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Minime. 168
- Subject: Minime. 168
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 1 Aug 2007 00:31:38 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 168 del primo agosto 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Tutte le alture 2. Paolo Pegoraro colloquia con Anna Giannatiempo Quinzio su Sergio Quinzio 3. Daniele Novara: La lezione pedagogica di Franco Fornari 4. Massimo Giuliani presenta "Andre' Neher" di Maria Roberta Cappellini 5. Diana Napoli presenta "Infanzia berlinese" di Walter Benjamin 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. TUTTE LE ALTURE La guerra terrorista e stragista in Afghanistan, la guerra cui l'Italia partecipa, la guerra assurda e mostruosa che sta sterminando da decenni un popolo e sta aprendo un crepaccio che puo' raggiungere ogni paese, ogni popolazione, e tutti ingoiare nell'abisso. La guerra terrorista e stragista che anche il nostro paese sta conducendo, avendo mandato in frantumi il diritto internazionale e la legalita' costituzionale, riducendoci tutti schiavi della menzogna e del crimine; anche le mie mani del sangue afgano imbrattate, anche le mie mani. La guerra terrorista e stragista che e' altresi' silenzioso un colpo di stato nel nostro paese. E tu vedi, e sai, e taci. La guerra. Terrorista e stragista. La guerra. Nemica dell'umanita'. 2. MEMORIA. PAOLO PEGORARO COLLOQUIA CON ANNA GIANNATIEMPO QUINZIO SU SERGIO QUINZIO [Da "Jesus" di dicembre 2006 riprendiamo il seguente articolo li' apparso col titolo "L'attesa inesausta del Regno", il sottotitolo "Ricordare Sergio Quinzio in tempo di avvento" e il sommario "A dieci anni dalla morte, la figura di Sergio Quinzio, singolare biblista laico, autodidatta, continua a spiccare nel panorama italiano per l'originalita' di pensiero e per la radicalita' in cui poneva domande essenziali per tutti i cristiani". Paolo Pegoraro e' critico letterario, giornalista e saggista, collabora stabilmente alle riviste "Letture" e "Vita pastorale". Anna Giannatiempo Quinzio, filosofa e saggista, e' docente di Estetica all'Universita' di Perugia e direttrice della rivista "Davar". Tra le opere di Anna Giannatiempo Quinzio: L'estetico in Kierkegaard, Napoli 1992; Filosofia e paradosso. Scritti di Soren Kierkegaard, Torino 1993; con Francesco Permunian ha curato una raccolta di scritti di Sergio Quinzio: L'esilio e la gloria. Scritti inediti 1969-1996, Bologna 1998. Sergio Quinzio, pensatore, biblista, saggista; nato ad Alassio nel 1927, morto a Roma nel 1996. Opere di Sergio Quinzio: in volume segnaliamo Diario profetico; Religione e futuro; Giudizio sulla storia; Cristianesimo dell'inizio e della fine; Che cosa ha veramente detto Teilhard de Chardin; La dimensione del nostro tempo; Laicita' e verita' religiosa. La religione nella scuola; Un commento alla Bibbia; Monoteismo ed Ebraismo (con Piero Stefani); L'impossibile morte dell'intellettuale; La fede sepolta; Dalla gola del leone; L'incoronazione; La filosofia della Bibbia (a cura di); Silenzio di Dio; La croce e il nulla; La speranza nell'apocalisse; Domande sulla santita'; Le radici ebraiche del moderno; La sconfitta di Dio; Incertezze e provocazioni; I vangeli della domenica; Mysterium iniquitatis. Segnaliamo inoltre l'intervista a cura di Leo Lestigi, La tenerezza di Dio; la raccolta delle Lettere agli amici di Montebello; la raccolta di scritti inediti L'esilio e la gloria (scritti inediti 1969-1996). Opere su Sergio Quinzio: segnaliamo il fascicolo monografico di "Bailamme" n. 20 del dicembre 1996, Sergio Quinzio in memoriam; il fascicolo contiene studi, documenti ed una eccellente bibliografia (alle pp. 275-301). Segnaliamo anche il fascicolo di "Humanitas", n. 1, 1999, monografico su: Sergio Quinzio: le domande della fede] La figura di Sergio Quinzio (1927-1996), a dieci anni dalla scomparsa, merita di essere riscoperta non solo per la formidabile attualita' del pensiero, quanto e piu' per il coraggio con cui Quinzio ha assunto in tutto il suo dramma, dall'interno della fede, lo svuotamento di senso della contemporaneita'. Cominciamo dalla fine. L'Apocalisse si conclude con la promessa del Signore: "Vengo presto". Se, come insegnano alcuni critici, il significato di un libro si rivela nella sua conclusione, allora e' alla luce di queste parole che bisogna rileggere tutta la Bibbia. E' quello che ha fatto Sergio Quinzio, singolarissima figura di biblista laico e autodidatta, senza lauree ne' accademie. Le sue cattedre furono l'editoria, la stampa nazionale, le interviste alla radio e alla televisione. Dalla solitudine di Isola del Piano l'originalita' del suo pensiero incuriosiva e conquistava. O forse a colpire, piu' che l'originalita', era l'esasperata pervicacia con cui Quinzio si avvinghiava ai propri interrogativi, l'insofferenza per le conciliazioni di comodo, la fedelta' lancinante al grido di Giobbe: perche' Dio non salva ancora? Perche' il Regno di Dio non si e' definitivamente realizzato? Quel "Vengo presto" gli appariva ancora sospeso, inesaudito... * Nato ad Alassio il 5 maggio 1927, Sergio Guinzio - questo il vero nome - ricordava la sua infanzia come un mondo composto e ordinato grazie alla convenzionale educazione religiosa ricevuta dalla madre e nelle scuole salesiane. Ma questa visione pacifica del mondo si sarebbe incrinata ben presto davanti all'esperienza della morte e dell'ingiustizia: l'entrata in guerra dell'Italia; il servizio all'obitorio dove, ancora adolescente, Sergio deve ricomporre i corpi spappolati dalle granate; l'ingiustificato incarceramento del padre a opera dei partigiani. Trasferitosi con la famiglia a Roma, Quinzio entra all'Accademia della Guardia di Finanza, dove scrive al fratello Patrizio Flavio le lettere che confluiranno nel suo primo libro, Diario profetico (1958). Gia' in queste pagine troviamo il richiamo a uníazione di testimonianza cristiana radicale, escatologica, aliena alle scorciatoie mondane di una Chiesa ridottasi a guida etica, umanistica o addirittura politica. Successivamente Quinzio incontra Ferdinando Tartaglia, il vulcanico sacerdote scomunicato che per lui rappresenta "il primo esempio di un pensiero religiosamente audace", anche se in seguito prendera' le distanze dalle sue posizioni. Ma l'esperienza che lo scuote piu' profondamente sono i tre anni di calvario della prima moglie, Stefania Barbareschi, colpita da cancro, che lo lascia solo con la figlioletta Pia e la madre ottantenne. E' in questo frangente che Quinzio - come ricordera' in un'intervista alcuni anni dopo - avverte la necessita' di ritrovare il fondamento della propria speranza cristiana, accettando un confronto senza infingimenti con l'esistenza del male e del dolore nel mondo. Rifiutando secoli di impalcature filosofiche che hanno addomesticato lo scandalo della croce, Quinzio si rivolge alle radici ebraiche del cristianesimo e alla felicita' anzitutto terrena - e non rinviata all'aldila' - che il Dio biblico promette all'uomo. Perche', se il mondo e' redento, la bonta' viene ancora calpestata? Per il credente non si tratta di una innocua equazione filosofica da risolvere con virtuosismo intellettuale, ma di un rovello affondato nel cuore dell'esistenza. L'impaziente desiderio che la salvezza si realizzi hic et nunc diventa per Quinzio il pungolo della fede, il motore che le permette di non implodere in routine nullificante. Proprio per questo ne La croce e il nulla (1984), uno dei suoi saggi piu' famosi, Quinzio sosterra' che il nichilismo e' il frutto tardo ma inevitabile del cristianesimo secolarizzato; l'annuncio della morte di Dio, d'altra parte, era gia' contenuto nei Vangeli. Nella croce vittoria e sconfitta si equivalgono e scompare per sempre il Dio onnipotente chiuso nella propria perfezione, mentre sopravvive un Dio indebolito e bisognoso degli uomini, quello nato a Nazareth, che salva attraverso la consolazione e la tenerezza. "Diventa sempre piu' difficile aspettare la consolazione promessa", conclude Quinzio, "e tuttavia, a mio giudizio, diventa anche sempre piu' necessario". * E' in questa paradossale assunzione delle ansie contemporanee che risiede tutta la bruciante vitalita' e attualita' del suo pensiero, come ci conferma la professoressa Anna Giannatiempo Quinzio: "Sergio diceva che la sua era una disperazione sorridente", racconta. "Cercava sempre di essere, come dice la tradizione ebraica, con la tristezza nel cuore ma il sorriso sulle labbra. E' vero, le vicende della vita e della storia sono angoscianti, ma lui credeva davvero nell'esistenza di una speranza oltre tutto, e questa speranza gli dava quantomeno la forza di sopportare la disperazione, di non chiuderla su di se' ma al contrario di aprirla al Signore nella domanda e nella preghiera". * - Paolo Pegoraro: In una lettera, Quinzio le scrisse che "la felicita' e' un mistero piu' grande della sofferenza". - Anna Giannatiempo Quinzio: Si', perche' lui diceva che se non ci fosse la felicita', non potremmo davvero sapere che cos'e' l'essere felici e desiderare d'esserlo, ne' potremmo accorgerci di quanto grande e' la sofferenza che ci allontana da essa. La felicita' e' il mistero piu' grande perche' e' un desiderio continuo e insopprimibile, nonostante l'uomo la attinga per attimi. E' una promessa che si spera eterna, anche se Sergio diceva che la felicita' con cui Dio consolera' i suoi fedeli continuera' a portare i segni incancellabili della sofferenza, proprio come Gesu' risorto porta ancora le piaghe della croce. * - Paolo Pegoraro: Nonostante sia stato uno dei primi importanti divulgatori biblici in Italia, Quinzio non ha suscitato particolari entusiasmi nella stampa cattolica. - Anna Giannatiempo Quinzio: Solo in questi anni la cultura religiosa si e' aperta all'interferenza dei laici su tematiche che, soprattutto in Italia, sono sempre state retaggio del clero. Capisco che suscitasse qualche apprensione, sia a causa dell'epocale eredita' modernista, sia perche' Sergio non apparteneva a nessun gruppo ne' a qualche accademia. Ma ha avuto anche degli estimatori. E poi Sergio e' sempre stato fedele alla Chiesa: era molto scrupoloso su questo e non ha mai saltato la messa, recitava il rosario, si confessava e comunicava. * - Paolo Pegoraro: Viceversa, i suoi scritti hanno avuto una larghissima influenza su molti intellettuali e scrittori. - Anna Giannatiempo Quinzio: Indubbiamente nel mondo laico Sergio ha ricevuto molta attenzione, ma proprio per i suoi pensieri religiosi. Tantissimi si sono avvicinati ai temi della fede e del cristianesimo proprio perche' gravitavano attorno a lui. Ricordo Ferrucio Masini, ma anche lo stesso Erri De Luca, Massimo Cacciari, Maurizio Ciampa, Gabriella Caramore, Piero Stefani... Tutte persone che hanno ruotato intorno a Sergio e lui, in qualche modo, li ha attratti verso questo mondo. * - Paolo Pegoraro: La fede deve farsi carico della sofferenza del mondo: c'e' una certa somiglianza tra la disperazione di Kierkegaard e la delusione di Quinzio? - Anna Giannatiempo Quinzio: Kierkegaard e' un pensatore che Sergio stimava molto, anche se non condivideva il suo accanirsi contro la Chiesa in quanto istituzione. Sergio diceva che la Chiesa e' nella storia, ha il suo cammino, ha le sue pecche, mentre quello che noi dobbiamo assolutamente cercare di riscoprire e di vivere e' l'originario messaggio cristiano, cioe' la sua tensione escatologica. Per lui tutto si giocava su questo. * - Paolo Pegoraro: Secondo Quinzio, il pensiero nichilista e' stato un'estrema invocazione di salvezza. Il nichilismo di oggi, invece, e' una prassi che - come lei scrive - elude le contraddizioni per rendere meno necessaria la salvezza. - Anna Giannatiempo Quinzio: Si', perche' nonostante le contraddizioni siano gia' scoppiate tutte, invece di prenderne coscienza ci stendiamo sopra il velo della ragione. Si e' sempre insistito sulla debolezza della volonta' che vede il bene e non riesce a farlo, ma questo discorso vale anche per la ragione. Anche la ragione e' limitata, peccabile, portata piu' all'errore che alla verita'... e oggi le contraddizioni della ragione le abbiamo sotto gli occhi: l'uomo non trova piu' una finalita' ai percorsi della sua vita e allora si gioca giorno per giorno. Oggi la fede deve prendere coscienza che l'uomo e' arrivato al limite delle proprie possibilita', oltre le quali c'e' solo la violenza contro di se' e contro gli altri. La fede e' la risposta al di la' di tutto questo, ma non possiamo dirla se non ci sprofondiamo, come Dostoevskij, nelle contraddizioni, nelle poverta', nelle insufficienze, nelle domande senza risposta in cui la maggior parte delle persone si dibattono. 3. RIFLESSIONE. DANIELE NOVARA: LA LEZIONE PEDAGOGICA DI FRANCO FORNARI [Dal sito del "Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti" (www.cppp.it) riprendiamo questa relazione di Daniele Novara su "La lezione pedagogica di Franco Fornari. L'educazione al vivere senza il bisogno della violenza", in Conflitti, affetti, cultura: Franco Fornari, Atti del convegno svoltosi a Milano dal 20 al 22 maggio 2005, editi dal Centro milanese di psicoanalisi "Franco Fornari", Milano 2007. Segnaliamo che alcune scelte linguistiche e alcune proposte interpretative di questo saggio possono dar luogo a degli equivoci, lettrici e lettori sapranno contestualizzare e decodificare - leggere e' un'attivita' cooperativa. Daniele Novara, pedagogista, consulente e formatore, e' direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza; tra i primi in Italia ad affrontare in maniera organica una formazione improntata all'educazione alla pace, e' autore e curatore di numerose pubblicazioni e collabora con varie riviste e case editrici; ha coordinato il progetto Citta' dei bambini del Comune di Piacenza. Tra le opere di Daniele Novara: con Lino Ronda, Materiali di educazione alla pace, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1984; con Massimo Esposito, La pace s'impara, Bologna, Emi, 1985; con Lino Ronda, Scegliere la pace. Educazione al disarmo, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1986, 1989; Scegliere la pace. Educazione ai rapporti, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1987, 1997; Scegliere la pace. Educazione alla giustizia, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1989; Scegliere la pace. Guida metodologica, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1991 (quarta edizione riveduta); (a cura di), L'istinto di pace, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1990; con Francesco Beretta, Anna Martinelli, Il litigio, Bologna, Emi, 1990, 1993; (a cura di), Ricominciare da un libro, Molfetta, La Meridiana, 1993; (a cura di), L'ascolto e il conflitto, Molfetta, La Meridiana, 1995; con Patrizia Londero, Scegliere la pace. Educazione alla solidarieta', Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1994, 1997; con Patrizia Londero, Scegliere la pace. Educazione al futuro, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1996; L'ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell'ascolto, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002-3; con Diego Miscioscia, (a cura di), Le radici affettive dei conflitti, Molfetta, La Meridiana, 1998; con Elena Passerini, La strada dei bambini, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002; con Silvia Mantovani, (a cura di), Bambini ma non troppo, Molfetta, La Meridiana, 2000; con Lorella Boccalini, Tutti i grandi sono stati bambini. Per un uso educativo della convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2000; Obiettivo Solidarieta', Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Giustizia, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Rapporti, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Futuro, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivi... Guida per l'insegnante, Torino, Ega-Paravia, 2001; con Elena Passerini, Ti piacciono i tuoi vicini? Manuale di educazione socioaffettiva, Torino, Ega, 2003; (a cura di), Memoranda. Strumenti e materiali per la giornata della memoria, Molfetta, La Meridiana, 2003; (a cura di), Abbracci e litigi. Educazione ai rapporti per bambine e bambini dai 2 ai 6 anni, Torino, Ega, 2004; (a cura di), La scuola dei genitori. Come aiutare i figli a diventare grandi, Piacenza, Berti, 2004; Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti, Io non vinco, tu non perdi. Un kit per promuovere l'educazione alla pace e la gestione dei conflitti tra ragazzi, Unicef, Roma 2004; (a cura di), Il genitore che ascolta. La funzione educativa dei padri e delle madri nella costruzione dell'autonomia dei figli e delle figlie, Piacenza, Berti, 2005; (a cura di), Ognuno cresce solo se sognato. Antologia essenziale della pedagogia critica, Molfetta, La Meridiana, 2005; io e... gli altri. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... i diritti. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... la solidarieta'. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... Guida per l'insegnante. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005. Franco Fornari (Rivergaro (Pc) 1921 - Milano 1985), medico psichiatra e psicoanalista, allievo di Musatti, docente di psicologia, direttore dell'Istituto di Psicologia e professore ordinario di psicologia all'Universita' degli Studi di Milano, presidente dal 1973 al 1978 della Societa' italiana di psicoanalisi; "ha lasciato con la sua opera di pubblicista e di organizzatore culturale un segno profondo nella cultura italiana degli ultimi decenni, spaziando e promuovendo ricerche su svariati temi, quali l'eta' evolutiva, la musica, la letteratura, la medicina, la politica, la guerra. A partire dagli anni Sessanta elaboro' una sua teoria psicoanalitica del linguaggio, l'analisi coinemica, che si distacca dalla teoria freudiana pur mediandone molti concetti". Tra le opere di Franco Fornari: segnaliamo particolarmente Psicanalisi della guerra atomica, Comunita', 1964; (a cura di), Dissacrazione della guerra, Feltrinelli, Milano 1969; Psicanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1970; Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano 1970; Psicoanalisi e cultura di pace, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992. Segnaliamo inoltre almeno La vita affettiva originaria del bambino, Feltrinelli, Milano 1963; Nuovi orientamenti nella psicoanalisi, Feltrinelli, Milano 1963; Psicoanalisi e ricerche letterarie, Principato, Milano 1975; Simbolo e codice, Feltrinelli, Milano 1976, 1981; (a cura di), Fantasmi, gioco e societa', Il Saggiatore, Milano 1976; Il minotauro. psicoanalisi dell'ideologia, Rizzoli, Milano 1977; Coinema e icona, Il Saggiatore, Milano 1979; Genitalita' e cultura, Feltrinelli, Milano 1979; I fondamenti di una teoria psicoanalitica del linguaggio, Boringhieri, Torino 1979; Il codice vivente, Boringhieri, Torino 1981; La malattia d'Europa, Feltrinelli, Milano 1981; La lezione freudiana, Feltrinelli, Milano 1983; La riscoperta dell'anima, Laterza, Roma-Bari 1984; Per una psicoanalisi della musica, Longanesi, Milano 1984; Carmen adorata, Longanesi, Milano 1985; Psicoanalisi in ospedale, Cortina, Milano 1985; Seminari di Copernico, Borla, Roma 1987] 1. Volersi bene a tutti i costi o imparare i conflitti? Perche' il Centro psicopedagogico per la pace considera Franco Fornari un maestro? Negli ultimi tempi ci siamo orientati su una metafora educativa che include il conflitto nell'area delle esperienze di crescita, mentre nella pedagogia tradizionale il conflitto e' incluso nelle esperienze da evitare, come nel caso dei litigi fra i bambini dove la maestra e' sempre preoccupata, anche in funzione dei genitori, di impedire che i bambini bisticcino. Non si capisce ad esempio perche' i bambini di un anno e mezzo messi assieme non debbano morsicarsi, mi sembra una pretesa francamente contro natura. In questa logica dell'evitare ad ogni costo ci sta anche denunciare i nidi dove ci sono i morsicatori. Qualche genitore lo ha realmente fatto. Nell'opera di Franco Fornari, vorrei evidenziare un concetto centrale e cioe' quello di guerra come amore alienato, espresso molto bene in uno dei suoi ultimi libri, Carmen Adorata, che racconta proprio attraverso la metafora dell'opera lirica Carmen, l'amore alienato, cioe' la distruttivita' in nome dell'amore (1). E' questo sostanzialmente il tema dell'analisi della violenza da parte di Fornari. Lo chiarisce molto bene ne La malattia dell'Europa: "una vera epopea pacifista non puo' fondare il suo potere su un supplemento di bonta' dell'uomo, per cui l'uomo si sente buono anche quando fa la guerra sacrificandosi per il suo paese" (2). Si tratta di un Fornari profetico come al solito. Basti pensare a cosa direbbe oggi dei kamikaze. Questi non solo fanno la guerra, ma si immolano. E' un problema abbastanza serio dal punto di vista esplicativo: dove si collocano i kamikaze? Non e' semplicissimo, c'e' un senso di ansia e di paura reale. Proviamo a metterci nei panni degli spagnoli che sono stati cosi' umiliati dai guerrafondai, per vedere un attimo come ci si sente all'idea di essere su un treno e a un certo punto non esserci piu' perche' qualcuno ha deciso di immolarsi tirandovi dentro al suo delirio. Non e' semplice. Io mi metto nei loro panni e dico che hanno fatto benissimo a ritirarsi. Un bellissimo slogan fornariano e' "Not in my name", proprio perche' se e' vero che la guerra e' un delitto individuale e' anche legittimo il suo contrario. Questo vale anche per la mafia. C'e' un bellissimo libro di una psicanalista junghiana cha ha utilizzato Fornari per analizzare la mafia (3), molto interessante perche' analizza come l'appartenenza mafiosa legittima l'omicidio in nome della famiglia o di Cosa nostra, nomi legati ad un'affettivita' di carattere simbiotico, regressivo e totalizzante. Questo meccanismo dell'appartenenza omicida lo si riscontra in tanti fenomeni sociali, politici e in tante guerre. Fornari con la sua analisi precisa e meticolosa, ci ha dato una chiave di lettura, che ci apre questa finestra sull'inconscio come depositario di proiezioni assassine e omicide per evitare di incontrarsi con la propria aggressivita' e con la propria distruttivita' e poterla cosi' esportare esternamente in modo da creare una sorta di bonifica interna che e' a totale carico distruttivo e luttuoso degli altri. Occorre ovviamente venir fuori da questo delirio distruttivo. Fornari da' anche una sua ricetta ed e' esattamente quella che abbiamo cercato di seguire. E' contenuta nell'introduzione al libro di un grande psicanalista tedesco: L'Idea di pace e l'aggressivita' umana (4); Fornari dice: "La pace porta alla reimportazione del conflitto", cioe' il conflitto va reimpostato internamente, questa e' la pace. La pace e' conseguenza del conflitto, non dell'assenza dei conflitti, l'assenza dei conflitti e' pericolosa. Chiunque abbia lavorato nelle grandi guerre civili dei nostri tempi si accorge che la guerra civile nasce proprio dalla volonta' sistematica di eliminare il conflitto, come tensione reciproca, come scontro, come divergenza, come difficolta' ad assumere l'altro come limite alle proprie compulsioni e alle proprie proiezioni. Da questo punto di vista un altro merito dell'analisi di Fornari e' di averci rivelato i vantaggi psichici della guerra, ossia l'elemento di semplificazione. In fondo la guerra e la violenza cosa ci dicono a livello relazionale? Ci dicono che non bisogna fare fatica, che l'importante e' eliminare chi ci porta il conflitto. La guerra e' questo. Basta con la fatica! Eliminiamo chi ci mette alla prova e ci crea stress e quindi troviamo una pace che e' un vero proprio appiattimento relazionale. Si tratta allora di capire di quale pace stiamo parlando. E' molto angosciante questo volersi bene a tutti i costi, perche' annulla il confronto necessario che implica il conflitto e quindi implica una crescita e un'evoluzione. Come Centro psicopedagogico pr la pace abbiamo cercato di strutturare una differenza molto secca tra conflitto e guerra, tra conflitto e violenza: il conflitto da rubricare nell'area delle relazioni e la guerra e la violenza nell'area delle distruzioni, il contrario di quello che si fa adesso, il conflitto viene visto come una perturbazione, una rottura, una fatica. * 2. Il pericolo delle culture educative a-conflittuali e simbiotiche Nel mondo sono proprio le culture educative a-conflittuali e rigide che sono alla base delle guerre. Sono educazioni che tendono ad eliminare il valore della differenza e del conflitto ed il conflitto e' il vero bonificatore delle proiezioni persecutorie. E' l'accettazione del conflitto e lo stare nel conflitto che permette di evitare di spostare in maniera paranoica sull'altro o sugli altri quelle che sono in realta' le proprie pulsioni interne. Il caso del Kossovo e' incredibilmente paradigmatico. In Kossovo vi sono i villaggi serbi, con dentro 30 serbi, blindati da 80 militari perche' se non vengono blindati li ammazzano. Quindi si evince che non c'e' stato nessun processo rielaborativo e quindi come sempre succede in questi casi le vittime diventano aguzzini, diventano a loro volta dei persecutori, non c'e' un passaggio trasformativo, un passaggio che per esempio e' stato fatto in Sud Africa, dove si e' realizzato un processo rielaborativo. E' questo il problema: assumere il conflitto. Tutto questo rischia di essere accentuato da una vocazione non tanto verso la democrazia degli affetti, cioe' dell'integrazione dei codici affettivi, quanto verso un forte squilibrio dove le ragioni dell'appartenenza simbiotica si stanno accentuando, sia da un punto di vista socio-politico in un delirio etnico che non trova mai fine, sia in una logica educativa, anche di rapporto educativo primario, che non prevede la separazione e tende a non prevederla, tende a porre il bambino e la bambina in una condizione per cui non ci sia un termine a questa sorta di fusionalita' assoluta. Il genitore sembra promettere a suo figlio e sua figlia una simbiosi eterna, senza rendersi conto che in questo modo si crea una situazione in cui il codice materno diventa assolutamente tirannico. Oggi in Italia il fenomeno educativo piu' rivelatore e' quello di una forte maternalizzazione della figura paterna a cui pero' non corrisponde una genesi di codice paterno almeno dal punto di vista familiare, quindi tutti fanno a gara nel complimentarsi coi nuovi padri che cambiano i pannolini e quant'altro, pero' non c'e' altrettanta attenzione a riconoscere nel contesto della crescita educativa il bisogno dei figlioli e delle figliole di avere la possibilita' di un imprinting regolativo, normativo, responsabilizzante ed esplorativo che consenta loro di assumere il conflitto con i genitori come strumento di crescita. Dai genitori in genere ci si allontana perche' si capisce che il rapporto coi genitori ha esaurito le sue funzioni, ma questo oggi, in un contesto di forte maternalizzazione di codice, rischia di non avvenire piu'. I dati sono sconcertanti, come quello recente citato da Chiara Saraceno: secondo un'indagine recentissima su 28 paesi europei il 67% degli uomini italiani sotto i 35 anni vive ancora con i genitori, rispetto al 21% di tedeschi e al 12% di svedesi (5). * 3. La cultura educativa del conflitto come bonifica relazionale e spinta verso l'autonomia Se la fatica e' un valore paterno, oggi possiamo dire che questo valore - che poi e' il valore dentro cui si colloca la cultura del conflitto, come cultura della ricerca della relazione che non sia solo una relazione volta all'omologazione, volta al rispecchiamento narcisistico - e' un valore deficitario. In una maternalizzazione talmente accentuata come quella che stiamo registrando dove il conflitto genera una vera e propria sensazione di minaccia, dove le regole non vengono messe perche' creano conflitti e quindi bisogna stare dentro una simbiosi assoluta in cui il volersi bene ha sostituito il concetto di benessere, si intuisce che c'e' qualcosa che non funziona. Anche un'educazione che crea questa dipendenza e' foriera di un atteggiamento che puo' provocare una forte de-sensibilizzazione rispetto alla guerra e rispetto alla violenza. Io penso che la pace sia un problema di democrazia degli affetti, ma oggi come oggi ritengo che la pace sia da cercare maggiormente in una accentuazione del paterno, come capacita' di stare nei conflitti, di reintegrare il conflitto nella propria esperienza. Non mi pare possa stare in un'enfasi di maternage che sta avvolgendo in una melassa assorbente un po' tutti, sia genitori che istituzioni educative, senza restituire niente, senza dare la possibilita' di quella autonomia e di quella crescita che permette di diventare grandi. Occorre lavorare su un concetto di educazione che sappia rispettare la distanza. In Fornari mi ha sempre colpito la distinzione tra cultura della confidenza e cultura della diffidenza e come l'educazione debba porsi questo problema nella costruzione di una distanza che diventi formativa, perche' senza distanza e' difficile pensare ad un approccio che sia educativo. Educare vuol dire prendere delle decisioni; e' chiaro che queste decisioni possono avere una natura di un tipo o dell'altro, ma se non ci diamo neanche lo spazio temporale per creare una decantazione emotiva che ci permetta di vedere quello che succede nella relazione e quindi di trovare anche la decisione piu' pertinente, diventa tutto molto confuso. Allora l'emotivita' prevale sull'educazione e non c'e' piu' un dialogo emotivo ma una sorta di compulsione che poi impedisce di capire e di creare educazione. Mi sembra importante riproporre la dialettica degli affetti cosi' come l'ha proposta Franco Fornari, con un'attenzione pero': oggi in un discorso pedagogico, se vogliamo sviluppare la cultura del conflitto come cultura della relazione, di capacita' di stare nella relazione, dobbiamo affermare con molta onesta' che il codice paterno sta venendo meno e sta disertando, si sta sottraendo alla sua funzione vitale. Conviene raddrizzare questa situazione e portarla a una maggior integrazione. Sono grato all'opera di Franco Fornari, che riteniamo un maestro, perche' ci ha concesso di uscire dall'educazione alla pace come palude dei buoni sentimenti, quei buoni sentimenti di cui si nutrono i guerrafondai e anche i kamikaze, per aprirci a una nuova capacita' di leggere il conflitto come struttura anti-proiettiva e quindi come dimensione di liberta' e di crescita. Fra Bush e i kamikaze c'e' un'altra strada ed e' la strada faticosa ma creativa di stare nei conflitti con un atteggiamento formativo e con la fermezza di chi sa che ci salviamo assieme o non ci salviamo. * Note 1. F. Fornari, Carmen adorata, Longanesi, Milano 1985. 2. F. Fornari, La malattia dell'Europa, Feltrinelli, Milano 1981, pp. 200-201. 3. S. Di Lorenzo, La grande madre mafia. Psicanalisi del potere mafioso, Pratiche, Milano 1996. 4. F. Fornari, Presentazione all'edizione italiana di A. Mitscherlich, L'idea di pace e l'aggressivita' umana, Sansoni, Firenze 1972. 5. "Il Venerdi' di Repubblica", 25 febbraio 2005, intervista a Chiara Saraceno. 4. LIBRI. MASSIMO GIULIANI PRESENTA "ANDRE' NEHER" DI MARIA ROBERTA CAPPELLINI [Dal sito www.nostreradici.it riprendiamo la seguente recensione apparsa sul quotidiano "Avvenire" del 2 settembre 2000, col titolo "Neher: un 'forse' tra il Talmud e Socrate" e il sommario "Primo libro in italiano sull'intellettuale ebreo che tento' di conciliare i greci e la Bibbia". Massimo Giuliani, studioso della cultura ebraica, saggista, e' docente all'Universita' di Trento; laureato nel 1985 all'Universita' Cattolica di Milano con una tesi su "Storia come ermeneutica. Il contributo metodologico di Paul Ricoeur"; Ph.D. nel 2000 alla Hebrew University di Gerusalemme con una dissertazione su "Theological Implications of the Shoah. 'Caesura' and 'Continuum' as Hermeneutic Paradigms of Jewish Theodicy". Tra le opere di Massimo Giuliani: Giuliani M., Auschwitz nel pensiero ebraico. Frammenti dalle "teologie dell'Olocausto", Morcelliana, Brescia 1998; Cristianesimo e Shoah, Morcelliana, Brescia 2000; Theological Implications of the Shoah. "Caesura" and "Continuum" as Hermeneutic Paradigms of Jewish Theodicy, Lang, New York 2002; Il pensiero ebraico contemporaneo. Un profilo storico-filosofico, Morcelliana, Brescia 2003; A Centaur in Auschwitz: Reflections on Primo Levi's Thinking, Lexington books, Lexington, Mass. 2003; (con E. Oshry), Responsa: dilemmi etici e religiosi nella Shoa', Morcelliana, Brescia 2004. Maria Roberta Cappellini e' acuta studiosa di scienze dell'ebraismo e saggista, opera in ambito universitario alla Facolta' Teologica dell'Italia Settentrionale e all'Universita' Cattolica di Milano, tra i suoi campi di ricerca il pensiero ebraico francese contemporaneo e l'ermeneutica biblica (tradizione midrashico-talmudica); e' autrice di molti saggi ed articoli apparsi sulle riviste "Humanitas", "Studia Patavina", "Materia giudaica", "Il tempo e l'idea", "Nuova delta", "Filosofia e teologia", "Sefer". Tra le opere di Maria Roberta Cappellini: Andre' Neher tra esegesi ed ermeneutica, Morcelliana, Brescia 2000. Andre' Neher, (Obernai, Alsazia, 1914 - Gerusalemme 1988), biblista, filosofo, docente di lingua e letteratura ebraica all'Universita' di Strasburgo, dal 1967 a Gerusalemme, ha contribuitoal rinnovamento del pensiero ebraico postbellico in Francia ed e' uno dei piu' importanti pensatori del Novecento. Delle sue numerose opere di storia e filosofia ebraica molte sono gia' apparse in italiano. Tra le opere di Andre' Neher: Il pozzo dell'esilio, Marietti, 1990; L'esilio della parola, Marietti, 1997; Chiavi per l'ebraismo, Lampi di Stampa, 1999; L'essenza del profetismo, Lampi di Stampa, 1999; Faust e il Golem, La Giuntina, 2005; Geremia, La Giuntina, 2005; Hanno ritrovato la loro anima, Marietti, 2006; Qohelet, Gribaudi, 2006] L'esistenza di una "filosofia ebraica" non e' un dato scontato. Il rapporto tra Atene e Gerusalemme e' infatti stato travagliato e conflittuale fin dalle origini, e l'equilibrio tra i due linguaggi culturali (quello greco e quello ebraico) e' sempre stato precario. Non solo perche' politeismo e monoteismo sono due "universi valoriali" irriducibili, ma perche' essi si pensano con categorie opposte e confliggenti. Eppure la storia e' li' a dimostrare che Gerusalemme non ha mai chiuso le porte ai greci: da una parte il giudaismo puo' essere detto in linguaggio greco (l'impresa riusci' bene soprattutto nel medioevo), e dall'altra gli ebrei hanno saputo sviluppare e articolare proprio cio' che la filosofia greca non sa o si vieta di indagare. In questo secondo caso, i "filosofi ebrei" si fanno carico appunto di cio' che la razionalita' classica esclude, o sottovaluta, o rimuove. Il caso di Andre' Neher e' emblematico di tale sforzo intellettuale: tutta la sua opera e' un tentativo di correggere il logos greco attraverso l'indagine del grande codice della fede occidentale: la Bibbia. In due parole, direi che il contributo di Neher e' consistito essenzialmente nel "pensare la Bibbia" e di "pensare nella Bibbia", cioe' nel far emergere dai testi della tradizione giudaica (profezia, talmud, midrashim, qabbala') parole e concetti che costituiscono il rimosso e l'indigesto del pensiero greco: il valore della contraddizione, la positivita' del pathos, l'ambiguita' del silenzio, la necessita' del "forse", le potenzialita' del vuoto e del nulla. Merito del volume di Maria Roberta Cappellini su Andre' Neher (Maria Roberta Cappellini, Andre' Neher. Tra esegesi ed ermeneutica, Morcelliana, Brescia 2000) e' quello di indagare in modo sistematico l'originale contributo dello studioso ebreo francese. Si tratta della prima monografia che appare in lingua italiana su Neher, del quale il lettore ha a disposizione la maggior parte delle opere tradotte. Nato in Alsazia nel 1914, Neher immigro' in Israele nel 1967 dopo la guerra dei sei giorni. Fu uno degli intellettuali ebrei di spicco del secondo dopoguerra, e insieme a Levinas, Jankelevitch, Leon Askenazi, Eliane Levy Valensi e molti altri e' stato autorevole rappresentante del "terzo polo" del mondo ebraico internazionale, dopo Israele e Stati Uniti. La comunita' ebraica francese (circa settecentomila persone) e' infatti la terza per grandezza nel mondo. E Neher ben incarna la figura dell'intellettuale ebreo europeo-occidentale, erede della tradizione illuministica francese, ma al contempo consapevole della sfida posta a quella tradizione dalla storia peculiare del giudaismo. Nella sua monografia, la Cappellini esplora il pensiero di Neher in quattro momenti: la concezione storica e quella filosofica, l'esperienza fenomenologica e quella estetica. Tutte ancorate nella sua straordinaria abilita' di ascoltare i testi biblici e farli parlare alla luce delle vicende storiche. Soprattutto alla luce di quegli eventi unici che furono nel XX secolo, per il popolo ebraico, la tragedia della Shoa' e la rifondazione dello Stato d'Israele. Tra esegesi ed interpretazione Neher ha elaborato una categoria nuova, quella del "forse", una correzione all'ontologia occidentale (in un'impresa analoga a quella tentata dall'amico Levinas). Il "forse" costringe il pensiero ad esporsi, e' vero, verso un rischio nichilistico, ma al contempo lo spinge anche verso una piu' radicale possibilita' di riscatto. Questo stare in bilico tra rischio e pienezza di significato e' appunto il senso della redenzione, almeno nel giudaismo. La Cappellini ricostruisce il pensiero di Neher senza tradire il contenuto complesso della sua opera e lasciando intravedere l'irriproducibile accento, la musicalita' e il ritmo della prosa e della poesia bibliche. 5. LIBRI. DIANA NAPOLI PRESENTA "INFANZIA BERLINESE" DI WALTER BENJAMIN [Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it, sito: www.storiedellastoria.it) per questo articolo. Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano, e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia. Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892, saggista di sconvolgente profondita', all'avvento del nazismo abbandona la Germania, si uccide nel 1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai nazisti. Opere di Walter Benjamin: in italiano fondamentale e' la raccolta di saggi e frammenti Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il titolo da L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita' tecnica, Einaudi, Torino. Sempre presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione delle Opere, a cura di Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e rivoluzione, Critiche e recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco, Immagini di citta', Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti 1910-1918), Ombre corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo, Strada a senso unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940 con Gershom Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940). Presso Adelphi cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del passato, Uomini tedeschi. Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M. Brodersen, Walter Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983), Aesthetica, Palermo 1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana, 1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a cura di Franco Rella), Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV., Paesaggi benjaminiani, fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn. 189-190, 1982; AA. VV., Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1983; Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano 1993 (saggio incluso anche in Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna); Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Editori Riuniti, Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano 1993; Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978; Gershom Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi, Milano 1992. Cfr. anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia della storia" di Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980] Walter Benjamin, Infanzia berlinese intorno al 1900, trad. di E. Ganni, Einaudi, Torino 2001, 2007. Chi sperera' di trovarvi una rievocazione "proustiana" dell'infanzia rimarra' deluso. Quello, di gran lunga piu' prezioso, che trovera' e' la Berlino (principalmente) di prima della Grande Guerra: la si trova ovunque tutta intera, che la si osservi dal Tiergarten o maestosamente all'ombra della Colonna della Vittoria o racchiusa mirabilmente in una vetrata, in un vicolo, nei cortili delle case o negli odori mattutini sprigionati dalle stufe. E poi si trovera', trasposto in quello biografico, l'ordine del tempo cosi' pazientemente espresso nelle "Tesi sul concetto di storia": tra rimandi messianici e presagi, il libro, oltre ad interessare gli studiosi d'estetica, lascia un'immagine struggente della biografia di Benjamin illuminata da questo tempo dell'infanzia ancora "atteso" dal futuro, per cui mi viene in mente una frase di Marguerite Yourcenar, benche' scritta per tutt'altro contesto e che pure si addice alla figura benjaminana del collezionista (dei frammenti del tempo, in questo caso): "[colui che] prova il piacere raro dell'intenditore che e' il solo a collezionare ceramiche ritenute comuni". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 168 del primo agosto 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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