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Nonviolenza. Femminile plurale. 118
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 118
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 19 Jul 2007 11:04:29 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 118 del 19 luglio 2007 In questo numero: 1. Letizia Gianformaggio: Donne, uguaglianza, guerra (2002) 2. Eloide Maurot intervista Catherine Chalier su Emmanuel Levinas 3. "Zenit" intervista Julia Urabayen su Emmanuel Levinas 4. Simona Serafini ricorda Pierre Bourdieu 1. RIFLESSIONE. LETIZIA GIANFORMAGGIO: DONNE, UGUAGLIANZA, GUERRA (2002) [Dal sito "Giuriste d'Italia" (www.giudit.it) riprendiamo la seguente relazione tenuta a un seminario sul tema "Donne, diritto, uguaglianza, guerra, multiculturalismo" svoltosi a Bologna il primo marzo 2002. Letizia Gianformaggio (1944-2004), giurista, docente universitaria di filosofia del diritto a Siena e a Ferrara, intellettuale femminista, acuta saggista, persona di forte impegno civile, ricordandola l'Universita' di Ferrara in un comunicato scrive che "nel corso della sua carriera Letizia Gianformaggio si e' dedicata con passione a temi come l'uguaglianza giuridica e i diritti delle donne e ha fatto parte del consiglio direttivo di Giu.dit, la onlus Giuriste d'Italia fondata nel 2001 per dare maggiore visibilita' ai problemi dei diritti ancora violati delle donne. La sua attivita' si e' distinta per l'attenzione a temi sociali come la pace, immigrazione, i diritti delle donne e la prostituzione". Tra le opere di Letizia Gianformaggio: Gli argomenti di Perelman: dalla neutralita' dello scienziato all'imparzialita' del giudice, Edizioni di Comunita, Milano 1973; Diritto e felicita'. La teoria del diritto in Helvetius, Edizioni di Comunita', Milano 1979; Studi di giustificazione giuridica, Giappichelli, Torino 1986; In difesa del sillogismo pratico. Ovvero alcuni argomenti kelseniani alla prova, Giuffre', Milano 1987; Hans Kelsen's legal theory. A diachronic point of view, Giappichelli, Torino 1990; Sistemi normativi statici e dinamici. Analisi di una tipologia kelseniana, Giappichelli, Torino 1991; Le ragioni del garantismo. Discutendo con Luigi Ferrajoli, Giappichelli, Torino 1993; Filosofia e critica del diritto, Giappichelli, Torino 1995; (a cura di, con M. Jori), Scritti per Uberto Scarpelli, Giuffre', Milano 1997; Eguaglianza, donne e diritto, Il Mulino, Bologna 2005] 1. I diritti delle donne afghane Una ragione essenziale del nostro essere qui, e dell'aver dato vita a "Giudit - Giuriste d'Italia" e' l'interesse profondo nutrito per il tema dei diritti delle donne, cioe' della liberta', ad esse garantita dal diritto, di scegliere individualmente e coltivare il proprio modo di essere. Percio' ogni volta che questo interesse nella societa' si approfondisce, e si esprime, non possiamo che essere liete, e fiere. Ebbene, ci sono alcuni diritti di alcune donne, nei confronti dei quali, di recente, l'interesse si e' indubbiamente approfondito, e' stato ripetutamente, e con compiacimento, espresso, e poi si e' di nuovo prontamente assopito, quando le tremende vicende che lo hanno occasionato non hanno piu' goduto degli onori delle prime pagine della stampa. Sono i diritti delle donne afgane, di cui sarebbe stato impossibile, oppure imperdonabile, non parlare in questa sede. Sono i diritti al femminile che, a livello planetario, negli anni recenti (esattamente a partire dal 1996), sono stati calpestati con la maggiore determinazione, intransigenza e violenza. Ma questa tragedia, al di fuori di circoli ristretti e appassionati (circoli di donne, appunto), non ha riscosso nessun interesse. Nemmeno quel moderato interessamento che la distruzione di alcune statue del Budda ha suscitato a livello tanto dei governi quanto dell'opinione pubblica internazionale. Oggi poi (ma e' un oggi che in questa societa' dell'effimero e' gia' ieri) sono stati issati su equivoche bandiere. Infatti la loro rivendicazione e' stata prodotta, se non a motivazione, almeno a parziale giustificazione di un intervento armato di un furore difficilmente digeribile. Un furore che non si esaurisce nelle azioni belliche, che perdurano anche se a video spenti; ma che va oltre, e si esprime contro gli individui catturati nel corso delle suddette azioni. Gioia e fierezza, dunque, dovrebbero accompagnare ogni progresso sul terreno dei diritti delle donne e della relativa consapevolezza. Ma questa volta invece nutriamo un senso forte di disagio, che non e' dovuto solo alla evidente precarieta' dei progressi compiuti. Turba naturalmente che i diritti delle donne (peraltro non garantiti) vengano pagati con cosi' tanto sangue, e con il sangue delle donne e di tutti i soggetti oppressi ben piu' che degli oppressori. Turba anche, e soprattutto, che la giustificazione addotta esplicitamente per lo scatenarsi della furia sia una "legittima difesa preventiva" (categoria giuridicamente malferma) o meglio una vendetta, per un'azione terroristica. L'azione e' imputata agli stessi torturatori delle donne, ma il fatto e' che nei loro confronti si era testimoniata implicita benevolenza, fino a che si era potuto supporre che "si limitassero" a torturare queste, senza rivolgere strumenti offensivi all'esterno del loro "dominio riservato". Siamo dunque in presenza, in modo palese, di un arretramento nei confronti dell'appello ai diritti umani, con cui erano state giustificate le ultime guerre. Non voglio tacere il fatto che la strumentalita' di questo appello era gia' stata piu' volte denunciata; e che il tema della legittimita' degli interventi armati in relazione alle sfere in cui si incontrano, e si scontrano, diritti umani, sovranita', doveri e diritti d'ingerenza e' molto dibattuto. Ma quello che voglio qui sottolineare e' che anche chi ritenga che l'appello ai diritti umani in questi casi e' sovente mistificatorio (una "derivazione", l'avrebbe chiamata Pareto) deve riconoscere che stavolta non c'e' stata neanche questa mistificazione. Non ce ne era bisogno. Non c'e' piu' bisogno di richiamarsi ai diritti umani, ai diritti di tutti, cioe' in definitiva all'uguaglianza. Stavolta non sono perite persone che, nonostante le ovvie differenze di fatto, sono uguali a noi di diritto, cioe' moralmente. Stavolta a morire siamo stati proprio "noi". E allora, per lo scatenamento della violenza, non c'e' piu' nessun bisogno di giustificazioni "umanitarie". Naturalmente poi, se tra gli "effetti collaterali" delle bombe, oltre alle morti, alle devastazioni e alla fame c'e' anche la promessa del ristabilimento dei diritti violati delle donne, tanto meglio: un vantaggio per il consenso da guadagnare all'operazione, vantaggio che, comunque, viene strumentalmente ricercato solo se e fino a che si ritenga possa essere di una qualche rilevanza. Tutto cio' e' una dimostrazione inequivocabile della sostanziale profonda noncuranza, meglio: del sostanziale profondo disprezzo per i diritti umani, per l'uguaglianza, e per i diritti delle donne, che sono invece la ragione prima del nostro impegno di donne giuriste. * 2. La "guerra al terrorismo" Non e' piu', infatti, neanche presentata come "guerra umanitaria" quella che viene combattuta oggi in Afghanistan, alla quale con tanto entusiasmo il governo italiano ha sgomitato per partecipare. Viene presentata come "guerra al terrorismo"; ma, come tale, ancora giustificata mediante appello a valori morali oltreche' a norme giuridiche (mentre per la verita' e' combattuta in violazione delle norme giuridiche). Ne sono testimonianza assolutamente esplicita gli appellativi grossolanamente attribuitile: giustizia infinita, liberta' duratura. Come donne giuriste sentiamo dunque di avere pieno titolo a partecipare al dibattito aperto in argomento, anche ovviamente in considerazione del fatto che, come appena visto, pure della preoccupazione per i diritti violati delle donne ci si e' fatti scudo per legittimare l'azione. Gia' il 21 settembre 2001, a dieci giorni dall'attentato alle Twin Towers, il filosofo Michael Walzer (un filosofo insospettabile di "pacifismo" e che infatti non si dichiarava pregiudizialmente contrario all'intrapresa di azioni militari americane), notava tuttavia sul "New York Times" che nell'espressione "guerra al terrorismo" il termine "guerra" puo' avere un significato solo metaforico, per significare "struggle, commitment, endurance". "Un'azione militare, anche se ci potra' essere, non e' la prima cosa a cui dovremmo pensare. Perche' in questa 'guerra' al terrorismo altre tre cose hanno la precedenza: efficienti operazioni di polizia che superino i confini nazionali, una campagna ideologica per affrontare e confutare tutti gli argomenti e le giustificazioni a favore del terrorismo, ed un'azione diplomatica seria e sostenuta" (M. Walzer, First, Define the Battlefield, "New York Times", 21 settembre 2001). Invece, dall'inizio dei bombardamenti in Afghanistan, l'espressione "guerra al terrorismo" ha cominciato ad essere usata letteralmente, e continua ad esserlo; come se di una "guerra al terrorismo" quale tipo particolare di guerra, abbia un senso parlare in un contesto di discorso rigoroso, scientifico, che non puo' che essere il discorso giuridico, dal momento che dalla qualificazione delle operazioni come "guerra al terrorismo" si vogliono far discendere conseguenze giuridicamente rilevanti (per es. l'inapplicabilita' di "tutto lo ius in bello elaborato nel XX secolo": S: Ando', in "Quaderni Costituzionali", Forum). Una conseguenza di cio' e' il campo X-Ray a Guantanamo. Ed invece, e' facile riscontrare che l'espressione "guerra al terrorismo" assolutamente non fa parte del lessico giuridico internazionalistico. I casi di intervento armato contro le basi dei "terroristi" vengono giustificati come "legittima difesa preventiva" dagli Stati Uniti e da Israele, che adduce tanto motivazioni di difesa individuale quanto giustificazioni di tutela obiettiva del diritto (ad esempio nel caso dei blitz israeliani contro le basi dell'Olp in Tunisia e in Libano, di quello americano in Libia). Ma in tutti questi casi la Comunita' degli Stati ha condannato recisamente l'uso della forza. Ed anche la Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza del 27 giugno 1986 sul caso Nicaragua contro Stati Uniti si e' pronunciata per la illegittimita' delle "sanzioni" implicanti l'uso della forza armata contro fatti internazionalmente illeciti (su tutto cio' cfr. G. Ziccardi Capaldo, Terrorismo internazionale e garanzie collettive, Milano, Giuffre', 1990, pp. 109-121). Il termine tecnico-giuridico proprio del lessico internazionalistico per definire la "guerra al terrorismo" o la "legittima difesa preventiva" e' "rappresaglia": e la rappresaglia e', cosi' come lo e' il terrorismo, un illecito nel sistema della Carta delle Nazioni Unite. * 3. Identita', differenze, incroci Nel diritto interno degli stati impegnati nelle azioni di rappresaglia si sono avute, quali ricadute di questa situazione, provvedimenti emanati in patente violazione del principio di eguaglianza. Un caso assolutamente eclatante ed agghiacciante e' quello dell'Executive Order del presidente degli Stati Uniti d'America che propone l'istituzione di Corti militari per i cittadini stranieri sospettati di terrorismo. Ma, a parte cio', e' la guerra in se' e per se' a significare la violazione dell'eguaglianza, perche' designa un procedimento di polarizzazione: noi e gli altri, ovverosia il bene e il male. E gli altri, che sono il male, e' legittimo escluderli, avvilirli, ed ucciderli: vanno quindi negati nel loro valore di persone. La guerra, con questa polarizzazione, produce una censura sulle, ed un ottundimento delle, capacita' riflessive e critiche, e delle attitudini alle analisi e alle distinzioni. Distinzioni tra individuo e gruppo, distinzioni tra individui, distinzioni tra individui e leaders politici, distinzioni tra individui e governi, distinzioni tra individui e culture. La confusione piu' grave che viene operata nel clima indotto da quel preteso tipo particolare di guerra che e' la "guerra al terrorismo" e' ovviamente la confusione tra individui e culture, che va insieme alla rappresentazione delle culture come statiche, monolitiche ed impermeabili. Da questa rappresentazione segue che le politiche possibili nei confronti delle culture particolari sono solo due: l'assimilazionismo in nome di valori universali (cioe', ovviamente, i propri), o il comunitarismo relativistico, che riconosce ad ogni cultura tutti i diritti. Ma i presupposti di fatto di entrambi gli atteggiamenti sono errati. Si tratta di opinioni basate su credenze false. Infatti, e' ben possibile che esista un "nocciolo duro" delle identita'. E' solo possibile, sostengo, perche' non mi pare affatto certo che tale nucleo sia da considerare un fatto, e non una interpretazione. Ma sicuramente variamente estesa e' la zona di penombra, la frontiera in cui tutto si mescola e tutto cambia. E' una zona in cui ne' l'individuo ne' la cultura sono centrali, ma e' centrale l'intreccio, e quindi l'intersoggettivita', lo scambio. In cui non c'e' una linea netta a separare il dentro e il fuori, noi e loro. E qui diventa chiaro che ogni persona vive in se stessa l'incontro e la tensione dell'identita' e dell'alterita', l'appartenenza ad identita' molteplici (M. Wieviorka, La differenza culturale, tr. It. Laterza, 2002, pp. 70-72). "Sappiamo che le identita' non costituiscono un dato immutabile, atto unicamente a riprodursi o a sparire, sappiamo che sono, almeno in parte cio' che ne fanno le nostre societa'. Cio' vuol dire che vi e' posto, in materia, per una riflessivita', una capacita' di considerarle a un secondo grado, come frutto del lavoro della societa' su se stessa, e non come altrettante sfide o minacce" (op. cit., p. 188). Ebbene, il pensiero delle donne, che tanto ha lavorato su identita', differenza, uguaglianza, arricchito dal pensiero giuridico che sa maneggiare gli strumenti per la tutela e la valorizzazione dei contenuti di queste, secondo noi puo' dare un contributo rilevantissimo a tale riflessione. A condizione che non rinunci ad una pregiudiziale: il bando, il ripudio incondizionato della guerra che e' la negazione in re ipsa dell'eguaglianza e delle differenze. Senza questo ripudio, a tali valori verra' tributato solo un omaggio verbale, retorico. 2. RIFLESSIONE. ELODIE MAUROT INTERVISTA CATHERINE CHALIER SU EMMANUEL LEVINAS [Dal sito www.nostreradici.it riprendiamo la seguente intervista pubblicata sul quotidiano "Avvenire" del 6 giugno 2006 (che l'ha ripresa dal quotidiano "La Croix", nella traduzione di Anna Maria Brogi), col titolo "L'umanista Levinas" e il sommario: "Catherine Chalier rilegge l'opera del filosofo a cent'anni dalla nascita: 'Nell'apertura all'Altro l'etica va oltre tutti i relativismi'. 'C'e' un punto della nostra psiche alleato al bene che si sveglia davanti alla fragilita' del volto altrui. Non e' un solido fondamento ma una vulnerabilita' a orientarci verso l'altro, fonte di speranza'". Elodie Maurot e' giornalista de "La Croix" e saggista. Tra le opere di Elodie Maurot: Les plus belles prieres des saints, Bayard Jeunesse, 2006; Les grandes fetes des chretiens, Bayard Jeunesse, 2006; Le bapteme, c'est quoi?, Bayard Jeunesse, 2007. Catherine Chalier, filosofa, allieva e interprete originale del pensiero di Levinas, ha pubblicato diverse opere che esplorano i legami tra filosofia e tradizione ebraica. Attualmente vive e insegna a Parigi all'Universita' di Paris X - Nanterre. Tra le opere di Catherine Chalier: La Perseverance du mal, 1987; L'alliance avec la nature, 1989; L'histoire promise, 1992; Pensees de l'eternite'. Spinoza, Rosenzweig, 1993; Sagesse des sens. Le regard et l'ecoute dans la tradition hebraique, 1995; L'inspiration du philosophe. "L'amour de la sagesse" et sa source prophetique, 1996; De l'intranquillite' de l'ame, 1999; (con Marc Faessler), Judaisme et christianisme. L'ecoute en partage, 2001; La Trace de l'infini. Emmanuel Levinas et la source hebraique, 2002; Le matriarche. Sara, Rebecca, Rachele e Lea, Giuntina, Firenze 2002; Trattato delle lacrime. Fragilita' di Dio, fragilita' dell'anima, Queriniana, Brescia 2004; Spinoza lecteur de Maimonide. La question theologico-politique, 2006. Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, piu' tardi, Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si puo' legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia' cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg. L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas, ermeneutica e separazione, Citta' Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas. Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, Edb, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo' non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; Francois Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel Levinas. La vita e la traccia, Jaca Book, Milano 2003] A cent'anni dalla nascita di Emmanuel Levinas, il filosofo ebreo che fu testimone dell'orrore nazista, affrontiamo l'attualita' del suo pensiero con Catherine Chalier, sua allieva e insegnante di filosofia all'universita' di Nanterre-Paris X. * - Elodie Maurot: In che misura l'orrore nazista ha segnato la filosofia di Levinas? - Catherine Chalier: Levinas studioe filosofia in Germania con Heidegger. La' e' stato testimone dell'ascesa del nazismo. Piu' tardi parlera' della "continua disperazione" in cui viveva in quegli anni. I suoi scritti prima della guerra sono segnati dal presentimento dell'orrore incombente. Dopo la guerra, la sua filosofia e' intrisa del ricordo dell'orrore nazista. Un ricordo che non era meramente intellettuale, poiche' egli e' stato prigioniero di guerra per cinque anni e tutta la sua famiglia ebrea, rimasta in Lituania, fu assassinata. * - Elodie Maurot: Come incidera' tale prova sul lavoro filosofico? - Catherine Chalier: Penso che cio' che ha consentito alla sua filosofia di non cedere alla disperazione sia il fatto che essa evita sempre di accusare qualcun altro della sofferenza subita. E' una filosofia che si e' spinta molto piu' lontano della disperazione, costretta e forzata dalla storia e dalla tragedia, ma e' anche una filosofia che trasmette un pensiero esigente verso se stesso. Un pensiero centrato sull'idea di responsabilita' per l'altro e di giustizia per tutti gli altri. * - Elodie Maurot: Al centro c'e' la figura dell'altro e la scoperta che l'etica e' "la filosofia prima". In che modo cio' costituisce una rottura? - Catherine Chalier: La domanda per eccellenza della filosofia e' "cos'e'?": una domanda che verte sull'essere, sull'essenza delle cose, che affronta la conoscenza. Senza rinunciare a tale domanda, il gesto filosofico di Levinas e' di subordinarla a un altro interrogativo: quello del mio rapporto con l'altro, della mia risposta al suo richiamo. * - Elodie Maurot: Come e' stata accolta la sua opera filosofica? - Catherine Chalier: In Francia pochi si sono interessati a lui prima della fine degli anni Settanta. Jacques Derrida e' stato fra i primi. Levinas ha cominciato a insegnare tardi, dopo la tesi di dottorato del 1961, Totalita' e infinito. Era attento a cosa succedeva in filosofia e, in particolare, alla corrente antiumanista legata a Foucault, Lacan e Levi-Strauss. L'umanesimo dell'altro uomo, del 1972, e' una risposta a quella corrente. * - Elodie Maurot: Come risponde alla crisi dell'umanesimo? - Catherine Chalier: Levinas accetta la sfida della sconfitta del soggetto, segnato dall'inconscio, da parte del linguaggio che s'impone su di lui e della relativita' delle culture. Prova a cercare in modo ancora piu' profondo una dimensione dell'umano che sopravviva al naufragio dell'umanesimo classico. E scopre un punto del nostro psichismo che e' alleato al bene e che puo' svegliarsi davanti alla fragilita' del volto altrui. Non e' un solido fondamento, bensi' una vulnerabilita', a orientarci verso l'altro. E' una fonte di speranza. * - Elodie Maurot: Levinas parla dell'altro e dell'Altro. Come si pone la questione della religione e di Dio? - Catherine Chalier: Levinas non usa molto il termine religione. Ne parla come di un legame che si stabilisce tra il medesimo e l'altro, senza costituire una totalita'. E' un legame sempre aperto, sia all'altro sia a Dio. * - Elodie Maurot: Ebreo devoto, praticante, e' anche molto critico verso la religione. - Catherine Chalier: Ha parole severe su come le religioni si servono di Dio per l'uomo: un Dio per consolarmi, per rispondere alle mie aspettative, per ricompensarmi, anche per punirmi. Levinas chiama questo il "Dio economico". Di contro, difende una religione da adulti consapevole che Dio non e' li' per rispondere ai miei bisogni. Per lui, il Dio della Bibbia corre il rischio dell'ateismo, inteso positivamente come la possibilita' per l'uomo di cercare Dio "da lontano", senza farne l'oggetto di un bisogno. Al contrario, il pensiero di Dio viene a scavare in me una mancanza che non gli preesiste. * - Elodie Maurot: "Dio e' quando un uomo aiuta un altro", scrive Levinas. Come lega la questione di Dio all'etica? - Catherine Chalier: Quando un uomo risponde al volto altrui che lo cerca, quando risponde "Eccomi" alla richiesta dell'altro, allora in quell'istante Dio "viene" in mente, dice Levinas. "Venire" e' quello che conta, poiche' e' un avvenimento, una discesa. Il cammino verso Dio non prescinde mai da questa riposta all'altro. * - Elodie Maurot: Come va letta la sua opera, oggi? - Catherine Chalier: Certi lettori filosofi ritengono che la dimensione ebraica dei suoi scritti non vada considerata filosofia. Gli rimproverano di fare della teologia, accusa che Levinas ha sempre respinto. Altri fanno una lettura opposta e vogliono appropriarsi di Levinas dal lato dell'ebraismo, ritenendo che si sia sviato facendo filosofia. C'e' infine un modo di leggere Levinas che trovo piu' pertinente: pensare la sua opera nella tensione tra due fonti, quella greca della filosofia e quella ebraica delle Scritture. In Totalita' e infinito egli parla di una "doppia fedelta'", ai profeti e ai filosofi. In tal senso, la sua opera e' eccezionale. 3. RIFLESSIONE. "ZENIT" INTERVISTA JULIA URABAYEN SU EMMANUEL LEVINAS [Dal sito www.nostreradici.it riprendiamo la seguente intervista a Julia Urabayen, realizzata dall'agenzia di stampa "Zenit" a Pamplona, il 16 agosto 2005, e diffusa col titolo "L'etica non e' fatta di regole ma di attenzione alle realta' umane: e' il messaggio di Levinas", e il sommario "Julia Urabayen, dottoressa in filosofia presso l'Universita' di Navarra, ha studiato le radici dell'umanesimo di Emmanuel Levinas (1906-1995), uno dei maggiori filosofi del secolo XX, ebreo lituano che ha vissuto in Francia e Germania, e che ha sofferto l'Olocausto". Julia Urabayen e' docente al dipartimento di filosofia della Universidad de Navarra a Pamplona, in Spagna. Opere di Julia Urabayen: El pensamiento antropologico de Gabriel Marcel: un canto al ser humano, Eunsa, Pamplona 2001; Las sendas del pensamiento hacia el misterio del ser. La filosofia concreta de Gabriel Marcel, Cuadernos de Anuario Filosofico, Pamplona 2001; Las raices del humanismo de Emmanuel Levinas: el judaismo y la fenomenologia, Eunsa, Pamplona 2005; (a cura di), Acercamientos a la filosofia de Gabriel Marcel (ed), Anuario Filosofico, Pamplona 2005] Autrice del volume intitolato Las raices del humanismo de Levinas: el judaismo y la fenomenologia, edito da Ediciones Eunsa, in cui illustra la concezione dell'etica in Levinas, la Urabayen in questa intervista concessa a "Zenit" ricorda che "il suo messaggio etico potrebbe essere riassunto nel riconoscimento della dignita' umana che si rende manifesta nel volto vulnerabile dell'essere umano, specialmente delle persone piu' indifese (le vedove, gli orfani e gli stranieri)". Julia Urabayen afferma che Levinas amava definirsi un "ebreo cattolico" e parla dell'impronta lasciata da questo filosofo nel pensiero cristiano, e in particolare in quello di Karol Wojtyla. * - "Zenit": Da dove nasce l'originalita' di Levinas? - Julia Urabayen: La filosofia di Levinas origina da un pensiero personale nel quale confluiscono diverse tradizioni e culture - l'ebraismo lituano, intellettualista e non mistico; la letteratura russa; la filosofia francese, in particolare quella di Bergson; la fenomenologia di Husserl e Heidegger - che si integrano tra loro in una unita' elaborata grazie alla sua riflessione e la sua personale esperienza di vita, segnata molto dalla seconda guerra mondiale e dai campi di concentramento. * - "Zenit": Cosa si intende per "umanesimo dell'altro"? - Julia Urabayen: In un momento di grave crisi relativa alla persona e alla sua concezione filosofica, nasce il dibattito sull'umanesimo, in cui primeggiano le figure di Sartre e Heidegger, e la risposta strutturalista che proclama la morte dell'uomo e l'antiumanesimo. Levinas, da parte sua, elabora una profonda critica ai precedenti umanesimi, per la loro insufficienza nel definire e proteggere l'essere umano, come e' risultato evidente nella barbarie nazista, e propone di decentrare il soggetto per intenderlo come accoglienza ed eteronomia. Con la prevalenza dell'aspetto etico dell'essere umano, l'altro viene sempre prima dell'io e sul suo volto e' impresso il precetto di "non uccidere". In questo ambito si collocano gli elementi chiave dell'umanesimo dell'altro: l'accoglienza, la responsabilita', la dipendenza, la colpa... * - "Zenit": Levinas e' un ebreo filosofo o un filosofo dell'ebraismo? - Julia Urabayen: Levinas e' un ebreo filosofo e anche un filosofo dell'ebraismo. Il pensatore lituano non ha mai vissuto una rottura tra la sua religione e la filosofia. Ha vissuto il passaggio dall'una all'altra come un qualcosa di naturale, in quanto entrambe tentano di comprendere e interpretare il senso della verita'. Inoltre, la filosofia ha bisogno di un suolo fecondo, che nel caso di Levinas era rappresentato dal giudaismo. Le verita' di questa religione si ritrovano alla radice della sua filosofia e sono la linfa di cui si nutre, ma esse sono accolte e giustificate in modo razionale. D'altra parte, Levinas si e' dedicato, anche se tardivamente, allo studio del Talmud. Esiste infatti un ampio gruppo di opere che sono una riflessione filosofica sull'ebraismo e sul senso di questa religione. Si tratta di opere di carattere confessionale che egli ha fatto pubblicare da un'altra casa editrice, rispetto a quella che ha pubblicato le sue opere filosofiche, al fine di evidenziarne la diversita' di genere. Ciononostante, entrambe le dimensioni sono profondamente unite nella sua persona e nel suo pensiero. * - "Zenit": Quale sarebbe la sua proposta etica, e in che senso essa sarebbe universale? - Julia Urabayen: Per Levinas, come per quasi tutti i filosofi contemporanei, l'etica non e' fatta solo di regole o direttive, ma anche di attenzione alle realta' umane, specialmente alle azioni e alla responsabilita' di ogni essere libero. Il suo messaggio etico potrebbe essere riassunto nel riconoscimento della dignita' umana che si rende manifesta nel volto vulnerabile dell'essere umano, specialmente delle persone piu' indifese (le vedove, gli orfani e gli stranieri), di fronte al quale non si puo' esercitare ne' potere, ne' violenza. E' un'etica universale poiche' porsi di fronte all'altro e' un'esperienza umana che non dipende da alcuna cultura o forma sociale: e' semplicemente propria dell'essere umano. * - "Zenit": Giovanni Paolo II ha parlato in piu' di un'occasione di Levinas: in che senso il suo pensiero impregna il cattolicesimo? - Julia Urabayen: Giovanni Paolo II ha citato Levinas in diverse occasioni e conosceva bene il suo pensiero, come anche quello di altri filosofi che potrebbero essere considerati personalisti, in quanto nelle sue riflessioni filosofiche si scorge un'attenta preoccupazione per l'essere personale e per la difesa della dignita' umana. Il pensiero di Levinas, come quello di ogni filosofo, deve essere letto in prospettiva alla sua universalita' e alla verita' che esso tenta di rendere manifesta. In questo senso esso puo' essere accolto da persone appartenenti a culture e religioni diverse rispetto a quelle dell'autore che l'ha originato. La filosofia di Levinas e' sempre piu' presente nell'ambito della filosofia cristiana e il suo pensiero e' sempre piu' conosciuto. Nelle opere di Levinas appaiono alcune riflessioni sul rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Tra i diversi elementi, Levinas ha messo in evidenza la necessita' della reciproca comprensione, pur mantenendo le loro differenze essenziali. Ma la sua prossimita' al cattolicesimo e' stata tale che egli e' arrivato al punto di considerare se stesso come "un ebreo cattolico". 4. MEMORIA. SIMONA SERAFINI RICORDA PIERRE BOURDIEU [Dal quotidiano "Avvenire" del 25 gennaio 2002, col titolo "Bourdieu, sociologo di tutte le battaglie" e il sottotitolo "Morto l'intellettuale per anni protagonista del dibattito pubblico e politico". Simona Serafini scrive sul quotidiano "Avvenire". Pierre Bourdieu, prestigioso intellettuale francese; directeur d'etudes all'Ecole pratique des hautes etudes di Parigi, impegnato nel movimento contro la globalizzazione neoliberista e per l'umanita'; e' deceduto nel gennaio 2002. Dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la seguente presentazione: "Pierre Bourdieu e' nato a Denguin, il 10 agosto 1930. Dopo aver studiato al liceo di Pau, e poi al liceo Louis-le-Grand a Parigi, entra all'Ecole normale superieure nel 1951. Agrege' di Filosofia nel 1954, insegna l'anno successivo al liceo di Moulins. Tra il 1955 e il 1958 fa il servizio militare in Algeria, allora in guerra. Diventa quindi assistente all'universita' di Algeri. Tornato in Francia nel 1960, come assistente alla Sorbona, nel 1961 e' professore incaricato all'universita' di Lille. Nel 1964 viene nominato direttore di studi all'Ecole pratique des hautes etudes (VI sezione) e nel 1981 e' chiamato alla cattedra di sociologia del College de France. Dirige il Centro di sociologia europea (del College de France e dell'Ecole des hautes etudes en sciences sociales), e le riviste "Actes de la recherche en sciences sociales" (fondata nel 1975) e "Liber". E' dottore honoris causa della Freie Universitat di Berlino (1989), membro dell'Accademia Europea e dell'American Academy of Arts and Sciences, medaglia d'oro del Cnrs (1993), dottore honoris causa dell'Universita' Johann Wolfgang Goethe di Frankfurt (1996). Influenzato contemporaneamente dal marxismo e dallo strutturalismo, Bourdieu si e' dedicato in particolare alla sociologia dei processi culturali, elaborando il concetto originale di "violenza simbolica", connessa secondo lui con i processi educativi. I suoi studi sul ceto studentesco universitario francese ebbero vasta eco negli anni attorno al 1968, in piena agitazione studentesca. Bourdieu ha rinnovato la tradizione francese dell'engagement, prendendo posizione negli eventi piu' significativi del nostro tempo, in difesa di Solidarnosc, al fianco degli studenti nelle lotte del 1986, e con gli intellettuali algerini: interventi sostenuti tutti dalla sua competenza di sociologo". Opere di Pierre Bourdieu: Sociologie de l'Algerie, P. U. F., Paris 1956; The Algerians, Beacon Press, Boston 1962; con A. Darbel, J. P. Rivet e C. Seibel, Travail et travailleurs en Algerie, Mouton, Paris 1963; con A. Sayad, Le deracinement. La crise de l'agriculture traditionnelle en Algerie, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les heritiers, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les etudiants et leurs etudes, Mouton, Paris 1964; con L. Boltanski, R. Castel e J.C. Chamboredon, Un art moyen. Essai sur les usages sociaux de la photographie, Minuit, Paris 1965; con J. C. Passeron e M. de Saint-Martin, Rapport pedagogique et communication, Mouton, Paris 1965; con A. Darbel, L'Amour de l'art, Minuit, Paris 1966; con J. C. Passeron e J. C. Chamboredon, Le Metier de sociologue, Mouton-Bordas, Paris 1968; Zur Soziologie der symbolischen Formen, Suhrkamp, Frankfurt 1970; con J.-C. Passeron, La reproduction. Elements pour une theorie du systeme d'enseignement, Minuit, Paris 1970; Esquisse d'une theorie de la pratique, Droz, Geneve 1972; La distinction. Critique sociale du Jugement, Minuit, Paris 1979; Le Sens pratique, Minuit, Paris 1980; Questions de sociologie, Minuit, Paris 1980; Ce que parler veut dire. L'economie des echanges linguistiques, Fayard, Paris 1982; Homo academicus, Minuit, Paris 1984; Choses dites, Minuit, Paris 1987; L'ontologie politique de Martin Heidegger, Minuit, Paris 1988; La noblesse d'etat, Paris 1988; Reponses. Pour une anthropologie reflexive, Paris 1992; Les Regles de l'art. Genese et structure du champ litteraire, Seuil, Paris 1992; La Misere du monde, Paris 1993; Libre-echange, Paris 1994; Raisons pratiques. Sur la theorie de l'action, Seuil, Paris 1994. Tra i testi disponibili in traduzione italiana: La distinzione, Il Mulino, Bologna 1984; Fuehrer della filosofia? L'ontologia politica di Martin Heidegger, Il Mulino, Bologna 1989; La responsabilita' degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 1991; Risposte. Per un'antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Ragioni pratiche, Il Mulino, Bologna 1995; Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997; Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano 1998; Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano 1999. Tra i libri di intervento militante piu' recenti segnaliamo particolarmente: Contre-feux, Editions Raisons d'agir, Paris 1998; Contre-feux 2, Editions Raisons d'agir, Paris 2001; Questa non e' un'autobiografia, Feltrinelli, Milano 2005. A parziale integrazione (e scusandoci per le inevitabili ripetizioni) riportiamo anche la seguente notizia bibliografica, apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2002: "E' quasi impossibile citare tutti i volumi scritti o diretti da Pierre Bourdieu, per non parlare dei suoi oltre 200 saggi e articoli di sociologia. Tra i piu' importanti: Sociologie de l'Algerie (1961), Le deracinement (con A. Sayad, 1964), Les heritiers (con J.-C. Passeron, 1964), Un art moyen: essay sur les usages sociaux de la photographie (con L. Boltanski, R. Castel e J.-L. Chamboredon, 1965); L'amour de l'art (con A. Darbel, 1966); Le metier du sociologue, con J.-C. Passeron e J.-C. Chamboredon, 1968); Pour une sociologie des formes symboliques (1970): La reproduction (con J.-C. Passeron, 1971); Esquisse d'une theorie de la pratique (1972, da poco ristampato da Seuil e di prossima traduzione per Raffaello Cortina Editore con il titolo "La teoria della pratica"); La distintion: critique sociale du jugement (1979, tradotto dalla casa editrice Il Mulino con il titolo La distinzione, e ripubblicato nel 2001); Le sens pratique (1980); Ce que parler veut dire (1982); Lecon sur la lecon (1982); Homo academicus (1984); L'ontologie politique de Martin Heidegger (1989); Reponses: pour une anthropologie reflexive (con L. Wacquant, 1992); La misere du monde (a cura di, 1993); Meditations pascaliennes (1997); La domination masculine 1998 (Il dominio maschile, Feltrinelli); Sulla televisione (Feltrinelli 1997); Meditazioni pascaliane (Feltrinelli 1998); Il mese scorso la Manifestolibri ha pubblicato "Controfuochi 2. Per un nuovo movimento europeo". Oltre che gli "Actes de la recherche en sciences sociales", Bourdieu ha diretto "Liber" e ha fatto il caporedattore della rivista di tendenza "Inrockuptibles" 'per dar voce a chi e' considerato irresponsabile dalla politica ufficiale'". Opere su Pierre Bourdieu: Anna Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu, Marsilio, Venezia 2003] Pierre Bourdieu, "il sociologo di tutte le battaglie", uno degli ultimi grandi intellettuali "made in France", e' morto mercoledi' notte in un ospedale parigino. Il cancro che lo consumava da tempo ha avuto ragione dei suoi 71 anni. Sui media francesi, pur sottomessi ad una logica commerciale crescente, come egli sosteneva, la notizia ha fatto l'effetto di una bomba. Con Pierre Bourdieu, filosofo, direttore di studi all'"Ecole des hautes etudes en sciences sociales", professore al Collegio di Francia, non scompare solo l'accademico fondatore di una scuola della sociologia critica della modernita', ma anche un protagonista dell'impegno sociale e politico. Bourdieu e' stato sempre, e soprattutto negli ultimi dieci anni, un intellettuale preoccupato di intervenire nel dibattito pubblico, che si trattasse di combattere il governo Juppe', deciso secondo lui a interrare lo stato sociale, o di sostenere i "sans papiers", gli immigrati clandestini. Il tutto nella piu' pura tradizione francese, da Zola e da Sartre. Il libro che gli diede la fama internazionale, pubblicato nel 1964 insieme a Jean Claude Passeron, fu Les heritiers (Gli eredi). Quattro anni prima del Sessantotto il filosofo tracciava un'analisi del sistema universitario francese, cinghia di trasmissione dello status quo sociale e delle differenze culturali ed economiche. Da allora la sua analisi ha toccato i temi piu' diversi, come l'arte, la letteratura, la politica, i media, la dominazione maschile. E' del 1993 La miseria del mondo, un'inchiesta sulla sofferenza sociale, che conobbe un formidabile successo di pubblico. In quello stesso anno il Cnrs gli attribui' la medaglia d'oro per aver "rigenerato la sociologia francese, associando in permanenza il rigore sperimentale con la teoria fondata su di una grande cultura in filosofia, antropologia e sociologia". La battaglia degli ultimi dieci anni e' stata quella contro il neoliberismo sotto tutte le sue forme. Nel 1992, in un'intervista a "Le Monde" rivendica il diritto e il dovere della critica, in particolare contro i politici che praticano "il pensiero unico": "Non esiste democrazia effettiva senza un vero contropotere critico. L'intellettuale rappresenta uno di questi, e di prima grandezza". Le sue ultime energie sono andate alla lotta contro la mondializzazione, autentica "sottomissione alle leggi del commercio". Primi strumenti di questa sottomissione, i media: in Domande ai veri padroni del mondo, Bourdieu denuncia: "Il potere simbolico, che nella maggior parte delle societa' era distinto dal potere politico o economico, e' oggi riunito tra le mani delle stesse persone che detengono i grandi gruppi di comunicazione, cioe' l'insieme degli strumenti di produzione e di diffusione dei beni culturali". Il sociologo Luc Boltanski, direttore di studi all'"Ecole des hautes etudes en sciences sociales", ha espresso ieri sulle pagine di "Le Monde" un giudizio in chiaroscuro. Dopo aver ricordato la grande qualita' del professore Bourdieu, di cui e' stato allievo alla Sorbona negli anni Sessanta- Settanta, Boltanski giudica meno positivamente il suo lavoro di ricercatore: "Bisogna distinguere un'opera importante e discutibile, nel buon senso del termine, dalla specie di agit-prop degli ultimi anni, coltivato da un gruppo di seguaci dogmatizzati. Come Lacan, aveva attorno un piccolo gruppo di seguaci autoproclamati che funzionavano come una setta politica e che si servivano di questa appartenenza come di un mezzo per fare carriera". ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 118 del 19 luglio 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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