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La nonviolenza e' in cammino. 1424
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1424
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 20 Sep 2006 03:32:32 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1424 del 20 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: Il kamikaze arriva in bicicletta 2. La domanda 3. Mao Valpiana: Il Giano bifronte 4. Nanette Braun: Done per la pace fra Israele e Palestina 5. Valeria Ando': Il ruolo della nonviolenza nei conflitti interpersonali non risolti 6. Maria G. Di Rienzo: Lisistrata e' tornata, in Colombia 7. Giulio Vittorangeli: Darsi a vicenda vita, invece di darsi morte 8. Anastassia Issiouk: Non c'e' mare in Cecenia 9. Katy Glassborow: Una giudice all'Aja 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: IL KAMIKAZE ARRIVA IN BICICLETTA I. Alzarsi al buio, prepararsi la pagnottella con la cicoria prendere la bicicletta tastare le gomme se c'e' da gonfiarle andare al cantiere al nero cratere finire in un lampo. Lo vedi adesso che ci siamo anche noi. Lo vedi adesso che non siamo di sasso. Lo vedi adesso quanto dolore. Dover morire per cominciare a esistere. Dover sparire per essere visti. Possa venire il tempo della pace. Possa fermare la tua mano questa pioggia. Il kamikaze arrivo' in bicicletta. * II. Ero venuto in questa fogna solo per dare una mano a questa gente misera. Ci odiano cosi' tanto che dobbiamo farci forza e odiarli anche noi. Mi ha sempre fatto schifo la violenza ma volevo tornare a casa dai miei e se tu mi spari ti sparo prima io. Oggi per una volta respiravo stavamo dando a questi ragazzini qualche giocattolo, qualche caramella ridevo con loro cosi' forte che quasi piangevo. Non voglio morire, non voglio che nessuno muoia mai piu'. Il kamikaze arrivo' in bicicletta. * III. Questi uomini grossi che giocano alla guerra sui loro carri di ferro, con le loro armi di ferro enormi, le loro scatole delle meraviglie. Questi uomini secchi e silenziosi gli occhi gonfi i vestiti lisi le mani tutte nodi della fame i sandali consunti nella polvere. E mosche mosche mosche dappertutto. Questo giorno, questo mondo immenso anch'io diventero' grande anch'io andro' sulla luna anch'io avro' pecore e case anch'io ballero' in televisione. Il kamikaze arrivo' in bicicletta. * IV. E tu che leggi queste righe rotte ed io che non so piu' cos'altro dire perdonami Maria per tanto male perdonami la mia cruda impotenza. Possa venire il tempo della pace. Possa fermare la tua mano questa pioggia. Cospargila di chiodi quella strada falli tornare tutti a casa vivi. 2. EDITORIALE. LA DOMANDA Negli Stati Uniti d'America un vasto movimento - promosso anzitutto da familiari delle vittime - si oppone alla prosecuzione della guerra e dell'occupazione militare in Iraq. Perche' in Italia non c'e' un movimento che si oppone alla prosecuzione della guerra e dell'occupazione militare in Afghanistan? Come possono pretendere di essere credibili le diecimila organizzazioni pacifiste italiane che pontificano su tutto e che tacciono proprio su questo? * Non vogliamo che qualcuno porti la guerra in casa nostra. E allora perche' portiamo la guerra nelle case altrui? * Non vogliamo che le armi ci colpiscano. Ed allora perche' le produciamo, le traffichiamo, le usiamo contro altri? * Chiediamo il rispetto della legalita'. Ed allora perche' consentiamo che il nostro governo e il nostro parlamento totalitariamente prostituiti alla guerra continuino ormai da anni a violare la Costituzione della Repubblica Italiana facendo partecipare il nostro apese a orribili, illegali, criminali guerre stragiste (e tutte le guerre sono stragiste, poiche' di stragi consistono)? * Tutti vogliamo sicurezza e serenita', riconoscimento di diritti e civile convivenza, tutti temiamo il terrorismo. Ed allora perche' ad altri neghiamo sicurezza e serenita', perche' non diamo riconoscimento di diritti e civile convivenza, perche' adottiamo pratiche terroristiche nei confronti di innumerevoli persone e di popoli interi, a Lampedusa come in Afghanistan? * Occorre opporsi al terrorismo: quindi occorre opporsi alla guerra assassina sempre. Occorre opporsi alla guerra: quindi occorre opporsi alle armi che sempre e solo servono a uccidere esseri umani. Occorre opporsi alle armi: quindi occorre opporsi a tutti gli eserciti, a tutti i gruppi armati, pubblici, privati e finanche a ogni singolo armigero, e quindi anche a tutti i produttori, spacciatori e detentori di armi. * Occorre la smilitarizzazione dei conflitti, la gestione e trasformazione nonviolenta dei conflitti. Occorre il disarmo, cominciando noi invece di attendere sempre che cominci qualcun altro. Occorre prestare soccorso alle vittime tutte, poiche' vi e' una sola umanita', ed ogni essere umano ha il tuo stesso volto, il tuo stesso sangue, i tuoi stessi diritti. Occorre la scelta della nonviolenza. 3. EDITORIALE. MAO VALPIANA: UN GIANO BIFRONTE [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento di cui riportiamo ampi stralci. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Due anni fa, il 6 dicembre 2004 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in visita ufficiale in Cina disse al presidente cinese Hu Jintao: "L'Italia e' favorevole all'abolizione dell'embargo sulle esportazioni di armi verso la Cina, deciso dall'Unione europea quindici anni fa, visto che il mantenimento dell'embargo non corrisponde allo spirito della partnership strategica tra Unione europea e Cina. L'Italia sta lavorando perche' i partner europei condividano la necessita' di revocare questa misura, che a nostro modo di vedere e' superata perche' la Cina di oggi non e' quella del dopo Tienanmen". In quell'occasione come Movimento Nonviolento facemmo un duro comunicato, accusando il Presidente della Repubblica di fare il piazzista d'armi italiane in giro per il mondo, e di usare due pesi e due misure: buoni sentimenti per i bambini delle scuole elementari in Italia, e buoni affari per l'industria bellica in Cina. Ora, il 18 settembre 2006, il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha fatto la stessa richiesta di abolizione dell'embargo per vendere armi italiane alla piu' grande dittatura del mondo. Dunque si merita le stesse critiche che facemmo a Ciampi. Anche Prodi e' un Giano bifronte, che plaude alla marcia pacifista Perugia-Assisi quando e' in Italia e poi fa il piazzista d'armi quando e' a Pechino. Lo diciamo per onesta' intellettuale, altrimenti anche il nostro tacere sarebbe ipocrisia. Avevamo sperato che il viaggio del governo italiano in Cina servisse per aprire un varco nella Grande Muraglia ai prodotti della nostra moda e ai diritti umani, e invece quando Prodi parlava di "made in Italy" non pensava alla collezione di "Dolce & Gabbana", ma ai cannoni della Oto Melara! 4. INIZIATIVE. NANETTE BRAUN: DONNE PER LA PACE FRA ISRAELE E PALESTINA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di Nanette Braun per Unifem (Fondo di sviluppo Onu per le donne)] Nazioni Unite, New York. Una delegazione internazionale di donne, comprendente israeliane e palestinesi, giungera' alle Nazioni Unite il 20 settembre per incontrarsi con la presidente della repubblica finlandese Tarja Halonen, nel momento in cui la Finlandia ha la presidenza dell'Unione Europea, nello sforzo di organizzare una pressione politica di alto livello affinche' nella regione mediorientale riprendano le negoziazioni. Assieme alla presidente Halonen ci sara' la presidente della Liberia, Ellen Johnson-Sirleaf, la prima donna capo di stato africana. Nel 2001, come membro di una missione indipendente promossa dall'Unifem, Johnson-Sirleaf ha visitato i territori occupati in Palestina per conoscere le storie delle donne che vivono nelle zone di conflitto. La speranza e' che queste due leader, che rappresentano sia il nord sia il sud, possano aiutare a concentrare l'attenzione internazionale sulla necessita' di risolvere l'annoso conflitto israelo-palestinese. Approfittando dell'apertura della sessantaseiesima sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, le donne incontreranno anche Amr Moussa, che guida la Lega degli stati arabi, i ministri degli esteri delle zone critiche e funzionari Onu di alto livello. * La "Commissione Internazionale di Donne per una pace giusta e sostenibile fra Israele e Palestina" (Iwc) e' stata creata nel 2005 grazie a Noeleen Heyzer, direttrice esecutiva dell'Unifem, su richiesta di donne palestinesi ed israeliane che desiderano una partecipazione femminile significativa ai negoziati di pace. La Commissione ritiene che l'implementazione della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza, che favorisce il coinvolgimento delle donne nelle pratiche di trasformazione dei conflitti, sia fondamentale per riprendere i negoziati ed ottenere da essi migliori risultati. Sin dalla sua creazione, la Commissione ha avuto notevole successo nel mettere insieme donne che vivono realta' ed esperienze differenti, ma che riescono a parlare con una sola voce su un'istanza politica che presenta notevoli difficolta'. A guidare la delegazione a New York saranno la dottoressa Hanan Ashrawi, membro del consiglio legislativo palestinese, e la dottoressa Naomi Chazan, ex deputata della Knesset israeliana nonche' docente di scienze politiche all'Universita' ebraica di Gerusalemme. * La Commissione ha raggiunto un accordo sui punti seguenti, che presentera' ai capi di stato presenti a New York: - le vite dei civili, in special modo quelle di donne e bambini, non devono essere usate come merce di scambio nel tentativo di risolvere l'intensificarsi del conflitto nella regione; - le negoziazioni e i mutui accordi sono i soli mezzi legittimi per arrivare ad una soluzione giusta e sostenibile: misure unilaterali indeboliranno la soluzione che prevede due stati e non porteranno mai una pace durevole; - l'iniziativa della Lega Araba del 2002 fornisce una cornice appropriata per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese e per una pace che interessi l'intera regione; questa iniziativa puo' condurre alla realizzazione di un nuovo Medio Oriente in accordo con i desideri dei popoli che vivono nella regione, piuttosto che la realizzazione di una soluzione imposta dall'esterno; - l'intensificarsi della crisi richiede sia indetta immediatamente una conferenza internazionale per lanciare negoziati permanenti fra stati, basati sulle risoluzioni Onu e sul diritto internazionale, che definiscano anche i meccanismi dell'implementazione delle decisioni prese; - nel frattempo, la comunita' internazionale deve insistere per una completa cessazione delle ostilita', e per la protezione delle persone in Libano e nei territori palestinesi occupati, in accordo con il diritto internazionale: cio' deve essere seguito da misure che esprimano buona volonta', come lo scambio dei prigionieri, la libera circolazione di persone e beni e la cessazione della costruzione del muro di separazione. * Tra gli altri membri della Commissione che saranno presenti alle Nazioni Unite ci sono: Zahira Kamal, ex ministra per gli affari delle donne dell'Autorita' palestinese; Aida Touma-Sliman, direttrice dell'organizzazione Donne contro la violenza; Galia Golan, professoressa emerita dell'Universita' ebraica di Gerusalemme; Leire Pajin Iraola, segretaria di stato spagnola per la cooperazione internazionale; Noeleen Heyzer, direttrice esecutiva dell'Unifem. Nell'agosto 2005 il presidente palestinese Mahmoud Abbas riconobbe la Commissione delle donne con un decreto. Prima di recarsi al'Onu, la delegate palestinesi si sono incontrate di nuovo con il presidente ed hanno ottenuto il suo sostegno. In Israele, l'iniziativa dell'Iwc e' coincisa con l'adozione, da parte della Knesset, di una legge che implementa la risoluzione 1325, e ne e' stato dato riconoscimento all'Iwc stessa. La Commissione delle donne spera di poter offrire alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese analisi politica e nuove proposte per azioni e tecniche che possano servire all'avanzamento del processo di pace. 5. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': IL RUOLO DELLA NONVIOLENZA NEI CONFLITTI INTERPERSONALI NON RISOLTI [Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per questo intervento. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap (Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Carocci, Roma 2005] La nonviolenza e', lo sappiamo bene, trasformazione creativa dei conflitti. Eppure, l'esperienza quotidiana delle relazioni interpersonali ci mostra che in taluni casi non solo i conflitti non si risolvono, ma che e' addirittura impossibile sperimentare modi di separazione giusta, di riconciliazione pur nella distanza, di scambio tra le parti confliggenti improntato a umanita'. E' il fallimento della nonviolenza? Direi di no, ma anzi la circostanza in cui si rivela che la nonviolenza e' innanzi tutto un difficile percorso interiore, una conquista spirituale. Ogni essere umano e' infatti uno scrigno misterioso, che non va forzato ma rispettato nella sua differenza, anche nella sua volonta' di non soluzione. E' allora, di fronte alla chiusura dell'altro, quando ogni forma di dialogo viene rifiutata, che occorre fare appello alla propria forza d'animo, per trasformare creativamente il conflitto dentro di se', traendone comunque un guadagno di riflessione e di crescita spirituale. Non mi riferisco genericamente al di piu' di sapere che ogni esperienza dolorosa della vita comporta, non parlo cioe' di pathei mathos, secondo la celebre espressione di Eschilo, ma vorrei cercare di applicare nozioni e termini chiave specifici della nonviolenza. Il primo e piu' importante, che include al suo interno tutti gli altri, e' l'amore. Continuare ad amare con animo puro il nostro oppositore, chi ci ha fatto del male, chi ci ha offeso e ci offende con la sua chiusura. Secondo l'insegnamento di Gandhi, la forza dell'amore supera la forza cieca e stupida dell'odio, tra gli esseri umani e' l'amore che finisce per prevalere. Per questo, esercitando su di se' l'"intelligente buona volonta'" di cui parla Martin Luther King, desiderare intensamente il bene di chi ci fa ha fatto male, pregare, chi ha fede, per la sua felicita'. E' facile ricambiare chi ci ama, ma amare l'avversario e' un'impresa dello spirito, ancor piu' ardua nei casi di conflitti non risolti, che sono dunque un'occasione di crescita, il momento in cui ci scopriamo deboli nel nostro orgoglio, fragili nel bisogno di essere amati. Ma se "amare puramente significa consentire alla distanza", secondo Simone Weil, allora la distanza non piu' colmabile e' la condizione di possibilita' di un amore realmente puro, libero da qualunque attaccamento. Accanto all'amore, il rispetto: rispettare la chiusura dell'altro, fare un passo indietro, mettersi da parte, rinunciando all'azione e sostenendo il vuoto. L'empatia e l'ascolto attivo: mettersi in ascolto del silenzio dell'altro, cogliere in esso l'espressione di un disagio e di una sofferenza, riconoscere la propria responsabilita' nel dolore inflitto, assumendolo su di se', sentendolo nella propria carne. Allora la chiusura e il silenzio, disumani in apparenza, riveleranno la sofferta umanita' dell'altro. Il perdono: "Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno. Rimettere loro questo debito. Accettare che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione. Anch'io sono diversa da quella che m'immagino essere. Saperlo e' il perdono" (Simone Weil). Perdonare di cuore con atto gratuito chi ci ha fatto del male, senza aspettarsi ricompensa, perche' il nostro debito personale e' uguale, o superiore, al nostro credito verso l'altro. L'umilta': rinunciare a dire le proprie ragioni, mettere da parte l'orgoglio, accettare il giudizio negativo che e' sotteso alla volonta' di chiusura. Fare la pace nel proprio cuore fino a essere strumenti di pace. Se e' preclusa la via della pace nel conflitto, portare la pace nel proprio animo, radicarla in profondita' nel proprio spirito. Fiducia: pur nella accettazione non rassegnata, sapere che il bene e il male non sono tra di loro in un rapporto quantitativo, ma che anche una piccola ma autentica scintilla di bene finira' per trionfare sul male. 6. ESPERIENZE. MARIA G. DI RIENZO: LISISTRATA E' TORNATA, IN COLOMBIA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] C'e un nuovo pezzo rap che si canta a Pereira, una delle piu' violente citta' della Colombia. Lo hanno scritto e lo cantano le donne. Una delle strofe fa cosa': "Come donne abbiamo valore, non vogliamo stare con uomini violenti, perche' con loro si perde troppo". La autrici sono un gruppo particolare; si tratta infatti delle mogli e delle fidanzate degli uomini delle gang, che hanno chiesto e ottenuto di incontrare il sindaco in questi giorni. Prima si erano trovate tra loro ed avevano dato un nome alla soluzione piu' immediata alla violenza di cui sono testimoni e vittime: disarmo. Nel corso dell'incontro hanno sviluppato uno schema progressivo per giungere a dei risultati, e sono andate a presentarlo all'amministrazione cittadina. Pereira vanta un triste primato di omicidi; solo lo scorso anno in citta' sono state uccise 480 persone. Gli studi compiuti sulle bande criminali locali dicono che gli uomini si uniscono ad esse per desiderio di avere uno status sociale e potere, e perche' credono di essere piu' attraenti sessualmente: la necessita' economica pare non avere un posto rilevante nelle motivazioni. Le donne che hanno relazioni con i membri delle gang devono saperlo bene, perche' la prima mossa che hanno comunicato al sindaco e' questa: non avranno rapporti sessuali con i loro partner sino a che costoro non avranno deposto le armi. "Incrociamo le gambe" e' il motto della campagna. Dozzine di donne, anche al di fuori del gruppo promotore lo hanno gia' sottoscritto. "Io appoggio la loro scelta.", ha dichiarato il sindaco alla stampa, "sono molto preoccupate dal fatto che i loro uomini non vogliono deporre le armi e questa idea da' chiaro ai loro mariti e compagni il messaggio del disarmo". Jennifer Bayer, compagna di un membro di una banda, dice semplicemente: "Vogliamo far loro sapere che la violenza non e' sexy". Lisistrata e' tornata, viva Lisistrata! 7. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DARSI A VICENDA VITA, INVECE DI DARSI MORTE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] La guerra e' disumana, bestiale, stupida. Noi la vediamo da lontano, per quanto arriva quotidianamente nelle nostre case, attraverso le immagini di fatti concreti: stragi, orrori, assassinii, cadaveri, case squarciate. "Cana, fino ad oggi, evocava un festoso banchetto di nozze, reso piu' lieto dal prodigioso vino, servito tra la stupita ammirazione dei commensali, avvezzi a bere a fine pranzo il vino piu' scadente, non quello squisito uscito dal potere del Cristo. Questa scena festosa e prodigiosa era legata fino a ieri al nome del villaggio (forse oggi citta') palestinese. Ma, da oggi in avanti, a quelle liete immagini si sovrappone una scena di orrore e di sangue" (Adriana Zarri). Immagini che una volta avrebbero suscitato, in tutti gli uomini e tutte le donne, la stessa violenta emozione di orrore e disgusto. Avrebbero suscitato un sentimento di condivisa umanita'. Oggi questo sentimento di condivisa umanita' si e' fatto cosa rara. Il dilagare della "guerra preventiva", dopo l'11 settembre, ha preso il sopravvento legittimando il ritorno di una barbarie che si considerava ormai superata. E proprio nel momento in cui, paradossalmente, le guerre in Afghanistan e in Iraq e la proliferazione degli attentati terroristici, Europa compresa, dimostrano il fallimento delle teorie sulla "guerra preventiva". Eppure, giornalmente, restiamo prigionieri della vuota retorica che ha invaso l'universo dei mass-media e dei responsabili occidentali della politica internazionale. Una retorica che nasconde la realta' della situazione, cosi' come le sofferenze che ne derivano, e che sarebbe di cattivo gusto descrivere e raccontare, se si vuole non correre il rischio di essere fatti passare per simpatizzanti dei terroristi. Soprattutto si elude la domanda principale: da dove nasce questo terrorismo? Quali sono le cause? Come si forma l'humus che porta al riprodursi di tanti giovani che inneggiano alla "guerra santa", ai kamikaze ed al terrorismo? Le risposte sono molte, ma quella che dovrebbe indurre noi occidentali a riflettere piu' a fondo, che dovrebbe incidere sulla nostra cultura e sulla nostra politica, mi sembra sia questa: scaturiscono dal sentimento di aver subito ingiustizie e umiliazioni, e dalla sua traduzione in desiderio di vendetta. Vendetta contro l'Occidente che ha dominato e domina tanti paesi islamici. L'attuale esplosione islamista (un fenomeno precipuamente politico, che abusa del sentimento religioso) interpreta dunque, strumentalizzandoli, anche sentimenti nazionalisti ed anticoloniali, che in alcuni settori politici - e per la forza di penetrazione della loro propaganda anche in ampie aree popolari - hanno da tempo abbandonato il linguaggio laico degli anni della decolonizzazione e del terzomondismo. Il mondo arabo-musulmano vive profondamente la sensazione dell'ingiustizia, di cui sente responsabile l'Occidente; i poteri dominanti nel quale rispondono con una forma di integralismo imperiale e con una ulteriore violenza che rafforza il senso d'ingiustizia. Cosi' nel circuito delle uccisioni e delle vendette che generano altre uccisioni ed altre vendette l'umanita' perde se stessa. * Tutto questo e' particolarmente evidente nell'assurdita' del Medio Orente e nella crudelta' di cio' che vive innanzitutto il popolo palestinese. Il caso piu' evidente e' quello di tanti giovani e giovanissimi che non hanno neanche la possibilita' di pensare a chi sono, che faranno di se', la loro avventura umana bruciata in partenza. E' di questi giorni l'anniversario di Sabra e Chatila. Il massacro del 1982 nei campi profughi, ad opera delle milizie filo-israeliane, di circa duemila palestinesi, principalmente donne, vecchi e bambini. Nessuno oggi puo' sostenere che giustizia sia stata fatta. Strano destino quello dei palestinesi, condannati a espiare le colpe dell'antisemitismo europeo e a pagare, con la loro terra e con il loro sangue, uno sterminio che non hanno commesso. Cosi' il dramma della Palestina e' ancora davanti a noi, con tutti i suoi nodi irrisolti, che dovrebbero fare riflettere chi crede nella pacifica convivenza tra i popoli. * Per tutto questo dobbiamo continuare a rifiutare la logica perversa della guerra, che consiste nel darsi la morte a vicenda; e dobbiamo continuare a lavorare per la costruzione della logica cristallina della pace, che si basa su un darsi a vicenda la vita. 8. MONDO. ANASTASSIA ISSIOUK: NON C'E' MARE IN CECENIA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo. Anastassia Issiouk lavora nel Comitato internazionale della Croce Rossa] E' appena piovuto, a Nalchik, e l'aria ha una freschezza sconosciuta a chi e' abituato ai fumi del traffico di Mosca. La donna si muove lentamente nella luce del tramonto e mi raggiunge al tavolino di un caffe'. Beviamo te' e lei mi racconta la sua storia. E' la vicenda di una donna che dalla disperazione e' arrivata ad essere la colonna portante della sua famiglia. E' una donna speciale, una delle tante, che ha lottato per sopravvivere ad anni di conflitto in Cecenia. Qualche anno fa, Luzia si laureo' all'Universita' statale di Mosca e comincio' quella che si annunciava come una promettente carriera di giornalista televisiva a Grozny. "Fui presto promossa al rango di direttrice e cio' che dovevo testimoniare erano i rapidissimi ed allarmanti cambiamenti di governi, ministri e opinioni". Luzia parla senza emozioni visibili, come se stesse narrando la storia di qualcun altro. "Ho deciso di star lontana dalla politica. Mi sono spostata alla relativa sicurezza di un canale che si occupava d'arte. E' stato allora che appresi le annichilenti notizie sulla mia famiglia: nove membri di essa, fra cui una donna incinta e bambini, erano stati uccisi da una bomba sparata nel mezzo del nostro villaggio. Sulle prime non riuscivo a crederci, controllavo ossessivamente il nome del villaggio, ma non c'erano errori, era proprio Katyr-Yurt". Seguirono dolore, disperazione e notti insonni. Durante quel periodo, Luzia venne alla Croce Rossa a chiedere medicine, e vi trovo' anche un lavoro. Dapprima impiegata alle pubbliche relazioni, si e' mossa verso la formazione per le zone e situazioni a rischio, programma che lei ritiene cruciale in una repubblica che sta patendo le terribili conseguenze dei confronti armati. I suoi occhi si accendono, e la sua energia persuasiva e' irresistibile mentre parla delle mine, degli ordigni inesplosi e dei consigli e dell'aiuto che lei da' a chi ne ha bisogno. Molti sono in stato di necessita', in Cecenia; si trova a stento una persona la cui cerchia di amici e parenti non sia stata colpita da queste armi. "Ricordo la signora anziana, russa, che incontrai a Grozny. Aveva trovato un ordigno inesploso incastrato proprio nelle fondamenta della sua casa. Singhiozzava, pregando gli sminatori di non distruggere l'intero edificio, promettendo che non avrebbe disturbato la bomba. Tuttavia, essa avrebbe potuto esplodere semplicemente per le vibrazioni di un camion di passaggio. Alla fine la casa dovette essere demolita, fra le lacrime di dolore e di rabbia di questa donna. Potrei raccontare migliaia di storie come questa. Allora eravamo molto ignoranti e non consci del pericolo. La maggior parte della gente diceva: che la guerra finisca, intanto, poi ci preoccuperemo delle mine". Luzia e' coinvolta ormai da cinque anni nel lavoro sulle mine. Ha passato ore interminabili a viaggiare da una comunita' colpita dal problema a un'altra, parlando con la gente, condividendo le sue esperienze, insegnando alle persone come salvare le proprie vite. Come si puo' misurare il successo di un lavoro del genere? Dal numero di incontri tenuti? Sono stati centinaia e centinaia, dai capi delle comunita' agli insegnanti, dalle autorita' locali ai giornalisti, dai bambini agli adulti. Dal numero di eventi speciali? Ce ne sono stati dozzine: spettacoli di marionette per i piccoli, partite di calcio fra vittime delle mine, gare di poster educativi, mostre, ed altro ancora. Dal numero di vite salvate? Nessuno puo' contare le morti e le mutilazioni che non sono avvenute. Luzia non ha ancora avuto spiegazioni su cio' che e' accaduto alla sua famiglia. Sta ancora aspettando risposte, grata almeno di poter aver accanto suo figlio e di poter sostenere i familiari che restano, e fare piani per il futuro. Davanti ad un piatto tradizionale ("galushki") in casa di Luiza, ricordo un verso di un poeta ceceno che se ne sta saldo nel fondo del mio cuore: "Ho raccontato la mia storia al mare, ed il mare ha cominciato a ribollire". Non c'e' mare, in Cecenia, ma c'e' la storia di una donna coraggiosa che non si e' arresa mai. 9. PROFILI. KATY GLASSBOROW: UNA GIUDICE ALL'AJA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Katy Glassborow per l'"Institute of War and Peace Reporting". Katy Glassborow e' corrispondente dall'Aja dell'"Institute of War and Peace Reporting". Akua Kuenyehia, ghanese, magistrata (attualmente al Tribunale penale internazionale dell'Aja), giurista, docente universitaria, e' stata tra l'altro promotrice e sostenitrice di importanti esperienze di educazione alla legalita' e alla democrazia, e di associazioni finalizzate alla promozione dei diritti delle donne] L'ufficio della giudice Akua Kuenyehia, all'ultimo piano dell'edificio che ospita il Tribunale Penale Internazionale (Tpi) dell'Aja, e' riempito di Africa. Ci sono mappe del continente, arte africana appesa alle pareti, ed uno scaffale con bellissime incisioni africane. La giudice Kuenyehia, una delle tre giudici al Tpi, e' la prima vicepresidente della Corte. E poiche' in questo momento tutte le cause al vaglio del Tribunale sono africane, la giudice ghanese sente che la sua conoscenza del suo paese natale le sta servendo molto. Per esempio, lei e le colleghe sono incaricate di dare l'approvazione alla forma in cui le vittime dei crimini di guerra presentano i loro esposti: il Tribunale ha assunto la misura, senza precedenti, di permettere loro un maggior coinvolgimento nei preliminari. "Quando le persone fuggono dai conflitti, spesso non portano nulla con se'", spiega la giudice Kuenyehia, "percio' non possiamo chieder loro di produrre passaporti, indirizzi e-mail o documenti di lavoro". Essendo la vicepresidente, Akua Kuenyehia e' anche una dei giudici che si occupano di esaminare il materiale relativo ai casi, vagliandone l'ammissibilita', ovvero assesta tutte le prove che poi il pubblico ministero Luis Moreno-Ocampo portera' contro un sospettato di crimini di guerra, e decide assieme agli altri magistrati quali casi verranno portati a giudizio. Gia' docente di diritto penale, diritto di genere e diritti umani internazionali all'Universita' del Ghana, la giudice e' stata anche coautrice di numerosi testi e di articoli assai influenti sui modi di interpretare ed implementare le leggi nel suo continente. Mi dice che in passato ha trascorso ore intere a discutere i vari casi con suo marito, che e' un avvocato ghanese tuttora in attivita'. Ha cercato di incoraggiare le donne africane a raggiungere una miglior comprensione del sistema legale, dando vita a reti di professioniste nel campo giudiziario che si recano di persona nelle varie comunita' a promuovere la conoscenza dei diritti e delle istanze legali. Akua Kuenyehia ha rappresentato il Ghana all'Onu, nel comitato per la "Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione verso le donne" (Cedaw) del 2003. Joana Foster, prima consigliera di genere nella missione Onu in Liberia, mi racconta che la giudice Kuenyehia e' in grado di mobilitare la gente comune per le convenzioni tipo Cedaw, finendo per costruire organizzazioni cosi' influenti che i governi non hanno altra scelta che ascoltarle. Foster dice che ha contribuito a far diventare un gran numero di gruppi forti attori politici, fra esi "Women in Law and Development in Africa", la Federazione delle donne avvocate del Ghana e il Centro di documentazione per i diritti umani. * La giudice Kuenyehia e' particolarmente interessata ad usare la sua esperienza legale per definire meglio i problemi e trovar loro soluzioni. Per i costumi tradizionali, le donne africane che vivono nel Sahara del sud non ereditano proprieta', sebbene vi sia una legislazione del 1985 che garantisce loro questo diritto. Akua Kuenyehia dice che avere una legge e ottenerne l'applicazione sono due cose del tutto differenti. "La legge tradizionale non e' scritta, ma e' profondamente nota ad ogni uomo e ogni donna. Tuttavia noi non possiamo vivere in un mondo in cui al 50% della popolazione si nega ogni risorsa che potrebbe aiutarne il progresso". Capi' presto che la chiave per portare le donne ad aver accesso ai loro diritti era l'istruzione. Con altre donne avvocate, Kuenyehia apri' centri di consulenza legale ad Accra e Kumasi, per aiutare quelle donne ghanesi che pensavano alla legge come a qualcosa che si applicava a loro solo se erano nei guai con la polizia. "Andare ad incontrare queste donne mi diede una visione dall'interno, di quale impatto la legge aveva sulle loro vite, il che mi aiuto' a capire di quali cambiamenti avevamo bisogno. Perche' le persone rispondano alla legge, e quindi devono essere consultate prima. Non dovremmo mai sottovalutare l'intelligenza delle persone". Prima di partecipare alla Conferenza dell'Onu sulle donne di Pechino, nel 1995, la giudice Kuenyehia convinse tutte le rappresentanti ghanesi ad andare nei mercati e a parlare con le donne, ad ascoltare le loro preoccupazioni e scoprire i loro bisogni. Questo, per le rappresentanti, significo' identificare dove le donne avevano mancanza di conoscenza rispetto ai loro diritti e alle loro prerogative legali, e percio' andarono a Pechino pronte a pianificare tecniche per semplificare le leggi ed aumentare la consapevolezza delle donne. Conseguenza diretta di questo lavoro fu la decisione di Akua Kuenyehia di tenere seminari di formazione alle leader tradizionali, ovvero le cosiddette "regine madri", un titolo ereditario femminile ghanese. Le regine madri, in seno alle loro comunita', ne eleggono il capo di sesso maschile. "Lavora con loro e le addestra", spiega Joana Foster, "cosi', quando il capo eletto presiede uno dei tribunali tradizionali, le 'regine' sono in grado di dargli forti consigli di genere". Oltre a fornire training, l'associazione di Kuenyehia (Centro ricerche di genere "Donne e legge nell'Africa occidentale" di Accra) si confronta spesso con il governo tramite approfondite statistiche per sostenere la necessita' delle revisioni legali. Per esempio, il Centro scopri' che una donna su tre in Ghana viene picchiata dal marito, ed ora una nuova legge sulla violenza domestica sta avanzando nell'iter procedurale. "Stiamo consultando ogni sfumatura di opinione", dice la giudice, "cosi' quando la legge infine passera' ci sara' la sensazione che essa sia veramente condivisa, e rispondente al piu' ampio spettro di punti di vista". Il Centro getta il suo sguardo oltre il Ghana, attraverso tutta l'Africa, per compiere ricerche e condividere le buone pratiche. * Cynthia Grant Bowman, docente di legge alla Northwestern University negli Usa, che assieme ad Akua Kuenyehia ha scritto il libro Genere e legge nell'Africa sub-sahariana, dice che la sua amica ha una speciale sensibilita' sui problemi legali, avendoli visti agire nella realta', sul campo. "La legge non e' una bacchetta magica.", spiega Bowman, "Puo' solo trasformare i problemi reali con lentezza, tramite mezzi politici". Nonostante i numerosi tentativi di riforme legislative, una larga percentuale delle popolazioni africane vive in aree governate da leggi "tradizionali" anziche' scritte. "Le donne non possono avvantaggiarsi delle nuove leggi, se questo significa che esse le mettono al di fuori delle comunita' dalle quali dipendono", dice la docente, e aggiunge che Kuenyehia sa bene che chi formula nuove leggi deve guardare a come le persone sono state governate prima e capire l'impatto che il cambiamento delle leggi avra' sulle loro vite, ed essere sensibile alle implicazioni di questo impatto. "C'e' una saldezza dentro di lei che impedisce a chiunque di coprirle gli occhi. Akua lavora sapendo che sebbene la maggioranza dei paesi africani abbiano adottato i trattati internazionali sui diritti umani, vi sono quelli che non li applicano affatto". La giudice cerca di mitigare questa discrepanza mettendo in rete le donne, come ha fatto creando l'Associazione delle donne avvocate del Ghana. Le avvocate che ne fanno parte vengono incoraggiate ad agire quali mentori per le ragazze dei villaggi piu' remoti. "Quando andiamo a visitare i villaggi le donne sono sorprese nel vedere avvocati di sesso femminile. E chiedono: Mia figlia potrebbe diventare avvocata? Certamente, rispondiamo noi, ma solo se continui a mandarla a scuola". Questa e' una lezione che la giudice Kuenyehia (la maggiore di sei figli, cinque dei quali hanno fatto studi universitari) ha imparato da sua madre, preside di una scuola del Ghana. "Non c'era nessun tipo di contrasto in famiglia rispetto all'istruzione dei figli. Era un dato di fatto". Kuenyehia frequento' dapprima l'Universita' del Ghana, poi quella di Oxford in Gran Bretagna. Di sua madre parla come di un eccellente modello e ricorda di averla vista tener lezione in classe con il bimbo piu' piccolo appeso alla schiena. "Ha avuto un profondo impatto nella mia vita, perche' ogni giorno mi dimostrava che si puo' essere una madre e una professionista". Quando lei stessa era una giovane madre, e docente all'Universita' del Ghana, la sua baby-sitter si licenzio' all'improvviso, e cose' Kuenyehia si porto' i bimbi al lavoro e disse loro di giocare quieti in fondo all'aula, senza disturbare. "Dopo una settimana il rettore mi chiamo' nel suo ufficio e mi disse che era molto impressionato, che un'altra avrebbe potuto restare a casa e lamentarsi di non aver nessuno che le guardasse i bambini". Il figlio maschio della giudice e' oggi un avvocato, ed ha di recente aperto il suo studio in Ghana. La figlia maggiore vive a Londra e lavora nella finanza, la piu' giovane sta per conseguire il master in economia sempre a Londra. "Alle donne si chiede costantemente di provare di essere migliori degli uomini per avere successo nelle loro vite professionali", dice Akua Kuenyehia, rispetto alla sua decisione di finanziare ogni tre anni gli studi liceali di una ragazza ghanese non in grado di pagarli (il liceo in Ghana e' appunto triennale). "Faccio da 'tutrice' ad un sacco di ragazzine, perche' per quanto l'istruzione sia diffusa non e' diffusa abbastanza. Le ragazze sono le prime ad essere costrette abbandonare gli studi se i loro genitori o le loro famiglie sono in difficolta'". Joana Foster e' sicura che la profonda conoscenza dello status delle donne in Africa aiutera' molto la giudice Kuenyehia nel suo lavoro al Tribunale internazionale: "Lei sa che le donne affrontano problemi maggiori, e si assicurera' che abbiano appropriate facilitazioni e che siano trattate ad un livello di eguaglianza". 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1424 del 20 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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