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Minime. 194
- Subject: Minime. 194
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 27 Aug 2007 00:34:58 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 194 del 27 agosto 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Mohandas Gandhi: L'inizio e la fine 2. Israeli Committee against house demolition: Ricostruire le case palestinesi e mettere fine all'occupazione 3. "Una citta'" intervista Jeff Halper 4. Camelia Entekhabifard: Nel vento 5. Giulio Vittorangeli: La sindrome di Roma 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: L'INIZIO E LA FINE [Da Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996, p. 140. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l’autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l’India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006] La nonviolenza inizia e termina con la ricerca interiore. 2. APPELLI. ISRAELI COMMITTEE AGAINST HOUSE DEMOLITION: RICOSTRUIRE LE CASE PALESTINESI E METTERE FINE ALL'OCCUPAZIONE [Dal sito di "Una citta'" (www.unacitta.it) riprendiamo il seguente appello dell'Icahd (Israeli Committee against house demolition)] 40 anni e 18.000 case demolite. Basta Campagna dell'Icahd (Israeli Committee against house demolition) per ricostruire le case palestinesi e mettere fine all'occupazione * Per 40 anni l'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza non ha portato che miseria, morte e distruzione sia ai palestinesi che agli israeliani. Ne e' prova il massacro senza senso che e' stato condotto nei confronti degli abitanti di Gaza e Sderot. Tra il 9 e l'11 giugno il comitato israeliano contro la demolizione di case (Icahd) si unira' a delle organizzazioni di base di tutto il mondo per chiedere l'immediata e totale fine dell'Occupazione. Solo allora israeliani e palestinesi potranno aspirare a quella giusta pace che le popolazioni desiderano ardentemente. Per dieci anni l'Icahd ha lavorato senza sosta per porre fine all'Occupazione, in particolare alla sua espressione piu' crudele, la demolizione di case palestinesi: 18.000 dal 1967. La demolizione di case e' stato un tratto distintivo della politica israeliana di "trasferimento" forzato da quando nel 1948, allo scoppiare della guerra, vennero distrutti piu' di 400 villaggi. Infatti, il primo vero atto dell'Occupazione israeliana, nel 1967, e' stata la demolizione di centinaia di case nella citta' vecchia di Gerusalemme. L'11 luglio, mentre la Guerra dei sei giorni volgeva al termine, piu' di 135 famiglie palestinesi vennero buttate giu' dai loro letti nel cuore della notte per trovarsi di fronte all'orrore dei bulldozer israeliani che distruggevano le loro case e le due moschee del quartiere. Hajja Rasmia Tabaki, un'anziana donna morta sotto le macerie della sua casa nel quartiere Mughrabi, e' stata la prima vittima dell'occupazione. Da allora quel violento, illegale e assolutamente non necessario atto di demolizione si e' ripetuto migliaia di volte nei territori occupati come in Israele. Tutto questo deve finire. A partire dall'11 giugno l'Icahd ricostruira' ogni casa palestinese demolita dagli israeliani, circa 300 ogni anno. Dedichiamo la nostra campagna alla memoria di Hajja Rasmia. * Sostieni la nostra campagna per mettere fine alla demolizione di case palestinesi, e fai sentire la tua voce. Sensibilizza i tuoi rappresentanti politici affinche' sostengano una giusta pace in Medioriente. Fa' sapere loro che solo quando i palestinesi saranno liberi, Israele godra' di pace e sicurezza. Il precedente Segretario di Stato James Baker ha ammonito l'attuale amministrazione Bush sul fatto che il conflitto israelo-palestinese costituisce l'epicentro dell'instabilita' globale. Solo quando sara' risolto noi raggiungeremo la sicurezza globale e la riconciliazione. The Israeli Committee against house demolition (Icahd) 3. RIFLESSIONE. "UNA CITTA'" INTERVISTA JEFF HALPER [Dal sito di "Una citta'" (www.unacitta.it) riprendiamo la seguente intervista apparsa nel n. 148 del 2007 della rivista col titolo "Noi ricostruiamo" e il sommario "Nel quarantesimo anniversario dell'Occupazione, il Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi ha avviato una campagna di ricostruzione di tutte le case demolite, circa 300 l'anno. Un ebreo ortodosso newyorkese, sopravvissuto alla Shoah, sempre piu' a disagio verso uno Stato degli ebrei da cui non si sente rappresentato, ha donato un milione e mezzo di dollari... Intervista a Jeff Halper". Segnaliamo che naturalmente alcune opinioni espresse nell'intervista possono non essere condivise. Ad esempio il boicottaggio delle universita' israeliane ci sembra una proposta semplicemente inammissibile. Jeff Halper, pacifista israeliano, e' urbanista e docente di antropologia all'Universita' Ben Gurion del Negev, vive a Gerusalemme e coordina l'Icahd, il Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi (www.icahd.org)] - "Una citta'": Per commemorare i 40 anni dall'inizio dell'Occupazione, avete lanciato una campagna in grande stile che prevede la ricostruzione di tutte le case palestinesi demolite. Puoi raccontare? - Jeff Halper: L'Icahd fa parte di una coalizione di gruppi pacifisti israeliani, che svolgono varie attivita', all'interno della quale da tempo ci stavamo in qualche modo preparando a questo quarantesimo anniversario. Noi evidentemente volevamo fare qualcosa che avesse a che fare, che enfatizzasse la questione della demolizione delle case. In realta' tutto e' partito da un ebreo ortodosso di New York, un sopravvissuto all'Olocausto, che e' entrato in contatto con noi. Lui ha manifestato il suo disagio per il fatto che Israele, che parla a suo nome - essendo lo Stato degli ebrei in qualche modo li rappresenta... Ecco, lui ha detto: "Non mi rappresenta". In particolare era molto colpito dalla politica di demolizione delle case palestinesi, che a lui ricordava quanto accaduto agli ebrei in Europa. Cosi' ha espresso il desiderio di dare dei soldi affinche' venisse ricostruita la casa a tutte le famiglie palestinesi a cui era stata demolita nel corso di quest'anno. A questo scopo ha dato un milione e mezzo di dollari. Ora, Israele demolisce all'incirca 300 case all'anno. E questo significa che noi possiamo spendere sui 5-6.000 dollari per casa. Ovviamente con questi soldi si costruisce una piccola unita', due stanze, un bagno, una cucina, non e' molto, ma e' funzionale, permette alle famiglie di andare avanti. Cosi' abbiamo dato inizio a questa campagna, coordinandoci con le altre iniziative per il quarantesimo anniversario dell'Occupazione. Nel corso di questo lavoro, e' emersa una cosa interessante. Abbiamo infatti scoperto che la prima azione dell'Occupazione e' stata la demolizione di una casa. Tra il 10 e l'11 luglio 1967, mentre la guerra era ancora in corso, le autorita' israeliane arrivarono con i bulldozer e nel mezzo della notte sbalzarono dal letto 137 famiglie, e demolirono le loro case. E' stato il primo atto dell'Occupazione, perche' nulla aveva a che fare con la guerra, ne' con la sicurezza. Era semplicemente il primo "fatto sul terreno" che Israele metteva in atto per poi appropriarsi e controllare quello spazio. Infatti il tutto avvenne con una tale precipitazione che una signora anziana, bloccata in casa, mori' sotto le macerie. Il suo era nome era Hajja Rasmia Tabaki. E' la prima vittima dell'Occupazione. Tutto questo avvenne nel quartiere Mughrabi (da Maghreb), il quartiere di Gerusalemme accanto al Muro, sorto 700 anni prima. Lo demolirono per fare una piazza. Ecco, noi in qualche modo abbiamo voluto tornare a quel momento, a quel luogo e l'11 giugno siamo andati nel quartiere Mughrabi. Ci sono ancora diverse famiglie nella zona, anche un Mukhtar originario di li'. Per quanto spaventati, cercarono di tenere assieme la comunita'. Insomma, nel quarantesimo anniversario della demolizione abbiamo voluto recarci in quel luogo per esprimere la nostra solidarieta' a quella gente, per ricordare quel vicinato, la donna uccisa, per accettare pubblicamente le nostre responsabilita', in quanto israeliani, di cio' che fa il nostro governo. Anche allora infatti Israele cerco' di giustificare la propria azione in termini difensivi, ossia addossando la colpa sui palestinesi. In quella sede abbiamo annunciato il lancio di questa campagna: la ricostruzione di tutte le case palestinesi che sono state e verrano demolite quest'anno. Al contempo abbiamo firmato una lettera. Nel 1968, il Consiglio di sicurezza dell'Onu emano' una risoluzione, la 252, che intimava a Israele l'immediata sospensione del processo di unificazione della citta', di annessione di Gerusalemme Est. La risoluzione allora venne accolta all'unanimita' con l'eccezione di Stati Uniti e Canada, che si astennero. Ma comunque passo'. Per cui abbiamo redatto e sottoscritto questa lettera, palestinesi e israeliani assieme, che abbiamo dato al rappresentante Onu. Siamo poi scesi in strada, e ci siamo recati nel quartiere musulmano dove la scorsa settimana e' stata demolita una casa. E quella e' stata la prima casa ricostruita; la casa di una famiglia con dieci bambini... Ora stiamo ricostruendo circa venti case nell'area del West Bank e di Gerusalemme Est. Tutto questo avviene in aperta opposizione all'Occupazione e in un modo che non puo' essere ignorato. C'e' anche la possibilita' che chiudano l'Icahd, la nostra organizzazione, che mi mettano in carcere - eventualita' che mi permetterebbe di finire finalmente il mio libro... Comunque andremo avanti testa a testa con l'Occupazione... * - "Una citta'": Qual e' il senso di ricostruire case che verranno verosimilmente demolite nuovamente? Suona un gesto molto gandhiano... - Jeff Halper: E' cosi'. Forse non tutte le case, ma sicuramente molte verranno nuovamente demolite. Negli ultimi anni abbiamo ricostruito circa 35 case. Meta' sono state demolite, ma alcune, come la casa di Salim, sono state ricostruite anche tre-quattro volte. Questa ricostruzione e' un atto di resistenza politica, non e' un gesto umanitario. Evidentemente se lo scopo fosse restituire la casa ai palestinesi, non avrebbe molto senso costruire case che vengono demolite. Sarebbe solo un frustrante sciupio di soldi. Il punto e' che stiamo compiendo azioni illegali. E' illegale ricostruire queste case, per cui sia noi sia le famiglie palestinesi stiamo facendo della resistenza attiva. Da questo punto di vista, e' possibile che vengano di nuovo demolite, fa parte della repressione. Ma la ricostruzione per noi e' appunto un'azione contro la repressione, e' un modo per sollevare la questione della demolizione e dell'Occupazione. * - "Una citta'": Chi fa fisicamente il lavoro di ricostruzione? - Jeff Halper: Finora tutte le case sono state ricostruite da volontari israeliani, palestinesi e internazionali. Ovviamente non possiamo pensare di ricostruire 300 case da soli. Siamo in contatto con alcuni muratori palestinesi. Se le famiglie sono d'accordo, a Gerusalemme e nel nord e nel sud del West Bank, abbiamo dei lavoratori a contratto, che vengono e costruiscono le case per le famiglie. Non lo facciamo coi volontari, coinvolgiamo operai palestinesi usando i materiali palestinesi. Stiamo costruendo a Jenin, Hebron, dovunque demoliscano, eccetto Gaza, dove ora e' impossibile. * - "Una citta'": Molti denunciano un processo di pulizia etnica, soprattutto a Gerusalemme Est... - Jeff Halper: E' chiaro che e' in atto una pulizia etnica. Negare a qualcuno una casa e' un messaggio chiaro: "Fuori di qui!". La casa poi e' legata alla patria, parliamo quindi della negazione di un diritto individuale e collettivo - home e homeland... Dal 1967 Israele ha demolito 18.000 case nei territori occupati. Ad oggi sono stati emanati circa 20.000 ordini di demolizione, solo a Gerusalemme Est. Praticamente su un terzo delle case di Gerusalemme Est pende questa spada di Damocle. Israele ovviamente non puo' permettersi di demolire 20.000 case, non sarebbe accettabile. In inglese si usa l'espressione "keep under the radar", nel senso di non finire nei giornali o in tv. In questo senso si autolimita nella quantita' di case che riesce a demolire, e poi appunto "randomizza". Se a Gerusalemme ci sono 20.000 ordini, Israele ne distrugge "solo" 150... Beh, 150 case vuol dire minimo 150 famiglie quindi insomma non sono piccoli numeri, pero' a confronto di 20.000... insomma non c'e' un criterio evidente: se tu hai ricevuto l'ordine un anno fa e io la settimana scorsa non significa che verra' demolita prima la tua casa. Girano per le varie citta', distruggendo due case qui, due la', etc., case che hanno appena avuto l'ordine, altre che ce l'hanno da dieci anni... Questo modo di procedere ovviamente semina la paura, sono tutti sottoposti a un senso di precarieta' e insicurezza. Non puoi mai star tranquillo perche' domattina potrebbero arrivare i bulldozer... E la paura funziona anche da deterrente alla costruzione di nuove case. Perche' non bisogna dimenticare che e' vero che ci sono 20.000 case su cui pende un ordine di demolizione, ma si stima che manchino ben 25.000 case, a Gerusalemme, nel settore arabo. D'altra parte le famiglie sono sempre piu' restie a costruire in un'area in cui si andra' incontro a scontri con l'esercito, il governo etc. Insomma, funziona. Perche' 20.000 famiglie hanno costruito, ma 25.000 no. Inutile dire che a Gerusalemme Est le condizioni abitative hanno raggiunto livelli di disagio estremamente gravi. Questo a sua volta spinge la gente a stabilirsi fuori da Gerusalemme e una volta che lasciano la citta' perdono la residenza, ora poi finiscono dall'altra parta del muro... E' cosi' che stanno "ripulendo" Gerusalemme dai palestinesi. Ed e' cosi' che molti palestinesi hanno deciso di lasciare il paese tout court. Si stima che piu' di 200.000 palestinesi abbiano lasciato il paese negli ultimi 5-6 anni. Certo, qui pulizia etnica non significa che Israele carica la gente su dei convogli, e' una pulizia etnica condotta in modo piu' intelligente e sofisticato, per cui alla fine sono i palestinesi a "decidere" di andarsene, e Israele non ne e' responsabile. * - "Una citta'": Ora si sente parlare addirittura della "Grande Gerusalemme", cosa sta succedendo? - Jeff Halper: Guarda, ormai si potrebbe parlare anche dell'"enorme" Gerusalemme. Come sappiamo da tempo c'e' il progetto della Gerusalemme "metropolitana", che include Ramallah e Betlemme, ma e' un piano concettuale; non si tratta di annettere, ma di pianificare l'intera "regione Gerusalemme" in un modo per cui Ramallah e Betlemme saranno satelliti dipendenti della Grande Gerusalemme israeliana. Quindi c'e' la Gerusalemme Municipale e la Grande Gerusalemme, e poi la Gerusalemme metropolitana che, ripeto, trascende l'annessione e ha a che fare con l'egemonia. * - "Una citta'": Come vengono giustificati gli ordini di demolizione? - Jeff Halper: Funziona tutto in base a piani urbanistici, "zooning", direttive amministrative, leggi... In sostanza Israele ha classificato l'intera area di Gerusalemme Est come non edificabile, per cui i palestinesi possiedono la terra ma non possono costruirci. Anche nel West Bank e' andata un po' cosi', essendo per lo piu' considerata area per le coltivazioni agricole. Insomma, se un palestinese si presenta alle autorita' israeliane con la richiesta di costruire una casa per la famiglia, si sentira' rispondere: "Mi dispiace, questo e' terreno agricolo". Cosi' possono impedire ai palestinesi di costruire senza che questo costituisca una discriminazione. Ora, se invece si tratta di dar l'avvio a un nuovo insediamento israeliano si puo' convocare la commissione preposta alla pianificazione... e cosi', e' ugualmente facile riconvertire una zona verde o adibita alla coltivazione in area edificabile. E di nuovo si puo' legalmente dare la terra ai coloni senza formalmente discriminare i palestinesi. * - "Una citta'": Eppure l'idea della pace in cambio dei Territori sembrava aver convinto gli stessi israeliani... - Jeff Halper: In realta' non aveva convinto Israele, che ovviamente non ha detto di no, ma... Mi spiego, se parliamo della popolazione, guarda, io credo che gli israeliani siano pronti e anzi intenzionati a porre fine all'Occupazione. Il problema e' il governo che, con Barak in particolare, ha portato avanti l'idea per cui comunque "non c'e' un partner con cui fare la pace", bisogna difendersi, eccetera. Cosi' la popolazione pensa che si', sarebbe disposta a rinunciare all'Occupazione, ma non puo' perche' ci attaccherebbero. C'e' anche da dire che l'opinione pubblica israeliana e' stata in qualche modo disarmata, si sente impotente e spesso non sa, non vuole sapere cosa sta accadendo, vuole solo poter vivere la propria vita... Per quanto riguarda il governo, al piano saudita ha detto si', perche' e' interessato alla normalizzazione. La sua ambizione e' infatti quella di raggiungere la normalizzazione senza rinunciare all'Occupazione. Questo, del resto, e' cio' che ha fatto con la Giordania, con l'Egitto, che potrebbe fare con la Siria. La strategia di Israele e' dire si' e poi... Musharraf si e' offerto volontariamente di venire in Israele a mediare. Voglio dire, il Pakistan ha riconosciuto Israele, lo stesso potrebbe accadere con i sauditi... E' gia' in atto un processo di normalizzazione, ma alla fine restano due punti su cui Israele non accettera' mai un accordo: non tornera' entro i confini del '67 e non permettera' il ritorno dei profughi palestinesi. Per cui, ripeto, Israele puo' dire si', e' un bel piano, e organizzare visite e incontri alla Knesset, etc. alla fine pero' - di fatto - la risposta sara' no, ma in un modo che, come gia' accaduto, sembrera' che siano gli arabi ad essere irragionevoli. Purtroppo devo aggiungere che anche la Lega Araba fa parte del gioco. Loro hanno gia' capito cosa sta facendo Israele, sanno gia' come andra' a finire, semplicemente, per me, stanno fingendo di porre delle condizioni a Israele per accattivarsi le popolazioni arabe; fingono di fare i duri, per quanto gia' sappiano cosa accadra'. * - "Una citta'": Ma che chance rimangono a che nasca uno Stato palestinese? - Jeff Halper: Io non credo ne rimangano molte. Ed e' per questo che i palestinesi si sentono davvero incastrati. E' difficile... Se almeno ci fosse stata una leadership palestinese capace - ma anche qui: Israele ha ucciso o incarcerato tutti i potenziali buoni leader - in grado di articolare, anche sul piano internazionale, la soluzione dei due Stati: "Noi palestinesi siamo pronti a fare la pace con Israele, ma rivogliamo i territori occupati, non rinunciamo a Gerusalemme perche' e' il cuore economico, ecc., vogliamo dei confini...". Insomma, avrebbero posto un caso in cui Israele davvero sarebbe stata molto in difficolta'... Credo che Israele continui a vincere anche per la mediocrita' e insufficienza della leadership palestinese, sono passivi, non propongono nulla... Oggi sta sempre piu' emergendo la proposta di un unico Stato. Anche questa e' una proposta che potrebbe mettere Israele in imbarazzo. D'altro canto per i palestinesi significherebbe trasformare la lotta per la liberazione nazionale in una lotta per i diritti civili. Come in Sudafrica. E non credo siano pronti... I palestinesi in diaspora ne stanno parlando. I palestinesi qui sono ancora dell'idea di avere un proprio Stato. Questo e' anche il problema di Gaza. Perche' Stati Uniti e Israele hanno lasciato i palestinesi a scegliere tra Abu Mazen, cioe' l'apartheid (Abu Mazen ha accettato l'idea di un bantustan) oppure i fondamentalisti. I palestinesi "normali" vorrebbero solo veder rispettati i loro diritti in un loro Stato autonomo e praticabile, sono disposti a far la pace con Israele, ma allo stato attuale non c'e' nessuno a rappresentarli. Questa del resto sembra la strategia degli Stati Uniti nell'intero Medio Oriente; dalla Somalia all'Egitto, dal Nordafrica al Libano, fino all'Iraq e all'Afghanistan, spingono le popolazioni a scegliere tra regimi di oppressione, come quello di Mubarak, e Al Qaeda o i Fratelli Musulmani. Cosi' qualsiasi possibilita' di una societa' progressista e democratica, nel modo arabo, sembra persa... I pochi leader democratici vengono uccisi o imprigionati o vanno volontariamente in esilio... E' questo il problema dei palestinesi, che non vogliono niente di stravagante, solo uno Stato democratico, e invece sono costretti dagli Usa e da Israele a scegliere tra Hamas e Abu Mazen, e' come dover scegliere tra la peste e il colera. Certo e' che c'e' stata una sistematica eliminazione delle forze democratiche in tutto il Medio Oriente. Insomma, e' un bel pasticcio. Tutti i musulmani democratici ormai sono in Europa. * - "Una citta'": Cosa pensi del boicottaggio degli accademici inglesi contro le universita' israeliane? - Jeff Halper: Noi lo sosteniamo. O meglio noi sosteniamo il boicottaggio accademico, purche' si fermi a livello delle istituzioni. Non sosteniamo - ma mi sembra che gli inglesi non si siano spinti cosi' in la' - il boicottaggio degli individui, docenti e studenti. Questa per me e' la linea rossa... In generale comunque sosteniamo le azioni esterne, perche' ci troviamo in una situazione in cui la pace non puo' venire da dentro Israele. Siamo andati troppo in la'... 4. IRAN. CAMELIA ENTEKHABIFARD: NEL VENTO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo apparso sul "New York Times" del 24 agosto 2007. Camelia Entekhabifard, giornalista, e' autrice di Camelia: Save Yourself by Telling the Truth - a Memoir of Iran] Molte volte, a Teheran, mio zio Ali usciva di prima mattina per raccogliere grossi funghi sulla montagna di Shemiran. Ogni estate ed ogni autunno, quando vedevo i temporali addensarsi nell'aria, sapevo che avremmo avuto grandi mucchi di succosi funghi selvatici. Mio zio credeva che i temporali spingessero i funghi giu' dalla cima del monte alle sue pendici sassose. Cosi' i "cacciatori" di funghi come zio Ali si alzavano presto la mattina dopo il temporale, per trovarli e tagliar loro la testa. Come giornalista e scrittrice iraniana, ho spesso paragonato me stessa e molti dei miei colleghi a quei funghi. Nel 1992, quando cominciai a lavorare a Teheran, stavo molto attenta a quel che scrivevo. E questo ando' avanti fino all'elezione di Mohammad Khatami, il presidente "riformista" nel 1997. Allora io, e numerosi altri giornalisti, ci affrettammo ad andare a lavorare per i principali quotidiani riformisti del paese. I chierici moderati iniziarono ad usare la stampa per mettere in discussione le leggi basate sulla religione, come i codici d'abbigliamento restrittivi e la morte per lapidazione. Il presidente Khatami apporto' alcune riforme al sistema politico e svelo' il ruolo degli agenti dello spionaggio iraniano negli omicidi di un certo numero di intellettuali. Ogni giorno i giornalisti iraniani, con il sostegno del popolo iraniano, andavano in profondita' nel dare notizie o mettevano in questione il sistema. Avevamo fiducia nel fatto che i cambiamenti raggiunti erano definitivi e che saremmo stati protetti dal governo che avevamo eletto. L'ultima rivista per cui ho lavorato in Iran, "Zan", fu chiusa per ordine del tribunale nella primavera del 1999. All'epoca io mi trovavo negli Usa, e fui arrestata non appena rimisi piede a Teheran. Fui tenuta, per ordine del governo, in isolamento per tre mesi, durante i quali confessai crimini che non avevo commesso e feci tutto quello che un essere umano poteva fare per salvare la propria vita. Adesso sono arrivata a chiedermi se le opportunita' che avevamo scambiato per vere riforme non fossero che illusioni create per ingannarci. Il governo iraniano incoraggio' quella breve era per poter identificare meglio i propri oppositori ed eliminarli? L'elezione di Khatami fu il temporale che permise infine al governo di darci la caccia? * Questa tempesta non ha travolto solo noi, ma anche gli intellettuali iraniani espatriati che avevano iniziato a tornare nel paese quando il presidente Khatami invio' all'estero il messaggio che "L'Iran e' per tutti gli iraniani". Di recente alcuni di essi sono stati arrestati. Ramin Jahanbegloo, che e' uno studioso iraniano-canadese, ha passato quattro mesi in una galera iraniana, l'anno scorso. Ha "confessato" sui media nazionali che alle conferenze fuori dall'Iran "entrava in relazione" con molti americani ed israeliani, e che parte di costoro erano "agenti dello spionaggio". Zahra Kazemi, una fotografa iraniana-canadese, e' morta sotto interrogatorio mentre era detenuta a Teheran. E, naturalmente, Haleh Esfandiari, un'intellettuale iraniana-statunitense che dirige il programma per il Medio Oriente del Centro Internazionale Wilson per docenti, a Washington, ha passato cento giorni nella prigione di Evin, prima di essere rilasciata su cauzione martedi' scorso [La madre di Haleh Esfandiari ha venduto la propria casa per pagare l'ingente cauzione della figlia - ndt]. Anche lei ha dichiarato in televisione di essere in combutta con la "rivoluzione morbida" contro il regime di Teheran. La situazione in cui la dottoressa Esfandiari si trova oggi e' la stessa che ripetutamente i cittadini iraniani che osino pensarla in modo differente devono affrontare. * Il messaggio mandato agli intellettuali iraniani all'estero e' lo stesso che viene dato a quelli ancora nel paese: "Non sei piu' il benvenuto, qui". Chi ha avuto un assaggio delle prigioni e degli interrogatori in Iran, inclusi gli accademici e gli scrittori della mia generazione, o i marinai britannici recentemente detenuti per ordine del governo, sa di cosa parlo. Si tratta di tortura psicologica e false accuse. In prigione, tutto quel che ti resta e' pregare di riavere la tua liberta' per potertene andare dall'Iran e non tornarci mai piu'. E questo e' cio' che il regime vuole per qualunque studioso, intellettuale, scrittore che possa avere una qualche influenza sulla gente in Iran: che si lasci il paese e che si sia troppo spaventati per farvi ritorno. Ancora non e' chiaro se alla dottoressa Esfandiari verra' permesso di lasciare presto l'Iran. Non sarei sorpresa se in questo momento stesse promettendo a se stessa di non far mai piu' visita alla madre e al proprio paese, e se consigliasse altri di fare la medesima cosa. 5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA SINDROME DI ROMA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Agosto e' il mese delle vacanze, per chi ci va. Puntualmente, a settembre, compare l'elenco dei turisti rimasti profondamente delusi dalla loro meta. Perche' sono stati trattali male o sono stati derubati; o peggio ancora perche' sono stati truffati dalle agenzie di viaggi: quanto promesso nei luccicanti depliant si e' dimostrato nella realta' ben misera cosa. Cosi' cadono vittime di una sindrome da stress e depressione. La chiamano "sindrome di Parigi", perche' secondo l'ambasciata giapponese a Parigi, la sindrome (diagnosticata per la prima volta alcuni anni fa) colpisce molti giapponesi che visitano la capitale francese, tanto che alcuni devono essere rimpatriati. Noi abbiamo la "sindrome di Roma": una forma di stress e depressione che colpisce quanti hanno votato per Romano Prodi aspettandosi un governo magari non rivoluzionario ma almeno serio, coraggioso, coerente, e che oggi sono profondamente delusi. Il problema (oltre ad essere rimpatriati, si', ma dove?) e' che questa situazione sta determinando una sfiducia verso la politica, che ha tutti i caratteri del qualunquismo. Si rischia, sempre piu', la deriva populista e oligarchica, liberista e provinciale. Il centrosinistra dice male del centrodestra e il centrodestra dice male del centrosinistra, ma entrambi non dicono alcunche' di proprio e di motivante. A entrambi i contendenti va bene cosi', ciascuno fa qualche speculazione sul suo orto e del resto - un po' piu' vasto - poco importa. Perche', fondamentalmente, si considera il mondo non piu' modificabile, al massimo da gestire. Pochissimi sembrano avere memoria del fatto che un parlamento serve a rappresentare il paese, nella maniera piu' possibile articolata e fedele, e non solo a votare la fiducia a un governo. Che la democrazia cresce e si organizza attraverso la partecipazione quotidiana dei cittadini, non solo chiamandoli ogni cinque anni a votare, assai piu' contro chi si teme o si detesta che non per qualcosa in cui razionalmente si creda. Quella che quotidianamente ci viene presentata (sarebbe meglio dire: rappresentata) e' una politica disabitata dai sentimenti, molto piu' a sinistra che a destra. In questo senso, il centrosinistra prodiano non manca solo di iniziativa o di unita' ma per l'appunto di corpo, e di tutto quello che ha a che fare col corpo: passioni, desideri, attaccamenti e sbilanciamenti di parte, comunicazione emotiva, narrative mobilitanti. "Non c'e' nei nostri attuali governanti una vibrazione d'empatia per la nostra vita quotidiana, i nostri desideri, le nostre frustrazioni, le nostre scommesse. Quella che Berlusconi riesce a trasmettere, e Prodi e Fassino no, e non per mancanza di tecnica televisiva... Il problema sta nella separazione dei due registri - il corpo a Berlusconi la testa al centrosinistra, l'immaginario di la' la ragione di qua, la seduttivita' a lui la convinzione a noi - che sembra la vera discriminante del bipolarismo italiano" (Ida Dominijanni, "Il manifesto", 5 dicembre 2006). Si dice che la politica contemporanea e' ridotta all'amministrazione dell'esistente. Ma l'esistente cambia continuamente, peggiora. Gestire l'esistente comporta il rischio di trovarsi in una situazione divenuta ormai esplosiva, ingovernabile. La crisi della civilta' contemporanea interroga la politica, solleva bisogni ed urgenze cui la politica deve rispondere, perche' altrimenti sara' il fondamentalismo religioso a farsene carico. Ecco perche' la politica deve ritrovare il coraggio di ambizioni progettuali. Se la politica non si rinnova, nelle forme e nel concepirsi con chiari limiti, puo' inventarsi tutti i partiti che vuole (o pensare che la politica si rinnovi solo cambiando leggi elettorali) ma non riuscira' a tornare credibile e affidabile. Allora, nella migliore delle ipotesi, ci aspettera' il "Sarkozy in salsa italiana", con le capacita' seduttive del neoliberismo proprio per quelle "classi popolari" di cui le sinistre dicono di voler essere paladine. Al fondo sembra mancare una reale "analisi di classe" (come si sarebbe detto una volta), capace di leggere le vite terremotate dal capitale di milioni di individue e individui, ben oltre la classe operaia, e ben oltre il solo depauperamento materiale immediato, che pure c'e'. Un'analisi in profondita' del presente, delle figure che assume il salariato diretto o indiretto in seguito alle tendenze dei capitali mondiali, incrociati con gli interessi della sola superpotenza ereditata dal '900, gli Usa, e delle nuove che emergono nel terzo millennio, prima di tutte la Cina. Anche attraverso questo passa la possibilita' della realizzazione concreta di una politica per la pace tra i popoli. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 194 del 27 agosto 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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