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Nonviolenza. Femminile plurale. 103
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 103
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 24 May 2007 23:44:27 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 103 del 24 maggio 2007 In questo numero: 1. Giovanna Providenti: Un contributo alla storia dell'antimilitarismo in Italia 2. Maria G. Di Rienzo: Il seme della terra. All'ascolto di Octavia Butler 3. Enza Panebianco: La famiglia non mi piace 4. Maria Teresa Carbone intervista Monique Truong 1. MEMORIA. GIOVANNA PROVIDENTI: UN CONTRIBUTO ALLA STORIA DELL'ANTIMILITARISMO IN ITALIA [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo. Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza. Ezio Bartalini, nato a Monte Savino, vicino ad Arezzo, nel 1884, scomparso a Roma nel 1962 (fu colto da un malore durante un dibattito sul disarmo e mori' mentre veniva accompagnato in ospedale). Antimilitarista, socialista, fondo' nel 1903 il giornale "La pace", di cui pubblico' centocinquantacinque numeri fino al 1914, e che fu rilevante punto di riferimento pacifista e libertario. Nel 1922 i fascisti assassinarono suo padre; minacciato lui stesso di morte l'anno successivo dovette lasciare l'Italia continuando dall'esilio la lotta antifascista. Tornato in Italia nel 1944, nel 1946 fu deputato socialista alla Costituente. Dal 1950 riprese le pubblicazioni de "La pace" come bollettino ciclostilato. Fu anche autore di libri ed opuscoli; per oltre un decennio docente all'universita' di Istanbul durante l'esilio; sempre intensamente impegnato contro le armi, gli eserciti, la guerra. Opere su Ezio Bartalini: cfr. l'articolo di Luciano Masolini in AA. VV., Periferie della memoria, Anppia-Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999 e il libro di Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996. Isa Bartalini, deceduta nel 1996, e' stata cineasta (tra l'altro collaboratrice, sceneggiatrice ed aiutoregista di Alessandro Blasetti) e memorialista, infaticabile attivista per la pace; figlia del grande pacifista ed antifascista Ezio Bartalini, moglie di Andrea Gaggero (altra nobile figura di antifascista e pacifista, resistente, deportato a Mauthausen); tra le opere di Isa Bartalini: I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996] Isa Bartalini, cineasta di professione (ha fatto il casting director per quasi quaranta anni) e collezionista di storie famigliari per passione, nel 1996, poco prima di morire, ha fatto in tempo a riordinare parte del preziosissimo archivio della sua famiglia, poi curato e pubblicato dalla di lei figlia Lilia Hartmann, raccontandoci tutta una serie di "fatti veri" - come quelli narrati a lei bambina dalla nonna Ida, al posto delle fiabe - e regalandoci un importante spaccato di storia dell'antimilitarismo e dell'antifascismo italiano. Il protagonista principale del racconto che si snocciola lungo le pagine del libro di Isa Bartalini, intitolato I fatti veri e' il padre Ezio (1884-1962), e anche una serie di figure femminili, famigliari e no, presentate in tutta lo loro luce di forza ed eccezionalita' in tempi abbastanza oscuri per le donne. Tra queste nonna Ida, meno operosa politicamente ma la piu' attiva nel tutelare e tramandare il patrimonio culturale e i valori di una famiglia di grandi ideali, considerati sovversivi, per la durata della sua intera vita. E poi la straordinaria Fanny dal Ry - "donna intelligente, indipendente e colta aveva messo in pratica in prima persona le idee del femminismo, battendosi alla pari nei campi della politica, generalmente considerati riserva maschile" - protagonista, accanto ad Ezio, del periodico genovese "La Pace", "strumento di base di un'epica lotta che durera' dodici anni", dal 1903 al 1915, e che avra' diffusione abbastanza ampia (4.000 copie iniziali) non solo in Italia ma anche all'estero: "Svizzera, Francia, Germania, Stati Uniti, Canada, Argentina, dovunque si trovano i nostri emigrati". Sulla vicenda di questo "periodico quindicinale antimilitarista" proibito e sequestrato piu' volte per via dell'esplicito antimilitarismo, vale la pena soffermarsi. Nonostante il linguaggio propagandistico e retorico tipico del tempo, "La Pace" si distingue dalle altre riviste dell'epoca per il contenuto della epica lotta che conduce. Ezio Bartalini e Fanny dal Ry non condividendo la posizione della maggioranza del Partito socialista secondo cui l'eliminazione del capitalismo doveva precedere qualsiasi altro cambiamento, si impegnano fin da subito "a spiegare la maggior possibile attivita' nella propaganda antimilitarista" persuasi che "il militarismo, le alleanze militari, gli armamenti e la guerra, perpetuino una situazione di sfruttamento, di servaggio, di divisione e di tragico sacrificio del proletariato e che l'esercito sia lo strumento essenziale di questo strapotere capitalistico" (p. 51). In un contesto in cui era gia' sovversivo esortare i militari a rifiutarsi di venire usati come strumenti di repressione contro le manifestazioni operaie o denunciare i maltrattamenti subiti dai soldati di leva, "La Pace" si distingue dalla maggioranza progressista del tempo per il suo opporsi a "quella concezione di patriottismo, che fa della patria un mito astratto, al quale il popolo si deve sacrificare per la salvaguardia o l'affermazione degli interessi di una minoranza privilegiata. La guerra contrappone i popoli e li accomuna nel sacrificio, mentre l'internazionalismo unisce le patrie per la costruzione della giustizia, della liberta', del benessere nella pace" (p. 85). L'impegno politico pacifista di Ezio e Fanny, uniti da "libero amore" (considerato una forma elevata di convivere civile), non si limita all'enunciazione di buoni propositi nelle pagine del giornale da loro redatto, ma si compie nel mischiarsi tra la gente a parlare con ogni persona, entrando anche nelle caserme e nelle industrie: convinti come sono che "l'obiettivo essenziale" sia "conquistare le coscienze... penetrare prima di tutto nel cuore, nella, mente, nell'anima del popolo" e non solo provocare delle discussioni parlamentari, pur importanti, sulle questioni concernenti la riduzione delle spese militari o il miglioramento delle condizioni di vita dei soldati nelle caserme. E ancora non erano tempi in cui l'abolizione dell'obbligo di leva o la conversione delle industrie belliche potessero essere temi all'ordine del giorno in parlamento. Il loro anelito pedagogico e' riscontrabile anche dal fatto che, accanto al totalizzante impegno politico che li vede subire molte incriminazioni e una costante vigilanza poliziesca, i due pionieri dell'antimilitarismo italiano sentivano di essere soprattutto degli educatori. Fanny dal Ry oltre ad esercitare il mestiere di maestra comunale si interessava con passione ai problemi della pedagogia moderna. Ed Ezio, dopo avere esercitato per alcuni anni la professione di avvocato, occupandosi quasi esclusivamente di cause politiche (tra cui il memorabile processo, alla Corte d'Assise di Genova, nel febbraio del 1922, a Ezio Taddei e trentadue altri anarchici) si dedichera' al mestiere di insegnante, avendo preso anche le lauree in filosofia e in lettere. Quest'ultima gli sarebbe stata molto utile negli anni del lungo esilio. Ma non vorrei arrivare agli anni della dittatura fascista e all'epilogo dei ventidue anni di esilio (dalle cui intense lettere viene fuori una grande anima attenta alle questioni politiche come alle vicende della propria famiglia e dei propri affetti) tra Parigi, Londra, Bruxelles e diciotto anni in Turchia, senza soffermarmi su un punto che mi e' sembrato essenziale della storia di vita raccontata da Isa Bartalini: il coraggio di restare minoranza. La capacita' di non perdere i propri riferimenti ideali di partenza di fronte ad eventi nuovi e "urgenti", che facciano apparire giuste e indiscutibili le ragioni dell'intervento militare. Il fatto di permettersi di continuare a pensare mantenendo autonomia e chiarezza d'idee, nonostante la "verita'" e la "ragione" sembrano essere definitivamente in mano alla maggioranza. La forza di affrontare la complessita' dell'evento che sta accadendo senza rifugiarsi in semplicistiche spiegazioni o rigide prese di posizione. "La Pace" nei dieci mesi dallo scoppio del conflitto in Europa all'intervento italiano del maggio 1915, intensifica la propria attivita', moltiplicando articoli, appelli, denunce, vignette dei massimi caricaturisti dell'epoca, pubblicando e diffondendo decine di migliaia di copie della rivista e di numeri speciali in opposizione all'intervento in guerra dell'Italia. Gia' dall'ottobre 1914 trapela chiaramente la consapevolezza di essere rimasti soli a non condividere la soluzione interventista (che attira i molti socialisti legati ad un'idea obsoleta di patriottismo) e a volere continuare a "fare il lavoro silenzioso e paziente della formica". I redattori della prima voce antimilitarista in Italia, che "ebbe persecuzioni, processi, sequestri, che resteranno memorabili nella storia delle persecuzioni contro la liberta' di pensiero" non si rassegnano fino all'ultimo, quantomeno "per non portare nei nostri cuori il rimorso di non avere tutto tentato", di fronte allo sviluppo della ragione della guerra sostenuta da "una propaganda scatenata, finanziata dai centri economici italiani e stranieri, affiancata dal cedimento progressivo dei giornalisti, dei politici, degli intellettuali. Bartalini perde molti compagni per strada, convertiti all'irredentismo nazionalista" (p. 108). Ma con estrema lucidita' persevera. Sarebbe potuto morire in carcere come il suo amico Antonio Gramsci (conosciuto nei primi anni d'esilio), ma invece gli affetti famigliari lo hanno legato all'esilio. Peccato sia rimasto cosi' isolato e non ascoltato politicamente, perche' lui aveva previsto in Mussolini un dittatore. Con spietata ironia cosi' scrive nelle pagine de "La pace" in data 20 novembre 1914: "La massa che non pensa - ha detto Mussolini in un'intervista - e' per la neutralita' assoluta, anzi assolutissima. La massa che non pensa? Che roba e' questa? Perche' mai Mussolini si e' accorto soltanto ora che la massa non pensa? Non fu essa ieri, per lui, quella che agisce, nelle ore storiche? Come si fa ad agire senza pensiero? Col pensiero degli altri... Guai se la massa pensasse! Come potrebbero vivere tanti chiacchieroni in mezzo al popolo? Il popolo deve abbattere i Governi, ma non puo' fare a meno dei dittatori e Mussolini vuole essere uno di quelli, anzi vuole essere l'unico... Ora ha detto che la massa non pensa, pensando che non pensa come pensa lui". * Bibliografia - Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, Esi, Napoli 1996. - Ruggero Giacobini, Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento, Franco Angeli, Milano 1990. 2. LE MERAVIGLIE DEL (MONDO) POSSIBILE. MARIA G. DI RIENZO: IL SEME DELLA TERRA. ALL'ASCOLTO DI OCTAVIA BUTLER [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81. Octavia Butler (1947-2006) e' stata una grande scrittrice americana di fantascienza. Dal sito www.technedonne.it riprendiamo il seguente frammento di un piu' ampio articolo: "Octavia Butler e' stata la prima donna afroamericana a raggiungere una considerevole notorieta' nell'ambito della science fiction ed e' appartenuta a quel gruppo di scrittrici che negli anni '60 e '70, irrompendo in un genere tradizionalmente ritenuto maschile, ne hanno sovvertito dall'interno temi e stili. La notizia della sua morte recente per ictus, avvenuta il 9 marzo 2006, ha ricevuto una certa visibilita' anche sui quotidiani italiani che hanno celebrato la scrittrice per i romanzi La parabola dei talenti, La parabola del seminatore (entrambi pubblicati da Fanucci), e Sopravvissuta (Mondadori)". Dalla Wikipedia riprendiamo per estratti la seguente scheda: "Octavia Estelle Butler (Pasadena, California, 22 giugno 1947 - 24 febbraio 2006) e' stata una scrittrice statunitense di fantascienza e una delle poche scrittrici afroamericane ad aver avuto successo in questo campo. Orfana di padre, ebbe un'infanzia difficile e povera. Frequento' la scuola con difficolta' a causa della dislessia di cui soffriva e del carattere timido e sognatore. Tali esperienze negative si rifletteranno nelle atmosfere malinconiche delle sue storie e nei suoi personaggi. Lei stessa si defini' confortevolmente asociale, un'eremita nel centro di Los Angeles, pessimista, femminista, uno strano miscuglio di pigrizia e ambizione, di perplessita' e sicurezza. Octavia Butler fece il suo esordio in campo letterario nel 1971 con Crossover, un racconto pubblicato nell'antologia Clarion senza troppo successo. Il vero successo giunse con la serie dei Patternisti (Patternmasters), cinque romanzi pubblicati fra il 1976 e il 1984. Degna di nota e', inoltre, la sua produzione di narrativa breve, concentrata soprattutto fra il 1984 e il 1987. La Butler ha scritto pochi racconti, ma tutti hanno riscosso grande successo tanto da fruttarle i maggiori premi letterari. Opere di Octavia Butler: a) Ciclo dei Patternisti (i libri sono qui elencati secondo l'ordine cronologico degli eventi narrati, che non coincide con l'ordine di pubblicazione): Wild seed (1980); La nuova stirpe (Mind of my mind, 1977); Sopravvissuta (Survivor, 1978); Incidente nel deserto (Clay's Ark, 1984); Patternmaster (1976). b) Ciclo della Xenogenesi: Ultima genesi (Dawn, 1987); Ritorno alla Terra (Adulthood Rites, 1988); Imago (1989). c) Ciclo delle parabole: La parabola del seminatore (Parable of the Sower, 1993). La parabola dei talenti (Parable of the Talents, 1998). d) Altri romanzi: Legami di sangue (Kindred, 1979). e) Tra i racconti: Il suono delle parole (Speech sounds, 1983); Bloodchild (1984)". Un ricordo scritto da Miriam Tola e' nel n. 1225 de "La nonviolenza e' in cammino"] "Siamo il seme della terra. La vita che percepisce se stessa cambiando" (Octavia Estelle Butler, 1947-2006) Suo padre era un lustrascarpe che mori' quando lei era bambina, sua madre una collaboratrice domestica che la portava con se' nelle case in cui lavorava. Dislessica, ebbe difficolta' a scuola. Come Lauren Oya Olamina, la protagonista dei suoi romanzi La parabola del seminatore e La parabola dei talenti, era iper-empatica; questa sensibilita' finissima si riverso' per intero nelle sue opere, con un'intensita' bruciante che non manca di toccare chi vi venga in contatto: il profondo dolore che sentiva per le ingiustizie che la circondavano, guerra, poverta', discriminazione, la faceva soffrire terribilmente, ma il dono che aveva avuto erano le parole, le parole che poteva usare per rendere il mondo migliore. Stiamo parlando di Octavia Estelle Butler, scrittrice di fantascienza, donna afroamericana in uno scenario quasi tutto bianco e maschile. Si tratta di una delle voci piu' belle della science fiction, una grande narratrice che parla di sessismo, razzismo, poverta' e ignoranza e conduce il lettore alla scoperta di quanto c'e' di terribile e di quanto c'e' di meraviglioso nella razza umana. Cosa minacci e intralci la capacita' degli esseri umani di costruire relazioni pacifiche e soddisfacenti le era molto chiaro sin dagli inizi: nel racconto "Speech sounds" (I suoni delle parole) del 1983 descrive come la violenza che ha devastato la civilta' umana abbia condotto alla perdita della capacita' di parlare in modo coerente. L'essere derubata delle parole deve essere stato il peggior incubo di Octavia Butler, stante il valore immenso che avevano per lei. Al proposito c'e' un piccolo aneddoto raccontato da un suo vicino di casa: "Octavia non guidava e non aveva intenzione di prendere la patente. Per spostarsi usava gli autobus, oppure i vicini le davano dei passaggi quando la vedevano arrancare con le sporte della spesa. La prima volta che io le diedi un passaggio mi invito' ad entrare in casa e mi regalo' la copia autografata di uno dei suoi libri. Era il suo modo di dire grazie, ma a me fu subito ovvio che scrivere era la sua vita e che con quel gesto me ne aveva regalata un po'". Octavia e' mancata nel febbraio 2006, ancora non si capisce se abbia avuto un ictus e per questo abbia battuto la testa cadendo o se il decesso sia la conseguenza diretta della caduta. Aveva cominciato a scrivere il suo primo racconto a dieci anni. A dodici vide un film di fantascienza, di quelli "di serie b", e penso': le donne non si comportano in quella maniera, posso fare di meglio. Steven Barnes, altro scrittore afroamericano, dice di lei: "Octavia fu una delle scrittrici piu' pure che io abbia mai conosciuto. Metteva tutto cio' che aveva nel suo lavoro. E nonostante la sua estrema timidezza era aperta, generosa e molto umana. In compagnia usava un acuto senso dell'umorismo, e faceva osservazioni profonde sulla natura umana. Mi manca tantissimo". Octavia Butler resta l'unica scrittrice di science fiction ad aver ricevuto la "donazione al genio" della Fondazione Mac Arthur, un dono di 295.000 dollari nell'inverno del 1995, quando viveva in poverta' e lottava contro il dubbio di non valere nulla. Tutto quello che possedeva all'epoca erano 300 scatole di libri. "Al genio, hanno detto", dichiaro' in seguito, "Pero' nessuno mi ha fatto un test di intelligenza prima. Via, lo so di non essere un genio". * Il suo lavoro piu' famoso negli Usa e' Kindred (Legami di sangue), un romanzo sul viaggio nel tempo che trasporta una donna nera dalla California del 1976 ai giorni della schiavitu', prima della guerra civile: la protagonista e' stata riportata al passato per salvare la vita di un bianco, il figlio di un possessore di schiavi. Il romanzo e' usato di frequente nei corsi universitari e nei licei, ed ha venduto piu' di 250.000 copie, ma i suoi esordi furono difficili. Kindred fu ripetutamente rifiutato dagli editori. Octavia Butler sintetizzo' cosi' il significato del romanzo: "Penso che la gente dovrebbe riflettere su che cosa possa significare avere l'intera societa' accanita contro di te". Finalmente il primo editore, nel 1979, le pago' 5.000 dollari per il testo. "Vivevo di cio' che scrivevo, e non si puo' vivere a lungo con 5.000 dollari. Mi adattavo a consumare cibo che non mi piaceva, ma costava poco ed era nutriente: fagioli, patate. Un sacco da dieci chili di patate mi durava un bel pezzo". Il fondo spese ottenuto dalla Mac Arthur le permise di assistere la madre malata e di acquistare una casa. * La parabola del seminatore vinse il premio Nebula, e di Octavia si comincio' a parlare come della "gran dama" della fantascienza (con un briciolo di ironia, perche' era molto alta). La parabola dei talenti concluse nel 1998 la storia di Lauren Olamina in una terra del futuro devastata da disastri ambientali, e cosi' ne parlava la sua autrice: "Il surriscaldamento globale e' uno dei grandi problemi che dovremmo affrontare correttamente. Ne ero conscia gia' negli anni '80. Parecchie persone continuavano a guardare ad esso come ad una questione improbabile, nel senso che sceglievano di ignorarlo perche' credevano che tanto non lo avrebbero sperimentato durante le loro vite. Dopo l'uragano Katrina molti hanno collegato quanto era accaduto con le mie due Parabole. Mentre le scrivevo non era solo la questione ambientale a preoccuparmi. Ci stavamo muovendo, come paese, verso il punto in cui si pensava di piu' a come costruire prigioni migliori, invece di migliori scuole e biblioteche. Troppe cose stavano andando nella direzione sbagliata, cosi' ho voluto scrivere un romanzo in cui qualcuno avesse una soluzione, una direzione diversa da suggerire. La soluzione che la mia protagonista trova cresce dalla religione. La religione e' ovunque. Non ci sono societa' umane che ne siano prive, che la chiamino in questo modo oppure no. Percio' ho pensato di fare della religione una soluzione, anche se spesso e' invece un problema. C'e' gente negli Usa che sta spingendo il paese verso una sorta di fascismo, perche' la loro religione e' l'unica che riescono a tollerare. Cosi' ho scritto di gente che invece dice: questi versetti possono aiutarci a pensare in modo diverso, e abbiamo una destinazione reale, non qualcosa per cui dobbiamo aspettare di morire, e questa e' la nostra religione. Nelle Parabole, che furono scritte all'inizio degli anni '90, ho un personaggio che spinge il paese verso il fascismo, che viene eletto Presidente degli Usa e che, guarda un po', viene dal Texas. E questo e' cio' che la mia protagonista dice della situazione: Scegliete i vostri leader con saggezza e guardando al futuro. Essere guidati da un codardo significa essere controllati da tutto cio' che il codardo teme. Essere guidati da uno sciocco significa essere guidati dagli opportunisti che lo controllano. Essere guidati da un ladro significa porre i nostri tesori piu' preziosi nella condizione di essere rubati. Essere guidati da un bugiardo significa che ci si mentira'. Ed essere guidati da un tiranno significa vendere se stessi e chi si ama in schiavitu'". * La riflessione sul potere, su cos'e' e chi lo detiene e come lo si usa, era stato il tema intrinseco del ciclo dei Patternmasters ("maestri modellatori", letteralmente, ma in italiano lo traducono spesso come "patternisti"), svolto in cinque romanzi pubblicati fra il 1976 e il 1984 e di cui in italiano io ho trovato solo Sopravvissuta, edito da Mondadori. "Attenzione", disse sulla gestione del potere Octavia Butler, "troppo spesso noi diciamo cio' che sentiamo dire da altri. Pensiamo cio' che ci viene detto di pensare. Vediamo cio' che ci e' permesso vedere. O peggio ancora, cio' che ci viene detto di vedere. Il rischio, nel sentire un'ovvia bugia di continuo, e magari nel ripeterla di riflesso, e' che poi la si difendera' solo perche' la si e' detta, e infine la si abbraccera' perche' la si e' difesa". * Nel ciclo della Xenogenesi, invece, composto di tre romanzi pubblicati tra il 1987 e il 1989, l'attenzione della scrittrice e' puntata sul concetto della diversita' e sulla sua collocazione ai margini operata dalla cultura dominante. Che succederebbe invece, se la mescolanza, il meticciato, il "traffico di geni" sostituissero quest'ultima? Gli alieni Oankali salvano i pochi umani sopravvissuti alla devastazione nucleare del pianeta Terra, ma il loro scopo e' quello di creare una nuova specie senziente tramite l'incrocio, lo scambio genetico, tra loro e l'umanita'. Gli Oankali hanno tre sessi, e un'organizzazione sociale basata sulla simbiosi e la reciprocita'. Il mancato dimorfismo sessuale della loro specie favorisce un erotismo diffuso, basato su rapporti orizzontali, in cui donarsi sensazioni piacevoli. Fondandosi la loro civilta' ed il loro modo di percezione sul mutuo scambio, e' impossibile per gli Oankali devastare l'ambiente, tentare di risolvere le questioni con l'uso della violenza, stabilire gerarchie. I nuovi gruppi familiari che nascono dall'interazione aliena/umana si compongono da un trio Oankali e una coppia umana e sono una vera e propria celebrazione del senso del cooperare. Nella prima delle tre opere la protagonista afroamericana si chiama Lilith, ed e' l'umana che da' vita alla nuova specie. Mi soffermo sulla scelta del nome perche' non e' casuale: Lilith, una figura divina molto potente nell'antichita', che conservava il dominio sui "tre mondi" (terra, cielo e inferi) della prima grande dea in cui si incarno' il concetto di sacro per l'umanita', fu via via sconciata e avvilita, sino a divenire un demone, una strega, la "moglie disobbediente" di Adamo. Non poteva esserci una "nuova Eva" all'origine della progenie umana-aliena, non un'altra creatura derivata da una costola e definita in ordine al suo essere "di compagnia" a qualcun altro che invece racchiude in se' la somiglianza con il divino. Doveva essere l'indipendente e fiera Lilith, a cui a livello letterario Octavia Butler offre infine un riscatto. * L'ultimo lavoro di Octavia, a quanto so non ancora tradotto in italiano, fu Fledgling: "Dopo le due Parabole, che erano romanzi che dicevano: attenzione, se continuiamo ad agire come stiamo agendo, se continuiamo a rovinare l'ambiente per esempio, ecco dove possiamo finire, ero sopraffatta dalla fatica. C'era stato molto da intessere insieme per scriverli. Cosi' per il lavoro successivo ho voluto fare qualcosa di piu' leggero, e per questo e' uscito Fledgling. La protagonista e' una ragazza nera, ha un'amnesia, e' stata ferita seriamente e ha perduto i genitori. Non ha idea di chi e' e del perche' lo e'. Poi si scoprira' che gli Ina, il suo popolo, l'hanno modificata geneticamente. Il racconto parte dalla sua solitudine: e' sola perche' non e' completamente umana, e perche' gli anni che ha vissuto le sono stati portati via, e non sa nulla. Penso che la fantascienza sia un modulo aperto, in effetti mi da' la possibilita' di commentare ogni aspetto dell'umanita'. Quando la gente sente nominare la fantascienza pensa 'Ah si', quella roba tipo Star Wars, o Star Trek', ma la verita' e' che nel genere non ci sono porte chiuse, neí formule rigide, e puoi andare dove vuoi". * E lasciandosi prendere per mano da Octavia, quella mano cosi' gentile e ferma, cosi' pronta, cosi' conscia del male eppure cosi' piena di speranza, si va per una strada del genere: "Tu cambi tutto cio' che tocchi. Tutti cio' che cambi ti cambia. L'unica verita' duratura e' il cambiamento" (da La parabola del seminatore). Io le sono molto grata di avermici condotta. 3. RIFLESSIONE. ENZA PANEBIANCO: LA FAMIGLIA NON MI PIACE [Ringraziamo Enza Panebianco (per contatti: enzapanebianco at gmail.com) per questo intervento. Enza Panebianco, storica militante del movimento antimafia a Palermo, intellettuale, scrittrice, operatrice culturale, animatrice dell'esperienza della libreria "I fiori blu", e' una delle figure piu' vive della sinistra critica e della riflessione e prassi liberatrice delle donne. Opere di Enza Panebianco: Racconti palermitani, Malatempora, 2002] La famiglia non mi piace. A me piacciono le relazioni tra persone che liberamente scelgono di stringere vincoli di amore, amicizia, sesso e solidarieta'. La libera scelta in questo caso mi pare essenziale perche' non ci possono essere relazioni dove c'e' costrizione. Parlo di quella costrizione che deriva dalla condizione di dipendenza reciproca che sta nelle intenzioni del progetto di governo. Parlo del fatto che nelle proposte fin qui sentite non si parla di autosufficienza, di investimento sull'individuo perche' possa poi realizzare per scelta e con il massimo della liberta' un vincolo di qualunque genere senza discriminazioni di sesso, eta', religione. Quello di cui si parla e' invece un vincolo monetizzabile. La famiglia come ammortizzatore sociale. Come soluzione alla crescente precarieta', alla disoccupazione di uno o piu' membri della famiglia, certamente i soggetti piu' deboli, tra questi soprattutto le donne. Come soluzione alla carenza strutturale di servizi per l'infanzia, per gli anziani, per i disabili. Come soluzione ad una economia che spreme molti a vantaggio di pochi. Come soluzione alla mancanza di fondi pensionistici. Cosi' vivere tutti assieme, pagare un solo affitto o un solo mutuo, dividere la spesa e le bollette e soprattutto riconsegnare totalmente i ruoli di cura alle donne, diventa la geniale trovata per risolvere problemi che nessuno evidentemente vuole affrontare. Alle donne italiane peraltro e' attribuito un ulteriore ruolo: devono partorire. La crescita demografica viene immaginata come l'unica scelta possibile per evitare l'estinzione dell'umanita'. Eppure a me non sembra che siamo arrivati a questo punto. Si nasconde invece una semplice verita': i figli di persone provenienti da altri paesi non piacciono. Non sarebbero affidabili. I figli "italiani" invece pare siano il modo per affollare il mercato di ulteriore manodopera a basso costo. Cosi' la domanda aumenta di piu', l'offerta diminuisce, gli stipendi calano, la precarieta' cresce ancora e con i contributi raccattati qua e la' si vorrebbero pagare le pensioni a chi ha avuto la fortuna di percepirle. La famiglia "italiana" diventa nella fantasia dei legislatori lo strumento attraverso il quale esseri affidabili promettono di prendersi cura l'uno dell'altro e le donne di tutte e tutti. Cosi' i ruoli saranno prescritti per "legge". Diventano un obbligo e non solo dal punto di vista morale. Ma non tutti sono affidabili. Vengono riconosciuti tali solo quelli che non hanno fregole di autodeterminazione e liberta'. Quelli che sanno rispettare le regole, che alla responsabilita' dello Stato sostituiscono volentieri il proprio senso di colpa, l'abnegazione, quel portarsi addosso "la croce" che tanta santita' ha portato nella vita di schiave mai liberate. Donne che devono ritornare al loro posto a fare quello che la patria chiede. Alle famiglie spetterebbero "premi", appoggi. Agli individui nulla. Alle donne che figliano si promette supporto, a quelle che non ne hanno voglia o non possono o vorrebbero farlo in contesti diversi dalla famiglia tradizionale, invece niente. Zero. Tutta qui la politica sociale che propongono... Percio' vengono esclusi dall'area dei diritti civili tutti quelli o quelle che non sono riconosciute/i come potenziali genitori o genitrici. Vengono puniti, persino. Anzi si decide quale deve essere la famiglia "tipo". Lo dice la chiesa: etero, bianca, cattolica, sposata con rito civile e possibilmente anche in chiesa. Il programma del governo non e' affatto nuovo. E' stato gia' attuato in epoca fascista. Vi propongo di leggere il capitolo su "Il patriarcato fascista" nel quinto volume della Storia delle donne diretta da Duby e Perrot pubblicata da Laterza. E' un ottimo strumento di comprensione del presente e la casa esditrice Laterza mi ha autorizzato a pubblicarlo sul mio blog http://femminismo-a-sud.noblogs.org/ L'analisi fatta e' interamente dedicata alle mobilitazioni di "Norme Normali" organizzate da "gli e le straccioni e straccione della laicita'" per questo fine settimana, in occasione della Conferenza nazionale sulla famiglia a cura del Ministero di Rosi Bindi (nel sito http://norme-normali.noblogs.org potete trovare documenti, date, orari, indirizzo cui mandare una adesione). 4. LIBRI. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA MONIQUE TRUONG [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 maggio 2007. Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale, curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete www.zoooom.it Monique Truong e' una giovane scrittrice statunitense di origine vietnamita. Opere di Monique Truong: Il libro del sale, Giunti, Firenze 2007] E' stato per caso, scoprendo che Gertrude Stein e Alice Toklas avevano impiegato nella loro casa di Parigi due cuochi "indocinesi", che Monique Truong, giovane scrittrice statunitense di origine vietnamita, ha avuto l'idea di quello che sarebbe stato il suo romanzo di esordio, Il libro del sale, appena uscito nella nuova collana Giunti Blu nella traduzione di Sara Fruner (pp. 323, euro 14,50). Un'opera singolare, che non assomiglia affatto ai romanzi "etnici" cui le ultime mode editoriali ci hanno abituato e che, scegliendo come voce narrante proprio quella del cuoco Binh, approdato nella capitale francese dopo avere lasciato traumaticamente il Vietnam per un amore omosessuale, offre uno scorcio inedito sulla cosmopolita Parigi degli anni Trenta. Ne parliamo con l'autrice che, dopo avere partecipato alla Fiera del libro, presenta oggi il suo romanzo alla rassegna senese "Lingua Madre", filiazione neonata della kermesse torinese. * - Maria Teresa Carbone: Il libro del sale ha una struttura circolare: alla fine del romanzo, infatti, ritroviamo il protagonista, Binh, nello stesso luogo dove lo avevamo incontrato all'inizio, alla Gare du Nord con Gertrude Stein e Alice Toklas. Una scelta narrativa connessa forse al carattere del personaggio. - Monique Truong: In effetti, riportare il lettore al punto di partenza, dopo una serie di movimenti avanti e indietro nel tempo e nello spazio, serve per sottolineare l'idea che quest'uomo non e' capace di lasciarsi dietro il passato, che ne e' prigioniero per i suoi rapporti irrisolti con la famiglia. Ma e' anche un modo per scombinare la struttura classica della narrativa americana legata all'emigrazione, di quelle storie lineari giocate su un movimento in avanti, dal luogo di partenza, il paese di origine, agli Stati Uniti. Una maniera, secondo me, poco realistica di descrivere la vita degli immigrati, la complessita' delle loro relazioni fra passato e presente. * - Maria Teresa Carbone: Ponendo al centro del suo romanzo anche una scrittrice celebre e personalissima come Gertrude Stein, ha avvertito la necessita' di confrontarsi con il suo stile? - Monique Truong: Per la verita', nonostante conoscessi l'importanza del suo ruolo nella letteratura americana, sono approdata a Gertrude Stein quasi per caso, quando mi e' capitato fra le mani il ricettario di Alice B. Toklas. Il mio avvicinamento alla sua opera e' stato quindi tutt'altro che intellettuale e non mi sono sentita affatto intimidita nei suoi confronti. Del resto, nel mio libro non volevo parlare di lei come una grande scrittrice, ma mi incuriosiva osservarla da un'angolazione insolita, dallo sguardo di un domestico. Leggendo i suoi libri, pero', mi ha colpito molto la sua eccezionale abilita' di giocare con le parole e questo mi ha fornito lo spunto per istituire un parallelo con Binh che, arrivato dal Vietnam, non conosce la lingua del paese in cui e' approdato ed e' costretto ad attuare una sorta di bricolage linguistico con le risorse limitate a sua disposizione. Mi ha divertito l'idea di accostare due modi diversi di manipolare il linguaggio, uno definito come arte, l'altro come mancanza di conoscenza, come difetto. * - Maria Teresa Carbone: Per certi versi Il libro del sale, ambientato fra il Vietnam e Parigi a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, e' anche un romanzo storico. Ha dovuto compiere molte ricerche per ricostruire quell'epoca? - Monique Truong: Nei quattro anni che ho impiegato per scrivere Il libro del sale, che era nato inizialmente nel 1997 come un semplice racconto, Seeds, ho letto molti libri sulla Parigi degli anni Trenta e in particolare su Gertrude Stein e Alice Toklas. Ma questo e' stato in realta' il compito piu' semplice, perche' i materiali erano naturalmente molto abbondanti. Ben piu' difficile e' stato ricostruire la vita dei domestici, del cuoco Binh e degli altri lavoratori salariati. Nel corso delle mie ricerche sono venuta a sapere che Ho Chi Minh aveva trascorso un certo tempo in Europa proprio in quegli anni, e che fra l'altro aveva lavorato come cuoco, per la precisione come pasticcere, a Londra: ho inserito anche la sua figura nel libro, senza pero' chiamarlo con questo nome ma con lo pseudonimo che aveva adottato a quell'epoca, Nguyen Ai Quoc. Ma i dati che avevo raccolto su di lui mi sono stati utili anche per definire meglio la figura del mio protagonista. * - Maria Teresa Carbone: Nelle pagine ambientate in Vietnam, sembrano intrecciarsi diversi fili narrativi, resoconti storici, cronache di famiglia, miti tradizionali. - Monique Truong: Ricostruendo le atmosfere del mio paese di origine, grande importanza hanno avuto per me le storie che ho sentito raccontare in famiglia: dalle fiabe popolari, che trovano eco nella narrazione del "principe dotto", ai ricordi dei miei genitori. Mio padre, in particolare, era stato mandato in Francia a studiare quando aveva solo nove anni, in una situazione molto diversa da quella del mio protagonista, ma segnata, anche nel suo caso, da un profondo senso di solitudine. Da questa sofferenza, tanto piu' intensa perche' vissuta in silenzio, prende del resto le mosse il racconto di Binh: le storie, tutte le storie, hanno un ruolo centrale nella nostra vita, perche' rappresentano un modo, forse l'unico, per dare forma ai nostri sentimenti, soprattutto a quelli negativi. * - Maria Teresa Carbone: Questo estraniamento si riflette anche nel fatto che tutte le figure principali del libro, da Binh al suo amante soprannominato "Mio Dolce Domenica" a Gertrude Stein, vivono lontani dal loro paese. - Monique Truong: E' stata una scelta precisa, quella di spostare l'asse del racconto in Francia: in particolare, la scelta di inserire Binh nella casa parigina di Gertrude Stein e Alice Toklas mi ha consentito di parlare anche dell'America senza fare degli Stati Uniti l'ambiente principale. Mi premeva mettere in scena un incontro fra America e Vietnam al di fuori, e prima, della guerra che negli Usa sembra riassumere il mio paese di origine e che cancella agli occhi di molti americani la sua lunga storia. * - Maria Teresa Carbone: Un tema centrale del suo libro riguarda il cibo. Ce ne vuole parlare? - Monique Truong: Ad attrarmi nel cibo e' l'idea che fra chi cucina e chi mangia si instaura un rapporto poco evidente ma profondo: parlando della manipolazione degli alimenti, delle impronte di Alice impresse sui dolci che prepara, ho voluto mettere in luce questo atto cosi' intimo e segreto. E non mi dispiacerebbe se qualcuno, leggendo il mio libro, ricordasse che nelle cucine di molti ristoranti lavorano tanti immigrati: sono loro a preparare con le loro mani i cibi che i clienti mangeranno - magari quegli stessi clienti che sono contrari alla "invasione degli stranieri" nel loro paese. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 103 del 24 maggio 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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