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Minime. 201
- Subject: Minime. 201
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 3 Sep 2007 00:56:42 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 201 del 3 settembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana ricorda Piergiorgio Acquistapace 2. Beatrice Bardelli ricorda Franco Mori 3. Uscire subito dalla guerra illegale e criminale, riportare a casa vivi i soldati italiani in Afghanistan 4. Tonino D'Agostino: Una lettera aperta agli amici nonviolenti 5. Raffaello Saffioti: La nostra prima risposta 6. Diana Napoli: Riflessioni su "L'uomo in rivolta" di Albert Camus 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. MAO VALPIANA RICORDA PIERGIORGIO ACQUISTAPACE [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: e-mail: mao at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) per questo ricordo. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario. Piergiorgio Acquistapace, insegnante di straordinarie doti maieutiche; infaticabile animatore di movimenti per la pace, l'ambiente, i diritti di tutti, la costruzione di un altro mondo possibile; gia' responsabile regionale dei verdi e figura storica della sinsitra molisana; limpido e strenuo oppositore della guerra; autorevole volto e nitida voce del Movimento Nonviolento, e' deceduto pochi giorni fa] Piergiorgio e' stato fra i primi che ho conosciuto all'interno della Lega degli Obiettori di Coscienza (in sigla: Loc), quando iniziai a partecipare agli appuntamenti nazionali e a frequentare la sede romana. Forse era il 1974. Ricordo, in particolare, la sua prima telefonata a casa mia. Io non ero ancora ventenne. Rispose mio padre, a cui piaceva scherzare, e mi disse: "C'e' Acquistapace per te... uno con un cognome cosi' non puo' che fare il nonviolento...". Aveva ragione. Piergiorgio era strutturalmente nonviolento: mite, paziente, accogliente, sorridente, tenace, persuaso... Nella Loc Piergiorgio Acquistapace faceva parte del cosiddetto gruppo dei "serviziocivilisiti", cioe' di coloro che pensavano che i valori dell'obiezione e dell'antimilitarismo andassero coniugati e testimoniati nell'impegno e nei contenuti del servizio civile alternativo. Era impegnato soprattutto nella formazione dei coordinamenti regionali degli obiettori, e in particolare nella diffusione dell'obiezione nel sud, nel suo Molise. * Qualche anno dopo ritrovai il nome di Piergiorgio nell'ambito del coordinamento degli insegnanti nonviolenti, e leggevo i suoi resoconti sui campi estivi per insegnanti a Barbiana. Da allora la nostra frequentazione e' diventata sempre piu' assidua e fraterna. Piergiorgio era fra i pochi militanti eroici che tentavano di fare la diffusione nel proprio territorio di "Azione nonviolenta". Ogni mese, per decenni, gli abbiamo inviato il pacco di riviste al suo paese, dal nome particolare "Castropignano, provincia di Campobasso". Non so se davvero riuscisse a venderle tutte, o se le regalasse, ma e' sempre stato puntuale e preciso nei pagamenti (probabilmente di tasca propria). Spesso si faceva anche mandare libri e opuscoli (richiedeva parecchie copie de L'obbedienza non e' piu' una virtu', di don Milani) che diffondeva nelle botteghe eque e solidali del meridione, o ai tanti convegni cui partecipava. Un appuntamento fisso al quale sempre ci siamo incontrati era la marcia Perugia-Assisi. Ero sicuro che l'avrei incontrato. Puntualmente riusciva a trovare il nostro banchetto del Movimento Nonviolento, a Santa Maria degli Angeli, e si avvicinava, con il suo sorriso sornione, lo zaino in spalle, e la sua bella famiglia al seguito, la moglie Lucia e le due bimbe, Alessia e Laura, che di marcia in marcia crescevano fino a diventare due ragazze belle e impegnate come i loro genitori. C'e' stato poi l'impegno nei Verdi. Piergiorgio, come altri amici nonviolenti, si coinvolse subito nella nascita dell'arcipelago verde, vedendo in esso una possibilita' di espressione politica per la nonviolenza organizzata. Sono innumerevoli le battaglie ambientali avviate da Piergiorgio nella sua terra, sempre con competenza e determinazione. Poi, con la crescita dei Verdi (e la loro progressiva trasformazione da movimento a partito) , crebbe anche la sua delusione e il conseguente distacco. Non venne mai a mancare, invece, l'impegno nel Movimento Nonviolento, a cui Piergiorgio teneva particolarmente, tanto da voler formalizzare il suo ruolo di "portavoce del coordinamento regionale molisano" con il quale era riconosciuto e apprezzato anche dalle altre forze politiche locali. Alle ricorrenze del 4 novembre, del 2 giugno, o a commento acuto dei principali avvenimenti politici nazionali, non mancava mai il suo punto di vista nonviolento con un comunicato che spesso trovava spazio nei giornali locali. E' stato il pioniere in terra molisana dell'obiezione di coscienza e della nonviolenza. E' stato anche molto avversato e isolato per questo. Ma le sue posizioni cristalline e coerenti, gli hanno procurato rispetto e autorevolezza. * Poi e' arrivata, improvvisa e inattesa, la malattia. L'estate di tre anni fa venne proprio all'ospedale di Verona per un intervento importante e delicato. Mentre lui era ricoverato, la sua famiglia fu ospite alla Casa per la Nonviolenza per potergli stare vicino. Pur nella preoccupazione del momento la moglie Lucia riusci' a trasformare quella permanenza in un momento di calda accoglienza e familiarita' per tutti coloro, amici o parenti, che vennero a trovare Piergiorgio. Quando usci' dall'ospedale Piergiorgio rimase ancora qualche giorno alla Casa per la Nonviolenza prima del viaggio di ritorno a casa. Lui era quello di sempre, capace di trasmettere calma e serenita' a chi gli stava vicino. Trovammo anche l'occasione per partecipare tutti insieme a una festa musicale dove suonava il comune amico chirurgo che l'aveva operato. Non sapevamo, allora, che la malattia gli avrebbe concesso solo tre anni ancora, che Piergiorgio ha utilizzato al meglio per proseguire il suo prezioso servizio alla nonviolenza. Amen. 2. LUTTI. BEATRICE BARDELLI RICORDA FRANCO MORI [Ringraziamo Luigi Piccioni (per contatti: l.piccioni at unical.it) per averci comunicato la notizia della scomparsa dell'indimenticabile Franco Mori ed averci trasmesso il seguente articolo di Beatrice Bardelli, comparso il 23 agosto sul quotidiano "La nazione". Scrive Luigi Piccioni: "Questo articolo dice l'essenziale, e per questo e' prezioso. Ma il significato della presenza di Franco e della gravita' della sua scomparsa vanno molto oltre". Ed e' davvero cosi'. Luigi Piccioni, impegnato sin dai primi anni '90 nell'ecopacifismo e nel commercio equo e solidale pisano, ha collaborato con Francesco Gesualdi nella redazione della "Guida al consumo critico" e alla diffusione delle sue tematiche in Italia grazie a molte decine di incontri pubblici; di mestiere storico dell'ambiente e dell'ambientalismo, insegna presso l'Universita' degli Studi della Calabria. Autore di molte pubblicazioni in volumi collettanei e in rivista, ha pubblicato, tra le altre cose, Il volto amato della patria, ricostruzione delle vicende del primo movimento di protezione della natura in Italia, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni '30 del Novecento; ha curato l'edizione italiana del libro di Jeremy Brecher e Tim Costello, Contro il capitale globale, Feltrinelli, Milano; collabora con il "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano e con la Rete di Lilliput. Beatrice Bardelli, giornalista, e' responsabile del Coordinamento dei comitati toscani contro l'elettrosmog ed e' impegnata in varie iniziative per l'ambiente e i diritti umani di tutti gli esseri umani. Franco Mori, recentemente scomparso, e' stato impegnato in tante e tali iniziative di pace, di solidarieta', in difesa della dignita' umana, che sarebbe assai difficile darne conto in poche righe; qui vogliamo ricordare in particolare il suo impegno nel "Gruppo Franz Jaegerstaetter per la nonviolenza" di Pisa, rinviando per qualche maggiore notizia all'articolo che segue] Prima operaio della Piaggio, poi contadino. Per scelta, per convinzione che un altro mondo fosse, davvero, possibile. E che la terra, la "madre terra", dovesse tornare ad essere territorio di pace e non di guerra e che, per questo, dovesse essere difesa con ogni mezzo dalla barbarie della cementificazione selvaggia, della speculazione agro-alimentare ma anche dalla barbarie dei vecchi e nuovi "campi di guerra". Ora, quel mondo in cui credeva con ostinata convinzione e per il cui avvento pregava, laico, ogni domenica mattina, nella sua Pieve a Calci dove viveva con la famiglia, la moglie Cristina e le due figlie, Irene e Rebecca, lo ha accolto per sempre. Franco Mori e' spirato domenica notte all'ospedale San Martino di Genova dove era stato trasportato d'urgenza, in elicottero, da Portovenere dove stava trascorrendo le vacanze con i suoi familiari. L'emorragia cerebrale che lo aveva colpito il giorno di ferragosto non ha avuto pieta'. * Franco Mori, per tutti solo "Franco", aveva 57 anni ed ogni anno della sua vita da adulto lo aveva voluto vivere fino in fondo, sempre dalla parte dei piu' deboli, sempre in difesa delle sue salde idee di giustizia, di partecipazione, di rispetto per gli altri, per l'ambiente e per il territorio. Operaio della Piaggio di Pontedera era diventato sindacalista della Fiom-Cgil, sempre in prima linea nella difesa dei diritti e della dignita' del mondo del lavoro. Nel 1984 aveva condiviso con altri 3.000 compagni di lavoro l'umiliazione della cassa integrazione speciale a zero ore ma non aveva perso la sua tempra di "cristiano combattente" dando vita al Coordinamento provinciale dei cassantegrati. Una scelta di lotta che paghera' cara. Confinato nella Sepi di Porta a Mare dove la Piaggio destino' i cosiddetti "capi della rivolta", il giorno in cui trovo' i cancelli serrati decise di aprire un capitolo nuovo nella sua vita dedicandosi alla sua antica passione di agricoltore. Alla fine degli anni '80 inizio' a fare il contadino negli oliveti della sua amata Val Graziosa ma non abbondono' per questo la sua innata passione sociale e politica. Gia' consigliere comunale per il Pci, subito dopo la scissione divenne il primo segretario di Rifondazione comunista a Calci dove accetto' la competizione elettorale per diventare sindaco di quel Comune. Ma il potere politico non l'aveva mai interessato, frequentava piu' volentieri il Gruppo Jaegerstaetter per la nonviolenza di Pisa, il forum sociale pisano, il foro contadino dove circolavano le nuove idee di un mondo diverso. Nel 2003, al Meeting di San Rossore rivendico', con il suo mitico cappello di paglia in testa, i diritti della "madre terra". Lo stesso anno, entro' con centinaia di persone dentro Camp Derby per seminare del grano, atto concreto di pace su un territorio militare. * E poi si dedico' totalmente alla sua vera missione. Diffondere la cultura della terra come valore primario, portatore di benessere collettivo ma, soprattutto, veicolo di pace, solidarieta' e lavoro. Da lui nacque l'idea di creare, prima a Calci poi in tutta la provincia di Pisa, i Gruppi di acquisto solidale per indurre ad uno stile di vita piu' sano, piu' sobrio e piu' rispettoso del mondo del lavoro contadino, della terra e dell'ambiente. Ci credeva cosi' tanto che aveva cercato di coinvolgere anche le istituzioni, il Comune di Pisa per l'appuntamento mensile del Mercato contadino in piazza della Berlina, il Comune di Calci per avere una sede dove distribuire i prodotti della filiera corta, l'assessorato all'agricoltura della Provincia di Pisa con cui aveva iniziato una proficua collaborazione. Il lavoro di Franco, dicono gli amici, non andra' perduto. La festa di settembre ideata da Franco, a Calci, ci sara'. L'ultimo saluto terreno a Franco sara' oggi, alle 16, alla Pieve di Calci dove celebrera' la messa il suo amico di impegno sociale di sempre, don Roberto Filippini. 3. EDITORIALE. USCIRE SUBITO DALLA GUERRA ILLEGALE E CRIMINALE, RIPORTARE A CASA VIVI I SOLDATI ITALIANI IN AFGHANISTAN Uscire subito dalla guerra illegale e criminale, riportare a casa vivi i soldati italiani in Afghanistan. * Uscire subito dalla guerra illegale e criminale: la guerra in corso in Afghanistan, la stessa che continua dai tempi dell'invasione dell'Armata rossa dell'allora Urss, e' una guerra terrorista e stragista, una guerra atroce che ormai da decenni sta martoriando la popolazione afgana. Una guerra alla quale l'Italia sta scelleratamente partecipando in violazione del diritto internazionale e della stessa Costituzione della Repubblica Italiana. Una guerra abominevole che non restera' circoscritta a quell'area ma dilaghera' in tutto il mondo. Una guerra razzista e onnicida. Una guerra che alimenta il terrorismo internazionale. Una guerra che serve agli interessi delle mafie che gestiscono il narcotraffico a livello mondiale. Una guerra assurda, insensata, sciagurata, apocalittica. Una guerra che da quel cratere puo' espandersi fino a minacciare l'intera civilta' umana. Come si puo' essere cosi' ciechi da non vederlo? E dire che vi sono italiani che proprio nella fornace afgana hanno dimostrato cio' che invece occorre fare: assistere tutte le vittime, salvare tutte le vite, intervenire in modo non armato e nonviolento a recare cure, a recare solidarieta' concreta: l'esperienza luminosa di Emergency. Perche' governo e parlamento non riconoscono la realta'? Perche' non rispettano la legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico cui pure hanno giurato fedelta'? Perche' non accettano quella regola aurea che fonda la convivenza umana, secondo cui non si devono uccidere bensi' salvare le vite umane? * Riportare a casa vivi i soldati italiani attualmente in Afghanistan: perche' e' insensato che siano li' come complici e corresponsabili di una guerra barbara e feroce, illogica e inumana, illegale e criminale; perche' e' insensato che le loro vite siano esposte al rischio della morte in una guerra il cui unico senso ed esito e' incrementare il terrorismo nel mondo, incrementare i proventi dei signori della guerra e della droga, incrementare il dolore, la miseria, la paura, incrementare le stragi - e l'odio dei superstiti. Riportiamoli vivi a casa i soldati italiani. Impediamo che si trasformino in assassini o assassinati. Se il governo e il parlamento italiano sono cosi' ignobilmente e totalitariamente razzisti da non provare alcun sentimento di umana solidarieta', di umana misericordia, di umana affinita' con gli esseri umani afgani, abbiano almeno pieta' e cura della vita e dell'integrita' fisica e psichica degli italiani cola' mandati oscenamente, delittuosamente, a uccidere e morire. Se non altro per salvare vite di italiani - oggi la', e domani e' da temere anche qui: poiche' chi semina vento raccoglie tempesta, e chi scatena il male da quel male verra' colpito - l'Italia cessi immediatamente di partecipare alla guerra, si impegni per la sua cessazione, intervenga in modo nonarmato e nonviolento per soccorrere tutte le vittime, faccia finalmente una politica internazionale di pace, di disarmo, di smilitarizzazione dei conflitti, di riconoscimento di umanita': una politica di civilta', semplicemente. * L'unica politica di sicurezza e' quella che promuove la sicurezza comune, la convivenza e la dignita' di tutti i popoli e tutte le persone, i diritti umani di tutti gli esseri umani. Vi e' una sola umanita': solo insieme possiamo salvarci. Non vi e' alcuna giustificazione per l'omicidio, e la guerra consiste di un cumulo di omicidi. La guerra deve essere bandita dalla storia affinche' possa esservi ancora una storia. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 4. TESTIMONIANZE. TONINO D'AGOSTINO: UNA LETTERA APERTA AGLI AMICI NONVIOLENTI [Attraverso Raffaello Saffioti (per contatti: rsaffi at libero.it) riceviamo e diffondiamo. Tonino D'Agostino, ingegnere, insegnante, e' persona di forte impegno civile, amico della nonviolenza. Francesca Romano e' magistrata alla Corte d'appello di Catanzaro. Raffaello Saffioti, amico della nonviolenza, infaticabile promotore di iniziative di pace, solidarieta', cultura, e' animatore dell'esperienza della Casa per la pace "Domenico Antonio Cardone" di Palmi ed e' segretario dell'Associazione amici dell'Antiquarium e dell'Associazione amici della Pietrosa] Caro Raffaello e cari amici conosciuti grazie a lui ed alla sua infaticabile capacita' di tessere rapporti umani, e' innanzitutto un grande conforto poter scrivere a voi per mettervi al corrente di una violenza che abbiamo subito ancor prima dell'incontro del 25 scorso, ma che non abbiamo potuto comunicarvi prima per motivi connessi alle indagini in corso. Domani la notizia uscira' sui giornali, ma io desidero che essa non sia mediata da alcuno e per questo vi scrivo. Non si e' trattato dunque di una violenza fisica ma per alcuni aspetti di qualcosa di peggio, perche' tale vuol essere l'"avvertimento" diretto a tutta una famiglia nel suo luogo piu' intimo e pacifico qual e' la casa. I simboli, ovviamente macabri, sono quelli ricorrenti che meglio esprimono la rozzezza e la primitivita' di cui sono portatrici queste persone: la testa mozzata del capretto, il sangue, le cartucce poste in bocca, una per ogni componente della famiglia... Ed ecco che le sensazioni, i dubbi, gli interrogativi ti sommergono riuscendo ad avere la meglio anche sulla paura che non ti puoi permettere perche' non e' razionale, mentre invece tu devi ragionare, analizzare, capire... Al massimo quindi ti puoi consentire di essere preoccupato, ma sempre vigile. * Ma e' giusto che, soprattutto per chi non ci conosce, io debba fornire qualche dato in piu' perche' possiamo interrogarci insieme. Mia moglie, Francesca Romano, che era anche presente alla riunione di Palmi, e' magistrato. Fino al dicembre scorso ha svolto le sue funzioni al tribunale di Vibo Valentia alla sezione civile ed alle misure di prevenzione. Nei circa quindici anni in cui si e' occupata di tale lavoro non ha mai avuto alcun problema inteso come minacce, sollecitazioni od altro... Ora e' alla Corte d'appello di Catanzaro. Svolge vita riservata un po' per via del suo lavoro un po' per suo carattere. Io faccio l'ingegnere all'interno di uno studio associato. Ho fatto anche l'insegnante negli istituti tecnici per circa vent'anni e da un po' di tempo medito di lasciare l'attivita' per concentrami meglio nell'impegno sociale e culturale (lavoro all'interno del Movimento Meridionale, di alcune associazioni culturali e della redazione di "Quaderni calabresi"). Da circa tredici anni abitiamo nel centro storico di Vibo Valentia per nostra scelta, ritenendo che tale contesto consenta piu' di altri di comunicare con la gente. * In effetti cio' mi ha consentito da qualche anno di svolgere insieme ai cittadini del quartiere una battaglia per la salvaguardia di tali luoghi che sono stati oggetto di vari appalti per la loro "riqualificazione" ma che, in effetti, hanno prodotto molti guasti ed a volte veri e propri sfregi all'antico impianto storico. Ha prevalso, come capita sempre piu' spesso, la voglia di lucrare al massimo senza alcuna cura di cio' che si andava facendo. In tutto questo l'amministrazione comunale si e' mostrata sorda ad ogni nostro appello (sempre sottoscritto da un gran numero di cittadini del quartiere) e lo stesso hanno fatto gli altri soggetti preposti tra cui la Soprintendenza di Cosenza da noi ripetutamente sollecitata. La nostra azione e' salita proporzionalmente di tono correlativamente al silenzio sempre piu' inquietante dei soggetti istituzionali. Poi le prime avvisaglie sotto forma di "consigli", "imbasciate" ecc. Infine l'azione del 18 agosto. Mi chiedo: basta cio' per scatenare tanta violenza? Dobbiamo aspettarci dell'altro? Si sono davvero ridotti a tal punto gli spazi di democrazia nel nostro paese? Queste domande ce le poniamo tutti da molto tempo e vogliamo pensare ancora che non puo' e non deve essere cosi'. Sappiamo pure che non basta crederci; bisogna soprattutto lavorarci facendo rete, facendo nostri i principi ed i metodi di "Comunita' libere" riportatici da Francesca Mileto nel suo intervento di quella bella serata, approfondendo le convincenti analisi che fa Enzo Sanfilippo nel suo articolo su "Azione nonviolenta" del giugno scorso. Io e Francesca comunque vi ringraziamo tutti perche' dopo quella serata ci siamo sentiti meno soli. Un fraterno abbraccio a tutti Tonino D'Agostino 5. SOLIDARIETA'. RAFFAELLO SAFFIOTI: LA NOSTRA PRIMA RISPOSTA [Sempre da Raffaello Saffioti (per contatti: rsaffi at libero.it) riceviamo e diffondiamo. Alla sua dichiarazione di solidarieta' anche la nostra redazione si associa] Carissimi Tonino e Francesca, la notizia dell'intimidazione che avete subito ci arriva pochi giorni dopo l'incontro di Palmi col Movimento Nonviolento, mentre stiamo organizzando l'incontro di preghiera interreligioso sul Monte Sant'Elia "L'11 settembre di Gandhi". E' una notizia di una estrema gravita' che mette alla prova la nostra cultura della nonviolenza. Abbiamo avvertito l'atto dell'intimidazione come se fosse stato compiuto anche contro di noi. Dovete sapere che non siete soli, ne' isolati. Lo devono sapere anche gli autori del vile atto criminale, compiuto in perfetto stile mafioso. Sentiamo il bisogno di esprimervi con immediatezza i sentimenti della nostra solidarieta', che e' anche doverosa. Sappiamo bene che l'obiettivo primo dell'atto intimidatorio e' quello di incutere paura e indurre al silenzio secondo il motto "Nessuno deve sapere". Noi rispondiamo: tutti devono sapere, non dobbiamo tacere. * Lavoriamo per impedire che si alzi il muro del silenzio omertoso, come spesso accade. Siamo gia' impegnati a diffondere il testo della vostra lettera tra gli amici della nonviolenza. Continuiamo nel nostro impegno di costruzione della rete di collegamento degli amici della nonviolenza, sia a livello regionale che nazionale. Ripetiamo: alla violenza organizzata si deve opporre la nonviolenza organizzata. Da Danilo Dolci abbiamo imparato che chi gioca solo perde sempre. Ricordate l'epigrafe posta da Dolci al libro Sorgente e Progetto (Rubbettino, 1991)? "Ma la' dove c'e' pericolo / cresce anche cio' che salva" (Hoelderlin). * Questo nuovo atto della criminalita' organizzata di stampo mafioso va inserito in un contesto piu' ampio, al di la' dei confini della citta' di Vibo Valentia. Dopo la strage di Duisburg, cerchiamo di cogliere i vari segnali di novita' negli opposti fronti e di non restare osservatori passivi. Esprimere la solidarieta' alle vittime della violenza mafiosa e' necessario, ma non e' sufficiente. Ci vuole ben altro, per andare al di la' dei luoghi comuni dell'impegno antimafia. Oltre alla ricerca di nuove forme di espressione della solidarieta', serve dare continuita' all'impegno di resistenza attiva. Serve soprattutto ricercare e sperimentare "percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso". Noi siamo collocati dalla parte della societa' civile organizzata, da qui diamo il nostro contributo come cittadini attivi. * Mentre ci prepariamo a darvi altre risposte, siamo attenti a cogliere le risposte che verranno da Vibo Valentia, dalla sua societa' civile, dalle autorita' e dalle istituzioni. Raffaello Saffioti, associazione Casa per la pace "Domenico Antonio Cardone" 6. RIFLESSIONE. DIANA NAPOLI: RIFLESSIONI SU "L'UOMO IN RIVOLTA" DI ALBERT CAMUS [Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it, sito: www.storiedellastoria.it) per questo articolo. Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano, e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia. Albert Camus, nato a Mondovi (Algeria) nel 1913, nel 1940 a Parigi, impegnato nella Resistenza con il movimento "Combat" (dopo la liberazione sara' redattore-capo del quotidiano con lo stesso titolo), premio Nobel per la letteratura nel 1957, muore nel 1960 per un incidente automobilistico. Lo caratterizzo' un costante impegno contro il totalitarismo e per i diritti umani, che espresse sia nell'opera letteraria e saggistica, sia nel giornalismo e nelle lotte civili (oltre che nella partecipazione alla Resistenza). In un articolo a lui dedicato ha scritto Giovanni Macchia (citiamo da "Camus e la letteratura del dissenso", in Giovanni Macchia, Il mito di Parigi, Einaudi): "L'assurdo fu per Camus un punto di partenza... Poiche' non si puo' immaginare una vita senza scelta, e tutto ha un significato nel mondo, anche il silenzio, e vivere 'en quelque maniere' significa pur riconoscere l'impossibilita' della negazione assoluta, la prima cosa che noi non possiamo negare e' la vita degli altri. Nell'interno dell'esperienza assurda nasce come prima evidenza (credere al proprio grido) la rivolta: slancio irragionevole contro una condizione incomprensibile e ingiusta, e che pur rivendica l'ordine nel caos. E ricordo la gioiosa impressione che provoco' la formula cartesiana di Camus, con la sua aria di limpido giuoco, quando la leggemmo la prima volta. Non 'je me revolte, donc je suis': ma 'je me revolte, donc nous sommes'. Risollevare gli uomini dalla loro solitudine, dare una ragione ai loro atti; mettersi non dalla parte degli uomini che fanno la storia ma di coloro che la subiscono... Rivolta come fraternita'". Opere di Albert Camus: tra le opere di Camus particolarmente significative dal nostro punto di vista ci sembrano Il mito di Sisifo, Caligola, La peste, L'uomo in rivolta, tutti piu' volte ristampati da Bompiani. Utile anche la lettura dei Taccuini (sempre presso Bompiani). Si veda anche (con Arthur Koestler), La pena di morte, Newton Compton, Roma 1981. Opere su Albert Camus: numerose sono le monografie su Camus; si vedano almeno la testimonianza di Jean Grenier, Albert Camus, souvenirs, Gallimard, e per una sommaria introduzione: Pol Gaillard, Camus, Bordas; Roger Grenier, Albert Camus, soleil et ombre, Gallimard; Francois Livi, Camus, La Nuova Italia; una recente vasta biografia e' quella di Olivier Todd, Albert Camus, una vita, Bompiani] Scriveva Camus, all'inizio della presentazione di un suo breve testo di gioventu', L'envers et l'endroit: "Sono nato a meta' strada tra la miseria e il sole". Questo incipit, che spiega bene, in effetti, tutta la produzione di Camus, illustra anche lo spirito che anima L'uomo in rivolta: non solo la negazione per una "miseria" la cui assurdita' oltrepassa la singola esistenza per chiamare in causa un'umanita' che costituisce come un fondo permanente di tutti gli uomini e di tutte le vite, ma anche, e soprattutto, l'affermazione, la serenita', il sorriso, la generosita' e la comprensione (il "sole" o anche "il pensiero meridiano", come si esprime ne L'uomo in rivolta) che, limiti e misura della rivolta in continua tensione tra questi due estremi, le impediscono di scivolare nella assoluta negazione nichilista. Camus scrisse questo testo nel 1951 con l'intenzione, come egli stesso racconta, di dire la verita' senza cessare d'essere generoso: esisteva uno spirito della rivolta che, tradito, in diverse occasioni, dalla rivoluzione nella storia (anzi da quelle che nella storia erano state chiamate rivoluzioni), necessitava di essere difeso perche' altro non era che il sentimento della giustizia, un grido di giustizia superiore alla situazione contingente e cifra, forse, dell'umanita' dell'uomo. Da qui, la celebre frase: "mi rivolto, dunque siamo". Ripercorrendo (a volte con toni e digressioni del pensiero che ricordano quelli di Hannah Arendt) la tradizione occidentale, europea, della rivolta, attraverso la letteratura, la storia e la filosofia, Camus mostra come il limite piu' grande della rivolta fosse stato, il piu' delle volte, o quello di rinchiudersi in una negazione assoluta (nonostante le premesse e le promesse di costruire un sistema di valori solo umano, idea tipica di quella che lui definisce la rivolta metafisica) o di precipitarsi a capofitto nella storia vista come processo da "fare" a suon dell'intransigenza di una qualunque virtu' e il cui valore si sarebbe manifestato alla "fine": la fine della storia che avrebbe reso a ciascuno le sue ragioni. * Cio' che qui e' riassunto in poche parole, da Camus e' argomentato interpretando i punti di riferimento della tradizione filosofica contemporanea (da Rousseau, a Hegel, a Nietzsche, a Marx) per trarne una conclusione che agli inizi degli anni Cinquanta probabilmente aveva del rivoluzionario: e cioe' che nonostante il debito che l'Europa portava verso questa tradizione era necessario guardare oltre o anche solo guardare a essa con strumenti diversi. Camus, in effetti, seppur con maggiore approssimazione e non sempre con acume teoretico, descrive (soprattutto nella parte centrale del libro) la parabola dell'Europa, in cui la storia teleologicamente intesa e il meccanismo del processo prendono il sopravvento sul pensiero, che sara' l'oggetto di molti scritti di Hannah Arendt (in un excursus filosofico che pero' nel suo caso parte da Platone per arrivare a Marx). L'invadenza e l'onnipresenza della storia in cui la rivolta si era gettata a capofitto, come fosse stata Dio, l'avevano condannata, il piu' delle volte, a un dilemma insolubile: "o la polizia o la follia". L'uccisione giustificata da chi aveva agito nella storia, la pazzia per chi aveva tentato di amare il mondo (o anche di non amarlo) senza una giustificazione. Invece, la rivolta che Camus invoca e' quella che pone un limite alla storia, rivendicando una dimensione dell'uomo non riducibile alla storia e al "fare" e che lo riconcili col mondo, non pero' in una silenziosa e congiunta rassegnazione o in una sequela di dichiarazioni ottimiste che a nulla servono, ma in una riconciliazione con l'essenza superiore del mondo. Senza questa generosita' della rivolta, qualunque "rivoltoso" (revolte') non e' che uno straniero in qualunque societa' di cui, semplicemente, non sopporta il peso. L'individualita' della coscienza e' la condizione necessaria della rivolta, perche' la giustizia e' innanzitutto un sentimento la cui ferita e' all'origine della coscienza che dice no. Ma questo sentimento, la giustizia, e' in se' propositivo e universale perche' presuppone una frontiera che delimita qualcosa da proteggere e preservare, per il quale e' necessario insorgere e che non puo' coincidere solo con la propria persona: la "natura umana". E' quest'ultima che, rivoltandosi, l'uomo ritiene violata. La rivolta non ha lo scopo primo di lottare per quel che non si possiede, ma di affermare quel che si e': afferma, negando l'ingiustizia, l'essere umano dell'uomo. Dunque "apparentemente negativa perche' non crea niente, la rivolta e' profondamente positiva perche' rivela cio' che, nell'uomo, dev'essere sempre difeso". * Forse questo non e' il migliore scritto di Camus, ma e' quello che attraversa la storia alla ricerca di un'origine, intesa meno in senso temporale che spirituale, della rivolta che potesse essere feconda nell'Europa uscita da pochi anni dalla seconda guerra mondiale e in cui Camus non vedeva ne' rivoluzioni, ne' rivolte, ma solo un generale (e "adolescenziale" ("de vieux adolescents" - scrive) sbandieramento di virtu' attraverso cui giustificare il nuovo corso del "processo storico". E il suo costituisce un tentativo di non essere soffocato dal sentimento di tristezza del dottor Rieux, che, finalmente sconfitta la peste che assediava Orano, puo' soltanto confessarsi che "la pace e' una sofferenza senza guarigione" perche' le morti sofferte, i fallimenti che avevano scandito la lotta contro la peste e il dolore senza giustificazione sarebbero rimasti stratificati in lui che trovava impossibile, proprio lui che aveva tanto operato per Orano, partecipare alla gioia collettiva di una pace solo ritrovata, da pericolo scampato. Camus voleva preservare la positivita' della rivolta, il suo coraggio sereno, il suo essere "tesoro inaspettato" (per utilizzare le parole che usera' Hannah Arendt qualche anno dopo per parlare della Resistenza) e la sua capacita' di incarnare "speranza", quella cosi' ben racchiusa ne "I fogli d'Ipnos" lasciatici da Rene' Char. Quello che rende pero' un po' malinconica la lettura di questo testo, almeno da parte mia, e' il sospetto che oggi si potrebbe scriverlo e leggerlo per gli stessi motivi per i quali fu concepito, in particolare per il desiderio di sottrarsi all'angoscia di Rieux di una pace sbandierata che non finisce mai. Di cui tutti si sono inebriati solo per aver avuta, piu' per miracolo o per caso che per merito, salva la pelle. Mi rivolto anche se non siamo. Cioe' siamo forse retrocessi allo stadio di una rivolta metafisica la cui unica scusa invece di essere la giustizia diventa il dolore e la sofferenza. Non so se la mia generazione sara' in grado di rivoltarsi e dunque di recuperare l'idea di un mondo che ci trascendera' una volta esaurita la nostra esistenza biografica, ma piu' probabilmente saremo impegnati a cercare un mondo qualunque, che sia almeno "casa" e non sia solo il vuoto che quelli che ci hanno preceduto pure rifiutano di lasciarci, foss'anche solo per non riconoscersene responsabili. E in questo Camus ha almeno un merito: placarci con la generosita' che pervade tutti i suoi scritti e con la certezza che una natura umana esiste ed e' la ragion d'essere del nostro stare al mondo, leggere, scrivere e guardarci. E anche lasciarci, una volta tanto, invece che con l'immagine straziante di Jacques Austerlitz errante per l'Europa percorrendo un terreno che sfugge sempre sotto i piedi, almeno con quella di Breton (che nel testo Camus tratteggia con la sua tipica capacita' di stare tra l'intransigenza e la comprensione): "Nous voulons, nous aurons l'au-dela' de nos jours". 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 201 del 3 settembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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