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Minime. 67
- Subject: Minime. 67
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 22 Apr 2007 00:21:16 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 67 del 22 aprile 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Emily Dickinson: Non sappiamo di andare quando andiamo 2. Rocco Altieri: Il 5 per mille per la cultura della nonviolenza 3. "Antenne di pace" 4. "Una citta'" intervista Marcello Flores su Arthur Koestler 5. Letture: Martin Luther King Jr, Il sogno della nonviolenza 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. EMILY DICKINSON: NON SAPPIAMO DI ANDARE QUANDO ANDIAMO [Da Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1461. Emily Dickinson visse ad Amherst, Massachusetts, tra il 1830 e il 1886; molte le edizioni delle sue poesie disponibili in italiano con testo originale a fronte (tra cui quella integrale, a cura di Marisa Bulgheroni: Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005; ma vorremmo segnalare anche almeno la fondamentale antologia curata da Guido Errante: Emily Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1956, poi Guanda, Parma 1975, e Bompiani, Milano 1978; e la vasta silloge dei versi e dell'epistolario curata da Margherita Guidacci: Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, Bompiani, Milano 1993, 2000); per un accostamento alla sua figura e alla sua opera: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L'alfabeto dell'estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Mondadori, Milano 2002] Non sappiamo di andare quando andiamo. Noi scherziamo nel chiudere la porta. Dietro, il destino mette il catenaccio, e non entriamo piu'. 2. APPELLI. ROCCO ALTIERI: IL 5 PER MILLE PER LA CULTURA DELLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per questo intervento. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. I semestrali "Quaderni Satyagraha" costituiscono la piu' prestigiosa rivista scientifica italiana specializzata nello studio della nonviolenza; per contattare la redazione: "Quaderni satyagraha", via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. e fax: 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it o anche pdpace at interfree.it, sito: www.centrogandhi.it Il Centro Gandhi di Pisa si e' costituito nel giugno 2000 con l'obiettivo di promuovere la cultura e la pratica della nonviolenza e la realizzazione di una societa' nonviolenta. Dal 2002 pubblica i semestrali "Quaderni satyagraha", rivista di approfondimento sul metodo nonviolento di trasformazione dei conflitti] In un momento di guerre e di violenze senza fine vi chiediamo di sostenere la cultura della nonviolenza. Se gli Stati fanno le guerre, facciamo sapere in modo diretto allo stato italiano, attraverso la nostra dichiarazione dei redditi, che siamo per la nonviolenza, indicando il codice fiscale del Centro Gandhi, dando forza alla ricerca, redazione e promozione dei "Quaderni Satyagraha", rivista semestrale di studi sulla nonviolenza. Nel modulo della dichiarazione dei redditi, nell'apposito spazio riservato alle onlus, basta indicare il seguente numero di codice fiscale del Centro Gandhi: 93047610501. Noi continuiamo a credere che la penna possa sconfiggere la spada e che lo studio e la lettura siano il migliore antidoto al conformismo e alla violenza. 3. STRUMENTI. "ANTENNE DI PACE" [Da "Antenne di pace" (e-mail: newsantenne at liste.antennedipace.org, sito: www.antennedipace.org) riceviamo e diffondiamo la seguente notizia] Segnalliamo il rinnovato portale e la newsletter settimanale "Antenne di pace", strumento di informazione dei Caschi Bianchi. Il portale e' stato recentemente rinnovato, e invitiamo a visitarlo all'indirizzo: www.antennedipace.org Per informazioni e contatti, e per ricevere la newsletter settimanale: info at antennedipace.org 4. MEMORIA. "UNA CITTA'" INTERVISTA MARCELLO FLORES SU ARTHUR KOESTLER [Dalla rivista "Una citta'", n. 131, agosto-settembre 2005 (disponibile anche nel sito: www.unacitta.it) riprendiamo la seguente intervista li' pubblicata col titolo "Ricordiamo Koestler e gli altri" e il seguente sommario: "La vicenda di Arthur Koestler, e di tanti come lui, che dopo aver aderito al comunismo, ne rimasero talmente inorriditi che, pur nel periodo piu' duro della lotta antinazista, non cedettero al 'ricatto antifascista' e lottarono anche contro l'altro totalitarismo. Il Congresso per la liberta' della cultura e i soldi della Cia. La tragica debolezza dell'anticomunismo di sinistra. Intervista a Marcello Flores". Marcello Flores (Padova, 1945), storico, docente, intellettuale e militante democratico, insegna storia contemporanea e storia comparata all'Universita' di Siena, dove dirige anche il master in Human Rights and Humanitarian Action; si e' laureato nel 1971 in storia moderna, presso l'Universita' di Roma; dal 2001 e' docente di storia comparata presso l'Universita' di Siena; dal '96 al 2000 e' stato docente di storia contemporanea, mentre dal '94 al '96 professore associato di storia dell'est uropeo, ancora presso l'Universita' di Siena; dal '92 al '94 ha lavorato presso l'ambasciata italiana a Varsavia e nel biennio 1993-1994 ha seguito il corso di storia e cultura italiana all'Universita' di Varsavia; dal 1984 al 1992 e' stato professore associato in storia delle relazioni internazionali all'Universita' di Trieste, mentre dal '75 all'83 assistente alla cattedra di storia dei movimenti politici ancora presso l'Universita' di Trieste; ha svolto attivita' di ricerca presso l'Institute for the Study of Social Change, Universita' della California, Berkeley (1980-1981), al Churchill College di Cambridge (1984), all'Istituto di storia del mondo sovietico e dell'Europa Centrale presso l'Ecole des Hautes Etudes di Parigi (1988-1989), all'Istituto di storia universale presso l'Accademia delle Scienze di Mosca (1991), presso l'Universita' di Witwatersrand di Johannesburg (1997); e' stato membro dell'associazione internazionale "La memoire grise a' L'Est" presso la Bibliotheque de Documentation Internationale Contemporaine di Nanterre; ha organizzato i seguenti convegni internazionali: "Il mito dell'Urss. La cultura occidentale e l'Unione Sovietica", Cortona, 1989; "L'identita' collettiva e la memoria storica", Varsavia-Siena, 1994; "L'esperienza totalitaria nel XX secolo", Siena, 1997; "Storia, verita', giustizia: i crimini del XX secolo", Siena, 2000; e' stato direttore della rivista "I viaggi di Erodoto" e ha collaborato con le riviste "Il Mulino", "Italia contemporanea", "L'indice"; ha collaborato con le riviste scientifiche "I viaggi di Erodoto", ha collaborato con il Dizionario di storiografia della Mondadori; fa parte del comitato scientifico per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani sull'Armenia. Tra le opere di Marcello Flores: L'immagine dell'Urss, Il Saggiatore, Milano 1990; (con Nicola Gallerano), Sul Pci. Un'interpretazione storica, Il Mulino, Bologna 1992; L'eta' del sospetto. I processi politici della guerra fredda, Il Mulino, Bologna 1995; (con Nicola Gallerano), Introduzione alla storia contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995; 1956, Il Mulino, Bologna 1996; In terra non c'e' il paradiso. Il racconto del comunismo, Baldini & Castoldi, Milano 1998; Il Friuli. Storia e societa'. 1797-1866. Dalla caduta della Repubblica di Venezia all'unita' d'Italia, Istituto Friulano Movimento Liberazione, 1998; (con Alberto De Bernardi), Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 1998, 2003; (a cura di), Verità senza vendetta, Manifestolibri, Roma 1999;(a cura di), Storia, verita', giustizia. I crimini del XX secolo, Bruno Mondadori, Milano 2001; Il secolo-mondo. Identita' e globalismo nel XX secolo, Il Mulino, Bologna 2002; Storia illustrata del comunismo, Giunti, Firenze 2003; Tutta la violenza di un secolo, Feltrinelli, Milano 2005; Il secolo-mondo. Storia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2005, 2 voll.; (con Flavio Fiorani), Grandi imperi coloniali, Giunti, Firenze 2005; Il genocidio degli armeni, Il Mulino, Bologna 2006. Arthur Koestler (Budapest, 1905 - Londra, 1983), giornalista, scrittore, militante antitotalitario. Tra le opere di Arthur Koestler: Dialogo con la morte (1937); I gladiatori (1939); Buio a mezzogiorno (1940); La schiuma della terra (1941); Arrivo e partenza (1943); Lo yogi e il commissario (1945); Ladri nella notte (1946); (con Ignazio Silone, Richard Wright, Andre' Gide, Louis Fischer, Stephen Spender), Il dio che e' fallito (1950); Gli angeli caduti [L'eta' del desiderio] (1951); Freccia nell'azzurro (1952); La scrittura invisibile (1954); I sonnambuli (1959)] - "Una citta'": Ricorre il centenario della nascita di Arthur Koestler ed e' uscita, dal Mulino, la ristampa di Schiuma della terra, la sua autobiografia degli anni di prigionia in Francia. Intanto possiamo dire chi era Koestler, qual e' stato il suo tragitto intellettuale e di militante? - Marcello Flores: Koestler e' un rappresentante dell'intellighenzia mitteleuropea, quella che si formo' soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Vivere la crisi e il crollo dell'impero multinazionale asburgico, per Koestler come per tanti suoi compatrioti e compagni dello stesso ambiente, aveva significato acquisire una visione internazionale dei rapporti tra gli stati, e della direzione in cui stava andando il mondo, che gli permise di sfuggire alle forti tensioni nazionalistiche che presero piede in altri paesi europei prima e dopo la guerra e che caratterizzarono i regimi autoritari e quelli fascisti nel dopoguerra. Da questo stesso ambiente escono molti intellettuali comunisti. Nel caso di Koestler, essendo ungherese, c'e' anche l'impronta della rivoluzione dei consigli di Bela Kun avvenuta all'indomani della guerra, vittoriosa per pochi mesi prima di essere soffocata nel sangue dalle truppe dell'ammiraglio Horthy. Questo sicuramente aveva contribuito al rafforzamento di una visione proiettata genericamente al progressismo. L'adesione al comunismo di Koestler e' abbastanza tardiva, sia per la sua eta', ma soprattutto rispetto alle vicende della rivoluzione russa. Koestler entra nel partito comunista nel 1930, quando Stalin ormai ha vinto e - tramontata la possibilita' che un diverso modello di socialismo potesse imporsi - inizia la fase piu' tragica della collettivizzazione forzata e dell'industrializzazione accelerata. Koestler, insomma, aderisce al comunismo l'anno in cui inizia formalmente a esistere il gulag. Questo e' al tempo stesso un paradosso e un simbolo della vicenda di Koestler. Ricordiamo che nello stesso momento un personaggio come Silone, che e' stato e sara' legato per tanti versi a Koestler, esce dal partito comunista. E' una fase in cui ci sono state gia' almeno due o tre generazioni di gruppi di comunisti, sparuti ovviamente, che hanno abbandonato il comunismo. Il primo abbandono era avvenuto nel 1921 dopo la repressione di Kronstadt, un altro dopo la morte di Lenin, con l'inizio dello stalinismo e la vittoria del triumvirato su Trotzky, fino ad arrivare alla fine degli anni Venti, con l'emergere di una politica anche sociale sempre piu' dura e in qualche modo ferreamente dittatoriale. E' proprio in questa fase che invece Koestler aderisce. Ma non e' il solo, ovviamente, e questo e' il riflesso di un'altra realta' internazionale che vede, dopo la vittoria del fascismo italiano nel 1922, uno sviluppo dei movimenti fascisti tale da portare la Germania e gran parte dell'Europa, durante gli anni Trenta, in una dimensione sempre piu' autoritaria e dittatoriale. Koestler quindi si inserisce in una dinamica che sembra in controtendenza rispetto ad alcune vicende del rapporto tra gli intellettuali e il movimento comunista internazionale, ma che e' invece in profonda sintonia con quella che e' l'adesione di molti giovani e meno giovani al comunismo, per reazione al pericolo fascista sempre piu' incombente. Un po' piu' sullo sfondo, nel caso di Koestler, come di molti europei, c'e' infine la crisi del capitalismo mondiale iniziato con il crollo di Wall Street del 1929, che fa credere a molti che la pianificazione sovietica possa essere un'alternativa valida per ipotizzare un diverso modello economico sociale, rispetto a una crisi che sembra definitiva e non solo passeggera. Koestler, essendo un giornalista, inizia subito a lavorare nel campo della propaganda. Questo e' un elemento che lo lega a un altro comunista, nei primi anni Trenta estremamente ortodosso, ma che morira' anche lui assassinato dagli agenti di Stalin alla fine degli anni Trenta, che e' Willi Muensenberg, il capo dell'apparato propagandistico del Komintern. Koestler ha un interesse soprattutto internazionale e, da questo punto di vista, probabilmente come molti, ritiene che le vicende che accadono in Urss abbiano delle dinamiche proprie che bisogna accettare e giustificare se rafforzano il potere sovietico e gli permettono quindi di continuare a rappresentare una sorta di faro per le sorti della rivoluzione in Europa. Quindi, e lo dice anche nelle sue memorie, che sono molte oneste, non c'e' una riflessione, o una crisi, che nasca dai primi processi ai menscevichi, quelli ai cosiddetti sabotatori industriali, tutti personaggi dell'opposizione che vengono accusati chiaramente di delitti inesistenti. Anche se, certamente, viaggiando molto e lavorando per il Komintern, Koestler si rende conto del carattere estremamente rigido e burocratico dell'apparato internazionale del partito e di come questa rigidita' sia legata a un forte bisogno di fede, di obbedienza, di gerarchia, che e' tutto quello che poi, come in una sorta di racconto dall'interno, riuscira' a criticare in modo memorabile in Buio a mezzogiorno. * - "Una citta'": Ma quand'e' che entra in crisi? - Marcello Flores: Koestler entra in crisi con la guerra di Spagna. Koestler va in Spagna, in realta' per conto del Komintern, ma inviato per un giornale inglese, il "News Chronicle", e va a lavorare nella parte occupata dai ribelli, dai generali ribelli. La' incorre in un arresto e nell'accusa di essere un sovversivo, che lo porta per alcune settimane nella cella della morte, rischiando di essere fucilato insieme ad altri comunisti e anarchici. E' in questo periodo di forzata solitudine che emergono nella coscienza di Koestler in modo piu' nitido, anche se non del tutto coerente, le critiche, le delusioni, le disillusioni verso la politica del movimento comunista internazionale. Pero' per evitare che la lotta per la repubblica spagnola potesse indebolirsi (teniamo presente quello che rappresentava la guerra di Spagna a livello internazionale: un forte momento di contrapposizione tra fascismo e antifascismo) e, probabilmente, anche nel tentativo di capire meglio la propria evoluzione, Koestler tiene abbastanza per se' le sue riserve, sempre piu' forti. E' un po' la stessa cosa che accade ad Andre' Gide, certamente meno solido come comunista: recatosi in Urss proprio nel 1936 e avendo scritto un racconto di quello che aveva visto, aspetta a pubblicarlo per evitare che possa essere usato come propaganda anticomunista durante la guerra di Spagna. Comunque e' proprio in concomitanza con la Spagna che si svolgono i grandi processi di Mosca. Per quanto Koestler li abbia potuti vivere, soprattutto il primo, a posteriori (ne viene a conoscenza infatti solo quando rientra dalla prigionia in Spagna) questa doppia faccia del comunismo, impegnato da una parte nella difesa della repubblica spagnola (anche se con tutte le contraddizioni che porteranno alle giornate di Barcellona nel '37 e agli scontri con gli anarchici) dall'altra nei processi di Mosca, rende sempre piu' esplosiva la sua situazione. Ma era inevitabile che il suo atteggiamento di fondo, critico e curioso, la sua volonta' intellettuale di capire cosa stesse accadendo e i meccanismi che portavano a certe soluzioni, lo spingessero a quella rottura che diventera' aperta e ufficiale al momento del patto russo-tedesco. Un'altra persona che si ritrova con Koestler ad abbandonare il comunismo nel momento del patto russo-tedesco, per venire in Italia, e' Leo Valiani. Da questo momento tutte le vicende personali sono legate alla prigionia in Francia, che Koestler racconta in modo appassionante in Schiuma della terra. La catastrofe mondiale ormai ha conquistato tutta l'Europa e questi gruppi di intellettuali militanti che si incrociano e si ritrovano nella clandestinita' o nei campi di prigionia, per quanto cerchino di influenzarla, non possono nulla contro una storia che ha preso un cammino incontrollabile, che va per conto suo. Quelli della guerra sono anni in cui la critica al comunismo diventa sempre piu' radicale. Koestler decide cosi' di impegnarsi in una militanza politica, questa volta contro il totalitarismo comunista, di taglio e di spessore analoga a quella che aveva dedicato al movimento comunista internazionale. E' quello che succede a molti ex-comunisti. Il caso di Silone e' analogo. Differente quello di altri, quasi sempre americani, che abbandonando il comunismo abbandonano l'impegno politico tout court. Con la fine della guerra succede che la battaglia per svelare e denunziare le contraddizioni del comunismo (che Koestler vede al tempo stesso come un problema teorico e storico), si trova a dover fare i conti con un'altra svolta della storia che nessuno prevedeva, quella della guerra fredda, che inizia nell'immediato dopoguerra. L'azione di Koestler, cosi' come quella di Silone e di tanti altri, viene immediatamente schiacciata e compressa all'interno della guerra fredda, quindi della scelta di campo tra Est e Ovest, tra comunismo e mondo libero, mondo capitalista. Questo fa fallire tutti i tentativi, le possibilita' di terze vie che pur si sperimentano in Europa con grande ricchezza intellettuale e culturale ma con altrettanto grande debolezza politica (in Italia tutto cio' e' rappresentato dalle vicende del Partito d'Azione) e porta, di fatto, Koestler ad appiattirsi su un anticomunismo che non sara' piu' solo e tanto quello che lui e persone come lui incarnano, ma sempre piu' diventera' quello rappresentato dall'amministrazione americana. In questa fase Koestler viene attaccato dai comunisti nel modo piu' pesante, volgare (qualsiasi aggettivo sicuramente e' troppo leggero) per i libri che pubblica, che invece, a partire da Buio a mezzogiorno, sono testi di una grandissima raffinatezza intellettuale, in cui non c'e' alcuna facile caduta propagandistica. Buio a mezzogiorno, utilissimo da leggere ancora oggi, e' un libro che tenta di entrare nei meccanismi, estremamente articolati e complicati, del rapporto del rivoluzionario con il partito, della rivoluzione con la societa', della verita' con la politica, della morale con la verita' e con la politica. Qualcosa, cioe', che avrebbe dovuto essere di interesse per chiunque. Invece Koestler, che nel 1950 e' uno degli artefici, a Berlino, della fondazione del Congresso per la liberta' della cultura, viene segnato solo come un "rinnegato", come un anticomunista e, quindi, condannato a priori senza essere neanche preso in considerazione e discusso. E' lo stesso destino che capita al libro Il dio che e' fallito, pubblicato tra il '49 e il '50 in Inghilterra, dove, insieme a Koestler, ci sono gli interventi di altri autorevolissimi intellettuali ex-comunisti come Silone, Spender, Wright, Gide e Luis Fisher, che raccontano le tappe della loro adesione e poi della loro disillusione, del loro distacco dal comunismo: all'epoca fu ignorato e attaccato come propaganda e menzogna dal movimento comunista. Non a caso solo negli anni '80 e '90, con la crisi del comunismo, tornera' a essere letto. La cosa curiosa e' che proprio dopo il crollo del comunismo, molti dei dirigenti del Partito comunista italiano, quelli almeno che sono stati piu' onesti nel raccontare la loro esperienza, hanno tutti confessato di non aver mai letto Koestler. Tutti ne parlavano male perche' il partito aveva detto: "Parlatene male ma non leggetelo". Questa era la logica. E Buio a mezzogiorno era ben conosciuto perche' la prima edizione italiana, nella Medusa, quella verde, e' addirittura del '47, se non sbaglio, per cui non poteva certamente passare sotto silenzio. Ma e' un libro che fu vittima della divisione aprioristica di tipo ideologico, ma anche culturale, della guerra fredda. Anche tutto il lavoro compiuto dal Congresso per la liberta' della cultura, molte delle conferenze, dei libri, delle riviste erano a un livello molto alto e rimangono tutt'oggi di grandissimo interesse. Ma proprio per questa loro collocazione all'interno del mondo occidentale, di fatto, sono stati ignorati e criminalizzati dalla cultura comunista. * - "Una citta'": E' un po' paradossale che nel periodo dei processi di Mosca sia l'antifascismo a "tenere" Koestler legato alla Russia, mentre poi, nel periodo della guerra, quando la barbarie nazista si impossessa dell'Europa, proprio allora lui riesca ad "abbandonarla"... Insomma per lui il "ricatto antifascista" cade nel momento in cui diventa piu' forte... - Marcello Flores: E' una maturazione profonda che e' di pochi; non sono in tanti a riuscire a non farsi ricattare dalla politica contingente. Tra l'altro teniamo presente quello che accadeva anche a Churchill e Roosvelt, che, essendo alleati con Stalin, avevano messo tra parentesi quello che era il regime sovietico. Koestler va alla radice e la trova nell'analisi del totalitarismo in generale. Che poi e' quello che esploreranno Hannah Arendt e altri pensatori. Questa posizione coerentemente antitotalitaria avrebbe potuto caratterizzare le vicende politiche in modo estremamente diverso, soprattutto in Europa, se fosse stata fatta propria, nei diversi paesi, da forze di tipo socialdemocratico, socialista, laburista, ecc. Certo, sarebbe stata una posizione debole internazionalmente perche' schiacciata da questi due grandi blocchi, con un'Europa sconfitta nel suo insieme e quindi vincolata all'appartenenza all'una o all'altra parte. Pero' e' curioso come, in realta', in nessun paese ci sia stato uno sforzo serio per mantenere un atteggiamento critico nei confronti del capitalismo e al tempo stesso salvaguardare i principi di liberta' contro la pratica comunista. La politica ha veramente spazzato via la cultura, l'ha sottomessa ferocemente ai suoi ritmi, ai suoi bisogni, inventando in quegli anni il mito dell'intellettuale impegnato, che era poi di fatto un meccanismo della propaganda comunista. Al di la' dei risultati che scrittori, poeti e artisti davano nel loro ambito di produzione artistica, nella partecipazione pubblica c'era semplicemente questo: finche' rimanevano comunisti, anche i personaggi piu' aperti e meno ligi al realismo socialista, sceglievano di fatto di appoggiare la politica del Pc e dell'Unione Sovietica. Pensiamo alle polemiche che ci sono state, soprattutto in Francia, sui campi di concentramento sovietici, sui gulag; pensiamo al modo in cui verra' trattata Margaret Buber-Neumann che, in quanto vittima insieme dei campi sovietici e di quelli tedeschi, era una testimone eccezionale per portare avanti il discorso che proprio Koestler cercava di fare: mantenere l'antifascismo portando avanti anche l'anticomunismo e non scegliere l'uno o l'altro a seconda delle convenienze politiche. Ecco, fu anche lei criminalizzata e dimenticata per essere scoperta, alla vigilia della morte, solo negli anni '80. * - "Una citta'": Tu dici che la politica ebbe il sopravvento, pero' viene da pensare che l'isolamento di questi pochi intellettuali fosse ben piu' tragico e profondo, che gran parte della stessa classe operaia fosse votata a una logica totalitaria, che, in fondo, i due totalitarismi si fossero impossessati dei cuori di tutti... Quando Trotzky viene ucciso pare che abbiano festeggiato nelle fabbriche di mezzo mondo. - Marcello Flores: Questo si'. Bisogna pensare che l'adesione delle masse operaie, un po' per le vicende storiche del Novecento, ma un po' perche' tutte le adesioni di massa hanno queste caratteristiche, e' di tipo religioso, fideistico e si alimenta dunque di elementi insieme di irrazionalita' ma anche di sfoggio di potenza. Allora, ecco che Stalin, che era crudele tanto con i supposti nemici interni quanto con quelli esterni, diventava un personaggio eroico. La violenza, nonostante la critica a quella fascista, rimane, paradossalmente, un mito positivo, qualcosa di fortemente connaturato alle aspirazioni rivoluzionarie. La rivoluzione per vincere deve essere violenta. Una delle frasi di Marx piu' citate era quella che la violenza e' la levatrice della storia. Questo autorizzava qualsiasi giustificazionismo. L'idea infatti era sempre che dopo le cose sarebbero cambiate; quindi un fortissimo machiavellismo del fine che giustifica qualsiasi mezzo, che, ovviamente, valeva solo per la propria parte, non veniva certo accettato nei confronti dell'avversario. Tutto questo faceva si' che la politica diventasse molto irrazionale, anche perche' nel dopoguerra questo aspetto di irrazionalita', di emotivita', con lo sviluppo della societa' di massa e della societa' della comunicazione, viene solleticato dalle nuove tecniche di propaganda. L'adesione emotiva e' sempre prevalente sulle considerazioni razionali. Tutto questo fa capire l'isolamento politico di questi personaggi. Fa capire meno perche' questo isolamento non sia riuscito a costruire sul terreno culturale qualcosa di piu' solido. Probabilmente non ci poteva che venire una testimonianza, una sorta di lascito alle generazioni successive. Del resto pensiamo, per altri versi, a personaggi come i teorici della nonviolenza, da quelli internazionali, come Gandhi, a Capitini, Dolci: anche loro schiacciati dalla politica, considerati inesistenti o ripescati solo per appoggiare, in un determinato caso, la politica pacifista che il Partito comunista sbandierava negli anni '50. In quanto cultura la nonviolenza e' qualcosa che ritrova solo parecchi anni dopo una reale diffusione, un radicamento... * - "Una citta'": Non c'era quindi la giustificazione di non sapere cio' che succedeva. I processi sommari, le eliminazioni, i gulag esercitavano proprio un fascino... - Marcello Flores: Assolutamente. Quella del non sapere e' una giustificazione che ormai credo pochi utilizzino. Quel che c'era, sicuramente, era una doppiezza profonda. Ricordo che al tempo dei processi in Francia, probabilmente proprio dopo la deposizione di Margaret Buber-Neumann, una dirigente comunista francese, dopo aver ammesso che di fronte a quella testimonianza avevano capito che non c'era altra verita' oltre a quella, aggiunse che tuttavia non si sentivano di "buttare via il bambino con l'acqua sporca", cioe' il fascino della rivoluzione con l'acqua sporca del comunismo sovietico. Questa doppiezza, che in un personaggio come Togliatti e' puramente cinica e politica (lui aveva ben dimostrato di non avere alcuna remora morale alle uccisioni fatte da Stalin in Spagna, o contro i polacchi, ecc.) in molti voleva dire mettere tra parentesi la questione morale, la questione della verita', la questione di cosa veramente fosse quel regime comunista, e pensare che solo lo sviluppo complessivo, casomai altrove, del movimento comunista avrebbe poi, comunque, salvato tutto l'insieme. Non e' un caso che ogni nuova rivoluzione diventasse una specie di modello alternativo, la Cina, Cuba, il Portogallo... Ogni volta si inventava qualcosa che potesse salvare una realta' che invece si mostrava sempre peggiore se vista con occhi liberi dall'ideologia, dalle aspettative, dai desideri. * - "Una citta'": Si ha l'impressione che gli ex-comunisti, pur nella critica radicale, non sentano mai il rimpianto di aver perso un'occasione, la curiosita' di sapere se "c'era un'altra possibilita'". Come se si dicesse che, in fondo, "non si poteva non essere comunisti", che "esserlo stati e' comunque importante", proprio per poi rifiutare il comunismo con cognizione di causa. Sento che c'e' qualcosa che non va in questo, in un certo senso si perpetua un "pensiero unico", e credo che, anche politicamente, questo abbia poi una sua rilevanza... - Marcello Flores: Questo e' vero, politicamente ha la sua rilevanza ma lo ha anche nella storia di questi intellettuali. Per esempio, ne Il Dio che e' fallito e poi anche nelle sue memorie, Koestler continua a rivendicare la giustezza di essere entrato nel Partito comunista nel 1930, dicendo, sostanzialmente, che chi aveva l'ambizione di cambiare il mondo e quindi si buttava nell'avventura rivoluzionaria era comunque moralmente superiore rispetto a chi se ne stava da una parte ad aspettare, a vedere quello che succedeva. Quindi si poteva anche sbagliare, ma era meglio sbagliare in nome di una passione positiva (anche se si sarebbe dimostrata fallimentare come appunto il comunismo) piuttosto che non fare nulla. E lui, pero', rivendicava questo anche rispetto a chi, come Silone e altri, erano usciti prima. Da questo punto di vista gli ex-comunisti, per certi versi, seguono dei meccanismi propri. Isaac Deutscher scrisse un famoso saggio sulla fenomenologia dell'ex-comunista, su come finisse spesso per diventare dottrinario, rigido, settario altrettanto quanto lo era stato precedentemente. Proprio in quel periodo un intellettuale americano, uno dei primi a lasciare il comunismo, Floyd Dell, del gruppo "The masses", poi poeta e psicanalista, scrivendo sulla crisi dei comunisti e degli ex-comunisti a Max Eastman, gia' segretario di Trotzky e figura di primo piano del movimento comunista internazionale (e' lui a dare al "New York Times" il rapporto segreto di Krusciov nel 1956), rilevava come ognuno fosse convinto che il momento giusto per abbandonare il comunismo fosse quello in cui lo aveva fatto egli stesso. Insomma, in molti intellettuali, la necessita', che sentivano, di trovare nel comunismo un forte progetto di valori e di trasformazione del mondo (al di la' dell'analisi storica che si poteva certamente gia' fare con molta maggiore comprensione), si intrecciava con le vicende personali, che poi, nel determinare la scelta di lasciare o meno, avevano anche il sopravvento. Se si guarda alla storia del comunismo e' comunque impressionante vedere quanti sono quelli venuti via. E quelli che sono rimasti comunisti fino in fondo sono in genere personaggi di terzo, quart'ordine. Anche questo dato meriterebbe una riflessione: i migliori se ne vanno, per scelta o perche' vengono cacciati, o perche' uccisi o perche' si uccidono. Quale fosse in realta' il rapporto fra comunismo e mondo della cultura lo si vede in queste scelte, non gia' in un'adesione continua e felice, che comunque non ci fu mai, almeno per i personaggi piu' importanti. * - "Una citta'": Ma perche' neppure oggi si riconosce l'importanza dell'anticomunismo di sinistra? A parte il rimpianto per il fatto che furono cosi' pochi, e vien da chiedersi se questo fosse ineluttabile, perche' ancora oggi non viene reso l'onore dovuto a questo piccolo, sparuto numero di coraggiosi che pagarono cara la loro chiaroveggenza? Fra l'altro, lo ripeto, un tale riconoscimento, da parte dei post-comunisti, avrebbe anche un significato politico niente affatto trascurabile... - Marcello Flores: No, questo riconoscimento non c'e' stato e non c'e'. Del resto, a mio avviso alcuni pregiudizi della cultura comunista, per esempio che non si esce dal comunismo se non tradendo, rimangono... E questo va veramente al di la' di ogni considerazione razionale. Questo vale innanzitutto per coloro che continuano ad avere il nome comunismo nelle proprie bandiere, nei propri giornali e che non capiscono che se il comunismo ha dei valori non possono che essere quelli che ha incarnato storicamente e non certo altri addirittura opposti a quelli (a meno di non considerare il comunismo una specie di chiesa: la chiesa di Roma puo' essere corrotta ma poi ci sono i santi che pur continuando ad appartenere alla chiesa, in realta' rappresentano valori opposti, ma, appunto, parliamo di chiese). Ma questo vale sicuramente anche per gli ex-comunisti, che sembrano ancor oggi aver paura - pur essendo approdati anche loro a certe conclusioni - di riconoscere la ragione e il valore di chi li ha preceduti di qualche decennio, perche' ne risulterebbe smentita gran parte della propria storia. Questo e' forse l'aspetto piu' importante della riflessione. Da questo punto di vista anche la generazione del '68 non e' stata capace di fare, non direi un'autocritica, ma una discussione collettiva che coinvolgesse poi altri temi come, ad esempio, la violenza o la tematica dei diritti. Anche qui ci sono stati solo percorsi individuali. Certo, il '68 come movimento si e' poi disperso in mille rivoli diversi ed e' difficile individuare chi potrebbe rappresentarne la continuita' e l'identita', pero' e' anche vero che non c'e' stato da parte di quella generazione un fare i conti costante e coerente. * - "Una citta'": In quelli del '68 puo' esserci stato anche un di piu' di furbizia, nel senso che il loro comunismo, anti-Russia o anti-Pci in nome di una qualche purezza, e' stato poi considerato non altrettanto grave di quello degli anni '30, quando poi con Mao, o con Pol Pot, succedevano cose addirittura peggiori di quelle accadute in Russia negli anni '30... - Marcello Flores: Ma funziona sempre la stessa logica: tenere separato un modello astratto dalla verita' storica e dalla politica. Il punto di riferimento diventava Mao o Fidel Castro solo per criticare il comunismo sovietico. Non si metteva mai in discussione il comunismo in quanto tale, che era l'unica cosa che in nome di liberta', democrazia e diritti si poteva e si doveva fare. * - "Una citta'": Mi ha sempre colpito che il '68 non sia "andato a trovare" Chiaromonte. Solo quello polacco, e non e' un caso. E' morto nel '72, c'era tutto il tempo per andarlo a trovare... - Marcello Flores: Certo, ma i militanti degli anni '60 avevano per l'appunto come punto di riferimento il mondo comunista e non e' un caso che in quegli anni ci sia la riscoperta di tutte le piccole eresie comuniste internazionali, pero' sempre all'interno del comunismo, o se si vuole dell'anarchismo, perche' l'idea era quella della rivoluzione. Chi non credeva alla rivoluzione proprio non interessava. * - "Una citta'": Possiamo dire qualcosa su questa storia dei soldi della Cia? Sembra che siano chissa' quale scandalo, mentre stiamo parlando dei processi di Mosca, di milioni di morti, di regimi orrendi che hanno devastato l'Europa per mezzo secolo. Sono cose incommensurabili. Mi sembra che questo atteggiamento denoti anch'esso una parte del problema. A parte il fatto, poi, che Chiaromonte non ne sapeva nulla e pare ne abbia fatto un dramma... Mary McCarthy scrive a Hannah Arendt che non si dava pace. - Marcello Flores: Certo, il Congresso per la liberta' della cultura ebbe sovvenzioni dalla Cia anche se molti ne erano all'oscuro. Intanto non bisogna dimenticare che la Cia nasce in Europa come Oss, cioe' come il servizio democratico che tiene i collegamenti con i partigiani durante la guerra, che aiuta le resistenze. Subito dopo la guerra diventa una vera e propria agenzia che punta molto a sollecitare la cultura democratica non comunista europea. O almeno questa era l'idea di alcuni suoi uomini, che verranno poi messi in minoranza nell'epoca del maccartismo, quando l'America andra' in tutt'altra direzione. L'idea era quella che solo un anticomunismo sorretto da una forte cultura democratica avrebbe avuto qualche possibilita' di successo nella competizione coi comunisti. E questa e' inizialmente tutta la scommessa del Congresso per la liberta' della cultura. Se si vanno a vedere le personalita', se si vanno a leggere i numeri delle riviste, "Tempo presente" in Italia, "Preuves" in Francia, "Encounter" in Gran Bretagna, troviamo il fior fiore degli intellettuali dell'epoca. Di fatto pero' la polemica della sinistra, del Partito comunista e dei comunisti in generale, nei confronti di tutti quelli che non si schieravano al loro fianco, era sempre totale. Se uno difendeva l'America, anche se dal punto di vista della sua parte liberal e democratica, era automaticamente un maccartista. Tra l'altro quando si scopre che la Cia ha pagato queste riviste siamo nel 1968 e negli Stati Uniti la polemica della nuova sinistra contro la vecchia sinistra, rimasta tardo-comunista o del tutto schierata con l'establishment, ha una qualche ragione. Pensiamo alle vicende dei trotzkisti. D'altra parte la Cia cerco' anche, di fronte a un tipo di pittura che in Europa era ancora di tipo realista figurativa, di portare l'unico elemento di avanguardia, di novita' che avrebbe potuto scuotere ed egemonizzare il mondo dell'arte, che era quello dell'espressionismo astratto. Certo, se uno si immagina la Cia come un covo di reazionari fa fatica a credere che sponsorizzassero Pollock e cosi' via. Invece la cosa rientrava proprio in questa strategia di rompere l'egemonia della cultura comunista nelle arti figurative. Inoltre questi meccanismi vanno poi avanti per conto loro. La Cia e l'establishment americano, lo si vede in tutti i carteggi, spesso sono insoddisfatti del ruolo che ha il Congresso per la liberta' della cultura, perche' non riescono a sfondare a sinistra, che era il loro obiettivo, per cui contemporaneamente vengono messe in piedi le operazioni che saranno quelle proprie del maccartismo, arrivando a trasformare le Usis in Europa, censurando i libri degli scrittori democratici e cosi' via. In tutto questo c'e' poi una qualche continuita' che in parte e' residuale, si va avanti per la strada intrapresa... Certo, tenendo conto che la stragrande maggioranza dei membri del Congresso, a parte tre o quattro all'inizio, non sapevano di questi pagamenti, il fatto non avrebbe dovuto significare un granche'. E' vero, uno puo' dire che ci si deve domandare con quali soldi si produce la rivista in cui si scrive, come giustamente si diceva per la sinistra anche negli anni '60, quando i soldi venivano da paesi socialisti arabi, o Albania, o Cile. Soprattutto quando si ha una volonta' di intervenire sulla questione morale queste cose bisogna averle presenti. Pero' credo che si possa dire con certezza che non sono stati i soldi della Cia a spingere Koestler o Silone a scrivere quello che scrivevano. Probabilmente senza i soldi della Cia non avrebbero trovato lo stesso spazio per farlo, pero' loro scrivevano quello in cui realmente credevano e che volevano, qualcosa che peraltro non rappresentava affatto la politica della Cia e dell'establishment americano. Lo stesso, tra l'altro, e' piu' difficile da dire per la parte comunista, dove chi non scriveva in modo ortodosso, veniva immediatamente allontanato. * - "Una citta'": Torniamo a Koestler. Il suo suicidio? - Marcello Flores: Koestler fece, insieme alla sua ultima compagna, la scelta volontaria del suicidio cosciente, quando videro che non c'era piu' nessuna possibilita' per una vita autonoma e autosufficiente. Decisero quando chiudere. Questo credo dia ancora una volta il senso della sua grande figura di laico, di intellettuale critico e autonomo nelle proprie convinzioni e nelle proprie scelte. * - "Una citta'": Fu anche un grande cosmopolita... - Marcello Flores: Sapeva molte lingue e quelle che non sapeva fu costretto a impararle perche' visse in posti diversi. Ebbe un rapporto con la tradizione culturale europea estremamente ricco e da questo punto di vista rappresenta qualcosa di anomalo nel mondo comunista. Come ho detto all'inizio era un intellettuale mitteleuropeo, aveva legami con Roth, con un mondo anche letterario con cui condivideva un background particolare e diverso, si interessava anche della psiconalisi, cosa che nel mondo comunista era invece un tabu' assoluto. Interrogarsi sul destino degli individui... * - "Una citta'": Pare che Togliatti dicesse che a leggere Freud si finiva "nell'anticamera di un lupanare"... - Marcello Flores: Gia', Freud uguale sesso uguale prostituzione... Ecco, quella era la cultura. 5. LETTURE. MARTIN LUTHER KING JR: IL SOGNO DELLA NONVIOLENZA Martin Luther King Jr, Il sogno della nonviolenza. Pensieri, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 120, euro 6. Una raccolta di brevi estratti da scritti e discorsi di Martin Luther King organizzati tematicamente, con una introduzione di Coretta Scott King, alcune fotografie, l'atto del Congresso e quello presidenziale di proclamazione del "Martin Luther King Jr day", una cronologia essenziale. Un volumetto che puo' essere utile per un primo accostamento. Tre sole osservazioni. La prima: sono ben poco utili e possono prestarsi a profondi fraintendimenti queste raccolte di frammenti ridotti a brevi aforismi estratti da piu' ampi testi: la decontestualizzazione ovviamente non giova alla chiara intellezione; e' per questo che ad esempio un'antologia gandhiana come Antiche come le montagne - pur patrocinata dall'Unesco - e' ben poco utile e un'antologia gandhiana come Teoria e pratica della nonviolenza curata da Giuliano Pontara e' invece utilissima; un King in pillole, un Gandhi in pillole, non servono a niente e a nessuno, se non come lampo verbale che sempre puo' risvegliare, come mnemonica spina nella carne, e invito a volerne sapere di piu'. La seconda: ahinoi, prestigiosi editori italiani continuano ad usare la locuzione "non violenza" invece della parola "nonviolenza"; come e' noto si tratta in realta' di due espressioni che rinviano a cose distinte e quasi opposte; nonviolenza (termine coniato da Aldo Capitini per tradurre i due termini "ahimsa" e "satyagraha" con cui Gandhi definiva la sua proposta di lotta e di ricerca) non e' il mero astenersi dal mal fare, ma e' la lotta la piu' nitida e la piu' intransigente contro la violenza, ed e' concetto le cui implicazioni epistemologiche, assiologiche, metodologiche ed operative - e politiche in senso forte - sono cosi' dense e profonde e preziose che sempre duole vederlo mettere in caricatura dalla non innocente ignoranza dell'industria culturale. La terza: l'uso della parola "sogno" del titolo e' sintomatico di un pregiudizio ideologico: la nonviolenza e' tutto fuorche' sogno: e' lotta concreta nella situazione concreta, e' conflitto, e' forza. E' contrasto il piu' netto e il piu' duro tanto del realissimo incubo che i poteri assassini dominanti pretendono imporci come migliore - anzi: unico - mondo possibile, tanto dei sogni evasivi e pusillanimi di furbi e ingenui visionari, salottieri e gnostici vecchi e nuovi. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 67 del 22 aprile 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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