l'inizio di un dialogo, e non una politica che consista
nel ritirarsi e basta
La politica peggiore e piu' pericolosa, a questo punto, e' una politica che
si risolva nel
"ritirarsi e dimenticare". L'invasione e l'occupazione permanente sono un
disastro politico, intellettuale e morale. Una politica che lasci l'Iraq al
suo destino senza alcuna riparazione di guerra, senza nessuna forma di
aiuto, senza alcuna possibilita' di guarigione sociopolitica, e cosi' via,
avrebbe, a sua volta, effetti altrettanto nefasti (3).
Un'opzione politica di questo genere puo' diventare piu' attraente man mano
che il "pantano" afghano si aggrava e si approfondisce e che la questione
iraniana e forse anche la situazione nel Darfur distolgono l'attenzione
internazionale dalle vicende irachene.
Il minimo che la comunita' internazionale in generale e le nazioni occupanti
in particolare debbono fare e' sobbarcarsi all'impegno di dar forma a una
politica tale da essere in grado di convincere il popolo iracheno che essa
(la comunita' internazionale) assume tutte le responsabilita' delle azioni a
cui ha dato luogo e segnala, con la sua condotta, una disponibilita' precisa
e determinata a riparare e compensare i danni e i guasti che ha provocato.
La pace e la riconciliazione non possono essere imposte, quali che siano le
buone intenzioni retrostanti. Il modo migliore di operare in questo senso
puo' essere deciso solo attraverso il dialogo con gli iracheni a molti
livelli, quelli del governo e della societa' civile, come pure quello dei
vari partiti presenti nella regione. Un invito dall'esterno e alcune idee di
larghe vedute per un dialogo di questo genere possono servire, di per se
stessi, come un gesto molto opportuno di riconciliazione nei confronti degli
iracheni e di altri.
*
Il progetto piu' rilevante e piu' visionario che sia stato elaborato fino ad
oggi e' americano
Un certo numero di tentativi politici di elaborare un futuro (e cioe' un
piano d'azione) che permetta di uscire dal disastro iracheno hanno gia'
avuto luogo. Essi variano in termini di scopi, del grado di cosiddetto
realismo di cui danno prova, di prospettive temporali e di creativita'. Il
piano che ha attratto maggiormente l'attenzione dei media e' l'Iraq Study
Group. Il gruppo in questione ha cercato di realizzare un equilibrio fra
l'esigenza di salvare la faccia agli Stati Uniti e quella di migliorare la
situazione nella regione. Esso era poco di piu' che un piano del governo
statunitense dall'apparenza meno "falchesca" ("hawkish") degli altri.
Nonostante la pratica ufficialmente adottata e frequentemente ribadita di
avere una politica comune nel campo della difesa e della sicurezza, i membri
dell'Unione Europea sono stati divisi sulla questione irachena durante gli
anni delle sanzioni e poi sempre da quando la Germania e la Francia si sono
rifiutate di avallare e di condividere l'invasione guidata dagli Usa nel
2003.
E' interessante osservare che gli occupanti non avevano la minima idea di
cio' che avrebbero dovuto fare dopo la loro invasione, mentre la Francia e
la Germania, a loro volta, non avevano la minima idea di quella che avrebbe
potuto essere un'alternativa all'invasione stessa. Ne', d'altra parte, la
Russia, la Cina, il Segretario Generale dell'Onu e nessun altro soggetto
politico hanno avanzato idee o visioni complessive, per non parlare di piani
d'azione concreti, che potessero promuovere e dare luogo a un dibattito
internazionale su questo tema, e cioe' sul progetto piu' importante di
costruzione o di mantenimento della pace a cui la comunita' internazionale
si trovasse di fronte.
E' interessante, d'altra parte, che il piano di gran lunga piu'
soddisfacente dal punto di vista intellettuale e che apre le prospettive
piu' lungimiranti sia stato sviluppato dal membro del Congresso Dennis
Kucinich, rappresentante democratico dell'Ohio, e presentato alla Camera dei
Rappresentanti il 18 febbraio 2007 - H.R. 1234: Porre termine immediatamente
all'occupazione statunitense dell'Iraq. Esso si e' sviluppato sulla scia del
Piano in 12 punti per la pace in Iraq dello stesso Kucinich (4).
Cio' che forse non suscitera' nessuna sorpresa, questo candidato
presidenziale di orientamento pacifista alle elezioni del 2008, figlio di un
camionista americano di origine croata ed ex-sindaco di Cleveland, riceve
scarsa attenzione negli Stati Uniti ed e' praticamente sconosciuto in Europa
(5).
Criteri fondamentali minimi di un progetto di pace a lungo termine
Ogni programma politico per il futuro dell'Iraq deve soddisfare ad un certo
numero di condizioni come le seguenti:
1. Essere conforme al diritto internazionale, incluso il fatto che ne' i
dittatori ne' le persone sospettate di aver commesso crimini di guerra
potranno sfuggire per sempre alle mani della giustizia.
2. Includere una prospettiva piu' ampia sull'Iraq come parte e componente
della formazione conflittuale del Medio Oriente nel suo complesso.
3. Porre al centro delle sue preoccupazioni gli esseri umani: il rispetto,
la dignita', l'equita', la riconciliazione, i bisogni umani - e alleviare la
paura.
4. Promuovere una sostanziale smilitarizzazione dell'Iraq, della regione
circostante e della presenza internazionale.
5. Essere l'espressione di un autentico ethos associativo e partecipativo,
di imparzialita' e di buona volonta', e convincere in tal modo gli Iracheni
che questa non e' l'occupazione che ritorna in forma mascherata.
6. Manifestare chiaramente questa determinazione, questa disposizione a
dedicare risorse e a continuare ad essere d'aiuto per tutto il tempo che
sara' necessario per convincere realmente gli Iracheni del fatto che stiamo
facendo qualcosa nel loro interesse, e non a nostro vantaggio.
7. Porre le basi di un dialogo con tutte le parti, compresi i vari gruppi di
resistenza, e coinvolgere sul serio la societa' civile in negoziati
effettivi.
8. Rispettare l'integrita' territoriale e la sovranita' politica del paese,
compreso il suo diritto di per se' evidente a un controllo esclusivo del
reddito petrolifero presente e futuro.
9. Ci deve essere una piena compatibilita' di tutte queste misure col quadro
normativo della Carta dell'Onu e con un impegno internazionale piu' ampio a
realizzare la pace con mezzi pacifici in tutta l'area del Medio Oriente (6).
10. Un'interpretazione della Carta dei Diritti Umani e di altre disposizioni
legislative che permettano di investigare fino in fondo sia i crimini
commessi dal regime di Saddam Hussein che quelli perpetrati dalla comunita'
internazionale, comprese le violazioni dei diritti umani causate da dodici
anni di sanzioni economiche (dal 1991 al 2003).
*
Il programma in dieci punti della Tff per la pace nell'Iraq e con l'Iraq
Questo progetto si avvale deliberatamente di termini come democrazia, pace e
riconciliazione. Esso fa anche riferimento al "governo" iracheno. Siamo
dolorosamente consapevoli del fatto che la maggioranza degli iracheni
percepisce parole come questa come oggetti di un abuso grossolano da parte
delle potenze occidentali e il presente governo dell'Iraq come un governo
"fantoccio". Cionondimeno, noi riteniamo che queste parole possano e debbano
essere usate in un senso genuino e che l'espressione "governo" si debba
riferire e un corpo eletto da e per tutto il popolo iracheno.
*
1. Ritirare le truppe straniere, i mercenari e le basi e porre termine
all'occupazione
Prima dell'occupazione l'Iraq non ospitava e non era influenzato da Al-Qaeda
o da altre organizzazioni terroristiche. La presenza attuale di movimenti
terroristici e di altre forze resistenti all'occupazione e' in gran parte un
effetto dell'invasione e della presenza americana in Iraq a partire dal
marzo 2003. Manovrando i vari gruppi gli uni contro gli altri, le potenze
occupanti hanno determinato il sorgere di una situazione di guerra civile
che non e' storicamente tipica dell'Iraq e che non era prevedibile al
momento dell'invasione. Fra i musulmani sunniti e sciiti non c'era,
semplicemente, un'animosita' tale da far si' che i conflitti e le violenze
di oggi potessero emergere e venire alla luce senza l'occupazione.
Via via che l'occupazione continua molti danni e molte ferite sono stati
inflitti da iracheni ad altri iracheni: ed e' probabile che tutto cio'
richiedera' un tempo considerevole per rimarginarsi e guarire. La situazione
che si e' venuta a creare, inoltre, ha attirato nel paese molte specie di
elementi criminali di origine non irachena, che non e' probabile che si
ritirino di punto in bianco nelle localita' da cui sono venuti. Per quanto
serio e preoccupante tutto cio' possa essere, c'e' - tutto sommato ' maggior
ragione di credere che il ritiro delle truppe straniere finira' per condurre
a una diminuzione piuttosto che a un incremento ulteriore delle violenze,
specialmente se si avra' cura di prendere una serie di misure parallele man
mano che il ritiro procedera'.
Gli iracheni sono anzitutto iracheni e si identificano con altre categorie
solo in seconda istanza. La storia dell'Iraq e' costellata da manifestazioni
di violenza politica, colpi di stato ecc., ma essi (gli iracheni) non hanno
mai combattuto una guerra civile in senso proprio.
Molto, tuttavia, dipendera' dal modo in cui la transizione dall'occupazione
a una nuova missione internazionale sara' organizzata e posta in atto.
Perche' le basi straniere ed i contraenti militari privati (i famosi
"contractors") devono essere ritirati anch'essi a loro volta? Anzitutto
perche' essi (ed esse) sono la manifestazione fisica, se si puo' dir cosi',
della presenza americana e dell'interesse americano per il petrolio. In
secondo luogo, esse (ed essi) sarebbero oggetto, con ogni probabilita', di
attentati terroristici e sarebbero considerati dai vicini come fattori di
provocazione. In terzo luogo, esse (ed essi) furono stabiliti precocemente
(e cioe' fin dall'inizio) come parti integranti dell'occupazione. Infine, e'
ben vero che esse (ed essi) possano essere percepiti come elementi approvati
ed avallati dal governo iracheno attuale, ma continua ad essere, tuttavia,
seriamente discusso e controverso il problema di quanti iracheni considerino
il governo attuale come alcunche' di diverso da una marionetta al servizio
degli Stati Uniti.
Finalmente, c'e' ancora qualcos'altro che deve essere ritirato dal
territorio iracheno: pezzi di artiglieria, mine, uranio impoverito ed altri
prodotti militari di scarto. Oggi l'Iraq e' letteralmente disseminato di
decenni di relitti militari di questo genere. Le truppe di occupazione hanno
contaminato il paese in misura tale da dare luogo a un bisogno primario di
pulizia di prodotti militari di scarto, ivi compresi seri sforzi di pulizia
dopo l'impiego di proiettili ad uranio impoverito e dopo le massicce
distruzioni causate da perdite di petrolio e da altri fenomeni analoghi in
aree come quella, di valore storico inestimabile, dell'antica citta' di
Babilonia.
*
2. Rispettare la sovranita' e l'integrita' territoriale dell'Iraq e
ridimensionare il ruolo dell'ambasciata americana
Ci sono troppe percezioni semplificatrici della struttura demografica dello
stato iracheno: una di esse e' che ci siano fondamentalmente tre gruppi, e
che i curdi risiedano al Nord, i sunniti al centro e gli sciiti al Sud.
Vedute di questo genere, fattualmente scorrette, hanno indotto molti a
prendere in considerazione la possibilita' di dividere l'Iraq. Una proposta
in questo senso e' quella associata alla Brookings Institution di una
"spartizione morbida" (7).
Il contributo internazionale al risanamento dell'Iraq nel futuro deve
mirare, in primo luogo, a risanare l'Iraq come una realta' unitaria, e non
come tre realta' distinte e separate. Se la divisione arriva (e sarebbe un
processo difficile e difficilmente "morbido"), toccherebbe agli Iracheni
decidere ed accordarsi in merito. Data la presenza di complessita' che
somigliano, in misura stupefacente, a quelle della ex-Jugoslavia, e'
probabile che nessun genere di divisione non negoziata potrebbe svolgersi in
modo pacifico (8).
Molti osservatori bene informati vedono nell'ambasciata americana il rettore
di fatto dell'Iraq odierno. E' la piu' grande che abbia mai visto la luce in
nessun posto nel corso della storia umana: ha la stessa superficie in metri
quadri della Citta' del Vaticano, costa circa 600 milioni di dollari
all'anno ed e' stata progettata per ospitare uno staff di 4.000 persone di
cui circa la meta' faranno parte dei servizi di sicurezza e di
"intelligence". Anche se il governo iracheno puo' certamente usufruire di
una qualche liberta' nello svolgimento delle sue operazioni, si puo'
tuttavia escludere che esso possa prendere decisioni importanti suscettibili
di contrastare gli interessi fondamentali e a lungo termine di Washington
sia nel campo strategico che in quello economico (e cioe' in tutti i settori
di carattere decisivo) (9).
Fortunatamente alcuni politici di Washington hanno criticato l'Ambasciata e
cio' che essa rappresenta, facendo eco a questa dichiarazione pubblicata sul
"Los Angeles Times": "Essi non hanno intenzione di lasciare l'Iraq per un
lungo periodo di tempo", ha detto Hashim Hamad Ali, un altro membro del
servizio di guardia, che ha definito il tutto "un simbolo di oppressione e
di ingiustizia".
*
3. Istituire una missione internazionale incaricata di costruire la pace
nell'Iraq sotto la direzione delle Nazioni Unite
Questa non dovrebbe essere e non sara' "solo un'altra missione dell'Onu".
Sara' di un genere fondamentalmente nuovo e rappresentativo di tutta la
comunita' mondiale - non dei pochi capi di governo occidentali che fanno
riferimento a se stessi come alla "comunita' internazionale" - che dovrebbe
associarsi in un rapporto rispettoso di partenariato col popolo iracheno e
con un nuovo governo da esso democraticamente espresso. Le condizioni
fondamentali dovrebbero includere:
3.1. Una missione su base molto larga con associati come, per esempio, la
Lega Araba,
l'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa),
l'Unione Europea, l'Oic (Organizzazione della Conferenza Islamica), l'Unione
Africana, il Gcc (Consiglio delle Societa' del Golfo), Organizzazioni non
governative provenienti da tutte le parti del mondo.
3.2. Composizione: il 15% di robusti contingenti militari sotto il comando
Onu come stipulato nella Carta + il 25% di polizia + il 60% di addetti agli
affari civili e ad altre questioni di carattere sociale e umanitario;
complessivamente forse almeno 100.000 persone.
3.3. Nessun personale militare proveniente dai paesi che hanno svolto il
ruolo di occupanti.
3.4. Una bassa percentuale di quadri ("staff") provenienti dalla parte
cristiano-occidentale del mondo.
3.5. Un mandato chiaro e comprensivo (che non lasci spazio a nessuna
incertezza).
3.6. Finanziamenti assicurati per almeno cinque anni all'inizio.
3.7. L'Onu in una posizione di controllo effettivo nei confronti di tutti i
suoi partner, influenza limitata di ogni singolo stato membro.
Non c'e' dubbio che questa sara' la missione allargata dell'Onu (Onu +) piu'
vasta che abbia mai avuto luogo fino ad oggi. Essa deve essere abbastanza
grande e strutturata in modi tali da poter svolgere il suo lavoro, ma non
deve essere cosi' grande da far sentire agli iracheni che si tratti di una
nuova forma di occupazione.
Questo nuovo modo di pensare e' modellato dalla convinzione che le sanzioni
economiche degli anni '90, la dittatura, le guerre che avevano avuto luogo
in precedenza, e, infine, l'invasione e l'occupazione, hanno dato luogo, nel
loro insieme, a una distruzione storicamente unica delle vite e del
benessere dei cittadini e delle cittadine dell'Iraq e delle loro prospettive
per il futuro.
La missione, percio', si concentra prevalentemente sulle dimensioni umane,
psicosociologiche, culturali e in generale "piu' morbide" ("softer") del
conflitto, della guerra e del terrore che l'accompagna. Essa dovrebbe
implicare riconciliazione e disposizione al perdono, risanamento umano,
rigenerazione dei rapporti di vicinato, impegno nel campo della scuola e
della salute, cure di carattere psichiatrico - il paese ha centinaia di
migliaia di persone clinicamente traumatizzate, bambini e giovani in
particolare - e rafforzare il peso e l'autorita' civile in generale.
Una missione Onu di questo genere dovrebbe proporsi di stabilire un nuovo
equilibrio fra i "pesi leggeri" rappresentati in generale dagli elementi
orientati verso il popolo, verso la gente, e i "pesi medi o massimi" della
missione di tipo tradizionale, come i militari, l'apparato giudiziario, la
creazione di nuove istituzioni, la ricostruzione materiale, i crediti e
altre dimensioni di carattere fisico.
La filosofia che dovrebbe presiedere a tutto cio' e' semplice: la violenza
scaturisce dal timore, dall'odio, dai conflitti irrisolti, dall'umiliazione
e dal fatto di non trovare ascolto da nessuna parte.
Come si e' potuto vedere in dozzine di altri conflitti armati prolungati,
per esempio in Palestina, in Afghanistan, nell'Angola, a Timor Est, nella
ex-Jugoslavia e in Columbia, se queste radici umane che sono causa di
violenza non sono affrontate e fronteggiate in modo adeguato, ci sono poche
possibilita' che gli elementi "pesanti" della missione possano riuscire nei
loro compiti.
Tutti i 26 milioni (valutazione approssimativa) di cittadini iracheni stanno
soffrendo su una scala mai finora sperimentata nei tempi moderni. In data
2007, circa 2 milioni sono Rifugiati interni ("displaced persons") del paese
e oltre 2 milioni sono fuggiti all'estero, per la maggior parte in Siria e
in Giordania. Ci sono, pertanto, buoni motivi di ritenere che ogni futura
missione debba mirare, in primo luogo, a un risanamento umano e sociale, da
realizzare attraverso la cooperazione, il rispetto, e la solidarieta' con la
gente. Ed e' chiaro che essa deve incarnare i valori che intende promuovere
nella sua struttura e nei suoi codici di condotta.
La missione internazionale suggerita qui e' "pesante" dal lato civile (e
cioe' inclinata prevalentemente in questa direzione) perche' bisogna sempre
tenere in mente che l'Iraq ha perso non solo una, ma due generazioni
successive in termini di educazione, salute e benessere ("welfare") e ha
perso la sua imponente "middle class" a causa delle uccisioni, inclusi gli
assassinii pianificati, le sanzioni imposte dall'esterno e il drenaggio dei
cervelli verso l'estero.
Le sanzioni economiche hanno avuto come risultato il fatto che ci sono
attualmente un milione di iracheni in meno di quanto sarebbe il caso senza
di esse; mentre la guerra e il suo "aftermath" sono costati, fino ad oggi,
altre centinaia di migliaia di vite. Le guerre con l'Iran e con il Kuwait
che l'hanno preceduta hanno causato perdite umane innumerevoli e
un'ulteriore distruzione della societa' e dei suoi potenziali di energia.
Circa la meta' dei cittadini iracheni sono bambini e giovani al di sotto dei
16 anni. Percio' la rigenerazione dell'Iraq deve concentrarsi con la massima
energia sull'obbiettivo di rafforzare e potenziare la gioventu' e di
metterla in condizione di affrontare tutti i suoi compiti, sulla
ricostruzione delle istituzioni educative come pure sul risanamento
psicosociologico, mentale e fisico all'interno dell'Iraq.
Ma sforzi speciali debbono essere dedicati al compito di dare alla gioventu'
irachena l'accesso piu' rapido possibile all'educazione all'interno del
paese o all'estero. Scuole e universita' all'estero dovrebbero farsi avanti
con borse di studio e altre forme di sostegno, assicurando peraltro, nello
stesso tempo, che gli iracheni possano effettivamente ritornare in patria al
termine della loro educazione e del loro addestramento.
Finalmente, una nuova missione di questo genere dovrebbe consigliare e
assistere il governo iracheno in molte questioni urgenti, per esempio nel
compito di creare due nuovi corpi statutari con finanziamenti autonomi e
comitati direttivi indipendenti: a) un consiglio per la ricostruzione e per
lo sviluppo diretto da professionisti e da tecnocrati iracheni e che possa
usufruire del sostegno di esperti presenti nella missione o in organismi
internazionali importanti; e b) un consiglio di sicurezza nazionale che
sovrintenda e coordini le misure relative alla difesa, agli affari interni,
all'"intelligence" e alla sicurezza nazionale.
*
4. Cancellare tutto il debito iracheno
Il 23 luglio 2007 e' stato annunciato che 45 stati avevano deciso di
cancellare i 140 miliardi di dollari Usa del debito iracheno (10). Secondo
alcune fonti cio' equivarrebbe a una completa estinzione del debito, dal
momento che il debito complessivo del paese era stato valutato a circa 130
miliardi nel 2003. Poiche' la grande maggioranza di esso era costituita dal
cosiddetto "debito odioso" creato dal governo iracheno prima dell'invasione
senza il consenso del popolo, e' solo giusto che "il popolo iracheno non
debba pagare la bolletta di Saddam", come l'Iraqi Jubilee Now si esprime
efficacemente sul suo sito web. Questo condono del debito andra' a vantaggio
della gente in primo luogo, ma anche di tutta la regione nel suo complesso,
in quanto permettera' una ripresa economica piu' rapida dell'Iraq
globalmente inteso (11).
Un progetto complessivo di pace dovra' garantire che questi 45 paesi diano
effettivamente esecuzione ai loro impegni nel prossimo futuro.
*
Note
1. Vedi www.oxfam.org.uk/what_we_do/issues/conflict_disasters/bp105_iraq.htm
2. Lo rivela la "International Herald Tribune" del 24 luglio 2007.
3. Questa opzione moralmente dubbia e' stata scelta da diversi paesi che si
sono ritirati, per esempio dalla Danimarca, le cui truppe sono state
ritirate in larga misura nell'agosto 2007.
4. Vedi il Piano in 12 punti di Kucinich in www2.kucinich.us/iraqplan e il
Piano per porre termine all'occupazione in
www.govtrack.us/congress/billtext.xpd?bill=h110-1234
5. A differenza di molti altri che hanno parlato della necessita' di
cambiare politica in Iraq, Kucinich non ha votato per la guerra fin
dall'inizio. Egli ha propugnato una politica di pace al posto di una
strategia di bombardamenti nei Balcani (Serbia, Bosnia e Kossovo), ha
elaborato una proposta complessiva per l'instaurazione di un Dipartimento
della Pace e sostiene attualmente la messa in stato d'accusa ("indictment")
del Presidente George W. Bush e del Vicepresidente Dick Cheney. Inoltre si
e' schierato contro l'ondata generale e il finanziamento estensivo della
guerra in Iraq e ha perorato a favore della revoca delle sanzioni economiche
per tutto il corso degli anni Novanta. Kucinich si profila come il solo
politico americano di alto livello i cui valori direttivi e le cui proposte
politiche concrete abbracciano la nonviolenza, i metodi genuini di soluzione
concordata dei conflitti e di riconciliazione finale fra le parti. Ci dice
forse di piu' dello stato attuale del mondo che di lui, nei tempi oscuri in
cui ci troviamo a vivere, il fatto che egli sia relegato al margine della
vita politica e conduca una campagna di stretta economia in compagnia di
migliaia di volontari e col sostegno della moglie Elizabeth, inglese di
nascita, che detiene una laurea (Master of Arts) acquisita nel ramo
"Risoluzione pacifica dei conflitti". Ci sono altre notizie su di lui nel
sito http://kucinich.house.gov , questa e' la sua "homepage" ufficiale
www2.kucinich.us/ e altre notizie si possono trovare su di lui e sua moglie
su Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Dennis_Kucinich#Personal_details
6. Vedi per esempio la Lettera aperta della Tff al Segretario Generale delle
Nazioni Unite:
www.transnational.org/Resources_Treasures/2007/OpenLetterKi-moon.html
7. Cfr. il suo sito web
www.brookings.edu/fp/saban/analysis/june2007iraq_partition.htm
8. Cfr. Jan Oberg, Former Yugoslavia and Iraq: a comparative analysis of
international conflict mismanagement, in Charles Webel and Johan Galtung
(ed), Handbook of Peace, and Conflict Studies, Routledge, London 2007.
9. Ulteriori notizie sui piani dell'ambasciata nel "Los Angeles Times" del
24 luglio 2007
www.latimes.com/news/nationworld/world/la-fgembassy24jul24,0,7085179.story?c
oll=la-home-center e in "Think Progress" del 29 maggio 2007
http://thinkprogress.org/2007/05/29/photos-embassy-iraq/. Tuttavia, i
disegni citati dell'impresa architettonica che si occupa dell'ambasciata non
si trovano piu' sul suo sito web.
10. La cancellazione del debito e' annunciata in
www.iraqdirectory.com/DisplayNews.aspx?id=414
11. Ulteriori notizie sul debito iracheno in
www.cfr.org/publication/7796/#24.
(Parte prima - segue)

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

4. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 231 del 3 ottobre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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