La nonviolenza e' in cammino. 1444



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1444 del 10 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Afghanistan
2. Corea
3. "Azione nonviolenta" di ottobre 2006
4. Il Centro per lo sviluppo creativo "Danilo Dolci" ricorda Franco Alasia
5. Mao Valpiana: Un invito a Verona il 21-22 ottobre per il seminario su "La
politica della nonviolenza"
6. Un ciclo di incontri a Ferrara
7. Franca Fossati: La violenza degli uomini
8. Antonino Drago presenta il suo nuovo libro "Difesa popolare nonviolenta"
9. Guglielmo Ragozzino presenta "Identita' e violenza" di Amartya Sen
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. AFGHANISTAN

Come si puo' accettare che l'Italia continui a partecipare alla guerra e
all'occupazione afgana, ad essere corresponsabile delle stragi afgane,
stragi che sono terrorismo e che ulteriore terrorismo provocano?
Come si puo' accettare che governo e parlamento persistano nella violazione
della nostra legge fondamentale che la guerra ripudia?
Come si puo' accettare di essere complici della guerra terrorista?

2. EDITORIALE. COREA

Non si e' mai fermata la corsa al riarmo atomico.
Solo rallentata, e per brevi periodi, l'avevano le iniziative di alcuni
governanti (quasi solo Gorbaciov) e di estesi movimenti (le campagne
antinucleari nelle fasi di piu' ampia e visibile mobilitazione).
Ma fermarla e' necessario.
E per fermarla occorrono iniziative adeguate, delle istituzioni come dei
movimenti (iniziative: non proliferazione di proclami, sigle, organigrammi e
convegnistica pressoche' autoreferenziali).
*
Ma non si fermera' il riarmo atomico se non si contrasta il riarmo tout
court, se non si contrasta il miltarismo e la guerra, se non si avvia una
politica internazionale fondata non su armi ed eserciti, ma su nonviolenza e
cooperazione: ovvero sul disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti.
E non si fermera' il riarmo atomico se non si contrasta anche il nucleare
cosiddetto civile. Sarebbe bene che nel nostro paese si recuperasse la
memoria delle lotte e delle riflessioni che vent'anni fa fermarono il
nucleare.

3. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI OTTOBRE 2006
[Dalla redazione di: "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123
Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) riceviamo e volentieri diffondamo]

E' uscito il numero di ottobre 2006 di "Azione nonviolenta", rivista del
Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964; mensile di
formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in
Italia e nel mondo.
In questo numero: Costruiamo l'arca prima che cominci il diluvio. Analisi e
proposte del movimento per la pace, di Nanni Salio; Diagnosi, prognosi e
terapia per la questione Iran, di Johan Galtung; L'esperienza dell'Unione
Europea per una pace sostenibile in Medio Oriente, di Johan Galtung; L'acqua
e' un bene pubblico, non privatizzabile, un diritto umano universale. Per
tutti, di Simone Grillo; Riflessioni e proposte dopo il referendum
costituzionale, di Luigi De Carlini; Impressioni (personali) dal convegno di
Calambrone, di Rainer Girardi; L'attualita' di Danilo Dolci e la
progettazione dal basso trent'anni dopo la scuola sperimentale di Mirto in
Sicilia, di Lorenzo Porta; Didattica con i video di "Una forza piu'
potente", di Giorgio Barazza.
E le consuete rubriche: Educazione. Il teatro dell'oppresso come strumento
di educazione alla pace, a cura di Pasquale Pugliese; Disarmo. Santa Beretta
proteggici tu!, a cura di Massimiliano Pilati; Economia. La vera storia del
canale di Panama, a cura di Paolo Macina; Giovani. Qui le aquile imparano a
volare e  i sogni a cavalcare le stelle, a cura di Laura Corradini; Per
esempio. Dare voce ai bambini vittime della guerra civile, a cura di Maria G
. Di Rienzo; Cinema. Storia di un immigrato fra delusioni e violenze, a cura
di Flavia Rizzi.
In copertina: Quanto male fa la guerra. In ultima: Materiale disponibile. In
seconda: Pax et Biani: imbarcazioni e diluvio
*
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando e-una mail a:
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'"
Per ulteriori informazioni e contatti: "Azione nonviolenta", via Spagna 8,
37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org,
sito: www.nonviolenti.org

4. MEMORIA. IL CENTRO PER LO SVILUPPO CREATIVO "DANILO DOLCI" RICORDA FRANCO
ALASIA
[Ringraziamo Amico Dolci (per contatti: amicodolci at libero.it) per averci
inviato il seguente comunicato del Centro per lo sviluppo creativo "Danilo
Dolci".
Amico Dolci, musicista e amico della nonviolenza, figlio di Danilo Dolci, ne
prosegue l'opera educativa e di suscitamento e riconoscimento di umanita'.
Franco Alasia, nato a Nole Canavese (Torino) nel 1927 e scomparso
nell'ottobre 2006 dopo una lunga malattia, collaboratore di Danilo Dolci,
impegnato nella lotta nonviolenta contro la mafia, per il lavoro e la
dignita' di tutti; era stato studente-operaio alle scuole serali di Sesto
San Giovanni (Milano) dove incontro' Danilo Dolci, che vi insegnava; fu
principale collaboratore di Dolci nelle lotte contro la mafia e per la piena
occupazione in Sicilia dal 1950 e per oltre un ventennio; insieme a Dolci
condusse il digiuno del novembre 1957 nel quartiere di Cortile Cascino a
Palermo per denunciare la situazione dei quartieri poveri; nel 1965 quando
furono resi pubblici i risultati dell'inchiesta sui rapporti tra mafia e
politica condotta da Dolci e Alasia col metodo dolciano dell'autoanalisi
popolare entrambi subirono un'ennesima persecuzione giudiziaria; il 25 marzo
del 1970 Danilo Dolci e Franco Alasia con l'esperienza di Radio Libera, "la
radio dei poveri cristi" realizzata dal Centro studi e iniziative di Dolci a
Partinico (Palermo), denunciarono il potere mafioso-clientelare che si era
appropriato dei fondi destinati ai terremotati della valle del Belice, e
subirono un'ennessima persecuzione giudiziaria (ma proprio da quella prima
esperienza nacque successivamente la stagione delle radio libere); nel 2004
e' stato insignito di medaglia al valore civile dal Presidente della
Repubblica. Tra le opere di Franco Alasia: (con Danilo Montaldi), Milano,
Corea, Feltrinelli, Milano 1975.
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43
dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di
Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale
(Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente
contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'.
Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di
massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del
1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica
scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento"
ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e
botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il
28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver
lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a
Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu'
povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio
al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la
denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si
impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la
costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a
Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le
disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro
intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2
febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di
disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una
strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958)
si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del
fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli
attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a
Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci
e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a
processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo
metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E'
convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non
nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di
costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro
economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che
faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento
di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per
tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno
necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni,
per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di
migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e
cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per
valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti
internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto,
frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con
numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla
distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci
evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi
al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di
effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione
capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della
complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone
"all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a
tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco
adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu'
recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra
esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica
e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge
della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30
dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo
spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel
portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita".
Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento
segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e
di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di
poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di
riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988;
La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le
opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze
1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988
(sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe
Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo
Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro
fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e
la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali
audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo
Dolci. Memoria e utopia, 2004. Tra i vari siti che contengono molti utili
materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.net,
www.danilodolci.toscana.it, danilo1970.interfree.it, www.nonviolenti.org]

Il Centro per lo Sviluppo Creativo "Danilo Dolci", in collaborazione con il
Liceo socio-psico-pedagogico "Danilo Dolci" di Palermo, dedichera' la
giornata del 14 ottobre al ricordo di Franco Alasia, appena scomparso.
All'incontro parteciperanno, oltre agli studenti e agli insegnanti coinvolti
nei laboratori maieutici, membri dell'associazione, familiari e testimoni di
tante iniziative promosse da Dolci sin dagli anni '50.
Attualmente il Centro si dedica alla conservazione e alla valorizzazione
dell'archivio storico e del patrimonio culturale di Danilo Dolci, oltre
all'acquisizione di altro materiale documentaristico sparso nel mondo.
*
Franco Alasia, per tanti anni infaticabile e insostituibile collaboratore
del Centro, scrittore di valore, autore di importanti inchieste sulle
condizioni di vita nelle aree piu' povere del Paese, e' stato una persona
che coraggiosamente, con un lavoro quotidiano e approfondito, ha contribuito
a costruire un'Italia piu' democratica e piu' civile.
La sua, come quella di Dolci, e' stata la storia di un "emigrante alla
rovescia", che ha deciso di lasciarsi alle spalle la sicurezza economica e
una vita tranquilla, per impegnarsi in prima persona, con tenacia e
generosita', nella difficile situazione della Sicilia occidentale del
dopoguerra, pagando di persona a prezzo di digiuni, minacce e processi.

5. INCONTRI. MAO VALPIANA: UN INVITO A VERONA IL 21-22 OTTOBRE PER IL
SEMINARIO SU "LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA"
[Da Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di
"Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax
0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo
e volentieri diffondiamo il testo aggiornato (anche nelle indicazioni
logistiche) di invito al seminario su "La politica della nonviolenza" che si
terra' a Verona il 21-22 ottobre 2006 per iniziativa del Movimento
Nonviolento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e
autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive
ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e'
impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La
nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro
del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento,
responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della
rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini.
Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra
l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di
coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui
e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha
partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di
armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre
membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto
parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio
Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del
"Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei
Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel
giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni,
la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo
autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra
richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]

Si svolgera' a Verona il 21 e 22 ottobre 2006 il seminario promosso dal
Movimento Nonviolento su "La politica della nonviolenza (alla prova della
guerra)".
"Seminario" e' il luogo, fisico o spirituale, della semina. Selezionare le
sementi migliori, piantarle, innaffiarle, concimarle, vederle germogliare,
averne cura, farle diventare delle piante che a loro volta fruttificano,
producono e moltiplicano nuovi semi. Nei seminari si formano le persone
destinate a compiere una certa missione o a coltivare una determinata
disciplina. Nel nostro caso si tratta di una materia davvero speciale: la
nonviolenza.
L'obiettivo del seminario di Verona e' definire e verificare i fondamenti, i
fini e i mezzi, di una possibile strategia della nonviolenza in Italia.
L'appuntamento di ottobre 2006 e' una tappa del lungo cammino che abbiamo
intrapreso nel 2000 con la marcia nonviolenta Perugia-Assisi "Mai piu'
eserciti e guerre", proseguito nel 2004  con la camminata Assisi-Gubbio "In
cammino per la nonviolenza", poi nel 2004 con il Congresso "Nonviolenza e'
politica" e infine nel 2006 con il convegno di Firenze "Nonviolenza e
politica".
Il seminario e' aperto a tutte le amiche e gli amici della nonviolenza che
si sentono a disagio per quanto sta avvenendo in questi mesi nel movimento
per la pace, sia nella base che a livello istituzionale, dopo le vicende del
voto parlamentare sull'Afghanistan, dopo la missione militare in Libano,
dopo l'iniziativa della Tavola della pace ad Assisi, dopo la proposta di una
campagna per il disarmo atomico, dopo i tanti appelli lanciati ma troppo
spesso lasciati cadere...
Ci sembra che una seria riflessione di chi si riconosce nella nonviolenza
organizzata, sia a questo punto doverosa. Invitiamo tutti i singoli e le
associazioni che sentono la difficolta' del dibattito, l'urgenza del
confronto, e l'importanza dell'agire, a partecipare al seminario, portando
un contributo positivo.
Arrivederci a Verona.
*
Programma:
- Sabato 21 ottobre, ore 10: Relazione introduttiva; Prima sessione "La
teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13); Seconda
sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore
15-19); Serata libera, con due proposte: a) Visita guidata alla Mostra del
"Mantegna a Verona" (ore 21-23); b) Laboratorio del "Teatro dell'oppresso"
sui temi discussi (ore 21-23).
- Domenica 22 ottobre, ore 9: Terza sessione "La strategia della
nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11); Conclusioni (ore 11-13).
Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande.
*
Il Seminario si svolgera' presso la Sala Comboni dei Padri Comboniani, in
vicolo Pozzo 1 (rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta, nel
centro storico, vicino a Piazza Isolo).
Il pernottamento e' previsto presso l'Ostello della gioventu' (15 euro, con
prima colazione).
E' necessario prenotarsi entro il 15 ottobre, comunicandolo alla Casa per la
nonviolenza. L'ostello (in via Fontana del Ferro) si trova a cento metri
dalla sede del seminario. Nelle vicinanza vi sono vari locali a prezzi
contenuti per il pranzo e la cena (cena presso l'ostello, solo per gli
ospiti, a 7 euro).
La Sala Comboni e l'Ostello sono situati sulla collina, immersi in un'oasi
verde. Ampia possibilita' di parcheggio. Collegamento diretto dalla Stazione
di Verona Porta Nuova con l'autobus n. 73 (partenza dal marciapiede F ai
minuti 15 e 45 di ogni ora, tempo di percorrenza venti minuti, scendere al
capolinea di Piazza Isolo).
*
Per informazioni e per prenotazioni per l'ostello: Casa per la nonviolenza,
via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

6. INCONTRI. UN CICLO DI INCONTRI A FERRARA
[Dal Gruppo Ferrara Terzo Mondo (per contatti: ftm at ferraraterzomondo.it)
riceviamo e diffondiamo]

Movimento Nonviolento, Legambiente, Gruppo Ferrara Terzo Mondo, Pax Christi
e Commercio Alternativo, con il patrocinio del Comune di Ferrara - Progetto
Ferrara citta' per la pace, nell'ambito della Scuola della nonviolenza, anno
scolastico 2006-2007, in collaborazione con Libera - Coordinamento
provinciale di Ferrara e con Officina, promuovono una rassegna di incontri
sul tema: "Nonviolenza e mafia".
- Mercoledi' 11 ottobre: L'aggiunta della nonviolenza nella lotta alle
mafie, con Agostino Panajia, del Movimento Nonviolento.
- Mercoledi' 18 ottobre: Uscire dai sistemi mafiosi. Quale prospettive
nonviolente? con Enzo Sanfilippo, del gruppo-laboratorio "Percorsi
nonviolenti per il superamento del sistema mafioso" di Palermo.
- Mercoledi' 25 ottobre: Libera a Ferrara, don Anna Bonora e Roberta
Bussolari, dell'Associazione Libera.
- Giovedi' 2 novembre: Le infiltrazioni criminali nelle procedure d'appalto,
con Marco Magri, docente presso la facolta' di giurisprudenza
dell'Universita' di Ferrara.
Gli incontri si tengono alle ore 21 presso il Centro di documentazione
"Alexander Langer", viale Cavour 142, Ferrara.
Per informazioni: Centro "Langer", tel. 0532204890, e-mail
langer at ferraraterzomondo.it, oppure: daniele.lugli at libero.it

7. RIFLESSIONE. FRANCA FOSSATI: LA VIOLENZA DEGLI UOMINI
[Dal sito di "DeA - donne e altri" (www.donnealtri.it) riprendiamo il
seguente articolo originariamente apparso su "Europa" il 20 settembre 2006.
Franca Fossati, intellettuale e giornalista, dal 1987 al 1993 e' stata
direttrice di "Noi donne"]

Gli stupri di fine estate sono usciti dal cono di luce, restituiti alla
cronaca quotidiana insieme agli altri delitti. Ma a Milano le donne delle
istituzioni, sindaca Moratti in testa, continuano a darsi da fare in nome
della sicurezza. Anche sollecitate dalle vittime. Una infermiera, violentata
mentre aspettava l'autobus alle sei di mattina, ha chiesto (e ottenuto)
interventi per ripulire l'area dismessa dove e' avvenuta l'aggressione ("La
stampa", 19 settembre). Ma la maggior parte delle violenze, confermano i
dati Svs ( il Pronto soccorso violenza sessuale della clinica Mangiagalli),
avvengono in famiglia e pongono questioni non risolvibili con piu' polizia e
incroci illuminati.
Per fortuna ci sono mondi, minoritari ancora, dove le notizie scavano. E,
talvolta, producono pensiero e parola. E' il caso del documento sulla
violenza contro le donne reso pubblico in questi giorni sul sito
www.donnealtri.it e ripubblicato da "Il manifesto" e "Liberazione" (19
settembre).
Che c'e' di nuovo o di originale, direte, se in ambiti femministi si parla
di questo tema? Basta guardare "Il paese delle donne on line"
(www.womenews.net) o collegarsi a www.usciamodalsilenzio.org per trovare
dichiarazioni, interventi, prese di posizione, iniziative. Tutte femminili.
La novita' di questo ultimo testo sta invece nelle firme: circa novanta,
finora. E tutte di uomini.
"La violenza contro le donne ci riguarda" dicono i firmatari. "Noi pensiamo
che la logica della guerra e dello 'scontro di civilta'' puo' essere vinta
solo con un 'cambio di civilta'' fondato in tutto il mondo su una nuova
qualita' del rapporto tra gli uomini e le donne" scrivono. E propongono un
appuntamento pubblico per il 14 ottobre a Roma, con l'idea che "una forte
presenza pubblica maschile contro la violenza degli uomini potrebbe assumere
valore simbolico rilevante" (per chi fosse interessato l'indirizzzo e'
appellouomini at libero.it).
A scorrere le firme non se ne riconosce quasi nessuna dei cosidetti opinion
leader, di quelli che producono senso comune alla tv o sui giornali. Ed e'
inevitabile chiedersi se non si tratti di uno sforzo tanto generoso quanto
velleitario, perche' il "cambio di civilta'" non puo' che essere un processo
lungo, che attraversa le generazioni e le moltitudini. Ammesso che sia
possibile.
Ma e' forse la prima volta che percorsi individuali o di piccoli gruppi
maschili di autocoscienza provano a darsi una comunicazione corale e
pubblica. E' un inizio, un segnale da guardare con occhio discreto e non
invadente. Da rispettare.
C'e', in verita', molto pessimismo anche tra le donne. Letizia Paolozzi, ad
esempio, difendendo l'invito alla prudenza rivolto dal prefetto Serra alle
ragazze, sostiene che, anche se la parita' sta ormai nell'agenda dei
governi, "un elemento e' rimasto uguale al passato: il fatto che la
sessualita' maschile sia e resti - in molte, troppe occasioni -
ingovernabile" (www.donnealtri.it). E Marina Terragni si chiede su "Io
donna" se "il dominio della donna" sia "costitutivo dell'identita' di un
uomo" o possa farne a meno. E se autonomia femminile e integrita' maschile
possano tenersi insieme.
Credo che a molte di noi, come a Terragni, piacerebbe ragionare con gli
uomini di questo. Per capire se e' e sara' necessario continuare a non
fidarci di loro.

8. LIBRI. ANTONINO DRAGO PRESENTA IL SUO NUOVO LIBRO "DIFESA POPOLARE
NONVIOLENTA"
[Ringraziamo Antonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per averci
inviato questa presentazione di alcuni temi del suo ultimo libro: Difesa
popolare nonviolenta. Premesse teoriche, principi politici e nuovi scenari,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006, pp. 384, euro 22. Come sovente avviene
in testi di estrema sintesi (e non di rado anche in paludati manuali) alcune
espressioni di seguito usate sono assai schematche e forzate e vanno
ovviamente alquanto relativizzate e talora sottoposte a una decisa disamina
critica non riassumibile in poche righe - bastera' qui averne fatto cenno
(p. s.). Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938, e' stato il primo
presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e
nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica
all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della
nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare
nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti
nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei
piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino
Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza
e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983;
L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la
costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Storia e
tecniche della nonviolenza, La Laurenziana, Napoli 2006; Difesa popolare
nonviolenta. Premesse teoriche, principi politici e nuovi scenari, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 2006]

Per sfatare preconcetti di emotivita' e irrazionalita', i primi tre capitoli
(su otto) del libro sono dedicati alla fondazione razionale (scientifica)
della difesa popolare nonviolenta. Questa fondazione viene raggiunta con una
argomentazione (che viene anche sintetizzata nei paragrafi 5 e 6 della
Prefazione e rappresentata con uno schema nelle pp. 31-34) che, senza
richiedere cognizioni scientifiche particolari, fa buon uso della esperienza
delle teorie scientifiche alternative del passato. Se nonostante la
semplicita' dell'argomentazione, questa fondazione fosse ritenuta troppo
difficile, si possono considerare solo i paragrafi successivi al terzo, e
anche qui i punti successivi al terzo.
*
1) La enormita' del problema (trovare una maniera alternativa di difendersi
da quella che usa le bombe nucleari assieme a tutta l'organizzazione
militare, statale e sociale conseguente) trova soluzione in un vero e
proprio cambiamento di paradigma (secondo la celebre espressione dello
storico della scienza, T. S. Kuhn), per cui dopo il cambiamento la stessa
realta' sociale e storica viene percepita e compresa in una maniera
alternativa (cosi' come fu per le rivoluzioni scientifiche dei quanti e
della relativita'). Per fortuna in questo caso il nuovo paradigma ci e' noto
da vari decenni: e' quello della nonviolenza di Gandhi, la quale ha dato
prova di efficacia storica con la liberazione dell'India e con la
liberazione dei Paesi dell'Est nel 1989.
*
2) Il cambiamento di paradigma (verso la nonviolenza) viene sostanziato con
una nuova maniera di ragionare, induttiva in maniera sistematica, fino a
organizzare una teoria in una nuova maniera. Questa e' la maniera con cui
hanno ragionato e teorizzato Galilei (nascita della metodologia
scientifica), Leibniz (fondazione della scienza alternativa), Lavoisier
(prima teoria scientifica alternativa), S. Carnot (prima teoria fisica
alternativa), Freud (prima teoria alternativa della persona), Marx (prima
teoria alternativa della societa'), Einstein (prima teoria fisica
riconosciuta da tutti come alternativa). La nuova organizzazione e' stata
ricavata infatti dalla comparazione delle maggiori teorie scientifiche
alternative a quella dominante newtoniana ed e' stata coerentemente
applicata per la prima volta al caso di una teoria sociale.
*
3) Questa nuova maniera di ragionare e' precisata formalmente dall'uso di
doppie negazioni che indicano una distinzione che negli ultimi decenni e'
stata dichiarata (dai logici matematici) cruciale: quando affermano indicano
la logica classica, invece quando non affermano indicano che siamo in una
logica del tutto differente, non classica. "Non violenza" e' una doppia
negazione, che non ha una parola equivalente affermativa. Quindi la stessa
parola "non violenza" di Gandhi introduce ad una logica alternativa e ad una
organizzazione alternativa della teoria.
*
4) Si fa leva sulla lunga esperienza storica di movimenti popolari che hanno
realizzato grandi cambiamenti sociali, e perfino affrontato guerre, senza
armi e magari nonviolentemente; dei quali i piu' significativi sono stati il
movimento di Gandhi rispetto all'impero coloniale britannico e i movimenti
del 1989.
*
5) novita' politica (anche rispetto alla teoria marxista), meritoriamente
introdotta nella pratica e nella teoria dai maggiori maestri della
nonviolenza (Tolstoj, Gandhi e Lanza del Vasto): la critica del progresso
occidentale e la proposta di uno sviluppo alternativo; proposta poi ripresa
dagli ecologisti e da molti economisti.
*
6) Unendo queste due scelte alternative (sul tipo di organizzazione e sul
tipo di sviluppo) si ottiene uno (il verde) dei possibili quattro modelli di
sviluppo (introdotti per primo da Galtung negli anni '70); cioe', una
pluralita' di differenti concezioni della vita e del mondo, per cui si
ammettono come compresenti piu' ideologie; quindi non si schiaccia piu' la
realta' in bianco e nero, con uno dei due che vuole schiacciare l'altro per
eliminarlo e cosi' ridurre tutta la realta' al solo suo schema
interpretativo; il che costituisce la principale violenza culturale, il
monolitismo.
*
7) Con i quattro modelli di sviluppo si ottiene di nuovo quello che il primo
pensiero sociale strutturale, il marxismo, inizio': una coscienza storica
del processo storico della modernita'; ma ben presto questa coscienza
storica fu persa, perche' il marxismo mancava di una delle due scelte
alternative che definiscono i quattro modelli di sviluppo; aveva la scelta
alternativa sulla organizzazione economica (in definitiva, della
organizzazione sociale), ma non la scelta sul tipo di sviluppo.
*
8) La fondatezza razionale della difesa popolare nonviolenta (in sgla: Dpn)
e' illustrata dal fatto che essa puo' essere intesa come un idealtipo
weberiano di difesa, in esatta contrapposizione all'idealtipo della difesa
distruttiva tradizionale: questi idealtipi costituiscono due modelli
difensivi opposti e tra loro incommensurabili.
*
9) Le strategie del passato vengono rivisitate interpretandone le tre
maggiori (Sun Tzu, L. Carnot, von Clausewitz) come preludi ad una strategia
nonviolenta.
*
10) Facendo tesoro della tripartizione di Galtung, violenza diretta
(personale), culturale e strutturale (delle istituzioni), si da' una serie
di definizioni di nonviolenza: si passa da quella dell'ambito personale a
quella dell'ambito strutturale, fino all'ambito massimo del cambiamento di
modello di sviluppo allo scopo di costruire quello verde gandhiano.
*
11) Viene proposta una nuova teoria dei conflitti, che include: la teoria su
cui Galtung ha fondato il primo manuale dell'Onu per la risoluzione dei
conflitti, la teoria di Freud (sui conflitti interiori) e quella di Marx
(sui conflitti sociali); inoltre questa nuova teoria sviluppa modelli di
risoluzione di tipo scientifico.
*
12) Viene indicato l'apporto che le teorie scientifiche (dei conflitti)
possono offrire per definire una Dpn: teoria dei giochi, equazioni
differenziali, teoria delle catastrofi, logica, storia della scienza, ecc.
*
13) La Dpn viene cosi' illustrata attraverso i suoi elementi caratteristici:
quelli strutturali (le due scelte alternative a quelle della difesa
distruttiva militare), quelli soggettivi (percezione e concezione
alternativa dei conflitti), quelli oggettivi (solidarieta' sociale,
comunita', logica alternativa, tecniche giuridiche e di azione sociale).
*
14) Vengono elencati i principali scenari della Dpn, rispetto ad ognuno dei
quali la risposta della Dpn deve essere diversa, pur basandosi sempre sulla
solidarieta' sociale.
*
15) Sono elencate le precondizioni sociali (solidarieta' sociale, servizio
civile, protezione civile, ecc.) per realizzare una Dpn movimentista; e
vengono posti i principi politici per realizzare una Dpn organizzata dallo
Stato.
*
16)  Viene valorizzata la parte non armata della Resistenza italiana, che
configura una prima approssimazione storica di una Dpn.
*
17) Per attualizzare la realizzazione della Dpn viene caratterizzato
l'evento epocale per la nonviolenza, il 1989, sia nei suoi mutamenti
strutturali sui modelli di sviluppo nel mondo (nascita di un essenziale
pluralismo di modelli di sviluppo), sia nei concetti di guerra e di difesa,
sia nella strategia del movimento per la pace (italiano e mondiale).
*
18) Vengono illustrate le iniziative movimentiste, sia italiane che
internazionali, per la Dpn in questo particolare momento storico, non piu'
la invasione del Paese rispetto ad una guerra nucleare, ma la interposizione
nonviolenta nei conflitti internazionali.
*
19) Rispetto all'istituzione di una alternativa nella difesa massimamente
distruttiva si considerano i tentativi compiuti finora dagli Stati e poi si
caratterizza il caso italiano come il piu' avanzato del mondo per aver gia'
iniziato la istituzione giuridica della Dpn statale: dal 1985 sono state
emesse in proposito dieci sentenze della Corte Costituzionale, sanciscono la
Dpn l'art. 8 della legge 230/1998 e l'art. 1 della legge 64/2001, la inizia
il decreto del Presdente del Consiglio dei Ministri del 18 febbraio 2004 che
ha istituito il Comitato consultivo per l'Ufficio nazionale del servizio
civile per la difesa civile non armata e nonviolenta.
*
20) Vengono notate le difficolta' del caso italiano per procedere nella
istituzionalizzazione della Dpn: le Ong della cooperazione internazionale
sono deboli (poca autonomia dal Ministero degli Affari Esteri, dagli enti
ecclesiastici e dai partiti, poca attenzione ad una politica contro la
guerra e per la pace); la lotta sociale alla mafia viene condotta ("Libera")
senza rifarsi alla nonviolenza, ma solo alla legalita' formale; dal momento
della istituzione del Servizio civile volontario (2001) gli Enti di servizio
civile hanno cambiato atteggiamento: da sostenitori della obiezione di
coscienza e del suo progetto politico della Dpn, sono caduti in una politica
di loro crescita per mezzo della manodopera, per loro gratuita, dei giovani
in servizio civile; la Protezione civile e' una istituzione statale
evanescente (un solo incaricato governativo e tanto volontariato poco
strutturato); la sinistra politica si da' per sconfitta storicamente, invece
di reagire al 1989 ampliando le sue basi teoriche e sociali; la destra e' in
corsa per l'arricchimento all'americana e per le avventure autoritarie
(giustificate col decentramento statale di tipo leghista); la struttura
militare, per seguire il modello militare Usa, e' sorda ad ogni discorso di
alternativa nella difesa e non presenta nessuna crisi di coscienza personale
di qualche militare; la cappellania militare e' esclusivamente cattolica
(include almeno un centinaio di frati francescani!), e' elevata a parte
integrante della struttura di comando militare  delle Forze Armate ed e'
sempre pronta a benedire come operazione di pace quelle che sono operazioni
di guerra; le scuole di peacekeeping civle volute dall'Onu in Italia sono
nate solo come scuole a cogestione militare (S. Anna Pisa, Roma 3, Torino);
l'Onu che aveva riconosciuto l'intervento civile non armato (Agenda per la
Pace di Ghali) e' stato umiliato dalla politica da ultima superpotenza degli
Usa.

9. LIBRI. GUGLIELMO RAGOZZINO PRESENTA "IDENTITA' E VIOLENZA" DI AMARTYA SEN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 ottobre 2006.
Guglielmo Ragozzino e' giornalista del "Manifesto" e collaboratore de "Le
monde diplomatique".
Amartya Sen, nato a Santiniketan, nel Bengala, nel 1933, e' tra i maggiori
economisti, studiosi sociali e pensatori contemporanei; nel 1998 e' stato
insignito del Premio Nobel per l'economia. Tra le opere di Amartya Sen:
Scelta, benessere e equita', Il Mulino, Bologna 1984; Etica ed economia,
Laterza, Roma-Bari 1988; Risorse, valori e sviluppo, Bollati Boringhieri,
Torino 1992; Il tenore di vita, Marsilio, Venezia 1993; La diseguaglianza,
Bologna 1994; La liberta' individuale come impegno sociale, Laterza,
Roma-Bari 1997; Laicismo indiano, Feltrinelli, Milano 1998; Lo sviluppo e'
liberta', Mondadori, Milano 2000; Etica ed economia, Laterza, Roma-Bari
2003; Globalizzazione e liberta', Mondadori, Milano 2003; La democrazia
degli altri, Mondadori, Milano 2004; L'altra India, Mondadori, Milano 2005;
Identita' e violenza, Laterza, Roma-Bari 2006]

Kader Mia era un bracciante che per sfamare la famiglia era andato a cercare
lavoro in uno dei quartieri ricchi di una citta' del Bengala. Era un giorno
di scontri religiosi. Pugnalato, come musulmano, da attivisti indu', si era
rifugiato nel giardino di un'abitazione privata. Qui aveva chiesto un po'
d'acqua a un bambino. Il padre del bambino, un professore dell'universita',
lo aveva portato all'ospedale, dove Kader Mia, uno di noi, uno qualsiasi,
era morto. Durante il tragitto era riuscito a dire al professore il suo nome
e perche' avesse fatto quel gesto tanto pericoloso - appassionatamente
sconsigliato dalla moglie - di andare a cercare qualche soldo in cambio di
una giornata di fatica, in momenti tanto turbolenti. E' un Amartya Sen
undicenne, il bambino che nel 1944, nel giardino di casa a Dacca, la sua
citta', aiuta come puo' Kader Mia. Dopo sessant'anni quel tragico finale di
uno "scontro intercomunitario" brucia ancora nella mente del grande
pensatore.
Secondo Sen - nel libro Identita' e violenza, Laterza, pp. 219, euro 15 -,
la guerra tra religioni che avrebbe portato pochi anni dopo alla divisione
tra India e Pakistan, accompagnata da massacri ed esodi di popolazione,
poteva essere evitata. Lo scontro tra i fedeli di credi diversi non era - e
non e' mai - l'unica soluzione: la convivenza era possibile ed e' possibile
sempre. Oggi, i fedeli musulmani di cittadinanza indiana, pari di numero
all'intera popolazione del Pakistan, sono secondi nel mondo ai soli
indonesiani. Inoltre, a distanza di un quarto si secolo dalla "spartizione"
dell'India, nel 1971, la stessa Dacca fu investita da una guerra tra
musulmani. "La separazione del Bangladesh dal Pakistan non ebbe nulla a che
fare con la religione, dal momento che il grosso della popolazione, nelle
due parti del Pakistan unito, condivideva la stessa religione, l'islam. Il
movimento separatista nasceva da questioni legate alla lingua, alla
letteratura, alla politica".
*
Racconta Sen che gli inglesi dell'impero volevano a tal punto la divisione
dell'India sulla base delle comunita' religiose che nel 1931 invitarono
Gandhi alla Conferenza di Londra come rappresentante degli "indu' di casta".
Gandhi ci rimase male. Era si' indu', ma sentiva di poter rappresentare
tutti "i milioni di individui taciturni, sfiancati dalla fatica, affamati" e
aggiungeva che, continua Sen, "con uno sforzo supplementare era in grado di
parlare anche a nome della parte restante, cioe' i principi (...) i
proprietari terrieri, le classi colte". E ancora, osservo' Gandhi al primo
ministro inglese "che le categorie inglesi non lasciavano spazio alle donne
indiane", mentre "si da' il caso che siano la meta' della popolazione
indiana".
L'unica presenza femminile alla discussione, Sarojini Naidu, invitata in
rappresentanza delle donne indiane, era stata eletta nel 1925 presidente del
Partito del Congresso - cinquanta anni prima di Margaret Thatcher, annota
Sen - ed era anche poetessa. Donna e poetessa e indiana e capo del
principale partito: tutte queste diverse appartenenze forse facevano girare
la testa ai dignitari inglesi di allora. E di oggi. Gli inglesi del tempo di
Tony Blair, dopo cinquant'anni di lodevole tentativo di integrazione,
ripetono pur sempre l'errore di occuparsi di comunita', non di persone. Cosi
' si sono finanziate le scuole per etnie religiose, rendendo ancora piu'
forti le divisioni e lo spirito di appartenenza alle comunita'. Cosi' si e'
combattuta la parte di islamici cattivi e terroristi, distinguendola da
quella molto piu' consistente degli islamici buoni, democratici e amici
dell'Occidente. Sbagliando due volte, secondo Sen. Sbagliando, come si e'
visto, tanto nell'identificazione dei terroristi che nel riconoscimento dei
buoni. Non esiste la categoria degli islamici integrati e il famoso "cricket
test" di lord Tebbit (a che squadra tiene un inglese di origine pakistana
quando c'e' l'incontro tra Pakistan e Inghilterra?) e' semplicemente privo
di senso.
Donna, poetessa, indiana, capo del partito di maggioranza, e molto altro
ancora. Una persona umana ha tantissimi interessi e compie scelte che ne
fanno un essere unico, libero, diverso da tutti gli altri.
*
E Sen insiste su questo punto, anzi traccia il proprio autoritratto, in un
passo da ricordare: "Io posso essere al tempo stesso un asiatico, un
cittadino indiano, un bengalese con antenati del Bangladesh, residente in
America e in Gran Bretagna, economista, filosofo a tempo perso, scrittore,
sanscritista, convinto assertore del laicismo e della democrazia, uomo,
femminista, eterosessuale, difensore dei diritti dei gay e delle lesbiche,
con uno stile di vita non religioso, di famiglia induista, non bramino, che
non crede nella vita dopo la morte...". E aggiunge che si tratta di un
piccolo campione, ma che molte altre sono le appartenenze che se si presenta
il caso lo "possono influenzare e coinvolgere". Questo vale per lui e vale
potenzialmente per tutti gli umani.
E' quindi un errore madornale quello di voler riferire ogni persona a
un'aderenza obbligata a una religione, a un'etnia, a una cultura, a un
comportamento unico, prescritto e prevedibile, reso obbligatorio dal
pregiudizio comunitario. E Sen cita Sartre: "L'ebreo e' un uomo che gli
altri uomini considerano ebreo... e' l'antisemita che fa l'ebreo". Le
identita' obbligate, il conformismo etnico, religioso, politico, sociale,
ogni forma di comunitarismo sono all'origine di scontri e di violenze che
diventano l'unico modo di affermare la propria appartenenza e forse perfino
la propria esistenza. Esisto solo in quanto la mia comunita' mi accetta e mi
riconosce.
Il bersaglio principale del libro di Sen e' naturalmente "Lo scontro di
civilta'" e quel che segue di Samuel Huntington. La pretesa unicita' dei
valori occidentali, progressivi e democratici; e l'irriducibilita' della
diversita' e del conseguente conflitto con gli altri, le altre forme del
mondo, sono l'opposto di quello che Sen ha capito, studiando proprio la
storia delle civilta'. La prima cosa che ha imparato e' che la democrazia
non e' un'invenzione occidentale, ma un prodotto globale della storia umana.
"C'e' l'abitudine di considerare la democrazia un'idea tipicamente
occidentale". E un tale autoapprezzamento diventa un fatto politico ai
giorni nostri. Il governo democratico stenta a ottenere sufficiente consenso
in Iraq e questa "fatica", piuttosto che all'intervento militare, sarebbe
ascrivibile "a una qualche fantasiosa idea secondo cui la democrazia non
sarebbe adatta all'Iraq, ai mediorientali, o alle culture non occidentali".
Complementare all'idea di una democrazia non esclusiva dell'Occidente, c'e'
l'altra: si tratta di un modo di convivere che ha una storia globale. E Sen
trae dalla sua bisaccia delle appartenenze quella di studioso attento,
capace di comprendere le varie storie del mondo. Se democrazia non e'
soltanto votare, ma anche discutere, in molti paesi del mondo ve ne sono
esempi illuminanti. "Il dibattito pubblico ha una lunga storia in tutto il
mondo".
E con un lampo di malizia, Sen utilizza il piu' amato assertore della
democrazia americana, Alexis de Toqueville: "la grande rivoluzione
democratica", "novita'" per l'America, "in un'ottica piu' ampia poteva
essere vista come parte del fatto piu' antico, continuo e duraturo della
storia". La storia e' una buona, allegra compagna di strada per Sen. Questi,
nel filo del discorso, si serve degli antichi testi vedici, come delle
barzellette del ventennio fascista, fa uso spregiudicato di Alessandro Magno
e di Adam Smith, di Ibn Battuta e di Daniel Pearl, ma non per sfoggiare
cultura o accattivarsi i lettori. Sen vuole dimostrare la globalita' di
quello che sappiamo, di quello che siamo. E in una situazione di violenza
diffusa e di comunita' che lottano senza comprendersi, vede nei giovani dei
movimenti - e cita Seattle e Genova - come i portatori di un interesse reale
per i destini dei propri simili, dell'ambiente e della pace, contro tutti i
comunitarismi. Solo un accenno, un brandello di speranza.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1444 del 10 ottobre 2006

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