Minime. 136



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 136 del 30 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Da un cantare del presunto talebano (progetto per un peana della
coalizione di centrodestrasinistra)
2. Goffredo Fofi: Prefazione a "La citta' e la scuola" di Lamberto Borghi
3. Maria Paola Fiorensoli presenta "Filosofia delle donne" di Pieranna
Garavaso e Nicla Vassallo
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. DA UN CANTARE DEL PRESUNTO TALEBANO (PROGETTO PER UN
PEANA DELLA COALIZIONE DI CENTRODESTRASINISTRA)

Il presunto talebano
e' dovunque, e' ubiquo, e' immenso:
per disinfestarne il mondo
prima il napalm, poi l'incenso.

Il presunto talebano
e' feroce come un orco:
lo mitraglio da lontano
poi cadavere lo afforco.

Il presunto talebano
e' scorretto e indisponente:
tu lo ammazzi e quando muore
si traveste da innocente.

Il presunto talebano
e' un vigliacco sopraffino:
lo bombardi, e fatto a pezzi
si traveste da bambino.

Il presunto talebano
e' piu' furbo di un serpente:
tu gli spari una granata
e lui si dissolve in niente.

Il presunto talebano
e' dovunque, e' un'onda, e' un mare:
per disinfestarne il mondo
l'ora e' ormai del nucleare.

2. MEMORIA. GOFFREDO FOFI: PREFAZIONE A "LA CITTA' E LA SCUOLA" DI LAMBERTO
BORGHI
[Da Lamberto Borghi, La citta' e la scuola, Eleuthera, Milano 2000,
riprendiamo la prefazione di Goffredo Fofi, scritta nel luglio del 2000.
Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, ha lavorato in campo pedagogico e
sociale collaborando a rilevanti esperienze. Si e' occupato anche di critica
letteraria e cinematografica. Tra le sue intraprese anche riviste come
"Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna" e "Lo straniero". Per sua
iniziativa o ispirazione le Edizioni Linea d'ombra, la collana Piccola
Biblioteca Morale delle Edizioni e/o, L'ancora del Mediterraneo, hanno
rimesso in circolazione testi fondamentali della riflessione morale e della
ricerca e testimonianza nonviolenta purtroppo sepolti dall'editoria -
diciamo cosi' - maggiore. Opere di Goffredo Fofi: tra i molti suoi volumi
segnaliamo particolarmente almeno L'immigrazione meridionale a Torino
(1964), e Pasqua di maggio (1989). Tra le pubblicazioni degli ultimi decenni
segnaliamo ad esempio: con Tony Thomas, Marlon Brando, Gremese, 1982; con
Franca Faldini, Toto', Pironti, Napoli 1987; Pasqua di maggio. Un diario
pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1988; con P. Polito, L'utopia
concreta di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1988; Prima il pane, e/o, Roma
1990; Storie di treno, L'Obliquo, 1990; Benche' giovani. Crescere alla fine
del secolo, e/o, Roma 1993; Strana gente. 1960: un diario tra Sud e Nord,
Donzelli, Roma 1993; La vera storia di Peter Pan  e altre storie per film
(1968-1977), e/o, Roma 1994; Piu' stelle che in cielo. Il libro degli attori
e delle attrici, e/o, Roma 1995; Come in uno specchio. I grandi registi del
cinema, Donzelli, Roma 1995; Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani,
Donzelli, Roma 1996; con Gad Lerner e Michele Serra, Maledetti giornalisti,
e/o, Roma 1997; Sotto l'Ulivo. Politica e cultura negli anni '90, Minimum
Fax, 1998; Un secolo con Toto', Dante & Descartes, Napoli 1998; Le nozze coi
fichi secchi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 1999; con Gianni Volpi,
Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Lindau, 1999; con Stefano Benni,
Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione, Minimum Fax, 1999; con Franca
Faldini, Toto'. L'uomo e la maschera, L'ancora del Mediterraneo, Napoli
2000; con Stefano Cardone, Intoccabili, Silvana, 2003; Paolo Benvenuti,
Falsopiano, 2003; con Ferruccio Giromini, Santosuosso, Cooper e
Castelvecchi, 2003; Alberto Sordi, Mondadori, Milano 2004; con Giovanni Da
Campo e Claudio G. Fava., Simenon, l'uomo nudo, L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2004;  con Franca Faldini, Toto'. Storia di un buffone serissimo,
Mondadori, Milano 2004; Circo equestre za-bum. Dizionario di stranezze,
Cargo, 2005. Opere su Goffredo Fofi: non conosciamo volumi a lui dedicati,
ma si veda almeno il ritratto che ne ha fatto Grazia Cherchi, ora alle pp.
252-255 di Eadem, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli).
Lamberto Borghi, illustre pedagogista, nato a Livorno nel 1907,
antifascista, libertario, esule in America, collaboratore di Aldo Capitini
nell'impegno pacifista e nonviolento. E' deceduto nel dicembre 2000. Opere
di Lamberto Borghi: tra i suoi lavori ormai classici segnaliamo Educazione e
autorita' nell'Italia moderna, 1951; John Dewey e il pensiero pedagogico
contemporaneo negli Stati Uniti, 1951; Il fondamento dell'educazione attiva,
1951; L'educazione e i suoi problemi, 1953; Educazione e sviluppo sociale,
1962; Scuola e comunita', 1964; Scuola e ambiente, 1964. Dal volume di
Lamberto Borghi, La citta' e la scuola, Eleuthera, Milano 2000, riprendiamo
la seguente nota biobibliografica: "Lamberto Borghi e' nato a Livorno nel
1907, e si e' laureato in filosofia a Pisa giovanissimo, nel 1929. E' degli
anni Trenta la sua amicizia con Aldo Capitini, cacciato dalla Normale di
Pisa perche' antifascista e nonviolento, e con Guido Calogero che con
Capitini stendera' prima della guerra il famoso Manifesto del
liberalsocialismo. Nel 1935 Borghi pubblica a Firenze il suo primo libro, un
saggio su Erasmo. Ebreo, colpito dalle leggi razziali fasciste, Borghi
dovette fuggire nel 1940 negli Usa, dove venne subito accolto nella piccola
cerchia degli esuli italiani che comprendeva, tra gli altri, Nicola
Chiaromonte - il quale condivise la sua grande amicizia con Andrea Caffi,
che doveva passare dall'Italia alla Francia dopo aver dovuto abbandonare la
Russia -, Gaetano Salvemini e la sua cerchia, Niccolo' Tucci, l'anarchico
Armando Borghi. Conobbe allora Dwight Macdonald e collaboro' alla sua
rivista 'Politics', la stessa su cui scrivevano, oltre Caffi e Chiaromonte,
Albert Camus, Hannah Arendt, Mary McCarthy e tanti altri pensatori e artisti
'non allineati' del tempo. Fu Fellow of Philosophy all'Universita' di Yale,
dove collaboro' con Ernst Cassirer, e conobbe da vicino John Dewey, che ha
avuto una grande influenza sulle sue idee. Tornato in Italia, Borghi ottenne
nel 1949 la libera docenza in pedagogia e insegno' a Pisa, Palermo, Torino,
finche' non venne chiamato nel 1955 a ricoprire la cattedra di Pedagogia
presso la Facolta' di Magistero dell'Universita' di Firenze, dove rimase
fino al raggiungimento dei limiti d'eta' nel 1982. Nel 1983 venne nominato
professore emerito. Intensa e' stata la sua attivita' di studioso, oltre che
di insegnante, in diretto rapporto con i piu' vivaci gruppi italiani di
sperimentazione pedagogica, e di tessitore di reti di incontri e legami
dentro e fuori il mondo della scuola, in particolare negli anni della guerra
fredda. E' stato anche direttore, sostituendo Ernesto Codignola, di 'Scuola
e citta'', la piu' importante rivista italiana di pedagogia, e consulente de
La Nuova Italia per la gloriosa collana dei Maestri antichi e moderni. Della
sua fitta opera di studioso due libri in particolare sono stati
continuamente ristampati e vanno considerati dei classici della storiografia
sull'Italia e sul rapporto tra pensiero politico e istituzioni pedagogiche:
Educazione e autorita' nell'Italia moderna (1951, continuamente riproposto
da La Nuova Italia) e il suo seguito ideale Educazione e scuola nell'Italia
di oggi (1958), dal piglio militante. Ricordiamo ancora John Dewey e il
pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti (1951) e L'ideale
educativo di John Dewey (di Dewey ha altresi' curato una scelta di scritti
pedagogici, Il mio credo pedagogico, 1954), Saggi di psicologia
dell'educazione (1951), Il fondamento dell'educazione attiva (1952), Il
metodo dei progetti (1953), L'educazione e i suoi problemi (1953),
Educazione e sviluppo sociale (1962), Scuola e comunita' (1964), Maestri e
problemi dell'educazione (1987), Presente e futuro nell'educazione del
nostro tempo (1987). In Educare alla liberta' (1992) ha raccolto i suoi
saggi sull'educazione libertaria e i suoi maestri: Tolstoj, Kropotkin, Carl
Rogers, ma anche Erasmo e Giordano Bruno, Proust e Marcuse e, ovviamente,
John Dewey. Di Marcuse ha sottoscritto il motto di una cultura 'libera di
comunicare la contraddizione, l'accusa e il rifiuto', di Proust e Dewey la
convinzione che 'l'arte e' cio' che vi e' di piu' reale, la piu' austera
scuola della vita e il vero ultimo giudizio'. Lamberto Borghi vive a Firenze
in Borgo San Jacopo, assistito dalla fedele compagna Angela [E' poi deceduto
sul finire del 2000]". Tra le opere di Lamberto Borghi segnaliamo le
seguenti recenti edizioni: Saggi di psicologia dell'educazione, La Nuova
Italia, 1968; Il metodo dei progetti. un capitolo della storia
dell'educazione attiva. Con testi di W. H. Kilpatrick, La Nuova Italia,
1973; Il fondamento dell'educazione attiva, La Nuova Italia, 1974; John
Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, La Nuova
Italia, 1974; Educazione e sviluppo sociale, La Nuova Italia, 1974;
L'educazione e i suoi problemi, La Nuova Italia, 1975; Educazione e
autorita' nell'Italia moderna, La Nuova Italia, 1975; Scuola e comunita', La
Nuova Italia, 1976; L'ideale educativo di John Dewey, La Nuova Italia, 1976;
Educazione e scuola nell'Italia d'oggi, La Nuova Italia, 1976; Maestri e
problemi dell'educazione, La Nuova Italia, 1987; Presente e futuro
nell'educazione del nostro tempo, Liguori, 1987; Educare alla liberta', La
Nuova Italia, 1992; La citta' e la scuola, Eleuthera, 2000. Opere su
Lamberto Borghi: Luciana Bellatalla, Antonio Corsi (a cura di), Lamberto
Borghi storico dell'educazione, Franco Angeli, Milano  2004 (con contributi,
oltre che dei curatori, di Massimo Forti, Giovanni Genovesi, Furio Pesci,
Renzo Pia, Umberto Sereni, Mario Valeri, Ignazio Volpicelli); Franco Cambi e
Paolo Orefice (a cura di), Educazione, liberta', democrazia. Il pensiero
pedagogico di Lamberto Borghi, Liguori, Napoli 2005 (con contributi, oltre
che dei curatori, di Luciana Bellatalla, Carmen Betti, Giacomo Cives,
Francesco Codello, Antonio Corsi, Paolo Federighi, Rosetta Finazzi Sartor,
Remo Fornaca, Carlo Fratini, Giovanni Genovesi, Silvia Guetta, Alessandro
Mariani, Annalisa Pinter, Tiziana Pironi, Dario Ragazzini, Daniela Sarsini,
Gastone Tassinari, Giuseppe Trebisacce, Mario Valeri, Maria Venuti)]

La scuola italiana degli anni di Berlinguer e De Mauro e' una delle zone
piu' confuse di una societa' senza luce e senza progetto. Essa appare divisa
tra spinte e correnti contrapposte che esigono tutte la loro parte di potere
e sono il frutto non di contrapposte tensioni politiche e ideali ma di
interessi corporativi, di revanscismi curiali, di arroganze sindacali. E
hanno a collante vaghi sogni di modernizzazione piu' tardo-fordiani che
post-moderni, piu' "emiliani" che "americani" e "globali". Queste spinte,
queste correnti, non sono destinate a ridurre la loro importanza ma ad
aumentare il disordine e la provvisorieta' di ogni scelta, subito ribaltata
e condizionata da protervie e contrapposizioni di parte.
In questo quadro, si puo' pretendere che il dibattito pedagogico sia di alto
profilo? La pedagogia si porta forse peggio di altre discipline o, in
generale, della cultura italiana a cavallo di secolo e di millennio; pero'
la sua storia e' diversa e la sua decadenza ha ragioni piu' profonde, delle
quali e' possibile rifare la storia, determinare ragioni e responsabilita'.
Dico pedagogia e non dico insegnanti. La bizzarria della nostra societa' (o
di tutte, ormai) e' la bizzarria stessa della democrazia: una maggioranza
grande di ignavi, tali anche perche' e' interesse di chi comanda mantenerli
tali, e che spesso diventano, qualora se ne presentino le occasioni, bruti;
e una minoranza di senzienti che credono ancora nel "ben fare", anche quando
non sono sorretti da speranze collettive, da fedi certe e, intorno a loro,
da pensieri persuasi, da pensieri forti. Dalla parte del pensiero, la
mediocrita' nazionale e' sotto gli occhi di tutti, e quella del pensiero
pedagogico contemporaneo tocca il disastro.
Raramente, credo, la cultura italiana si e' portata complessivamente peggio
di oggi per conformismo e pavidita', per manipolazione mediatica e declino
universitario. Se qualcosa ancora si muove e' ai margini e nell'ombra, e mai
come oggi si avverte cosi' grande l'assenza di quel tipo di intellettuali
che, in dialogo costante con il proprio tempo, univano non a caso alla
propria investigazione e alle domande sul futuro la capacita' di un'alta
produzione artistica, da personaggi di confine, da artisti che erano anche
saggisti, commentatori, provocatori. Penso a Pasolini, Calvino e Sciascia, i
tre che piu' di tutti hanno intrattenuto questo dialogo, ma anche a Morante
e Ortese, a Volponi e Fortini, a Cassola e Ginzburg, a Primo Levi e Turoldo
e tanti altri, e prima di loro a Silone e Chiaromonte.
Oggi, in Italia, siamo orfani di guide, quelle del cui sprone il nostro
secolo e' stato invece assai ricco, nel nostro Paese. Se dunque, dagli anni
della morte della pedagogia (dai Sessanta in avanti) abbiamo comunque avuto
degli educatori (non dei pedagogisti) come Pasolini Calvino Sciascia, oggi
siamo orfani anche di quelli, e le loro parodie, con tutto il buon senso di
cui si pretendono portatori nell'insegnarci ad accettare il mondo cosi'
com'e', e con tutta la loro abilita' a starci dentro godendone tutti i
vantaggi, ci affliggono e distolgono invece che stimolarci e assisterci.
*
Ma perche' dico che la pedagogia italiana e' morta (o anche si e' suicidata)
all'avvento del boom? Allora, anzi, molte delle sue istanze basilari
venivano prese infine sul serio da ministeri e governi e portavano a
radicali riforme, almeno nelle elementari da sempre il terreno piu' vivace
dello scontro, e quello dove la "vocazione" distingueva ancora buona parte
degli insegnanti, che erano (e tuttora sono), al contrario, meri impiegati
statali nella classista statica autoritaria stupida scuola media e
superiore.
La scuola italiana non e' sempre stata statalista e "unica". In passato,
alle origini del movimento operaio e delle associazioni di autodifesa e
riformatrici, era un concetto importante quello dell'autonomia
dell'educazione, e dunque della scuola dallo Stato, dalla confessione
religiosa dominante, dai sindacati, dall'industria e dal grande capitale. Lo
statalismo fascista e poi le leggi concordatarie, che univano ai diktat del
primo i diktat vaticani, erano visti, pur dall'interno di una dominante
filosofia idealistica che attraversava destra e sinistra, come il nemico da
battere. L'antifascismo si occupo' pero' poco della scuola e dell'educazione
e di come questi campi andassero in futuro riorganizzati, rispetto a quali
principi e teorie, quando il fascismo sarebbe caduto (come pochi avevano per
certo), e gli anni della riscossa e della nascita di una nuova Italia videro
l'illusione, dentro la pur faticosa costruzione del Cln e della sua eredita'
("l'arco costituzionale"), di un'unita' attorno allo Stato, di una presa di
possesso dello Stato cui delegare tutto o quasi il progetto pedagogico,
diventato "per tutti" secondo una convinzione e un'eredita' che erano, a ben
vedere, piu' dello Stato fascista che dello Stato unitario.
Sullo statalismo italiano ha scritto pagine straordinarie proprio il nostro
Borghi in Educazione e autorita' nell'Italia moderna, davvero un classico
della nostra storiografia nazionale.
Una scuola per tutti, secondo regole comuni, ideata e diretta dal centro:
questo andava bene per tutti, e l'unica discussione rimasta sull'autonomia
della scuola fu quella che rispondeva a una concezione molto limitativa del
"pubblico" e del "privato", la distinzione tra scuola di Stato e scuola dei
preti...
Nel dopoguerra, tuttavia, erano fiorite nuovamente esperienze autonome o
relativamente tali, piu' avanguardistiche che separate, piu' "sperimentali"
che in conflitto con quelle dello Stato, che dunque si proponevano di
portare a quelle dello Stato i succhi di novita' intrinseche, di metodo, e
non ne mettevano in discussione quasi mai la legittimita' accentratrice
nonostante gli avvertimenti di qualche pensatore alla Borghi o alla
Capitini.
Vi furono allora esperienze ricchissime di insegnamento, la cui storia
qualcuno dovrebbe decidersi a ripercorrere. Esse ebbero alcuni luoghi
deputati alla costruzione giorno per giorno di una "teoria" nata dal
contatto diretto con le "pratiche" pedagogiche di base. A Rimini attorno al
Centro educativo italo-svizzero e alla sua fondatrice Margherita Zoebeli; a
Firenze attorno alla rivista "Scuola e citta'" (diretta prima da Codignola e
poi dallo stesso Borghi) e alla scuola elementare sperimentale dallo stesso
nome; attorno al Movimento di cooperazione educativa che introdusse in
Italia le "tecniche Freinet" (Mce) o ai Centri di esercitazione ai metodi
dell"educazione attiva (Cemea) che ne derivarono, fondati da Marcello
Tamagni e da altri animosi e preparatissimi maestri elementari (e voglio
ricordare alcuni nomi: Aldo Pettini, Marcello Trentanove, Idana Pescioli,
Bruno Ciari, Ida Sacchetti, Nora Giacobini eccetera eccetera); attorno
all'associazione montessoriana che preparava maestre d'asilo, e che ha avuto
per anni il suo perno in Grazia Fresco; a Roma, attorno al Movimento di
collaborazione civica (Mcc) fondato tra gli altri da Calogero Silone
Frassineti e animato da Cecrope Barilli ed Ebe Flamini (piu' interessato
alla formazione civile e culturale dei giovani che non direttamente alla
scuola); e poi ancora attorno a esperienze straordinarie di "eresia" dentro
la Chiesa cattolica quali quelle di don Lorenzo Milani (prima che il Milani
di Lettera a una professoressa, che ha a che fare con il '68 piuttosto che
con gli anni Cinquanta della massima fioritura di teorie e pratiche
pedagogiche nuove, quello di Esperienze pastorali), di don Zeno Saltini
(Nomadelfia), e attorno alla milanese Corsia dei servi dei Turoldo e De
Piaz; e poi ancora attorno ad Aldo Capitini, tra Cagliari e Perugia; attorno
a Danilo Dolci in Sicilia; attorno al Centro di educazione professionale per
assistenti sociali di Roma (Cepas) di Angela Zucconi e Maria Calogero;
attorno alla Olivetti di Ivrea e alle iniziative da Olivetti sponsorizzate
nel Sud, per esempio tra Abruzzi e Molise e nel materano; e ancora attorno
alla Unione nazionale di lotta contro l'analfabetismo (Unlla) di Anna
Lorenzetto; eccetera.
*
Un variegato mondo marginale di esperienze forti e motivate attinenti
anzitutto al "metodo", che fu poi cio' che distinse questi educatori da
quelli ufficiali della sinistra e della Chiesa. A sinistra la differenza fu
grande ed evidente tra questi sperimentatori e i pedagogisti militanti del
Pci (quelli dei "contenuti") raccolti attorno alla rivista romana "Riforma
della scuola" diretta da Dina Bertoni Jovine e da Lucio Lombardo Radice,
portatore di un cognome illustre. Cosi' come "quelli del metodo" si
raccoglievano attorno a "Scuola e citta'" e a quel piccolo formidabile
bollettino segnato dalla concretezza che fu "Cooperazione educativa".
Dietro "quelli del metodo" c'era una visione del mondo antiautoritaria e
decentrata, poco o niente statalista e molto democratica, federalista e
sperimentale, che aveva alle spalle una lunga storia e grandi maestri. La
storia della pedagogia e' stata infatti caratterizzata: a) dal conflitto
delle nuove idee e anzi dei nuovi "metodi" con il potere e con lo Stato; b)
dal legame assoluto tra pensiero e pratica, come solo e' avvenuto in modi
simili in un altro campo di sperimentazione, dove la sperimentazione e'
obbligata, quello della ricerca teatrale. Se solo chi fa teatro puo'
teorizzare il teatro, solo chi insegna puo' diventare teorico
dell'insegnamento, "pedagogista".
Attorno al '60, negli anni del miracolo economico e del centro-sinistra, la
scuola italiana si rinnova nel suo terreno prioritario che e' quello delle
elementari, e ci vorra' invece la scossa tardiva del '68 per smuovere
qualcosa nelle secondarie e nelle universita', ma consegnandoci una
generazione di insegnanti venuti dalla militanza politica che, con il
fallimento dei loro troppo facili sogni di rivoluzione, sono poi tornati
alla scuola con una visione burocratica e tecnica dell'insegnamento e una
accentuata insistenza sui diritti degli insegnanti, e su una visione ancora
piu' burocratica della democrazia, divisa tra poteri interni alla scuola (la
direzione e i sindacati, i genitori e gli studenti) che ha finito per
dimenticare e tradire ogni discorso di "metodo". Si e' cosi' sostituita via
via alla ipertrofia dei "contenuti" quella delle "tecniche", non piu' parte
del metodo e al servizio del metodo ma fini a se stesse, idolatria della
"formazione" che sostituisce l'"educazione" dentro un'idea di societa'
(occidentale) certo non classista come quella di ieri ma il cui
efficientismo dei propositi corrisponde soltanto a un efficientismo dei
nuovi sistemi di controllo, e dunque di disparita' tra il potere e le sue
gradazioni di servitu'.
Attorno al '60 lo statalismo e centralismo della scuola italiana raggiungono
il loro apice, e portano via via alla scomparsa delle iniziative autonome e
piu' vive. Don Milani viene confinato a Barbiana, e di lassu' lancera'
l'ultimo grido della richiesta di una scuola altra, che verra' ascoltato
solo nella direzione di una scuola statale finalmente allargata ai figli dei
proletari e dei poveri. Il progetto infiammera' le fantasie dei suoi lettori
e influira' sul primo '68 ma, rientrata la spinta libertaria del movimento
giovanile negli alvei del gruppettismo tardo-leninista o maoista, verra'
"recuperato" dentro una nuova logica statalista e "democratica", che ha
stavolta come avanguardia i suoi stessi lettori, diventati insegnanti e
presidi rudemente sindacalizzati... Una temibile corporazione che ben presto
confondera', come tutte le corporazioni, i propri interessi con i propri
(passati) ideali.
*
Lo Stato continua a vincere, e quando si riaprira', oggi, il discorso
sull'autonomia, esso sara' logicamente all'opposto di quello auspicato e
talvolta praticato dai nostri "classici", sara' un modo di riaffermare il
potere del centro e il conformismo degli insegnanti da esso controllati. E'
ora, dunque, di riaprire la discussione, e se possibile la lotta, di
ripensare a una scuola che sia parte di un progetto educativo di vasto
raggio, a figure di educatori che attraversino scuola e societa', o anche
estranei istituzionalmente al "mondo della scuola" ma dentro una rete di
iniziative educative, e non a una scuola ma a tante scuole, libera ciascuna,
nei limiti del rispetto di poche norme comuni, di reinventare i percorsi
formativi dei suoi "scolari", dal dentro di idealita' anche disparate e
parziali.
Non la scuola ma le scuole possibili: di gruppo, di comunita', di minoranza,
fatti salvi gli obblighi per tutti di insegnare a leggere, scrivere e far di
conto, per la prima infanzia, e un minimo di programma comune ma con un
massimo di aperture possibili per coloro che cercano qualcosa di piu' che la
strada dell'integrazione della produzione dell'unificazione della
conformazione.
Si sogna una scuola riformata e libera che si occupi assiduamente della
prima infanzia (le elementari e qualcosa di piu') e una scuola adulta che
assista i giovani dopo aver loro permesso nella puberta' esperienze
comunitarie le piu' vaste, itineranti e di pratica diretta della natura, del
gruppo, delle essenziali capacita' manuali e artigiane anche
pre-professionali, di vera partecipazione e autogestione. Si sogna una
scuola per i giovani nella prima maturita' di scelte professionali decise
sulla base di una verifica dei talenti che ciascuno possiede, delle
vocazioni cui ciascuno crede di dover rispondere. Che possono essere anche
"non produttive", "tardo-umanistiche", che arricchiscono la societa' non di
imprese e di denari ma di fattiva creativita'.
Utopia! Che Borghi, con alcuni dei suoi maestri (penso a Korczak
continuamente da riscoprire; e penso anche a Nicola Chiaromonte, che non fu
educatore "diretto" ma che resta una delle piu' lucide menti del nostro
secolo italiano e che fu intimo di Borghi, entrambi direttamente legati al
magistero socratico di Andrea Caffi) si affretterebbe a riportare a un
ostinato elogio del presente: un presente che va vissuto nelle sue
contraddizioni, anche in quelle piu' dure, un presente che e' l'unico vero
terreno della nostra possibilita' di esperienza, di intervento e di
incidenza. E solo se si lavora bene al presente, per esempio con i bambini,
si puo' sperare in un futuro cui ciascuno possa essere in grado di dare la
sua intelligente collaborazione.
Deliriamo! Ma se parliamo di progetti che sappiamo irrealizzabili e' solo
perche' senza un'idea di educazione e di scuola che superi i balordi
aggiustamenti ai confusi bisogni immediati dell'economia e delle grandi
corporazioni (compresa quella degli insegnanti) e se non si ricomincia a
discutere "alla grande" di educazione e di scuola come attivita' di
trasmissione dei valori e di trasmissione delle conoscenze, non se ne
uscira'. Non si trovera' un bandolo serio, non si potra' intervenire
efficacemente nel presente e, di conseguenza, aprirsi al futuro.
*
E' un lungo e difficile lavoro quello che ci tocchera' nei prossimi anni per
ridefinire e sperimentare, e dovra' riguardare la parte migliore degli
insegnanti cosi' come quei pochi gruppi "di volontariato" che operano
decentemente, preparandoli al nostro caotico e approssimato contesto, con i
bambini o gli adulti immigrati, rom ed emarginati di vario tipo, la maggior
parte dei quali vanno sollecitati a dare il loro contributo alla nostra
disordinata comunita' nazionale. Ad assisterci devono esserci molti testi di
pedagogisti di ieri e, tra questi, di Lamberto Borghi, tuttora presente tra
noi, verso il quale il debito di riconoscenza dei suoi allievi non e' stato
pagato, cosi' come non e' stato pagato il debito che ha con lui la nazione.
Quando si parla dei problemi che una pessima e opportunistica gestione degli
spazi della scuola e dell'educazione ci ha lasciato in eredita', avendo
abbandonato strada facendo le esperienze e riflessioni piu' utili, gli
insegnamenti dei gruppi che abbiamo cercato di elencare, a vantaggio di uno
statalismo e di un tecnicismo ostili a ogni autonomia e a ogni liberante
processo formativo, e quando si rileggono gli scritti di Lamberto Borghi ci
si rende ben conto di quanto grave sia stata la sconfitta dei pedagogisti
del suo stampo e delle inventive sperimentazioni da essi proposte e
analizzate. Il "metodo", che e' anche il "ben fare" qui e ora nel rispetto
dei tempi dei modi e dell'intelligenza dei bambini e degli allievi in
generale, il "metodo" ha perduto e hanno vinto, negli anni Sessanta, i
"contenuti". Ma oggi hanno finito per perdere anche quelli, per mano dei
loro stessi propugnatori e propagandisti, sopravanzati da una generazione di
pedagogisti-burocrati, di pedagogisti-cronometristi e di
pedagogisti-da-quiz. Al metodo e ai contenuti si sono sostituite tecniche
che non hanno nulla a che vedere con quelle artigianali di Freinet e dei
maestri del Mce, e hanno invece tutto a che vedere con i deliri,
tardo-industriali piu' che post-industriali, dei sognatori di un antico e
fallimentare progresso disumanante, hegelo-marxista ma anche
hegelo-fascista...
So bene che Lamberto Borghi non apprezzera' questo mio modo di polemizzare e
discutere, ma non ci si puo' esimere, nel rivendicare il suo magistero, dal
ricorrere a questi toni. Proprio la sconfitta di intellettuali-militanti del
suo stampo ce ne da' la spinta e l'autorizzazione... Eppure non tutti i
giochi sono stati giocati, e se qualcosa rimane che possa ancora essere
utile al nostro presente e alla nostra attivita', per chi rivendica la
qualita' e non la qualifica di "educatore", e' proprio l'opera di pensatori
e studiosi come Borghi, e di coloro di cui egli cosi' sensatamente e
mirabilmente ha tracciato le biografie intellettuali, politiche e morali nei
saggi raccolti in questo libro e in tanti altri.
*
Si avvertono nel pensiero di Borghi molte componenti: l'origine ebraica e le
conseguenti persecuzioni e fughe, le simpatie anarchiche e l'amicizia di
Caffi e Chiaromonte, il magistero teorico di Dewey pensatore della politica
quanto della pedagogia e le due strettamente connesse, l'amicizia (e talora
il conflitto) con il laico Salvemini, l'adesione piena all'amicizia con il
nonviolento Capitini, il rapporto quotidiano e diretto con i maestri di base
di ´Scuola e citta'" o del Ceis di Rimini o del Mce, l'attivita' di
insegnante universitario formatore di nuovi maestri e nuovi educatori nella
temperie del dopoguerra, l'assoluta serieta' dello storico che si fa forte
del rispetto per le idee altrui studiate e presentate con il massimo di
attenzione e dell'assenza altrettanto assoluta di enfasi propagandistica
sulle proprie idee e per la propria parte.
Nel saggio storico come nella disamina teorica come nella ricostruzione di
biografie in cui pensiero e azione si sono inesorabilmente intrecciati
(affascinante sopra ogni altra quella di Capitini), Lamberto Borghi si
rivela studioso di grande livello e insieme "persuaso" di coerente
limpidezza. Forse, e' il caso di dirlo, il silenzio e la disattenzione di
cui la sua opera e' oggi circondata sono dipesi tanto dal rigore della sua
ricerca e della sua scrittura (nel rifiuto di farsi barone-divo
intellettuale, del tipo che invece i grandi media prediligono) quanto dalla
sconfitta delle idee che ha professato e difeso, che oggi ci sembrano invece
indispensabili per la ricostruzione di ogni base teorica e storica solida
nel lavoro degli educatori di oggi, dentro e fuori la scuola.
Questa sconfitta e' stata transitoria ed e' oggi sul punto di trasformarsi
in vittoria, poiche' coloro che vinsero (quelli dei "contenuti" e i loro
successori tecnicisti e tecnocratici oggi malamente al potere o in un
precario incrocio di bizantinismi e idiozie, naturalmente piu'-che-moderni)
mi sembrano oggi i piu' perdenti di tutti: la scuola e la societa' che essi
hanno voluto e di cui pretendono di reggere le fila da formatori di
formatori o da consulenti di stolidi principi e' in crisi profonda, e non sa
piu' il come il cosa il dove il quando di alcun attendibile progetto che non
sia di mero aggiustamento ai voleri delle maggiori forze in campo. Essi sono
al punto di scontentare anche quelle, tanta e' la loro insipienza,
nonostante la tanta loro arroganza.
Con Borghi e con i suoi scritti bisogna tornare a fare i conti e da essi
bisogna ripartire, allargandosi e aprendosi agli stimoli di cui essi si sono
nutriti e al pensiero di altri maestri ed educatori del suo stampo, quelli
stessi da cui egli ha imparato o con i quali ha saputo incontrarsi.

3. LIBRI. MARIA PAOLA FIORENSOLI PRESENTA "FILOSOFIA DELLE DONNE" DI
PIERANNA GARAVASO E NICLA VASSALLO
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/), col titolo
"Un libro di Garavaso e Vassallo per discutere di ragione, identita' e
conoscenza. Il dialogo filosofico al femminile".
Maria Paola Fiorensoli, prestigiosa intellettuale e militante femminista,
storica e giornalista, e' presidente dell'associazione "Il paese delle
donne".
Pieranna Garavaso e' docente di filosofia all'universita' Morris del
Minnesota; le sue aree di ricerca comprendono la filosofia della matematica,
la filosofia del linguaggio, le epistemologie femministe e la critica
femminista della filosofia della scienza. Tra le opere di Pieranna Garavaso:
Filosofia della matematica. Numeri e strutture, Guerini e associati, Milano
1998; (con Nicla Vassallo), Filosofia delle donne, Laterza, Roma-Bari 2007.
Nicla Vassallo e' docente di filosofia teoretica all'Universita' di Genova;
dirige la rivista "Epistemologia", fa parte del comitato di redazione di
"Iride" e del dizionario on line Foldop; fa parte del comitato scientifico
di "Onda"; collabora al supplemento culturale de "Il sole - 24 ore". Tra le
opere di Nicla Vassallo: La depsicologizzazione della logica. Un confronto
tra Boole e Frege, Franco Angeli, Milano 1995; La naturalizzazione
dell'epistemologia. Contro una soluzione quineana, Franco Angeli, Milano
1997; Teorie della conoscenza filosofico-naturalistiche, Franco Angeli,
Milano 1999; Conoscenza e natura, De Ferrari & Devega, 2002; Teoria della
conoscenza, Laterza, Roma-Bari 2003; (con Pieranna Garavaso), Filosofia
delle donne, Laterza, Roma-Bari 2007]

E' dedicato alle rispettive madri il volume Filosofia delle donne, di
Pieranna Garavaso (docente di filosofia all'Universita' "Morris" del
Minnesota) e di Nicla Vassallo (docente di filosofia della conoscenza
all'Universita' di Genova), edito da Laterza.
Inserito opportunamente nella collana "Biblioteca essenziale" (n. 74), lo
scritto ripercorre in quattro capitoli (La tela di Penelope; L'identita'
delle donne; La conoscenza delle donne; Una stanza tutta per se') tutte le
problematiche e i quesiti legati all'esistenza di una filosofia al femminile
e al protagonismo delle poche che si scontrano con difficolta' d'accesso e
di carriera ma soprattutto con un modello di filosofo "di difficile
scardinamento, valido per Socrate e Immanuel, ma non per Ipazia e Cristina".
Sessuare la filosofia, fare attenzione a come e a cosa pensino le donne,
prevede, per le autrici, di "lasciare costruire questo pensiero alle donne
stesse" conscie che cio' comporta lo scardinamento dei percorsi tradizionali
e l'assommarsi d'interrogativi.
Nel 1986, Sandra Harding aveva chiamato lo sforzo di capire la scarsa
presenza femminile nei vari settori della filosofia e di altre scienze "the
science question in feminism: lo studio delle norme e metodologie della
ricerca scientifica secondo ottiche femministe", e certamente le due autrici
non si sottraggono al compito, iniziando con l'esaminare il tema quando la
ragione e' donna e le donne hanno ragione che ha per principale
caratteristica l'interdisciplinarita' (sociologia, antropologia e
psicologia): fenomeno "tra i piu' appariscenti della letteratura femminista
contemporanea e una delle ragioni per cui e' difficile studiarla".
Attraversare "la metafisica, l'etica, la storia della filosofia, la
filosofia del linguaggio, la filosofia politica e quella sociale, la
filosofia della biologia, la bioetica, l'estetica, la filosofia della
religione", rafforza il tentativo di "connettere, in modo speculativamente
utile, temi e argomenti sviluppati all'interno della filosofia tradizionale
con temi e argomenti sviluppati dalle filosofe femministe", ma rafforza
anche le critiche e l'opposizione, ovunque registrabili.
"La critica femminista alle due principali teorie etiche, il
consequenzialismo di Mill e il deontologismo di Kant", ricordano le autrici,
"ha dimostrato l'inadeguatezza di entrambi a rappresentare le modalita' di
ragionamento attraverso cui i soggetti, e non solo le donne, giungono a una
valutazione morale e hanno sviluppato un'etica della cura contrastante con
l'etica della giustizia".
Affidandosi ai versi di Emily Dickinson, "Cio' che sappiamo non sempre si
vede / le peggiori paure sono ignote / e' la terra locanda di stranieri e
l'aria / di segreti", le autrici introducono la domanda di cosa sia
realmente "la conoscenza delle donne" dato che, come gli uomini, sono
"contemporaneamente soggetti conoscenti e oggetti di conoscenza", frutti di
"un percorso che raggiunge la maturita' cognitiva ed emotiva attraverso
l'elaborazione di un senso di se' distinto dagli altri e dall'ambiente
circostante". La risposta deriva dall'impossibilita' di negare che "la
propria situazione, soprattutto in connessione al genere di appartenenza e
all'identita' culturale, non giochi alcun ruolo nel tipo di opportunita'
cognitive ed esperienze epistemiche che si possono avere" e insieme di
negare "che il soggetto conoscente sia un essere neutro o generico, che non
ha storia, genere, razza, classe sociale, preferenza sessuale, cultura,
eta'". Le autrici segnalano le accese polemiche che investono alcuni dei
termini (ad esempio: razza, genere), e la possibilita' di elencarne altri:
origini etniche, caratteristiche genetiche, lingua, fede religiosa,
appartenenza politica, handicap, stato economico, ecc.
Non meno difficile l'attraversamento della "morte dei femminismi".
Femminismi messi spesso sotto accusa e affrontati con stereotipi
intramontabili, verificabili, ovunque, ogni giorno. L'immagine di "un'Europa
effeminata e impotente davanti a un Islam virile e dominante", sottolineano
Pieranna Garavaso e Nicla Vassallo, s'accompagna spesso all'idea che "la
volonta' femminista di trasformare gli uomini in donne, con la
collaborazione degli omosessuali, abbia messo sottosopra le specificita' di
genere". Ne consegue: "se non ci fossero stati i movimenti femministi non ci
troveremmo in uno scontro di civilta'. Li abbiamo avuti e per fortuna sono
giunti irreparabilmente al capolinea". Le autrici, che ritengono
diffusissimo questo pensiero, propongono di domandarsi "quante donne sono
oggi disponibili a dichiararsi femministe. Le poche che lo fanno vengono
considerate anacronistiche o ridicolizzate senza indugio".
L'operazione d'approfondimento dei nodi piu' sensibili dell'argomento
prosegue, tra l'altro, con "le riflessioni critiche derivata dalla domanda
cruciale: che senso hanno le epistemologie femministe?". Dopo aver navigato
tra sensi e non sensi, le autrici dichiarano che le epistemologie femministe
"hanno senso solo a patto che il genere rappresenti l'ingrediente
determinante sotto il profilo epistemico", poiche' le epistemologie
femministe, per poter essere definite tali, "hanno bisogno di contare sul
fatto che il genere sia l'ingrediente di primaria importanza o perlomeno uno
dei principali nelle affermazioni di conoscenza".
A chi legge proseguire nell'esame dei tanti quesiti e delle tante
contraddizioni esplicitate dal prezioso libretto, cui le autrici hanno
aggiunto molte indicazioni di lettura, una ricca bibliografia e brevi schede
di "protagoniste e protagonisti" che vanno dalla celeberrima Saffo a Vita
Sackville-West (1892-1962) "poetessa, romanziera e biografa inglese, che ci
ha lasciato un'ampia corrispondenza epistolare con Virginia Woolf, cui fu
intimamente legata".

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 136 del 30 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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