Voci e volti della nonviolenza. 82



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 82 del 20 luglio 2007

In questo numero:
1. Aldo Visalberghi: Dewey, filosofia e liberazione
2. Guido Calogero: il miglior Dewey
3. Armando Massarenti ricorda John Dewey
4. Hilary Putnam ricorda John Dewey
5. Armando Massarenti presenta gli "Scritti politici" di John Dewey
6. John Dewey: Esperimenti per cambiare
7. Et coetera

1. ALDO VISALBERGHI: DEWEY, FILOSOFIA E LIBERAZIONE
[Da Aldo Visalberghi, "Il filosofo dello spirito scientifico" (1972), in
John Dewey, Logica, teoria dell'indagine, Einaudi, Torino 1949, 1974, vol.
I, p. XXX]

Giacche' se e' legittimo vedere in Dewey il filosofo dello spirito
scientifico, lo e' solo nella misura in cui l'indagine scientifica e'
strumento essenziale di liberazione e consapevolmente rifiuta di farsi
strumento di dominazione dell'uomo sull'uomo.

2. GUIDO CALOGERO: IL MIGLIOR DEWEY
[Da Guido Calogero, "Introduzione", in John Dewey, Una fede comune, La Nuova
Italia, Firenze 1959, 1972, p. XVIII]

Il miglior Dewey, teorico dell'educazione e della democrazia...

3. ARMANDO MASSARENTI RICORDA JOHN DEWEY
[Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 30 aprile 2000 col titolo "John
Dewey. Rifare la filosofia per la societa' tecnologica"]

"Non e' la perfezione la meta ultima della vita, ma il processo incessante
di perfezionare, maturare e raffinare". Con questa citazione, tratta da
Reconstruction in Philosophy (del 1919, poi ampliato nel '45; trad. it.
Rifare la filosofia, Donzelli 1998), si va dritti al cuore del temperamento
filosofico di John Dewey. Potrebbe essere il suo motto, applicabile ad ogni
campo di cui egli si e' occupato: epistemologia, scienza, tecnologia, arte,
educazione, etica, politica, e soprattutto a quello che e' il vero
passepartout della sua filosofia: la democrazia, la parola magica cui si
lega la sua visione dinamica della conoscenza, e della vita stessa.
La teoria della conoscenza, come ogni altro aspetto della riflessione
filosofica, ha infatti in Dewey forti connotati sperimentali. Cio' che conta
e' il processo incessante della ricerca, che non raggiunge mai risultati
certi e definitivi, ma che mette continuamente in discussione le conoscenze
acquisite. Dewey prese subito sul serio la rivoluzione darwiniana, non solo
perche' essa mette a segno il colpo definitivo ad ogni finalismo della
natura (dopo che, nel '600, la fisica e l'astronomia moderne avevano sancito
il passaggio dal mondo chiuso all'universo infinito), ma anche perche' ci
mostra che la vita stessa, il regno animale e ancor di piu' quello umano,
aborre l'immobilismo. Il processo di innovazione non puo', e non deve,
essere arrestato, pena l'inaridimento di ogni attivita'. Dewey sottolinea
"l'importanza di uscire dal tracciato in cui la mano pesante della
consuetudine tende a spingere ogni forma di attivita' umana, compresa
l'indagine intellettuale e scientifica", che pure e' all'origine della
liberazione delle forze piu' dinamiche dell'intelligenza: "La routine tende
a ottundere perfino l'indagine scientifica: sbarra la strada alla scoperta e
al lavoro scientifico attivo. In quanto attivita', scoperta e indagine sono
sinonimi: la scienza e' ricerca e non un impossessarsi dell'immutabile".
Lo stesso vale, a maggior ragione, per la politica - e per la democrazia,
intesa come un "medium cognitivo" per la soluzione dei problemi pubblici -
per la quale Dewey rivendica l'esistenza di "un Ministero del Disturbo, una
fonte istituzionale di scompiglio, uno scardinatore del tran tran e del
compiacimento".
Come ha osservato Hilary Putnam, in Dewey, la parola "democrazia" ha una
valenza filosofica assai generale. Coincide con la "logica dell'indagine",
che a sua volta ci fornisce una "giustificazione epistemologica della
democrazia": un punto di riferimento fondamentale per chi, oggi, come Dewey
ai suoi tempi, voglia impegnarsi in un processo di rinnovamento della
filosofia. Una sfida presa sul serio dal convegno che si e' svolto dai 10 al
13 aprile presso l'Universita' della Calabria, organizzato dal Dipartimento
di Scienze dell'Educazione, su John Dewey. La filosofia e l'educazione per
la democrazia.
Il convegno e' stato aperto dallo stesso Putnam, della cui relazione
proponiamo qui un ampio stralcio, e ha visto la partecipazione dei maggiori
studiosi americani di Dewey, tra cui Thomas Alexander, Larry Hickman,
direttore del Center for Dewey Studies di Carbondale nell'Illinois, di cui
e' stata appena stata pubblicata dall'editore Armando La tecnologia
pragmatica di John Dewey, con una presentazione di Giuseppe Spadafora; e
numerosi studiosi europei e italiani (tra cui Jaime Nubiola, Hans Peter
Krueger, Krystina Wilkoszewka, Aldo Visalberghi, Mario Alcaro, Alberto
Granese, Nicola Siciliani de Cumis, e lo stesso Spadafora).Per l'occasione
e' stata inaugurata la European John Dewey Society (vedi:
www.calio.it/europeanjohndeweysociety) che si propone di trattare, nello
spirito di Dewey, cioe' di un pensiero attento alle dinamiche sociali ma che
non demonizza i meccanismi di mercato, i problemi di oggi legati alle
trasformazioni della democrazia e alla globalizzazione economica. Alla luce
di essi il convegno ha messo in rilievo l'importanza della "ricostruzione"
filosofica deweyana, legata al tentativo di "ricostruire" l'educazione e la
democrazia applicato ad un contesto non solo americano ma globale. Quello
che e' emerso e' stata la straordinaria attualita' del pensiero deweyano,
espressione di una particolare lettura del pragmatismo americano, una
filosofia intermedia tra idealismo e realismo, ma soprattutto una filosofia
completamente immersa nelle trasformazioni scientifiche e tecnologiche del
Novecento.
Questo e' il tema del libro di Hickman. Egli sostiene che tra i grandi
filosofi di questo secolo che si siano occupati della dimensione tecnica
delle nostre societa', Dewey e' stato l'unico a svilupparne un sapere
critico, da mettere direttamente nelle mani dei cittadini per educarli a un
controllo reale. All'atteggiamento misticheggiante o nostalgico di
Wittgenstein, Heidegger o Adorno, Dewey oppone una visione realistica e
concreta della dinamica tecnologica e dei meccanismi di innovazione, senza
nascondere i problemi etici e sociali.
La sua filosofia e' una raffinata e coerente forma di fallibilismo,
applicato ad ogni pratica sociale e ad ogni forma di attivita' umana,
compresa la capacita' stessa di affrontare problemi sociali e tecnologici
sempre inediti. Ma il nocciolo di tale fallibilismo si trova proprio nei due
aspetti, strettamente intrecciati tra loro, qui affrontati da Putnam: quello
epistemologico e quello etico. Il fallibilismo implica la possibilita' di
cambiare o modificare le proprie conoscenze, idee, credenze, valori, nel
momento in cui queste siano sottoposte a critiche convincenti, senza pero'
farci precipitare in una situazione di incertezza cronica, o in un
relativismo immobilizzante. E questo proprio grazie al carattere insieme
democratico - e dunque intersoggettivo - e sperimentale dell'indagine. Ci
sono valori, idee, conoscenze che mostrano una resistenza maggiore alle
nostre critiche e ai nostri esperimenti di confutazione. E tra questi ci
piace credere che vi siano proprio quelli legati ai nostri ideali
democratici, da cui dipende costitutivamente la nostra stessa possibilita'
di mantenere sempre aperta l'indagine.

4. HILARY PUTNAM RICORDA JOHN DEWEY
[Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 30 aprile 2000 col titolo "Per
un'etica sperimentale. La lezione di John Dewey: il suo antidogmatismo in
epistemologia rispecchia quello della sua riflessione morale"]

Una meravigliose presentazione della propria filosofia, e anche della sua
filosofia morale, John Dewey ce la fornisce ne La ricerca della certezza,
dove raccoglie le Gifford Lectures. Una delle sue cose piu' belle, almeno
per me, e' l'analogia tra i paraocchi dei filosofi tradizionali quando
parlano di epistemologia e i loro paraocchi quando parlano di etica. Nel
caso dell'empirismo, l'analogia e' sorprendente. Che il razionalismo -
secondo il quale importanti verita' sul cosmo e su come dovremmo viverci
sarebbero conoscibili a priori - venga criticato dal pragmatismo non e' per
niente sorprendente. Ma Dewey non intende solo attaccare il razionalismo,
vuole distinguersi anche dall'empirismo tradizionale. E qui, ha da dire cose
inaspettate.
Una di queste e' che i difetti dell'empirismo non sono poi cosi' diversi da
quelli del razionalismo (certo, Hegel aveva gia' detto qualcosa del genere,
e va ricordato che Dewey ha debuttato nella carriera filosofica da
idealista). Scrive Dewey: "Cosi' come la teoria delle sensazioni trascura
nell'indagine il ruolo funzionale e lo status ipotetico delle qualita'
sensibili, cosi' il razionalismo pone l'utilita' delle concezioni come se
fosse una questione fissa e indipendente nell'orientare l'indagine per
risolvere particolari problemi".
Per il razionalismo, si sa, la forma generale delle spiegazioni scientifiche
si puo' conoscere a priori. Stando a Cartesio conosciamo a priori le leggi
della geometria e i principi fondamentali della meccanica, e Kant tento'
perfino una "deduzione trascendentale" della teoria della gravita' di
Newton. E lo stesso accade all'empirismo che sottintende addirittura la
conoscenza a priori di tutti i dati empirici. Da Locke e Berkeley a Hume ed
Ernst Mach, gli empiristi hanno ritenuto che tutti i dati empirici sono
"sensazioni", intese come un dato non concettualizzato sul quale verificare
la conoscenza putativa.
Gia' William James aveva chiarito che ogni esperienza percettiva ha aspetti
concettuali e non concettuali e che era vano il tentativo di dividere in
parti distinte l'esperienza, la somma di "sensazioni e di idee che
partecipano alla percezione e al riconoscimento di un oggetto materiale".
Sulla scia di James, Dewey sostiene che quando creiamo nuovi concetti per
l'osservazione istituiamo nuovi dati.
La fisica moderna - e non solo la fisica - gli hanno dato clamorosamente
ragione: uno scienziato puo' affermare che sta osservando la collisione di
un protone con un nucleo, un virus sotto un microscopio elettronico, un gene
o un buco nero?. Ne' la forma delle spiegazioni possibili ne' quella dei
dati possibili puo' essere fissata in anticipo, una volta per tutte.
Come James, Dewey non nega l'esistenza di un substrato preconcettuale ma
dice che in assenza di una giusta concettualizzazione, la sensazione e'
problematica. Invece di costituire dati, prove o evidenza, pone un problema
che va risolto. "Il recente riconoscimento che i concetti con cui pensiamo
oggetti scientifici non derivano ne' dai sensi ne' da idee a priori ha una
forza logica e filosofica. Le qualita' sensibili sono qualcosa da conoscere,
una sfida alla conoscenza, pongono problemi da indagare. Infatti l'attivita'
o il pensiero e' un agire orientato, un fare che modifica le condizioni in
cui gli oggetti si danno e li dispone in modo nuovo".
Dewey spiega poi che la formazione del "concetti con i quali pensiamo gli
oggetti scientifici" e' inseparabile dalla scoperta di operazioni da
effettuare con questi oggetti e dalle relazioni tra di essi. "Queste
operazioni sono state continuamente affinate ed elaborate nel corso della
storia umana, anche se soltanto negli ultimi secoli si e' considerato che il
pensiero controllato e il suo risultare in autentica conoscenza sono legati
alla selezione e alla determinazione di tali operazioni". Poco prima, nel
capitolo intitolato "La sede dell'autorita' intellettuale", aveva scritto:
"Come sarebbe stata diversa la storia della teoria della conoscenza, o
epistemologia, se dall'inizio le qualita' in questione non fossero state
chiamate 'dati' bensi' 'presi'... In quanto dati, vengono selezionati
all'interno dell'oggetto globale da cui la conoscenza trae impeto; sono
discriminati con uno scopo, quello di consentire ai segni o all'evidenza di
definire e di localizzare un problema e quindi di fornire un indizio per la
sua soluzione".
Un corollario della sua critica e' che razionalismo ed empirismo non
riescono a vedere fino a che punto le scoperte scientifiche possano essere
radicalmente nuove, e che la novita' puo' riguardare indifferentemente la
forma di quelli che riteniamo i principi generali (geometria, causalita'
deterministica, azione diretta), la gamma di quelle che riteniamo le
qualita' osservabili delle cose, e i concetti stessi di cio' che costituisce
un oggetto scientifico. Contro entrambe le scuole di pensiero, Dewey ci
invita ad ammettere "lo status ipotetico di tutti i dati e di tutte le
premesse".
Una situazione analoga si presenta in etica. "La costruzione del bene",
l'ultimo capitolo della Ricerca della certezza, descrive la situazione delle
filosofie morali, e la loro sorprendente analogia con quella
dell'epistemologia. E' evidente che l'apriorismo e' presente nell'etica
cosi' come nella cosmologia filosofica, ma perche' l'empirismo dovrebbe
creare un problema? Qual e' l'errore nel quale Dewey ravvisa 1'analogia con
la confusione che gli empiristi fanno tra qualita' sensibili, non
concettualizzate, e dati?
Gia' nel 1908, all'epoca della pubblicazione dell'Etica scritta insieme a J.
H. Tufts, Dewey giudicava la versione dell'utilitarismo data da Bentham un
fallimento esemplare dell'empirismo critico, priva com'era di una concezione
adeguata di cosa significhi nell'etica essere un empirista a' la Dewey,
cioe' sperimentale. Nella Ricerca della certezza non cita il nome di
Bentham, ma i difetti che elenca sono chiaramente quelli dell'utilitarismo.
Cosi' come l'empirismo classico confonde sensazioni non concettualizzate e
dati mentre sta di fatto che meno sappiamo concettualizzare una sensazione e
piu' essa rappresenta un problema, piu' uno stimolo per l'indagine che non
un'evidenza, l'utilitarismo confonde piaceri e valori, i quali dovrebbero
essere perseguiti di per se'. Per Dewey invece, meno capiamo un piacere,
meno sappiamo di cio' che lo fa esistere e dei suoi possibili effetti futuri
(e delle sue relazioni con altri piaceri e disagi attuali ed eventuali, e
delle loro cause ed effetti) e piu' questo piacere rappresenta un problema e
uno stimolo al "pensiero operativo".
"A proposito dell'origine e della verifica del pensiero - scrive Dewey -, la
teoria delle sensazioni e' stata talmente incapace di rendere conto del
nesso tra gli oggetti osservati, del loro ordine e della loro regolarita',
da suscitare per reazione la teoria trascendentale delle idee a priori. Allo
stesso modo, una dottrina che identifichi il semplice fatto dell'essere
apprezzato con l'oggetto apprezzato e' talmente incapace di orientare la
condotta, laddove e' necessario, da evocare immediatamente l'affermazione
dell'esistenza di valori eternamente in essere, i quali sono la misura di
ogni giudizio e il fine obbligato di ogni azione. A meno di non ricorrere al
pensiero operativo, si continua a oscillare tra una teoria che, pur di
salvare l'oggettivita' dei giudizi di valore, li isola dall'esperienza e
dalla natura, e una teoria che pur di salvarne il significato umano, li
riduce a pure enunciati sui nostri sentimenti".
Per Dewey quindi, bisognava compiere l'opera che a suo parere l'utilitarismo
non aveva saputo compiere, nonostante il famoso tentativo di Mill:
distinguere tra il desiderato e il desiderabile o, nei termini che preferiva
spesso usare, tra "apprezzato" e "apprezzabile" (valued and valuable).
Occorreva distinguere tra cio' che viene apprezzato perche' evoca una
sensazione di piacere o di godimento e cio' che e' stato valutato e studiato
criticamente. Soltanto una volta acquisita la conoscenza delle cause, degli
effetti e delle relazioni piu' rilevanti, cio' che e' apprezzato diventa
apprezzabile, e cio' che soddisfa diventa soddisfacente.
"Dire che una cosa soddisfa significa riferire una finalita' isolata. Dire
che e' soddisfacente significa definirla nelle sue connessioni e
interazioni. Il fatto che ci piaccia o ci risulti subito congeniale pone un
problema di giudizio.Come misurare la soddisfazione? E' un valore oppure no?
E' preziosa e cara e deve essere goduta? Non soltanto i moralisti piu'
severi ma la stessa esperienza quotidiana ci dice che trovare soddisfazione
in una cosa puo' essere un avvertimento, un'ingiunzione a stare attenti alle
conseguenze. Dichiarare che una cosa e' soddisfacente significa asserire che
se ne possono specificare le condizioni. un giudizio e una predizione,
infatti: quella cosa andra' bene e continuera' a servire... E' l'asserzione
di una conseguenza che la cosa istituira' attivamente. Che ci soddisfi e' il
contenuto di un giudizio di fatto; che sia soddisfacente e' un giudizio, una
valutazione, un apprezzamento. Denota un atteggiamento da adottare, quello
di sforzarsi di perpetuare e di assicurare quella cosa".

5. ARMANDO MASSARENTI PRESENTA GLI "SCRITTI POLITICI" DI JOHN DEWEY
[Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 9 febbraio 2003 col titolo "Scienza,
fucina di liberta'" e il sommario "Un antidoto contro la vulgata
heideggeriana sul dominio della tecnica. Negli Scritti politici riflessioni
lungimiranti sulla democrazia come metodo di soluzione dei problemi sociali,
sulle aberrazioni del comunismo sovietico e del nazismo e sul loro legame
con la filosofia classica tedesca"]

Le persone che amano la filosofia, e al tempo stesso non disdegnano il mondo
della scienza, della tecnologia, dell'industria fanno fatica a trovare, nel
'900, un esempio di pensatore che dia loro piena soddisfazione. Soprattutto
se cercano un filosofo a tutto tondo: non un epistemologo o un logico, ma
qualcuno che proponga una coerente visione del mondo, attraente,
appassionata, dotata di grande valore simbolico. In altre parole, un
filosofo che sia in grado di fare da contraltare alle figure nostalgiche o
misticheggianti che passano come le piu' importanti del secolo, come per
certi versi Wittgenstein, ma soprattutto Adorno e i francofortesi da un lato
e Heidegger con i suoi numerosi epigoni dall'altro, accomunati da idee tipo
"la scienza non pensa", "siamo dominati dalla tecnica", dalla "razionalita'
strumentale", ecc. Concetti che fanno audience e che impegnano importanti
professori di filosofia (da Severino a Vattimo a Cacciari) in appassionanti
serate su "che cosa ha veramente detto Heidegger" e, dunque, su chi, tra
loro, ne e' il piu' autentico erede. Oppure sul fatto che in fondo egli non
era poi cosi' antiscientifico e antimoderno come appare a prima vista.
Ma se alla fine lo scopo e' avere una filosofia che non svilisca troppo le
conquiste del mondo contemporaneo, non faremmo meglio ad abbandonare questi
sentieri tortuosi per dedicarci direttamente a un pensatore che non solo non
ha mai demonizzato la scienza, ma che ha saputo ricavare indicazioni per una
filosofia innovativa e per una visione politica costruttiva e attraente?
Eccoci dunque a John Dewey, di cui sta per uscire una raccolta di Scritti
politici dai quali traspare, anche grazie all'introduzione di Giovanna
Cavallari, proprio quel ritratto di filosofo "completo" che andavamo
cercando: un filosofo immerso nelle trasformazioni scientifiche e
tecnologiche che hanno attraversato il suo tempo e che - proprio occupandosi
della dimensione tecnica delle nostre societa', ma anche dei problemi della
pace, del diritto internazionale, delle forme di governo - si e' preoccupato
di sviluppare un "sapere critico" da mettere direttamente nelle mani dei
cittadini per educarli a un controllo reale.
Alle nostalgie da "Pastori dell'Essere" Dewey oppone una visione realistica
e concreta della dinamica tecnologica e dei meccanismi di innovazione, che
non vanno demonizzati ma messi nelle mani di quelli che ne saranno i
principali beneficiari. La sua filosofia e' improntata a un antidogmatismo
che non da' tregua alla pigrizia mentale e al conservatorismo. E' una
raffinata forma di "fallibilismo", appresa dalla pratica scientifica. che e'
in se' cooperativa e aperta, e applicata a ogni pratica sociale, ogni sfera
dell'attivita' umana - morale, arte, educazione - compresa la capacita'
stessa di affrontare i problemi sociali e tecnologici che si presentano con
modalita' sempre nuove.
Anche il versante piu' propriamente "politico", cui e' dedicato il volume,
e' improntato a questa visione dinamica della societa', della vita, della
cultura. La riflessione sulle istituzioni va sottoposta al metodo
"sperimentale", e da cio' dipende la visione non "formale" della democrazia
di Dewey. Le capacita' innovative della democrazia dipendono dalla sua
capacita' di includere un numero sempre maggiore di soggetti nella gestione
diretta dei problemi che li riguardano. Altre forme politiche -
l'aristocrazia, o la tecnocrazia, o il socialismo quando, come nel caso
sovietico, finisce per ricadere in esse - sono sbagliate dal punto di vista
della razionalita' e dell'approccio cognitivo. Promuovono visioni "false" o
razionalizzazioni inadeguate dei problemi. Una partecipazione reale, guidata
da una informazione libera e trasparente, puo' dare invece sostanza a un
liberalismo che si cura innanzitutto di formare individui non manipolabili e
capaci di pensare da se'. Questa e' l'essenza del suo liberalismo e del suo
individualismo democratico.
Il pragmatismo di Dewey deve molto alla sua giovanile immersione nella
filosofia classica tedesca, soprattutto in Hegel, e da li' prende la sua
forte impronta dinamica (corroborata dalla visione darwiniana secondo cui
dove non c'e' cambiamento non c'e' vita). Sono dunque di grande interesse le
sue prese di posizione nei confronti delle correnti della filosofia tedesca
dalle quali scaturirono da un lato diverse forme di socialismo
antidemocratico (compreso quello sovietico) e, dall'altro, - come recita
l'ultimo dei saggi del volume, scritto nel 1942 a piu' di ottant'anni, e
dedicato all'analisi dei discorsi di Hitler - Il mondo unico del
nazionalsocialismo. Quel "mondo unico" che, proprio in quegli anni, a
qualcuno piaceva far coincidere con la casa dell'Essere.

6. JOHN DEWEY: ESPERIMENTI PER CAMBIARE
[Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 9 febbraio 2003 riprendiamo il
seguente breve stralcio dagli Scritti politici (1888-1942) di John Dewey, a
cura di Giovanna Cavallari per le Edizioni Donzelli (pp. 136, euro 18), li'
apparso col titolo "Esperimenti per cambiare"]

Raramente si contesta la scienza, in quanto ostile all'umanesimo, se non si
condivide una concezione della natura di molto precedente all'apparire di
qualsiasi scienza. Nel mondo naturale molte cose, in ogni tempo, sono state
indifferenti oppure ostili ai valori umani: questo e' ovvio e nessuno
potrebbe negarlo. Quando non c'era ancora una conoscenza sufficiente del
mondo naturale, il controllo della natura era impossibile. Senza un potere
di controllo, l'unico rimedio consisteva nel costruire rifugi immaginari,
non esistenti nella realta'. Alcune di queste  costruzioni erano soffuse di
grazia e di bellezza. Ma una volta svelato il loro carattere immaginario, e'
vano supporre che l'uomo possa continuare a vivere e a crescere rimanendovi
prigioniero.  Invocandone l'aiuto, non si colgono le possibilita' del
presente e ogni potenzialita' costruttiva rimane inutilizzata.
Nessuno scienziato potrebbe tenere per se' o utilizzare a scopi privati le
proprie scoperte senza perdere il ruolo di scienziato. Ogni scoperta
appartiene alla comunita' dei lavoratori. Ogni nuova idea o teoria deve
essere sottoposta a tale comunita' per essere confermata e provata. Questa
e' la comunita' aperta della cooperazione e della trasparenza. Tratti del
genere caratterizzano, oggi, soltanto piccoli gruppi dediti a qualche
ricerca tecnologica. Ma la loro esistenza rivela una possibilita' del
presente - una delle molte possibilita' che sono una sfida per l'espansione,
non un terreno di retroguardia. Supponiamo che cio' che ora accade in
circoli ristretti possa espandersi.  Significherebbe un futuro di
oppressione o di emancipazione? La ricerca e' una sfida, non un passivo
conformismo. La tecnica e' uno strumento di crescita, non di repressione.
Adottare un'attitudine scientifica negli interessi umani significa
introdurre un cambiamento rivoluzionario in campo morale, religioso,
politico e industriale. Non dobbiamo rimproverare alla scienza di essersi
fermata alla tecnica, dobbiamo rimproverarlo piuttosto agli uomini che si
sono occupati delle loro finalita' private ed esitano a socializzare l'uso
della scienza per timore di effetti distruttivi sul loro potere e sui loro
profitti. Ai nostri giorni e' indispensabile immaginare che le scienze
naturali e le tecnologie che da essa nascono siano usati al servizio
dell'umanita'. Un umanesimo che considera la scienza come nemica rinnega gli
strumenti attraverso i quali un umanesimo liberale puo' divenire realta'.
L'attitudine scientifica e' sperimentale e comunicativa al tempo stesso. Se
fosse generalmente applicata, ci libererebbe dai pesanti condizionamenti
imposti dai dogmi e dal conformismo. Il metodo sperimentale non si limita
all'uso di ampolle, distillatori e reagenti. E' nemico di ogni credenza che
diventa abitudine e voglia dominare invenzione e scoperta; di ogni sistema
precostituito che cerchi di annullare i fatti verificabili. La revisione
costante e' il compito della ricerca sperimentale. Soltanto la verifica
della conoscenza e delle idee ci mette in grado di effettuare
trasformazioni. Quando questa attitudine diverra' concreta nella mente
umana, trovera' uno sbocco operativo. Se i dogmi e le istituzioni tremano
quando appare una nuova idea, pensate a cosa accadrebbe se l'idea fosse
dotata di mezzi per scoprire continuamente nuove verita' e per contestare
antiche credenze. L'"acquisizione" e' pericolosa, in campo scientifico,
soltanto per chi vuol mantenere l'ordine sociale esistente, motivato dalla
pigrizia o dall'interesse personale. L'attitudine scientifica richiede
fiducia nelle nuove scoperte e rapidita' nell'adeguarsi alle nuove certezze.

7. ET COETERA

John Dewey filosofo e pedagogista americano (1859-1952), uno dei punti di
riferimento della riflessione e dell’impegno democratico in ambito
pedagogico del Novecento. Tra le opere di John Dewey: Ricostruzione
filosofica, Laterza, Bari 1931; Liberalismo e azione sociale, La Nuova
Italia, Firenze 1946; Esperienza e natura, Paravia, Torino 1948;
Individualismo vecchio e  nuovo, La Nuova Italia, Firenze 1948; Democrazia e
educazione, La Nuova Italia, Firenze 1949; Scuola e societa', La Nuova
Italia, Firenze 1949; Logica. Teoria dell'indagine, Einaudi, Torino 1949;
Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1949; Problemi di tutti,
Mondadori, Milano 1950; L'educazione di oggi, La Nuova Italia, Firenze 1950;
L'arte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze 1951; Le fonti di una
scienza dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze 1951; Saggi pedagogici,
Vallecchi, Firenze 1951; Liberta' e cultura, La Nuova Italia, Firenze 1953;
Il mio credo pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1954; Intelligenza
creativa, La Nuova Italia, Firenze 1957; Natura e condotta dell'uomo, La
Nuova Italia, Firenze 1958; Una fede comune, La Nuova Italia, Firenze 1959;
Teoria della valutazione, La Nuova Italia, Firenze 1960; Come pensiamo, La
Nuova Italia, Firenze 1961; La ricerca della certezza, La Nuova Italia,
Firenze  1966. Tra le opere su John Dewey: per un avvio Alberto Granese,
Introduzione a Dewey, Laterza, Roma-Bari 1973; Amalia De Maria, Invito al
pensiero di Dewey, Mursia, Milano 1990. Dal sito www.ildiogene.it
riprendiamo la seguente scheda curata da Adriano Virgili: "John Dewey
(Burlington, Vermont, 1859 - New York, 1952), filosofo e pedagogista
statunitense, studio' presso le universita' John Hopkins e quella del
Michigan. Nel 1894 venne chiamto a insegnare all'Universita' di Chicago,
dove tenne dei corsi di pedagogia e fondo' la Laboratory School per condurre
esperimenti in ambito educativo. Tra le sue opere si ricordano: Scuola e
societa' (1899), Studi sulla teoria logica (1903), Democrazia ed educazione
(1916), Ricostruzione filosofica (1920), Natura e condotta dell'uomo (1922),
Esperienza e natura (1925), La ricerca della certezza (1930), Filosofia e
civilta' (1931), Logica come teoria dell'indagine (1938), Esperienza ed
educazione (1938), Liberta' e cultura (1939). Dewey applica il pensiero
pragmatico agli ambiti della pedagogia e della politica. La realta' non ha
struttura e fini rigidamente fidati e immutabili, ma e' interazione tra uomo
e natura, che in tale rapporto si costruiscono e si determinano.
L'esperienza e' il luogo di questo incontro, in cui la dimensione logica si
fonde con quella pratica. Lo strumentalismo gnoseologico sostenuto da Dewey
nega il carattere puramente passivo del processo conoscitivo, sottolineando,
al contrario, come quest'ultimo sia gia', in se', un agire. Conoscere e' lo
strumento dell'agire efficace, utile per raggiungere il controllo di
determinate situazioni e individuare soluzioni a problemi di carattere
pratico. E' possibile chiarire il processo del pensiero e dell'acquisizione
di conoscenza osservando il modo in cui essi si presentano in determinati
contesti. In ambito etico, Dewey nega la distinzione tra mezzi e fini:
l'uomo non ha un fine ultimo, ma trova soddisfazione solo nella continua
attivita', libera e intelligente, perche' i fini vengono giudicati dagli
effetti che producono. L'intelligenza ha il compito di riorganizzare senza
posa l'esperienza e l'educazione svolge la medesima funzione
nell'avvicendamento delle generazioni, consentendo cosi' sia la continuita'
sia il cambiamento. Infatti per Dewey l'educazione e' ricostruzione e
riorganizzazione dell'esperienza che accresce il significato dell'esperienza
stessa e aumenta l'abilita' di dirigere il corso dell'esperienza stessa.
Nessun modello determinato o esterno deve essere prescritto, il criterio
pedagogico del buon educatore consiste nel verificare se l'apprendimento o
l'intervento favoriscono altri apprendimenti o ulteriore educazione. In
tutte le sue opere pedagogiche Dewey critica la scuola nozionistica,
verbalistica, libresca e ripetitiva, propugnando una scuola pubblica e
aperta, democratica e libertaria, collegata con la vita. Alcune opere di
John Dewey tradotte in italiano: Comunita' e potere, La Nuova Italia,
Firenze 1971; Liberalismo e azione sociale, La Nuova Italia, Firenze 1974;
(con Arthur F. Bentley), Conoscenza e transazione, La Nuova Italia, Firenze
1974; (con John L. Childs), La frontiera educativa, La Nuova Italia, Firenze
1981; Scuola e societa', La Nuova Italia, Firenze 1983; Esperienza e natura,
Mursia, Milano 1990; Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1993;
Arte come esperienza e altri scritti, La Nuova Italia, Firenze 1995;
Liberalismo e azione sociale, Ediesse, Roma 1997; Rifare la filosofia,
Donzelli, Roma 2002; Scritti politici, Donzelli, Roma 2003. Opere su John
Dewey: Lamberto Borghi, John Dewey e l'educazione americana, Firenze 1960;
Francesco De Aloysio, Da Dewey a James, Bulzoni, Roma,1972; Mario Alcaro, La
logica sperimentale di John Dewey, La Libra, Messina 1972; Aldo Visalberghi,
John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1976; Lamberto Borghi, L'ideale
educativo di John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1976; J. Bruner, Dopo
Dewey, Armando, Roma 1978; I. Verda, Attualita' di John Dewey, Armando, Roma
1979; A. Gallitto, Etica e pedagogia nel pensiero di John Dewey, Edas,
Messina 1981; A. Armando, Filosofia e politica nel primo Dewey, La Nuova
Italia, Firenze 1984; Mario Alcaro, Filosofie democratiche. Scienza e potere
nel pensiero di J. Dewey, B. Russell, K. Popper, Dedalo, Bari 1986; A. De
Maria, Invito al pensiero di Dewey, Mursia, Milano 1990; Piero Beraldi, John
Dewey. Logica della responsabilita' e progetto dell'uomo, Levante, Bari
1996; Mario Alcaro, R. Bufalo (a cura di), John Dewey oggi, Abramo,
Catanzaro 1996; Mario Alcaro, John Dewey. Scienza, prassi, democrazia,
Laterza, Bari 1997, Alberto Granese, Introduzione a Dewey, Laterza, Bari
2001, Beatrice Sferza, Rileggendo Dewey. In tempi di autonomia scolastica,
Anicia, Roma 2003". Un sito di riferimento: http://johndewey.org/
*
Guido Calogero, figura illustre della cultura e della vita civile italiana
del Novecento, nato a Roma nel 1904, filosofo, antifascista, organizzatore
del movimento liberalsocialista e del Partito d'Azione, e' scomparso nel
1986. Tra le opere di Guido Calogero segnaliamo particolarmente La scuola
dell'uomo, Sansoni, Firenze 1939; Lezioni di filosofia, Einaudi, Torino
1946-1948; Filosofia del dialogo, Comunita', Milano 1962, 1977; Le regole
della democrazia e le ragioni del socialismo, Edizioni dell'Ateneo, Roma
1968, poi Diabasis, Reggio Emilia 2001. Su Guido Calogero cfr. anche il n.
1329 de "La nonviolenza e' in cammino" e il supplemento "Voci e volti della
nonviolenza" n. 26.
*
Su Armando Massarenti dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la
seguente scheda: "Armando Massarenti (Eboli, 1961) e' un filosofo e
epistemologo italiano. E' responsabile della pagina 'Scienza e filosofia'
del supplemento culturale domenicale de 'Il Sole-24 Ore', dove si occupa,
dal 1986, di storia e filosofia della scienza, filosofia morale e politica,
etica applicata, e dove tiene la rubrica 'Filosofia minima'. Per questa sua
attivita' nel 1993 ha vinto il Premio Dondi per la storia della scienza,
delle tecniche e dell'Industria (Padova) e nel 2000 il Premio Voltolino per
la divulgazione scientifica (Pisa). E' autore del volume Il lancio del nano
e altri esercizi di filosofia minima (Guanda, Parma, settembre 2006), per il
quale gli e' stato conferito il Premio filosofico Castiglioncello 2007. Il
lancio del nano e' anche oggetto di un esperimento didattico, promosso dalla
Societa' italiana di filosofia (Sfi), e coadiuvato dal sito Italialibri,
attraverso il quale viene proposto un modo nuovo di motivare gli studenti
allo studio della filosofia e alla capacita' di argomentare in proprio.
Massarenti e' anche autore, con Antonio Da Re, de L'etica da applicare
(Milano, 1991). Con Gilberto Corbellini e Pino Donghi ha curato e in parte
scritto il volume Bi(blio)etica. Istruzioni per l'uso (Einaudi, 2006), un
dizionario di bioetica sui generis, dal quale il regista Luca Ronconi ha
tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in scena a Torino, per il
progetto Domani delle Olimpiadi invernali 2006. Nel 1996 ha redatto, insieme
a Carlo Flamigni, Maurizio Mori e Angelo M. Petroni, il Manifesto di
bioetica laica, che ha suscitato un vasto dibattito; e' membro
dell'Osservatorio di bioetica della Fondazione Einaudi di Roma. Dal 1999 e'
direttore della rivista 'Etica ed economia' (Nemetria). Ha curato e
introdotto diversi volumi di argomento filosofico-scientifico, come
L'ingranaggio della liberta' di David Friedman (Liberilibri, Macerata 1997),
la Storia dell'astronomia di Giacomo Leopardi (La vita felice, Milano 1997),
Rifare la filosofia di John Dewey (Donzelli, Roma 1998). Per Feltrinelli ha
curato e introdotto il volume Laicismo indiano (Milano, 1998), una raccolta
di saggi del premio Nobel per l'economia 1998 Amartya Sen. Per 'Il Sole-24
Ore' ha curato la collana I grandi filosofi (trenta volumi sui protagonisti
della storia del pensiero, da Socrate a Wittgenstein, per i quali ha anche
scritto le prefazioni). Ha insegnato o insegna come professore a contratto
nelle universita' di Bologna, Lugano, Siena e dal 2001 tiene un corso di
Percezione pubblica e comunicazione della scienza presso l'Universita' di
Milano (corso di laurea in Biotecnologie). Fa parte delle giurie di due
premi per la divulgazione scientifica: il Premio Giovanni Maria Pace,
promosso dalla Sissa di Trieste e il Premio letterario Galileo per la
divulgazione scientifica, legato al Campiello (Padova). E' anche nella
giuria del Premio del giovedi' 'Marisa Rusconi', conferito ogni anno a
Milano a un romanzo italiano opera prima".
*
Su Hilary Putnam dal sito www.emsf.rai.it rirpendiamo la seguente scheda:
"Hilary Putnam nasce a Chicago il 31 luglio 1926. Si forma alla scuola di
Quine e Reichenbach. Nel 1965 insegna filosofia alla Harvard University ,
dove, dal 1976 e' Walter Beverly Pearson Professor di Matematica e logica
matematica. Le molteplici riflessioni di Putnam nell'ambito della logica,
dell'epistemologia, della matematica, della linguistica e della psicologia
si compongono in una unitaria 'filosofia della mente' che respinge
nettamente le spiegazioni dei fatti mentali in termini fisico-chimici e
deterministici (materialismo, fisicalismo e comportamentismo). Gli stati
mentali, per Putnam, sono autonomi e interpretabili solo all'interno di un
quadro storico di 'valori'. In tal modo l'ipotesi epistemologica e
psico-antropologica di Putnam acquista un non secondario risvolto etico".
Opere di Hilary Putnam: La filosofia della logica. Nominalismo e realismo
nella logica contemporanea, Isedi, Milano 1975; Mente, linguaggio e realta'
(1975), Adelphi, Milano 1987; Matematica, materia e metodo (1975), Adelphi,
Milano 1993; Verita' e etica (1978), Il Saggiatore, Milano, 1982; Ragione,
verita' e storia (1981), Il Saggiatore, Milano, 1985; La sfida del realismo
(1987), Milano, 1991; Rappresentazione e realta' (1988), Garzanti, Milano
1993; Realismo dal volto umano (1990), Il Mulino, Bologna 1995; Rinnovare la
filosofia (1992), Garzanti, Milano 1998; Il pragmatismo: una questione
aperta (1992), Laterza, Roma-Bari 2003; Mente, corpo, mondo, Il Mulino,
Bologna 2003; Etica senza ontologia (2004), Bruno Mondadori, Milano 2005.
*
Aldo Visalberghi, nato a Trieste nel 1919, e' deceduto a Roma nel febbraio
2007. Illustre pedagogista, nitido antifascista, protagonista della lotta di
Liberazione nell'esperienza partigiana di "Giustizia e liberta'", docente
nelle Universita' di Torino, Milano, Roma, direttore di prestigiose collane
e riviste pedagogiche, ha dato uno strardinario contributo agli studi
pedagogici sia con l'elaborazione teorica, sia con ricerche sperimentali e
indagini sul campo anche di dimensione internazionale. Tra le opere di Aldo
Visalberghi: John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1951; Esperienza e
valutazione, Taylor, Torino 1958; Scuola aperta, La Nuova Italia, Firenze
1960; Problemi della ricerca pedagogica, La Nuova Italia, Firenze 1965. Qui
in particolare segnaliamo: Pedagogia e scienze dell'educazione, Mondadori,
Milano 1978, 1985; (a cura di), Scuola e cultura di pace, La Nuova Italia,
Scandicci (Firenze) 1985. Opere su Aldo Visalberghi: un utile punto di
partenza e' Giacomo Cives, Maria Corda Costa, Maria Fattori, Nicola
Siciliani de Cumis (a cura di), Evaluation. Studi in onore di Aldo
Visalberghi, Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 2002 (con una
vastissima, eccellente bibliografia).

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 82 del 20 luglio 2007

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