Minime. 167



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 167 del 31 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: La parola di Kavafis
2. Alberto Trevisan: Il rischio e il cammino
3. Diana Napoli: Un profilo di Marc Bloch
4. Mario Ricciardi presenta "La filosofia delle piccole cose" di Francesca
Rigotti
5. Letture: Antonio Pieretti (a cura di), La filosofia della nonviolenza
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: LA PAROLA DI KAVAFIS
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'".
Constantinos Kavafis (Alessandria d'Egitto 1863-1933), e' una delle grandi
voci della poesia novecentesca, e della poesia classica. Opere di
Constantinos Kavafis: Poiemata, Ikaros, Atene 1983, 2 voll. (a cura di G. P.
Savvidis); Poesie, Mondadori, Milano 1961, 1991 (cura e traduzione di
Filippo Maria Pontani); Cinquantacinque poesie, Einaudi, Torino 1968, 1984
(cura e traduzione di Margherita Dalmati e Nelo Risi). Opere su Constantinos
Kavafis: Paola M. Minucci, Costantino Kavafis, La nuova Italia, Firenze
1979; M. Peri, Quattro saggi per Kavafis, Vita e pensiero, Milano 1978; G.
Lorando, L. Marcheselli, A. Gentilini, Lessico di Kavafis, Liviana, Padova
1970; cfr. anche il bel saggio di Marguerite Yourcenar, in Eadem, Con
beneficio d'inventario, Bompiani, Milano 1985, 1993]

Nel nostro pensare affannoso, consideriamo le parole cosa seria da
utilizzare con liberta' senza inutili sprechi. Le parole sono forme del
linguaggio, forme d'espressione; significano, indicano, commuovono,
diventano idee, frecce conficcate nella ruvida pelle della realta'.
Per tutto questo non dovrebbero mai essere usate per non farsi capire, per
non dire niente, o peggio, per stravolgere la realta' raccontando bugie.
*
"Durante gli anni del potere berlusconiamo eravamo in tanti a ritenere che
il massacro della verita' fosse una sua prerogativa. Assistevamo a spudorate
violazioni del diritto e alla contestuale lamentazione di presunte offese
subite. E pensavamo che 'noi' non avremmo fatto lo stesso: 'noi', una volta
alla guida del paese, non avremmo fatto strame della verita'. Ci
sbagliavamo. Stiamo affogando in un mare di bugie. Anche questo fatto
costringe a chiederci che cosa sia nato prima, se Berlusconi o lo spirito di
questi tempi. Non si tratta soltanto di deformazioni, di omissioni, di
travisamenti ed edulcorazioni. Questo sarebbe semplicemente 'ideologia',
gemella della politica. Siamo al rovesciamento delle cose e alla creazione
di un'altra realta'" (Alberto Burgio, sul "Manifesto" del 26 luglio 2007).
Anche Annamaria Rivera, alcuni mesi fa, aveva espresso un concetto molto
simile, sottolineando la progressiva perversione del linguaggio e della
comunicazione che accompagna il governo Prodi, e che lascia allibiti.
Se lo stile berlusconiano era all'insegna della menzogna aperta, trasparente
e fanfarona, quello dell'attuale governo e dei suoi partiti ha qualcosa di
orwelliano e contorto, al tempo stesso grottesco. Quando le parole sono
usate a stravolgere l'esperienza e la realta' fanno piu' danni perfino dei
contenuti delle politiche. Non solo perche' ingannano i cittadini,
considerandoli incapaci di farsi un'idea della realta', ma soprattutto
perche' minano profondamente il rapporto fra i cittadini e le istituzioni, e
alimentano sfiducia.
Occultare la dura realta' delle concessioni - obbligate, ci dicono, e forse
talvolta in parte e' vero - ai poteri forti e agli orientamenti "moderati"
(un altro termine da abolire) con il ricorso a formule autoconsolatorie ed
ingannevoli - quale la litania della "discontinuita'" - e' una forma di
perversione della comunicazione a lungo andare autolesionista.
Salutare con entusiasmo la furbesca relazione del ministro degli esteri
sulla politica internazionale come una scelta limpida e avanzata in favore
del "multilateralismo" (un'altra parola magica: una guerra puo' essere
multilaterale e nondimeno resta illegittima, ingiusta, sanguinosa) e' far
torto alla propria storia politica e all'intelligenza degli elettori.
Risultato: la "bonta'" della guerra; diventata "democratica", "umanitaria",
"operazione di polizia", ecc.
Cosi', anche il conflitto fra capitale e il lavoro ha subito uno
scivolamento semantico, sparendo il capitale e restando il lavoro come
problema di solidarieta' con i meno fortunati, salariati a vari livelli e,
salvo i dirigenti, tutti retribuiti meno d'una volta e sempre piu' precari.
La verita' e' che nel liberismo spinto in cui siamo, con permanenti
delocalizzazioni e in preda alla speculazione finanziaria, ne' l'occupazione
ne' il potere d'acquisto dei salariati possono essere protetti; mentre la
pace e' un disvalore non essendo funzionale allo "sviluppo" ed alla "ripresa
economica".
*
Noi restiamo profondamente convinti che le parole non sono fatte "di carta",
ma di vita; della carne viva di uomini e donne.
Per questo continuiamo a cercare quelle parole che interpretano e capiscono
i fatti e provano a cambiarli; quelle parole che diventano azione e, una
volta gettate sulla platea della storia, si traducono in movimento; quelle
parole che portano con se un'idea di politica che si oppone alle miserie
retoriche e alle menzogne travestite da strategie del bushismo
contemporaneo, anche di casa nostra.
*
"Spesso osservo quanto poco interesse affidano gli uomini alle parole. Mi
spiego meglio. Un uomo semplice (e con "semplice" non intendo sciocco) ha un
suo modo di vedere, ma sa che la grande maggioranza ragiona in modo
antitetico, e tace, credendo che non giovi parlare, credendo che - con le
sue parole - non cambiera' niente. E' un grande errore. Io agisco
diversamente.
"Condanno, ad esempio, la pena di morte. Appena mi si presenta l'occasione
lo dico apertamente, non perche' sia convinto che, esprimendo la mia
opinione, gli Stati subito, domani, l'aboliranno, ma perche' credo che
dicendo il mio parere possa contribuire al trionfo della mia idea. Il mio
discorso non va perduto. Forse qualcuno lo ripetera' e cosi' potra'
raggiungere le orecchie di alcuni che lo ascolteranno e lo sosteranno. Puo'
darsi che, tra quelli che adesso non sono d'accordo, qualcuno se ne
ricordera' - in un momento opportuno - nel futuro, e in occasione di altre
situazioni, e che sia poi convinto con il supporto di altre circostanze, e
che sia scossa la sua precedente convinzione contraria.
"Cosi' avviene anche in diverse altre questioni sociali, in alcune nelle
quali e' indispensabile l'azione. So di essere codardo e di non poter agire.
Per questo soltanto. Ma non credo che le mie parole siano superflue. Agira'
un altro. Ma le mie molte parole - le parole di un vile - serviranno per
l'azione. Spianano il terreno".
(Costantino Kavafis, 19 ottobre 1902).

2. VERSO IL CONGRESSO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO: ALBERTO TREVISAN: IL
RISCHIO E IL CAMMINO
[Ringraziamo Alberto Trevisan (per contatti: trevisanalberto at libero.it) per
questo intervento  in vista del XXII congresso del Movimento Nonviolento,
che si svolgera' a Verona dal primo al 4 novembre 2007.
Alberto Trevisan, obiettore di coscienza al servizo militare prima che la
legge riconoscesse questo diritto e per questo tre volte incarcerato,
impegnato nel Movimento Nonviolento del cui coordinamento nazionale fa
parte, e' da sempre una delle figure di riferimento della nonviolenza in
Italia ed ha preso parte con ruoli di responsabilita' a molte rilevanti
esperienze per i diritti e la democrazia, di solidarieta' e di pace. Tra le
opere di Alberto Trevisan: Ho spezzato il mio fucile. Storia di un obiettore
di coscienza, Edizioni Dehoniane, Bologna 2005]

Prepararsi al XXII Congresso del Movimento Nonviolento ci deve gia' mettere
in una condizione di privilegio e anche di una certa soddisfazione: perche'?
Arrivare a indire e realizzare un numero cosi' alto di congressi significa
che la nonviolenza paga. Se penso a gruppi, movimenti, sigle, coalizioni
politiche, desistenze, apparentamenti e chi piu' ne ha piu' ne metta, che in
tanti anni di militanza politica ho conosciuto e ora rimangono solo nella
memoria di attenti osservatori politici, e' molto bello rivendicare oggi che
cosi' non e' avvenuto per gli amici della nonviolenza.
Sono convinto che il semplice ma importante imperativo categorico di Aldo
Capitini, "ad ognuno di fare qualcosa", ci spinge a percorrere una strada
che, pur sempre in salita, permettera' di ritrovarci ancora numerosi ed
entusiasti a Verona dal primo al 4 Novembre 2007.
Riuscire ancora una volta a serrare i ranghi, ritrovarci, discutere,
comprendere le ragioni dell'Altro e' motivo sufficiente per essere a Verona
tenendo anche conto del clima generale che viviamo in questo momento in cui
prende paurosamente piede l'idea vincente dell'"antipolitica" nel  senso
decisamente spregiativo del termine che e' l'esatto contrario di cio' che
invece noi nonviolenti pensiamo debba essere la politica e la nonviolenza
come attualita' della storia.
*
Mi trovo a partecipare al terzo congresso consecutivo, da quando ho ripreso
i contatti in modo costante ed intenso con il Movimento Nonviolento.
Faccio parte del coordinamento nazionale e cerco di "fare qualcosa" per la
pace e la giustizia, scrivendo, partecipando a incontri, svolgendo una
funzione di formatore per i nuovi giovani che hanno scelto il servizio
civile volontario che rappresenta oggi una concreta possibilita' di
diffondere su larga scala la cultura della pace tra le nuove generazioni. E'
continuare oggi l'esperienza del servizio civile alternativo al servizio
militare al quale quasi un milione di giovani hanno partecipato.
Quando ho ripreso la militanza attiva nel Movimento Nonviolento non posso
dimenticare un aspetto importante della mia crescita culturale: ho ritrovato
valori, identita', comportamenti che in molti anni, impegnato in svariate
organizzazioni, a fatica riuscivo a condividere con altri.
Ho lavorato per anni nelle grandi organizzazioni sindacali convinto, ieri
come ora, che bisogna essere a fianco dei lavoratori e in particolare delle
classi piu' oppresse; ho svolto il mio lavoro professionale nel campo del
disagio psichico e nei servizi sociali alla persona cercando di curare piu'
la qualita' che la quantita', interrogandomi ogni giorno sulle scelte etiche
del lavoro sociale, e spesso la nonviolenza e la sua metodologia mi hanno
aiutato a risolvere difficili problemi.
Sono stato obiettore di coscienza al servizio militare ma non mi sono mai
sentito "ex" e l'obiezione do coscienza e' sempre stata la chiave di lettura
e di impegno politico per interpretare la realta' e la mia vita.
Sono stato tra i fondatori dell'Associazione per la pace; ho fatto parte
prima della presidenza del Coordinamento degli enti locali per la pace, poi
della Tavola della pace; ho potuto amministrare il mio Comune di residenza
con un assessorato all'educazione alla pace e alla tutela dei diritti umani;
ho scelto la solidarieta' con i popoli; sono stato in luoghi di guerra a
fianco dei profughi, delle vittime e in molte altre iniziative umanitarie.
Ma dopo tanto agire ho pensato che era importante riprendere una riflessione
piu' attenta, piu' interiore, rifiutare l'idea della politica che ogni sera
ti porterebbe a discutere di tutto, a partecipare a dibattiti dove spesso i
relatori sono piu' numerosi dei partecipanti, ingrossando cosi' le file del
partito dei "tuttologi".
Volevo  ritrovare quei valori della convivialita' e della condivisione  che
ancora ci contraddistinguono come movimento nonviolento.
*
Sinora queste mie riflessioni sono permeate dall'entusiasmo di aver
ritrovato radici ancora salde  ma non sarei sincero se non dicessi che la
strada e' oggi particolarmente in salita e di una cosa sarei deluso: se non
ci fosse lo sforzo di superare gli ostacoli; non sopporterei piu'
discussioni sterili, troppo intellettuali distanti dalla quotidianita' del
nostro vivere.
Per fare un esempio su tutti: per anni nel movimento nonviolento ci siamo
divisi in discussioni astratte, ci siamo chiusi a riccio nella nostra
nicchia, per decidere se la parola nonviolenza andava scritta nonviolenza,
non violenza o non-violenza, allontanando, io credo, molte persone, me
compreso.
Poiche' non abbiamo ancora superato questo rischio, tanto e' vero che in
alcuni appuntamenti importanti del nostro movimento ritornano personalismi e
divisioni, cioe' l'esatto contrario dei principi fondamentali del pensiero
nonviolento come la tolleranza, la sobrieta', il lavare il nostro linguaggio
dalla violenza verbale e capire le ragioni dell'Altro, dobbiamo sforzarci
per superare questo pericolo una volta per tutte.
Ecco, questo vorrei che non si ripetesse; vorrei che il congresso sia invece
un vero salto di qualita' da un punto di visto etico-politico perche'
l'attuale situazione politica e sociale ha necessita' di contributi
importanti per affermare i principi di solidarieta' e consolidare le
conquiste democratiche.
Nello stesso tempo dobbiamo essere molto piu' efficaci nell'intervenire nel
dibattito politico anche nelle questioni che piu' ci riguardano, come il
rifiuto delle guerra.
Ricordo con un certo disagio  il dibattito che si e' aperto tra di noi in
riferimento alle missioni all'estero, dall'Afghanistan all'Iraq sino al
Libano.
Con leggerezza ci si e' accodati, non tutti per la verita', a definire con
enfasi  "senatori-obiettori" rappresentanti di forze politiche che appaiono
sia nella loro storia personale che in quella del loro partito distanti sia
dalla teoria che dalla pratica della nonviolenza.
Tuttavia sono d'accordo con alcuni amici della nonviolenza e miei personali
che forse bisogna sciogliere il nodo della rappresentanza politica del
movimento nonviolento perche' mai come in questo momento logiche
"aventiniane" ci porterebbero, ripeto, solo a coltivare i nostri orticelli o
a racchiuderci in nicchie autoreferenziali. Questo e' uno dei punti che al
congresso deve trovare una sua definizione, pena continuare a non essere
chiari, a non definire  la nostra identita' di movimento in questo momento
storico.
*
Se "La nonviolenza e' politica per il disarmo, ripudio della guerra e degli
eserciti",  tema  del XXII congresso nazionale del Movimento Nonviolento che
si terra' a Verona dal primo al 4 novembre 2007, non ci resta che
prepararci, crederci sino in fondo, invitare piu' amici possibile ad essere
con noi.
La manifestazione nazionale antimilitarista e nonviolenta del 4 novembre a
conclusione del congresso dietro lo striscione "Non festa, ma lutto"
rinsaldera' i nostri convincimenti nonviolenti. Ci riportera' alle nostre
lotte che da quarant'anni ci hanno  contraddistinto, per le quali in molti
abbiamo pagato di persona e vogliamo continuare a farlo, se fosse
necessario, come spesso continua a chiederci Pietro Pinna, il primo
obiettore di coscienza italiano e ancora oggi per tutti noi esempio di una
vita gandhiana e nonviolenta.
Non credo sia un caso che abbiamo scelto Verona per il nostro congresso: li'
c'e' la sede della nostra Casa per la nonviolenza che racchiude la storia di
un movimento che, pur piccolo, ha raggiunto anche molti obiettivi
importanti. La sfida e' riprendere il cammino: se lo vogliamo ce la possiamo
fare, proprio partendo da Verona.

3. MAESTRI. DIANA NAPOLI: UN PROFILO DI MARC BLOCH
[Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: dianastoria at hotmail.com) per questo
articolo.
Diana Napoli, laureata in storia con una tesi su Marc Bloch, abilitata
all'insegnamento delle materie di storia e filosofia, cura il sito di
ricerche storiografiche www.storiedellastoria.it ed e' attualmente
volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.
Marc Bloch, iIllustre storico, nato a Lione nel 1886, docente universitario
a Strasburgo e alla Sorbona, fondatore con Lucien Febvre delle "Annales
d'histoire economique et sociale" che hanno cosi' potentemente contribuito
al rinnovamento della storiografia. Impegnato nella Resistenza, fu
assassinato dai nazisti nel 1944. Opere di Marc Bloch: tra i suoi lavori
segnaliamo almeno I re taumaturghi, La societa' feudale, Apologia della
storia, tutti editi da Einaudi. Opere su Marc Bloch: per un avvio cfr.
Massimo Mastrogregori, Introduzione a Bloch, Laterza, Roma-Bari 2001]

Marc Bloch nasce a Lione nel 1886. Trasferitasi la famiglia, di origini
ebraiche, a Parigi per la nomina del padre, Gustave Bloch, storico
dell'antichita', all'Ens, anche Marc Bloch intraprende studi storici.
Conclude il percorso accademico all'Ens, poi ottiene una borsa di studio per
trascorrere due semestri in Germania, soggiorno imprescindibile per l'enorme
considerazione di cui godeva la scuola tedesca, in seguito un'altra borsa di
tre anni della Fondazione Thiers e viene nel frattempo, avendo ottenuto
anche l'agregation (potremmo tradurre con abilitazione) nominato professore
di storia e geografia prima in un liceo di Montpellier e poi ad Amiens.
Mobilitato in occasione della prima guerra mondiale (di cui ci lascera' un
carnet, in parte ancora inedito, e in seguito un prezioso saggio "Sulle
false notizie di guerra", considerato da storici come Annette Becker e
Stephane Audoin-Rouzeau come un vero anticipatore di tutta l'attuale
impostazione storiografica sulla grande guerra - cfr, di questi due autori,
La violenza, la crociata, il lutto, Einaudi, Torino 2002, in particolare
l'introduzione), potra' discutere la sua tesi (Re e servi, un capitolo di
storia capetingia) di dottorato solo nel 1920. Terminata la guerra, viene
anche incaricato del corso di storia medievale all'Universita' di
Strasburgo, nell'Alsazia appena riconquistata.
Gli anni Venti sono anni di intenso lavoro. Egli stesso, ne La strana
disfatta, ammettera' che dopo quattro anni di guerra erano tutti ansiosi di
riprendere gli strumenti del mestiere, tralasciando forse (o non
attribuendogli la dovuta importanza), l'evolversi della situazione politica.
Per esempio, si rimproverera', in quanto storico, di non aver a sufficienza
protestato contro lo sciagurato trattato di Versailles. In ogni modo nel
1924 esce il suo libro (gros enfant, come lui stesso dira') I re
taumaturghi, uno studio sulla regalita' medievale e in particolare sull'idea
della sacralita' regale, in Francia e in Inghilterra. Collabora a
prestigiose riviste di storia e storiografia (la maggior parte dei suoi
articoli e delle sue recensioni sono raccolti nei Melanges historiques) e
soprattutto stringe amicizia col collega Lucien Febvre, docente di storia
moderna, col quale fonda nel 1929 la rivista "Annales d'histoire economique
et sociale".
Negli anni Trenta oltre che allo studio, le energie di Bloch sono
concentrate sullo sforzo di trasferirsi a Parigi, da dove sperava, sempre
insieme a Febvre, di poter meglio contribuire al rinnovamento degli studi
storici. Sperava di poter lavorare fianco a fianco con l'amico e, nella
corrispondenza, non mancano espressioni come il desiderio di far prendere
aria agli "ammuffiti ambienti accademici". In effetti Febvre riesce a
trasferirsi gia' nel 1932, ottenendo l'elezione al prestigioso College de
France. Invano (anche a causa di pregiudizi antisemiti) Bloch tenta di
raggiungere il collega al College gia' nel 1933; dovra' attendere il 1936
per ottenere una cattedra di storia economica alla Sorbona.
Gli anni Trenta costringono anche Bloch a confrontarsi in modo diretto con
la situazione politica. Nel 1934, in occasione dei tragici avvenimenti del
febbraio, Bloch si trova in Gran Bretagna, ma al suo ritorno firma il
manifesto che segna la nascita del Comitato di vigilanza degli intellettuali
antifascisti. Nel 1937 i due storici preparano un numero delle "Annales"
interamente dedicato al fascismo e questo causa la rottura del contratto col
loro editore, Colin, che pretende almeno un articolo favorevole al regime
politico tedesco. Proprio questo conformismo (incapacita' di "giudicare i
valori", come si esprime altrove, insieme all'antisemitismo da "bon ton") e'
una delle ragioni del profondo malessere intellettuale di Bloch. Tuttavia
non sono molte le prese di posizione politiche dirette. Nel 1938 si rifiuta
di partecipare ad un cerimonia in onore di un collega austriaco, per non
andare nell'Austria dell'Anschluss; pensa di potersi candidare alla
direzione dell'Ens. Pero' il tempo, cosi' come lo srotolarsi drammatico
della situazione europea, scorre. Sempre nel 1938 viene mobilitato in
occasione della crisi dei Sudeti e scrive, durante i giorni di allerta, un
testamento in cui oltre alle considerazioni sulla storia, esprime la
volonta' di veder pubblicata la sua ultima fatica, La societa' feudale,
libro al quale aveva lavorato per quasi tutto il decennio.
Il testo viene pubblicato, nelle sue due parti, nel 1939-1940 e, nonostante
alcuni rilievi critici espressi da alcuni colleghi, Febvre in primis, rimane
un affresco di straordinaria chiarezza sulla societa' feudale (e sulle
trasformazioni per cui un semplice elemento giuridico, com'era il contratto
vassallatico-beneficiario, combinandosi con le mentalita', i bisogni, le
trasformazioni politiche, diventa una "societa'", appunto), imprescindibile
punto di riferimento ancor oggi di tutti i medievisti e appassionati al
tema.
Nel 1939 scoppia il secondo conflitto mondiale. Bloch, benche' potesse
essere esonerato, decide di combattere ugualmente e dunque ritorna
nell'esercito col grado di capitano, grado che aveva acquisito durante la
precedente guerra. L'armistizio lo coglie a Rennes, da dove riesce
fortunosamente a sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi per poi
rifugiarsi in un paesino della zona sud, dove si trovava la sua famiglia.
Impossibilitato dalle leggi dell'occupante a ritornare a Parigi e in
pericolo anche per la pubblicazione dello Statuto degli ebrei (che vietava
agli ebrei numerose professioni, compresa l'insegnamento, tranne pochissime
eccezioni per meriti particolari resi alla patria), Bloch riesce, pur con
molte difficolta' (e per l'intercessione di un allievo del padre) a
continuare l'insegnamento univeritario, prima a Clermont-Ferrand (dov'era
stata trasferita l'Universita' di Strasburgo), poi a Montpellier (dove
partecipa all'organizzazione di Combat e collabora al Centre de Montpellier,
un gruppo di studio tra quelli che, una volta unificati, daranno vita al Cge
incaricato di progettare la Francia del dopoguerra). In un primo momento
tenta di trasferirsi negli Stati Uniti, ma non riuscendo ad ottenere i visti
per tutti i membri della sua famiglia (moglie, sei figli, piu' la madre),
rimane in Francia.
In questi anni un duro colpo per lui e' costituito anche dalle vicende della
rivista "Annales" che, in base allo statuto degli ebrei, deve cessare le
pubblicazioni, a meno che Bloch non rinunci alla sua quota di proprieta'.
Bloch finisce per cedere alle pressioni di Febvre e di altri colleghi, che
considerano la rivista l'unico loro mezzo di espressione nella Parigi
occupata. Bloch invece, al contrario, crede proprio che continuare a
pubblicare sottomettendosi alla legislazione antisemita sia un cedimento
morale inaccettabile. Ma alla fine concede, a malincuore, la sua parte di
rivista (pur continuando a collaborare anonimamente).  Anche se con Febvre
vengono scambiate parole talvolta dure, l'amicizia tra i due non viene messa
in discussione: e infatti proprio all'amico Bloch dedica l'opera che elabora
in quegli anni: Apologia della storia o mestiere di storico.
Nel novembre 1942 i tedeschi invadono anche la zona sud. Bloch e' minacciato
da un ordine d'arresto, lascia Montpellier e si rifugia con la famiglia a
Fougeres. Nel marzo 1943 entra a far parte del movimento partigiano
Franc-Tireur e nel luglio dello stesso anno e' nominato rappresentante del
movimento nel direttivo regionale dei Mur. Partecipa alla redazione de "Les
Cahiers politiques", organo del Cge, e infatti gli ultimi due numeri non
vedono la luce proprio perche' Bloch, che ne e' il responsabile, viene
arrestato. Il movimento Franc-Tireur faceva uscire un omonimo giornale
clandestino, e due riviste: "Le Pere Duchesne" e "La Revue Libre",
quest'ultima diretta proprio da Bloch e Altmann.
Arrestato l'8 marzo 1944 dai tedeschi, imprigionato e torturato a Montluc,
e' fucilato in un campo il 16 giugno a Saint-Didier-de-Formans.
Nel 1946 appare, per le edizioni del movimento della Resistenza Franc
Tireur, la prima edizione del testo (rocambolescamente salvatosi) de La
strana disfatta, che Bloch aveva composto di getto subito dopo l'armistizio
(operando solo dei rintocchi negli anni successivi) e che costituisce una
preziosissima testimonianza sul modo in cui venne condotta la campagna
militare, un'analisi puntuale delle cause tecniche, morali e intellettuali
della disfatta e ancora una riflessione della storia nella societa', in un
affresco della crisi della democrazia nella Francia dell'entre-deux-guerres
rimasto a lungo, per profondita' e acutezza, ineguagliato.
*
Una bibliografia essenziale
La bibliografia sarebbe sterminata. Di seguito riportiamo solo l'ultima
edizione o ristampa italiana di alcuni dei principali scritti di e su Bloch.
Sono citati in lingua originale solo i testi che non sono stati tradotti.
a) Scritti di Marc Bloch: Monografie: I re taumaturghi, Torino, Einaudi,
2005; La societa' feudale, Torino, Einaudi, 1999. Libri pubblicati dopo la
morte: La strana disfatta, Torino, Einaudi, 1995; Apologia della storia o
mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1998. Raccolte di scritti e articoli:
Melanges historiques, Paris, Ehess, 1983; Storici e storia, Torino, Einaudi,
1998; Rois et servs, un chapitre d'histoire capetienne et autres ecrits sur
le servage, Paris, La Boutique de l'histoire, 2004; La guerra e le false
notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921), Donzelli, 2004; I
caratteri originali della storia rurale francese, Torino, Einaudi, 2006;
Marc Bloch. L'histoire, la guerre, la Resistance, Paris, Gallimard, 2006
(contiene, oltre all'Apologia e La strana disfatta, numerosi articoli e
contributi di Bloch relativi alla Grande Guerra, alla storia, alcuni scritti
clandestini, testimonianze, foto...). Carteggi: Marc Bloch -  Lucien Febvre:
corrrespondance, Paris, Fayard, 1994-2003; Marc Bloch a' Etienne Bloch,
lettres de la drole de guerre, Paris, Les Cahiers de l'Ihtp, dec. 1991;
Ecrire la societe' feodale: lettres a' Henri Berr 1924-1943, Paris, Imec
Ed., 1992.
b) Scritti su Marc Bloch. Veramente i contributi sulla figura e l'opera di
Bloch sono numerosissimi. Mi limito a proporre solo le principali
monografie, di facile reperibilita', alle quali (soprattutto quelle di
Mastrogregori) si rimanda per la completezza dell'apparato bibliografico: C.
Fink, Marc Bloch. Biografia di un intellettuale, Firenze, La Nuova Italia,
1999 (ed. orig. 1989); U. Raulff, Ein Historiker im 20. Jahrhundert: Marc
Bloch, Frankfurt, 1995 (Marc Bloch un historien au XX siecle, Maison de
science de l'homme, 2005); O. Dumoulin Marc Bloch, Paris, Presses de Science
Po, 2000; M. Mastrogregori, Il manoscritto interrotto di Marc Bloch,
Pisa-Roma, 1995; Id, Introduzione a Bloch, Roma-Bari, Laterza, 2001; F.
Touati, Marc Bloch et l'Angleterre, F Touati, Paris, La boutique de
l'histoire, 2007.

4. LIBRI. MARIO RICCIARDI PRESENTA "LA FILOSOFIA DELLE PICCOLE COSE" DI
FRANCESCA RIGOTTI
[Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 18 aprile 2004, col titolo "Piccole
cose che insegnano a pensare".
Francesca Rigotti (Milano 1951) dopo aver insegnato presso la facolta' di
Scienze politiche dell'Universita' di Goettingen, e' attualmente docente di
dottrine e istituzioni politiche presso la facolta' di Scienze della
comunicazione dell'Universita' di Lugano; ha pubblicato diverse monografie
dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all'etica; suoi saggi sono
comparsi in numerose riviste italiane e straniere; svolge attivita' di
consulenza editoriale e di recensione libraria, soprattutto per il
quotidiano "Il Sole - 24 Ore". Dal sito della facolta' di scienze della
comunicazione dell'Universita' della Svizzera italianariprendiamo la
seguente scheda: "Francesca Rigotti e' docente alla Facolta' di Scienze
della comunicazione; incarichi didattici: docente di Dottrine politiche;
incarichi in istituti e laboratori: docente all'Istituto Media e
Giornalismo. Laureata in Filosofia (Milano 1974), Dr. rer. pol. (I. U. E.
1984), Dr. habil. (Goettingen 1991), e' stata docente alla Facolta' di
Scienze politiche dell'Universit‡ di Goettingen come titolare di un
'Heisenberg Stipendium' della Deutsche Forschungsgemeinschaft e visiting
fellow al Department of Politics dell'Universita' di Princeton. Tra le sue
pubblicazioni si segnalano otto monografie edite da Bibliopolis (1981), Il
Mulino (1989, 2000 e 2002), Feltrinelli (1992, 1995 e 1998), Interlinea
(2004), alcune delle quali tradotte in spagnolo, tedesco, greco, coreano,
tutte pertinenti ad argomenti di storia del pensiero politico-filosofico, di
metaforologia e di comunicazione politica, oltre a numerosi articoli, saggi
e recensioni su riviste specializzate internazionali. Svolge un'intensa
attivita' di critica libraria in riviste e quotidiani. Principali
pubblicazioni: a) Libri: L'umana perfezione. Saggio sulla circolazione e
diffusione dell'idea di progresso nell'Italia del primo ottocento.
Bibliopolis, Napoli 1981; Metafore della politica. Il Mulino, Bologna 1989;
Il potere e le sue metafore. Feltrinelli, Milano 1992 (trad. ted.: Die Macht
und ihre Metaphern. Ueber die sprachlicher Bilder der Politik, Campus
Verlag, Frankfurt 1994); (a cura di, con W. Euchner e P. Schiera), Die
politische Metaphorik in historischer Perspektive, Dunker & Humblot, Berlin
1993; La verita' retorica. Etica, conoscenza e persuasione. Feltrinelli,
Milano 1995; (a cura di, con P. Schiera), Die vier Elemente und ihre
Metaphern, Dunker & Humblot, Berlin 1995; L'onore degli onesti. Feltrinelli,
Milano 1998; La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria.
Il Mulino, Bologna 1999 e 2002 (Beck, Muenchen 2002 e 2004; Herder,
Barcelona 2001; Korean trans. 2003; Studia Humanitatis, Lubiana, 2006); Il
filo del pensiero. Il Mulino, Bologna 2002; La filosofia delle piccole cose.
Novara, Interlinea, 2004 e 2005; (con G. Ferraro), Agli estremi della
filosofia. Mantova, Tre Lune, 2005; (a cura di), La vita straordinaria.
Analisi e comunicazione del quotidiano, Milano, Guerini e associati, 2006;
Il pensiero pendolare. Bologna, il Mulino, 2006; Il pensiero delle cose.
Milano, Apogeo, 2007. b) Contributi a libri: Giacomo Matteotti. Rede vor dem
Parlament am 24.6.1924. Mit einem Essay von Francesca Rigotti, Europaeische
Verlaganstalt, Hamburg 1996. c) Conferenze con proceedings: con R. Guldin,
Mehrsprachigkeit und Uebersetzung. Vilem Flusser, Philosoph des
Vielfaeltigen. Ascona, Monte Verita' (26.-28 ottobre 2001). d) Altre
pubblicazioni: (con R. Guldin), Flusser nella valigia, Cenobio,
(aprile-giugno 1999), p. 167-172; (con R. Guldin),. Tutto e' artificiale
naturalmente: Tra Brasile e Provenza, una fenomenologia della natura come
costrutto mentale. Sole 24 ore, 2002"]

Secondo un pregiudizio diffuso la filosofia si occuperebbe solo di grandi
cose, di cui dovrebbe parlare con l'enfasi appropriata, un filosofo avrebbe
qualcosa in comune con il profeta che, dall'alto di una montagna, scruta
l'orizzonte in attesa di cose importanti, epocali, se possibile ultime. Il
nuovo libro di Francesca Rigotti non mette in discussione questo pregiudizio
attraverso l'argomentazione diretta, cercando di mostrare che esso sia
infondato, ma accompagnando il lettore in un percorso di meditazione su
piccole cose, oggetti della vita quotidiana, che impieghiamo, o con i quali
abbiamo altrimenti a che fare, quando ci prendiamo cura di noi stessi o
degli altri, cucinando, tenendo in ordine la casa, facendo pulizia o
rimuovendo il superfluo.  Una brocca, un ferro da stiro, un secchio dei
rifiuti, delle forbici, un fiore o un pezzo di pane vengono proposti
all'attenzione del lettore, richiamandone i vari aspetti in cui si
presentano, l'uso e la forma.
Si tratta di cose che il pregiudizio considera senza peso e importanza,
insignificanti, su cui la Rigotti ci invita invece a soffermarci non solo
con lo sguardo, ma anche con gli altri modi in cui si esplica la
sensibilita'. L'autrice sembra suggerire che il pregiudizio di cui si e'
detto riposi proprio sull'idea che lo sguardo sia sufficiente per conoscere,
che il sapere sia in ultima analisi riducibile al vedere che le cose stiano
in un certo modo. Guardare non basta. Bisogna anche ascoltare, palpare,
annusare e assaggiare, funzioni che contribuiscono alla formazione della
capacita' di giudicare quanto il vedere.
Leggendo questo libro le basi su cui riposa il pregiudizio vengono
lentamente erose, aiutando chi vi si era appoggiato a vedere meglio, a non
fermarsi al primo sguardo, imparando dunque a riconoscere il peso e
l'importanza di cose che prima apparivano senza valore. L'insignificante
dischiude in questo modo il proprio senso.
Forse non e' casuale che Francesca Rigotti abbia lavorato in passato su
dimensioni relativamente neglette del senso come quelle che si manifestano
nella metafora. Anche in questo libro le metafore sono presenti e aiutano il
lettore a sentire la salienza di oggetti su cui raramente si sofferma
l'attenzione della filosofia. La figura metaforica e' un parlar per cose
attraverso il quale - per riprendere una felice espressione di Roberta de
Monticelli fatta propria dalla Rigotti - il profilo dell'apparenza
"suggerisce" quello della trascendenza. C'e' piu' di un'eco nel modo di
procedere della Rigotti della fenomenologia e del suo richiamo alle cose
stesse. L'attenzione alle cose educa il giudizio perche' esse dettano le
condizioni del loro impiego, hanno una natura che non e' oggetto di
decisione da parte degli esseri umani. Come sosteneva Aurel Kolnai, c'e' nel
realismo fenomenologico un'esortazione implicita all'umilta', un invito alla
sobrieta' nel pensare come nel parlare, a non coltivare l'illusione della
propria importanza, alimentando la fantasia di vivere alla fine dei tempi.
Le piccole cose hanno una permanenza che potrebbe aiutare ciascuno a
riconoscere quei tratti generali della vita umana di cui un certo
relativismo in voga vorrebbe liberarsi per i limiti che esse pongono alla
decisione. L'esercizio dell'attenzione per le piccole cose avrebbe dunque
anche un senso morale, contribuendo ad affinare la capacita' di distinguere
il bene dal male. Sullo sfondo c'e' Aristotele, che ci ha mostrato come si
possa far filosofia proprio partendo dalle piccole cose.

5. LETTURE. ANTONIO PIERETTI (A CURA DI): LA FILOSOFIA DELLA NONVIOLENZA
Antonio Pieretti (a cura di), La filosofia della nonviolenza. Maestri e
percorsi nel pensiero moderno e contemporaneo, Cittadella Editrice, Assisi
2006, pp. 224, euro 15. Il volume raccoglie gli atti del XLIV seminario di
studi promosso dalla biblioteca della Pro Civitate Christiana svoltosi ad
Assisi il 24-27 novembre 2005, con relazioni - tutte appassionanti - di
Gerardo Cunico su "Pace e storia nel pensiero di Kant", Roberto Mancini su
"Gandhi e i principi della nonviolenza", Federica Curzi su "Per una politica
della nonviolenza. La via di Aldo Capitini", Mario Martini su "La
nonviolenza e il pensiero di Aldo Capitini", Pasquale Tuscano su "Motivi e
forme della poesia di Aldo Capitini", Sergio Labate su "Levinas: l'etica
della nonviolenza", Antonio Pieretti su "Le vie del perdono: Levinas,
Derrida, Ricoeur". E' un libro che vivamente raccomandiamo, l'unica cosa che
dispiace - immensamente - e' che il libro abbia alcune poche stupefacenti
pagine di introduzione (pp. 7-11) evidentemente frettolosissime,
evidentemente non meditate ed evidentemente non riviste ne' dall'autore ne'
da un revisore della casa editrice (peraltro benemerita quant'altre mai):
prescindendo dalle minuzie, tre sole penose osservazioni. La prima
osservazione: c'e' un terribile refuso alla riga 5 di p. 8, ove nell'assenza
di una correzione delle bozze quella che doveva naturalmente essere
l'espressione "forni crematori e camere a gas" e' diventata altra cosa. La
seconda osservazione: l'autore non usa mai in questa pagine introduttive la
parola "nonviolenza", ma la sostituisce con "antiviolenza" (termine che
rinvia a tutt'altra tradizione di pensiero e nulla ha a che vedere col
concetto di nonviolenza), come se ignorasse - il che ovviamente non puo'
essere, e del resto lo stesso autore usa, e in modo preciso e pertinente, il
termine "nonviolenza" nel suo contributo al volume (cfr. le pp. 177-178, ove
peraltro si potrebbe discutere su qualcosa, ma si puo' discutere sempre, e'
per questo che si dialoga) - che "nonviolenza" e' termine peculiare che ha
un significato preciso ed inequivocabile (sebbene siano ancora pochi a
saperlo, nel discorso pubblico corrente i piu' ignorano tutto della
nonviolenza e ciononostante pretendono di parlarne - ovviamente a vanvera):
nonviolenza infatti - ripetiamolo ancora una volta per i nostri venticinque
lettori che forse non ne potranno piu' - e' la traduzione capitiniana in
un'unica parola che sintetizza i due termini gandhiani di ahimsa e
satyagraha, i termini con cui Gandhi designava la sua proposta di lotta e di
vita, due termini dal campo semantico assai vasto e denso e profondo ed
insieme dal significato principale assai preciso: ahimsa (dal sanscrito: a +
himsa) e' l'opposto della violenza e l'opposizione alla violenza; e' - nel
senso forte dell'etimo - l'innocenza, innocenza non come mera astensione dal
commettere il male (astensione dal male che dovrebbe essere la condotta
normale di ogni persona ragionevole, astensione della quale peraltro esiste
una variante degradata e corrotta, quella che consiste nel ritrarsi dinanzi
alla minaccia e all'ingiustizia per debilitazione o vilta' - Gandhi
considera la vilta' come la piu' grave forma di complicita' con la violenza,
cosicche' il mero astenersi dall'agire in determinati contesti non e'
affatto innocenza) ma come impegno, come scelta, condizione e forza che
agisce ed agendo contrasta e abolisce il male; ahimsa e' il contrario
dell'urto, dello squilibrio e della caduta, e' quindi incontro, armonia e
ricomposizione, guarigione, lotta che comunica, lotta che riconosce ed
unisce, lotta che salva, conflitto che umanizza; satyagraha (dal sanscrito
satya + agraha) designa la forza della verita' ma si potrebbe anche tradurre
come la verita' che da' forza, e' l'afferramento della verita', il tenersi
stretti a cio' che e' sempre vero, l'attaccamento al bene, quella forza
coesiva evidenziata dalla bella formula "la forza dell'amore" - che e'
anch'essa un'ottima traduzione di satyagraha, poiche' il Vero del termine
sanscrito satya e' il Vero eterno, il sommo bene della metafisica, la
verita' liberatrice dell'etica, e quella "divina potestate, somma sapienza,
primo amore" che nelle teologie delle religioni del Dio personale definisce
appunto la divinita'. La terza osservazione: l'autore cita en passant alcuni
stereotipi ed alcuni pregiudizi diffamatori della nonviolenza, senza
spiegare ai lettori che di diffamazioni si tratta (naturalmente si puo'
presumere che i lettori lo sappiano gia', ma una parola di chiarezza era
tuttavia opportuna, altrimenti si puo' dar l'impressione di una certa
ambiguita' o subalternita' a giudizi non accettabili perche' non veritieri,
ingiusti e indegni. Ci fermiamo qui e ci scusiamo se parlando in breve di un
libro cosi' bello abbiamo dedicato tanta parte di questa minima noticina
all'unica pecca: ma e' davvero un peccato, e confidiamo che in una seconda
edizione l'autore riveda queste cinque paginette che non rendono giustizia
ne' a lui (che e' studioso di vaglia e nel libro e' presente con una
pregevole ed a tratti fin commovente relazione alle pp. 177-215), ne' al
libro, ne' alla nonviolenza, ne' ai lettori. Per richieste alla casa
editrice: Cittadella Editrice, c. p. 94, 06081 Assisi (Pg), tel. 075813595,
fax: 075813719, e-mail: amministrazione at cittadellaeditrice.com, sito:
www.cittadellaeditrice.com

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 167 del 31 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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