La nonviolenza e' in cammino. 1424



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1424 del 20 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: Il kamikaze arriva in bicicletta
2. La domanda
3. Mao Valpiana: Il Giano bifronte
4. Nanette Braun: Done per la pace fra Israele e Palestina
5. Valeria Ando': Il ruolo della nonviolenza nei conflitti interpersonali
non risolti
6. Maria G. Di Rienzo: Lisistrata e' tornata, in Colombia
7. Giulio Vittorangeli: Darsi a vicenda vita, invece di darsi morte
8. Anastassia Issiouk: Non c'e' mare in Cecenia
9. Katy Glassborow: Una giudice all'Aja
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: IL KAMIKAZE ARRIVA IN BICICLETTA

I.

Alzarsi al buio, prepararsi
la pagnottella con la cicoria
prendere la bicicletta
tastare le gomme se c'e' da gonfiarle
andare al cantiere al nero cratere
finire in un lampo.

Lo vedi adesso che ci siamo anche noi.
Lo vedi adesso che non siamo di sasso.
Lo vedi adesso quanto dolore.

Dover morire per cominciare a esistere.
Dover sparire per essere visti.

Possa venire il tempo della pace.
Possa fermare la tua mano questa pioggia.

Il kamikaze arrivo' in bicicletta.

*

II.

Ero venuto in questa fogna solo
per dare una mano a questa gente misera.
Ci odiano cosi' tanto
che dobbiamo farci forza e odiarli anche noi.

Mi ha sempre fatto schifo la violenza
ma volevo tornare a casa dai miei
e se tu mi spari ti sparo prima io.

Oggi per una volta respiravo
stavamo dando a questi ragazzini
qualche giocattolo, qualche caramella
ridevo con loro cosi' forte
che quasi piangevo.

Non voglio morire, non voglio
che nessuno muoia mai piu'.

Il kamikaze arrivo' in bicicletta.

*

III.

Questi uomini grossi  che giocano alla guerra
sui loro carri di ferro, con le loro
armi di ferro enormi, le loro
scatole delle meraviglie.

Questi uomini secchi e silenziosi
gli occhi gonfi i vestiti lisi
le mani tutte nodi della fame
i sandali consunti nella polvere.

E mosche mosche mosche dappertutto.

Questo giorno, questo mondo immenso
anch'io diventero' grande
anch'io andro' sulla luna
anch'io avro' pecore e case
anch'io ballero' in televisione.

Il kamikaze arrivo' in bicicletta.

*

IV.

E tu che leggi queste righe rotte
ed io che non so piu' cos'altro dire
perdonami Maria per tanto male
perdonami la mia cruda impotenza.

Possa venire il tempo della pace.
Possa fermare la tua mano questa pioggia.

Cospargila di chiodi quella strada
falli tornare tutti a casa vivi.

2. EDITORIALE. LA DOMANDA

Negli Stati Uniti d'America un vasto movimento - promosso anzitutto da
familiari delle vittime - si oppone alla prosecuzione della guerra e
dell'occupazione militare in Iraq.
Perche' in Italia non c'e' un movimento che si oppone alla prosecuzione
della guerra e dell'occupazione militare in Afghanistan?
Come possono pretendere di essere credibili le diecimila organizzazioni
pacifiste italiane che pontificano su tutto e che tacciono proprio su
questo?
*
Non vogliamo che qualcuno porti la guerra in casa nostra.
E allora perche' portiamo la guerra nelle case altrui?
*
Non vogliamo che le armi ci colpiscano.
Ed allora perche' le produciamo, le traffichiamo, le usiamo contro altri?
*
Chiediamo il rispetto della legalita'.
Ed allora perche' consentiamo che il nostro governo e il nostro parlamento
totalitariamente prostituiti alla guerra continuino ormai da anni a violare
la Costituzione della Repubblica Italiana facendo partecipare il nostro
apese a orribili, illegali, criminali guerre stragiste (e tutte le guerre
sono stragiste, poiche' di stragi consistono)?
*
Tutti vogliamo sicurezza e serenita', riconoscimento di diritti e civile
convivenza, tutti temiamo il terrorismo.
Ed allora perche' ad altri neghiamo sicurezza e serenita', perche' non diamo
riconoscimento di diritti e civile convivenza, perche' adottiamo pratiche
terroristiche nei confronti di innumerevoli persone e di popoli interi, a
Lampedusa come in Afghanistan?
*
Occorre opporsi al terrorismo: quindi occorre opporsi alla guerra assassina
sempre.
Occorre opporsi alla guerra: quindi occorre opporsi alle armi che sempre e
solo servono a uccidere esseri umani.
Occorre opporsi alle armi: quindi occorre opporsi a tutti gli eserciti, a
tutti i gruppi armati, pubblici, privati e  finanche a ogni singolo
armigero, e quindi anche a tutti i produttori, spacciatori e detentori di
armi.
*
Occorre la smilitarizzazione dei conflitti, la gestione e trasformazione
nonviolenta dei conflitti.
Occorre il disarmo, cominciando noi invece di attendere sempre che cominci
qualcun altro.
Occorre prestare soccorso alle vittime tutte, poiche' vi e' una sola
umanita', ed ogni essere umano ha il tuo stesso volto, il tuo stesso sangue,
i tuoi stessi diritti.
Occorre la scelta della nonviolenza.

3. EDITORIALE. MAO VALPIANA: UN GIANO BIFRONTE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) per questo intervento di cui riportiamo ampi stralci.
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto
con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

Due anni fa, il 6 dicembre 2004 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi in visita ufficiale in Cina disse al presidente cinese Hu Jintao:
"L'Italia e' favorevole all'abolizione dell'embargo sulle esportazioni di
armi verso la Cina, deciso dall'Unione europea quindici anni fa, visto che
il mantenimento dell'embargo non corrisponde allo spirito della partnership
strategica tra Unione europea e Cina. L'Italia sta lavorando perche' i
partner europei condividano la necessita' di revocare questa misura, che a
nostro modo di vedere e' superata perche' la Cina di oggi non e' quella del
dopo Tienanmen".
In quell'occasione come Movimento Nonviolento facemmo un duro comunicato,
accusando il Presidente della Repubblica di fare il piazzista d'armi
italiane in giro per il mondo, e di usare due pesi e due misure: buoni
sentimenti per i bambini delle scuole elementari in Italia, e buoni affari
per l'industria bellica in Cina.
Ora, il 18 settembre 2006, il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha fatto
la stessa richiesta di abolizione dell'embargo per vendere armi italiane
alla piu' grande dittatura del mondo. Dunque si merita le stesse critiche
che facemmo a Ciampi. Anche Prodi e' un Giano bifronte, che plaude alla
marcia pacifista Perugia-Assisi quando e' in Italia e poi fa il piazzista
d'armi quando e' a Pechino.
Lo diciamo per onesta' intellettuale, altrimenti anche il nostro tacere
sarebbe ipocrisia.
Avevamo sperato che il viaggio del governo italiano in Cina servisse per
aprire un varco nella Grande Muraglia ai prodotti della nostra moda e ai
diritti umani, e invece quando Prodi parlava di "made in Italy" non pensava
alla collezione di "Dolce & Gabbana", ma ai cannoni della Oto Melara!

4. INIZIATIVE. NANETTE BRAUN: DONNE PER LA PACE FRA ISRAELE E PALESTINA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di
Nanette Braun per Unifem (Fondo di sviluppo Onu per le donne)]

Nazioni Unite, New York. Una delegazione internazionale di donne,
comprendente israeliane e palestinesi, giungera' alle Nazioni Unite il 20
settembre per incontrarsi con la presidente della repubblica finlandese
Tarja Halonen, nel momento in cui la Finlandia ha la presidenza dell'Unione
Europea, nello sforzo di organizzare una pressione politica di alto livello
affinche' nella regione mediorientale riprendano le negoziazioni. Assieme
alla presidente Halonen ci sara' la presidente della Liberia, Ellen
Johnson-Sirleaf, la prima donna capo di stato africana. Nel 2001, come
membro di una missione indipendente promossa dall'Unifem, Johnson-Sirleaf ha
visitato i territori occupati in Palestina per conoscere le storie delle
donne che vivono nelle zone di conflitto.
La speranza e' che queste due leader, che rappresentano sia il nord sia il
sud, possano aiutare a concentrare l'attenzione internazionale sulla
necessita' di risolvere l'annoso conflitto israelo-palestinese.
Approfittando dell'apertura della sessantaseiesima sessione dell'Assemblea
generale delle Nazioni Unite, le donne incontreranno anche Amr Moussa, che
guida la Lega degli stati arabi, i ministri degli esteri delle zone critiche
e funzionari Onu di alto livello.
*
La "Commissione Internazionale di Donne per una pace giusta e sostenibile
fra Israele e Palestina" (Iwc) e' stata creata nel 2005 grazie a Noeleen
Heyzer, direttrice esecutiva dell'Unifem, su richiesta di donne palestinesi
ed israeliane che desiderano una partecipazione femminile significativa ai
negoziati di pace. La Commissione ritiene che l'implementazione della
risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza, che favorisce il coinvolgimento
delle donne nelle pratiche di trasformazione dei conflitti, sia fondamentale
per riprendere i negoziati ed ottenere da essi migliori risultati.
Sin dalla sua creazione, la Commissione ha avuto notevole successo nel
mettere insieme donne che vivono realta' ed esperienze differenti, ma che
riescono a parlare con una sola voce su un'istanza politica che presenta
notevoli difficolta'.
A guidare la delegazione a New York saranno la dottoressa Hanan Ashrawi,
membro del consiglio legislativo palestinese, e la dottoressa Naomi Chazan,
ex deputata della Knesset israeliana nonche' docente di scienze politiche
all'Universita' ebraica di Gerusalemme.
*
La Commissione ha raggiunto un accordo sui punti seguenti, che presentera'
ai capi di stato presenti a New York:
- le vite dei civili, in special modo quelle di donne e bambini, non devono
essere usate come merce di scambio nel tentativo di risolvere
l'intensificarsi del conflitto nella regione;
- le negoziazioni e i mutui accordi sono i soli mezzi legittimi per arrivare
ad una soluzione giusta e sostenibile: misure unilaterali indeboliranno la
soluzione che prevede due stati e non porteranno mai una pace durevole;
- l'iniziativa della Lega Araba del 2002 fornisce una cornice appropriata
per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese e per una pace che
interessi l'intera regione; questa iniziativa puo' condurre alla
realizzazione di un nuovo Medio Oriente in accordo con i desideri dei popoli
che vivono nella regione, piuttosto che la realizzazione di una soluzione
imposta dall'esterno;
- l'intensificarsi della crisi richiede sia indetta immediatamente una
conferenza internazionale per lanciare negoziati permanenti fra stati,
basati sulle risoluzioni Onu e sul diritto internazionale, che definiscano
anche i meccanismi dell'implementazione delle decisioni prese;
- nel frattempo, la comunita' internazionale deve insistere per una completa
cessazione delle ostilita', e per la protezione delle persone in Libano e
nei territori palestinesi occupati, in accordo con il diritto
internazionale: cio' deve essere seguito da misure che esprimano buona
volonta', come lo scambio dei prigionieri, la libera circolazione di persone
e beni e la cessazione della costruzione del muro di separazione.
*
Tra gli altri membri della Commissione che saranno presenti alle Nazioni
Unite ci sono: Zahira Kamal, ex ministra per gli affari delle donne
dell'Autorita' palestinese; Aida Touma-Sliman, direttrice
dell'organizzazione Donne contro la violenza; Galia Golan, professoressa
emerita dell'Universita' ebraica di Gerusalemme; Leire Pajin Iraola,
segretaria di stato spagnola per la cooperazione internazionale; Noeleen
Heyzer, direttrice esecutiva dell'Unifem.
Nell'agosto 2005 il presidente palestinese Mahmoud Abbas riconobbe la
Commissione delle donne con un decreto. Prima di recarsi al'Onu, la delegate
palestinesi si sono incontrate di nuovo con il presidente ed hanno ottenuto
il suo sostegno. In Israele, l'iniziativa dell'Iwc e' coincisa con
l'adozione, da parte della Knesset, di una legge che implementa la
risoluzione 1325, e ne e' stato dato riconoscimento all'Iwc stessa.
La Commissione delle donne spera di poter offrire alla risoluzione del
conflitto israelo-palestinese analisi politica e nuove proposte per azioni e
tecniche che possano servire all'avanzamento del processo di pace.

5. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': IL RUOLO DELLA NONVIOLENZA NEI CONFLITTI
INTERPERSONALI NON RISOLTI
[Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per questo
intervento. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di
Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo
di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap
(Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di
trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del
laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di
molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della
donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi
bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci,
Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i
filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2005]

La nonviolenza e', lo sappiamo bene, trasformazione creativa dei conflitti.
Eppure, l'esperienza quotidiana delle relazioni interpersonali ci mostra che
in taluni casi non solo i conflitti non si risolvono, ma che e' addirittura
impossibile sperimentare modi di separazione giusta, di riconciliazione pur
nella distanza, di scambio tra le parti confliggenti improntato a umanita'.
E' il fallimento della nonviolenza? Direi di no, ma anzi la circostanza in
cui si rivela che la nonviolenza e' innanzi tutto un difficile percorso
interiore, una conquista spirituale.
Ogni essere umano e' infatti uno scrigno misterioso, che non va forzato ma
rispettato nella sua differenza, anche nella sua volonta' di non soluzione.
E' allora, di fronte alla chiusura dell'altro, quando ogni forma di dialogo
viene rifiutata, che occorre fare appello alla propria forza d'animo, per
trasformare creativamente il conflitto dentro di se', traendone comunque un
guadagno di riflessione e di crescita spirituale.
Non mi riferisco genericamente al di piu' di sapere che ogni esperienza
dolorosa della vita comporta, non parlo cioe' di pathei mathos, secondo la
celebre espressione di Eschilo, ma vorrei cercare di applicare nozioni e
termini chiave specifici della nonviolenza.
Il primo e piu' importante, che include al suo interno tutti gli altri, e'
l'amore. Continuare ad amare con animo puro il nostro oppositore, chi ci ha
fatto del male, chi ci ha offeso e ci offende con la sua chiusura. Secondo
l'insegnamento di Gandhi, la forza dell'amore supera la forza cieca e
stupida dell'odio, tra gli esseri umani e' l'amore che finisce per
prevalere. Per questo, esercitando su di se' l'"intelligente buona volonta'"
di cui parla Martin Luther King, desiderare intensamente il bene di chi ci
fa ha fatto male, pregare, chi ha fede, per la sua felicita'. E' facile
ricambiare chi ci ama, ma amare l'avversario e' un'impresa dello spirito,
ancor piu' ardua nei casi di conflitti non risolti, che sono dunque
un'occasione di crescita, il momento in cui ci scopriamo deboli nel nostro
orgoglio, fragili nel bisogno di essere amati. Ma se "amare puramente
significa consentire alla distanza", secondo Simone Weil, allora la distanza
non piu' colmabile e' la condizione di possibilita' di un amore realmente
puro, libero da qualunque attaccamento.
Accanto all'amore, il rispetto: rispettare la chiusura dell'altro, fare un
passo indietro, mettersi da parte, rinunciando all'azione e sostenendo il
vuoto.
L'empatia e l'ascolto attivo: mettersi in ascolto del silenzio dell'altro,
cogliere in esso l'espressione di un disagio e di una sofferenza,
riconoscere la propria responsabilita' nel dolore inflitto, assumendolo su
di se', sentendolo nella propria carne. Allora la chiusura e il silenzio,
disumani in apparenza, riveleranno la sofferta umanita' dell'altro.
Il perdono: "Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno.
Rimettere loro questo debito. Accettare che essi siano diversi dalle
creature della nostra immaginazione. Anch'io sono diversa da quella che
m'immagino essere. Saperlo e' il perdono" (Simone Weil). Perdonare di cuore
con atto gratuito chi ci ha fatto del male, senza aspettarsi ricompensa,
perche' il nostro debito personale e' uguale, o superiore, al nostro credito
verso l'altro.
L'umilta': rinunciare a dire le proprie ragioni, mettere da parte
l'orgoglio, accettare il giudizio negativo che e' sotteso alla volonta' di
chiusura.
Fare la pace nel proprio cuore fino a essere strumenti di pace. Se e'
preclusa la via della pace nel conflitto, portare la pace nel proprio animo,
radicarla in profondita' nel proprio spirito.
Fiducia: pur nella accettazione non rassegnata, sapere che il bene e il male
non sono tra di loro in un rapporto quantitativo, ma che anche una piccola
ma autentica scintilla di bene finira' per trionfare sul male.

6. ESPERIENZE. MARIA G. DI RIENZO: LISISTRATA E' TORNATA, IN COLOMBIA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza.
Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne
disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura
di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2005]

C'e un nuovo pezzo rap che si canta a Pereira, una delle piu' violente
citta' della Colombia. Lo hanno scritto e lo cantano le donne. Una delle
strofe fa cosa': "Come donne abbiamo valore, non vogliamo stare con uomini
violenti, perche' con loro si perde troppo".
La autrici sono un gruppo particolare; si tratta infatti delle mogli e delle
fidanzate degli uomini delle gang, che hanno chiesto e ottenuto di
incontrare il sindaco in questi giorni. Prima si erano trovate tra loro ed
avevano dato un nome alla soluzione piu' immediata alla violenza di cui sono
testimoni e vittime: disarmo. Nel corso dell'incontro hanno sviluppato uno
schema progressivo per giungere a dei risultati, e sono andate a presentarlo
all'amministrazione cittadina.
Pereira vanta un triste primato di omicidi; solo lo scorso anno in citta'
sono state uccise 480 persone.
Gli studi compiuti sulle bande criminali locali dicono che gli uomini si
uniscono ad esse per desiderio di avere uno status sociale e potere, e
perche' credono di essere piu' attraenti sessualmente: la necessita'
economica pare non avere un posto rilevante nelle motivazioni.
Le donne che hanno relazioni con i membri delle gang devono saperlo bene,
perche' la prima mossa che hanno comunicato al sindaco e' questa: non
avranno rapporti sessuali con i loro partner sino a che costoro non avranno
deposto le armi. "Incrociamo le gambe" e' il motto della campagna. Dozzine
di donne, anche al di fuori del gruppo promotore lo hanno gia' sottoscritto.
"Io appoggio la loro scelta.", ha dichiarato il sindaco alla stampa, "sono
molto preoccupate dal fatto che i loro uomini non vogliono deporre le armi e
questa idea da' chiaro ai loro mariti e compagni il messaggio del disarmo".
Jennifer Bayer, compagna di un membro di una banda, dice semplicemente:
"Vogliamo far loro sapere che la violenza non e' sexy". Lisistrata e'
tornata, viva Lisistrata!

7. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DARSI A VICENDA VITA, INVECE DI DARSI
MORTE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

La guerra e' disumana, bestiale, stupida. Noi la vediamo da lontano, per
quanto arriva quotidianamente nelle nostre case, attraverso le immagini di
fatti concreti: stragi, orrori, assassinii, cadaveri, case squarciate.
"Cana, fino ad oggi, evocava un festoso banchetto di nozze, reso piu' lieto
dal prodigioso vino, servito tra la stupita ammirazione dei commensali,
avvezzi a bere a fine pranzo il vino piu' scadente, non quello squisito
uscito dal potere del Cristo. Questa scena festosa e prodigiosa era legata
fino a ieri al nome del villaggio (forse oggi citta') palestinese. Ma, da
oggi in avanti, a quelle liete immagini si sovrappone una scena di orrore e
di sangue" (Adriana Zarri).
Immagini che una volta avrebbero suscitato, in tutti gli uomini e tutte le
donne, la stessa violenta emozione di orrore e disgusto. Avrebbero suscitato
un sentimento di condivisa umanita'. Oggi questo sentimento di condivisa
umanita' si e' fatto cosa rara.
Il dilagare della "guerra preventiva", dopo l'11 settembre, ha preso il
sopravvento legittimando il ritorno di una barbarie che si considerava ormai
superata. E proprio nel momento in cui, paradossalmente, le guerre in
Afghanistan e in Iraq e la proliferazione degli attentati terroristici,
Europa compresa, dimostrano il fallimento delle teorie sulla "guerra
preventiva".
Eppure, giornalmente, restiamo prigionieri della vuota retorica che ha
invaso l'universo dei mass-media e dei responsabili occidentali della
politica internazionale. Una retorica che nasconde la realta' della
situazione, cosi' come le sofferenze che ne derivano, e che sarebbe di
cattivo gusto descrivere e raccontare, se si vuole non correre il rischio di
essere fatti passare per simpatizzanti dei terroristi.
Soprattutto si elude la domanda principale: da dove nasce questo terrorismo?
Quali sono le cause? Come si forma l'humus che porta al riprodursi di tanti
giovani che inneggiano alla "guerra santa", ai kamikaze ed al terrorismo?
Le risposte sono molte, ma quella che dovrebbe indurre noi occidentali a
riflettere piu' a fondo, che dovrebbe incidere sulla nostra cultura e sulla
nostra politica, mi sembra sia questa: scaturiscono dal sentimento di aver
subito ingiustizie e umiliazioni, e dalla sua traduzione in desiderio di
vendetta.
Vendetta contro l'Occidente che ha dominato e domina tanti paesi islamici.
L'attuale esplosione islamista (un fenomeno precipuamente politico, che
abusa del sentimento religioso) interpreta dunque, strumentalizzandoli,
anche sentimenti nazionalisti ed anticoloniali, che in alcuni settori
politici - e per la forza di penetrazione della loro propaganda anche in
ampie aree popolari - hanno da tempo abbandonato il linguaggio laico degli
anni della decolonizzazione e del terzomondismo.
Il mondo arabo-musulmano vive profondamente la sensazione dell'ingiustizia,
di cui sente responsabile l'Occidente; i poteri dominanti nel quale
rispondono con una forma di integralismo imperiale e con una ulteriore
violenza che rafforza il senso d'ingiustizia.
Cosi' nel circuito delle uccisioni e delle vendette che generano altre
uccisioni ed altre vendette l'umanita' perde se stessa.
*
Tutto questo e' particolarmente evidente nell'assurdita' del Medio Orente e
nella crudelta' di cio' che vive innanzitutto il popolo palestinese. Il caso
piu' evidente e' quello di tanti giovani e giovanissimi che non hanno
neanche la possibilita' di pensare a chi sono, che faranno di se', la loro
avventura umana bruciata in partenza.
E' di questi giorni l'anniversario di Sabra e Chatila. Il massacro del 1982
nei campi profughi, ad opera delle milizie filo-israeliane, di circa duemila
palestinesi, principalmente donne, vecchi e bambini.
Nessuno oggi puo' sostenere che giustizia sia stata fatta.
Strano destino quello dei palestinesi, condannati a espiare le colpe
dell'antisemitismo europeo e a pagare, con la loro terra e con il loro
sangue, uno sterminio che non hanno commesso.
Cosi' il dramma della Palestina e' ancora davanti a noi, con tutti i suoi
nodi irrisolti, che dovrebbero fare riflettere chi crede nella pacifica
convivenza tra i popoli.
*
Per tutto questo dobbiamo continuare a rifiutare la logica perversa della
guerra, che consiste nel darsi la morte a vicenda; e dobbiamo continuare a
lavorare per la costruzione della logica cristallina della pace, che si basa
su un darsi a vicenda la vita.

8. MONDO. ANASTASSIA ISSIOUK: NON C'E' MARE IN CECENIA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo.
Anastassia Issiouk lavora nel Comitato internazionale della Croce Rossa]

E' appena piovuto, a Nalchik, e l'aria ha una freschezza sconosciuta a chi
e' abituato ai fumi del traffico di Mosca. La donna si muove lentamente
nella luce del tramonto e mi raggiunge al tavolino di un caffe'. Beviamo te'
e lei mi racconta la sua storia. E' la vicenda di una donna che dalla
disperazione e' arrivata ad essere la colonna portante della sua famiglia.
E' una donna speciale, una delle tante, che ha lottato per sopravvivere ad
anni di conflitto in Cecenia.
Qualche anno fa, Luzia si laureo' all'Universita' statale di Mosca e
comincio' quella che si annunciava come una promettente carriera di
giornalista televisiva a Grozny. "Fui presto promossa al rango di direttrice
e cio' che dovevo testimoniare erano i rapidissimi ed allarmanti cambiamenti
di governi, ministri e opinioni". Luzia parla senza emozioni visibili, come
se stesse narrando la storia di qualcun altro. "Ho deciso di star lontana
dalla politica. Mi sono spostata alla relativa sicurezza di un canale che si
occupava d'arte. E' stato allora che appresi le annichilenti notizie sulla
mia famiglia: nove membri di essa, fra cui una donna incinta e bambini,
erano stati uccisi da una bomba sparata nel mezzo del nostro villaggio.
Sulle prime non riuscivo a crederci, controllavo ossessivamente il nome del
villaggio, ma non c'erano errori, era proprio Katyr-Yurt".
Seguirono dolore, disperazione e notti insonni. Durante quel periodo, Luzia
venne alla Croce Rossa a chiedere medicine, e vi trovo' anche un lavoro.
Dapprima impiegata alle pubbliche relazioni, si e' mossa verso la formazione
per le zone e situazioni a rischio, programma che lei ritiene cruciale in
una repubblica che sta patendo le terribili conseguenze dei confronti
armati.
I suoi occhi si accendono, e la sua energia persuasiva e' irresistibile
mentre parla delle mine, degli ordigni inesplosi e dei consigli e dell'aiuto
che lei da' a chi ne ha bisogno. Molti sono in stato di necessita', in
Cecenia; si trova a stento una persona la cui cerchia di amici e parenti non
sia stata colpita da queste armi.
"Ricordo la signora anziana, russa, che incontrai a Grozny. Aveva trovato un
ordigno inesploso incastrato proprio nelle fondamenta della sua casa.
Singhiozzava, pregando gli sminatori di non distruggere l'intero edificio,
promettendo che non avrebbe disturbato la bomba. Tuttavia, essa avrebbe
potuto esplodere semplicemente per le vibrazioni di un camion di passaggio.
Alla fine la casa dovette essere demolita, fra le lacrime di dolore e di
rabbia di questa donna. Potrei raccontare migliaia di storie come questa.
Allora eravamo molto ignoranti e non consci del pericolo. La maggior parte
della gente diceva: che la guerra finisca, intanto, poi ci preoccuperemo
delle mine".
Luzia e' coinvolta ormai da cinque anni nel lavoro sulle mine. Ha passato
ore interminabili a viaggiare da una comunita' colpita dal problema a
un'altra, parlando con la gente, condividendo le sue esperienze, insegnando
alle persone come salvare le proprie vite.
Come si puo' misurare il successo di un lavoro del genere? Dal numero di
incontri tenuti? Sono stati centinaia e centinaia, dai capi delle comunita'
agli insegnanti, dalle autorita' locali ai giornalisti, dai bambini agli
adulti. Dal numero di eventi speciali? Ce ne sono stati dozzine: spettacoli
di marionette per i piccoli, partite di calcio fra vittime delle mine, gare
di poster educativi, mostre, ed altro ancora. Dal numero di vite salvate?
Nessuno puo' contare le morti e le mutilazioni che non sono avvenute.
Luzia non ha ancora avuto spiegazioni su cio' che e' accaduto alla sua
famiglia. Sta ancora aspettando risposte, grata almeno di poter aver accanto
suo figlio e di poter sostenere i familiari che restano, e fare piani per il
futuro.
Davanti ad un piatto tradizionale ("galushki") in casa di Luiza, ricordo un
verso di un poeta ceceno che se ne sta saldo nel fondo del mio cuore: "Ho
raccontato la mia storia al mare, ed il mare ha cominciato a ribollire".
Non c'e' mare, in Cecenia, ma c'e' la storia di una donna coraggiosa che non
si e' arresa mai.

9. PROFILI. KATY GLASSBOROW: UNA GIUDICE ALL'AJA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Katy Glassborow per l'"Institute of War and Peace Reporting".
Katy Glassborow e' corrispondente dall'Aja dell'"Institute of War and Peace
Reporting".
Akua Kuenyehia, ghanese, magistrata (attualmente al Tribunale penale
internazionale dell'Aja), giurista, docente universitaria, e' stata tra
l'altro promotrice e sostenitrice di importanti esperienze di educazione
alla legalita' e alla democrazia, e di associazioni finalizzate alla
promozione dei diritti delle donne]

L'ufficio della giudice Akua Kuenyehia, all'ultimo piano dell'edificio che
ospita il Tribunale Penale Internazionale (Tpi) dell'Aja, e' riempito di
Africa. Ci sono mappe del continente, arte africana appesa alle pareti, ed
uno scaffale con bellissime incisioni africane.
La giudice Kuenyehia, una delle tre giudici al Tpi, e' la prima
vicepresidente della Corte. E poiche' in questo momento tutte le cause al
vaglio del Tribunale sono africane, la giudice ghanese sente che la sua
conoscenza del suo paese natale le sta servendo molto.
Per esempio, lei e le colleghe sono incaricate di dare l'approvazione alla
forma in cui le vittime dei crimini di guerra presentano i loro esposti: il
Tribunale ha assunto la misura, senza precedenti, di permettere loro un
maggior coinvolgimento nei preliminari. "Quando le persone fuggono dai
conflitti, spesso non portano nulla con se'", spiega la giudice Kuenyehia,
"percio' non possiamo chieder loro di produrre passaporti, indirizzi e-mail
o documenti di lavoro".
Essendo la vicepresidente, Akua Kuenyehia e' anche una dei giudici che si
occupano di esaminare il materiale relativo ai casi, vagliandone
l'ammissibilita', ovvero assesta tutte le prove che poi il pubblico
ministero Luis Moreno-Ocampo portera' contro un sospettato di crimini di
guerra, e decide assieme agli altri magistrati quali casi verranno portati a
giudizio.
Gia' docente di diritto penale, diritto di genere e diritti umani
internazionali all'Universita' del Ghana, la giudice e' stata anche
coautrice di numerosi testi e di articoli assai influenti sui modi di
interpretare ed implementare le leggi nel suo continente. Mi dice che in
passato ha trascorso ore intere a discutere i vari casi con suo marito, che
e' un avvocato ghanese tuttora in attivita'. Ha cercato di incoraggiare le
donne africane a raggiungere una miglior comprensione del sistema legale,
dando vita a reti di professioniste nel campo giudiziario che si recano di
persona nelle varie comunita' a promuovere la conoscenza dei diritti e delle
istanze legali.
Akua Kuenyehia ha rappresentato il Ghana all'Onu, nel comitato per la
"Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione verso le
donne" (Cedaw) del 2003. Joana Foster, prima consigliera di genere nella
missione Onu in Liberia, mi racconta che la giudice Kuenyehia e' in grado di
mobilitare la gente comune per le convenzioni tipo Cedaw, finendo per
costruire organizzazioni cosi' influenti che i governi non hanno altra
scelta che ascoltarle. Foster dice che ha contribuito a far diventare un
gran numero di gruppi forti attori politici, fra esi "Women in Law and
Development in Africa", la Federazione delle donne avvocate del Ghana e il
Centro di documentazione per i diritti umani.
*
La giudice Kuenyehia e' particolarmente interessata ad usare la sua
esperienza legale per definire meglio i problemi e trovar loro soluzioni.
Per i costumi tradizionali, le donne africane che vivono nel Sahara del sud
non ereditano proprieta', sebbene vi sia una legislazione del 1985 che
garantisce loro questo diritto. Akua Kuenyehia dice che avere una legge e
ottenerne l'applicazione sono due cose del tutto differenti. "La legge
tradizionale non e' scritta, ma e' profondamente nota ad ogni uomo e ogni
donna. Tuttavia noi non possiamo vivere in un mondo in cui al 50% della
popolazione si nega ogni risorsa che potrebbe aiutarne il progresso".
Capi' presto che la chiave per portare le donne ad aver accesso ai loro
diritti era l'istruzione. Con altre donne avvocate, Kuenyehia apri' centri
di consulenza legale ad Accra e Kumasi, per aiutare quelle donne ghanesi che
pensavano alla legge come a qualcosa che si applicava a loro solo se erano
nei guai con la polizia. "Andare ad incontrare queste donne mi diede una
visione dall'interno, di quale impatto la legge aveva sulle loro vite, il
che mi aiuto' a capire di quali cambiamenti avevamo bisogno. Perche' le
persone rispondano alla legge, e quindi devono essere consultate prima. Non
dovremmo mai sottovalutare l'intelligenza delle persone".
Prima di partecipare alla Conferenza dell'Onu sulle donne di Pechino, nel
1995, la giudice Kuenyehia convinse tutte le rappresentanti ghanesi ad
andare nei mercati e a parlare con le donne, ad ascoltare le loro
preoccupazioni e scoprire i loro bisogni. Questo, per le rappresentanti,
significo' identificare dove le donne avevano mancanza di conoscenza
rispetto ai loro diritti e alle loro prerogative legali, e percio' andarono
a Pechino pronte a pianificare tecniche per semplificare le leggi ed
aumentare la consapevolezza delle donne. Conseguenza diretta di questo
lavoro fu la decisione di Akua Kuenyehia di tenere seminari di formazione
alle leader tradizionali, ovvero le cosiddette "regine madri", un titolo
ereditario femminile ghanese. Le regine madri, in seno alle loro comunita',
ne eleggono il capo di sesso maschile. "Lavora con loro e le addestra",
spiega Joana Foster, "cosi', quando il capo eletto presiede uno dei
tribunali tradizionali, le 'regine' sono in grado di dargli forti consigli
di genere".
Oltre a fornire training, l'associazione di Kuenyehia (Centro ricerche di
genere "Donne e legge nell'Africa occidentale" di Accra) si confronta spesso
con il governo tramite approfondite statistiche per sostenere la necessita'
delle revisioni legali. Per esempio, il Centro scopri' che una donna su tre
in Ghana viene picchiata dal marito, ed ora una nuova legge sulla violenza
domestica sta avanzando nell'iter procedurale. "Stiamo consultando ogni
sfumatura di opinione", dice la giudice, "cosi' quando la legge infine
passera' ci sara' la sensazione che essa sia veramente condivisa, e
rispondente al piu' ampio spettro di punti di vista". Il Centro getta il suo
sguardo oltre il Ghana, attraverso tutta l'Africa, per compiere ricerche e
condividere le buone pratiche.
*
Cynthia Grant Bowman, docente di legge alla Northwestern University negli
Usa, che assieme ad Akua Kuenyehia ha scritto il libro Genere e legge
nell'Africa sub-sahariana, dice che la sua amica ha una speciale
sensibilita' sui problemi legali, avendoli visti agire nella realta', sul
campo.
"La legge non e' una bacchetta magica.", spiega Bowman, "Puo' solo
trasformare i problemi reali con lentezza, tramite mezzi politici".
Nonostante i numerosi tentativi di riforme legislative, una larga
percentuale delle popolazioni africane vive in aree governate da leggi
"tradizionali" anziche' scritte. "Le donne non possono avvantaggiarsi delle
nuove leggi, se questo significa che esse le mettono al di fuori delle
comunita' dalle quali dipendono", dice la docente, e aggiunge che Kuenyehia
sa bene che chi formula nuove leggi deve guardare a come le persone sono
state governate prima e capire l'impatto che il cambiamento delle leggi
avra' sulle loro vite, ed essere sensibile alle implicazioni di questo
impatto. "C'e' una saldezza dentro di lei che impedisce a chiunque di
coprirle gli occhi. Akua lavora sapendo che sebbene la maggioranza dei paesi
africani abbiano adottato i trattati internazionali sui diritti umani, vi
sono quelli che non li applicano affatto".
La giudice cerca di mitigare questa discrepanza mettendo in rete le donne,
come ha fatto creando l'Associazione delle donne avvocate del Ghana. Le
avvocate che ne fanno parte vengono incoraggiate ad agire quali mentori per
le ragazze dei villaggi piu' remoti. "Quando andiamo a visitare i villaggi
le donne sono sorprese nel vedere avvocati di sesso femminile. E chiedono:
Mia figlia potrebbe diventare avvocata? Certamente, rispondiamo noi, ma solo
se continui a mandarla a scuola".
Questa e' una lezione che la giudice Kuenyehia (la maggiore di sei figli,
cinque dei quali hanno fatto studi universitari) ha imparato da sua madre,
preside di una scuola del Ghana. "Non c'era nessun tipo di contrasto in
famiglia rispetto all'istruzione dei figli. Era un dato di fatto". Kuenyehia
frequento' dapprima l'Universita' del Ghana, poi quella di Oxford in Gran
Bretagna. Di sua madre parla come di un eccellente modello e ricorda di
averla vista tener lezione in classe con il bimbo piu' piccolo appeso alla
schiena. "Ha avuto un profondo impatto nella mia vita, perche' ogni giorno
mi dimostrava che si puo' essere una madre e una professionista".
Quando lei stessa era una giovane madre, e docente all'Universita' del
Ghana, la sua baby-sitter si licenzio' all'improvviso, e cose' Kuenyehia si
porto' i bimbi al lavoro e disse loro di giocare quieti in fondo all'aula,
senza disturbare. "Dopo una settimana il rettore mi chiamo' nel suo ufficio
e mi disse che era molto impressionato, che un'altra avrebbe potuto restare
a casa e lamentarsi di non aver nessuno che le guardasse i bambini". Il
figlio maschio della giudice e' oggi un avvocato, ed ha di recente aperto il
suo studio in Ghana. La figlia maggiore vive a Londra e lavora nella
finanza, la piu' giovane sta per conseguire il master in economia sempre a
Londra.
"Alle donne si chiede costantemente di provare di essere migliori degli
uomini per avere successo nelle loro vite professionali", dice Akua
Kuenyehia, rispetto alla sua decisione di finanziare ogni tre anni gli studi
liceali di una ragazza ghanese non in grado di pagarli (il liceo in Ghana e'
appunto triennale). "Faccio da 'tutrice' ad un sacco di ragazzine, perche'
per quanto l'istruzione sia diffusa non e' diffusa abbastanza. Le ragazze
sono le prime ad essere costrette abbandonare gli studi se i loro genitori o
le loro famiglie sono in difficolta'".
Joana Foster e' sicura che la profonda conoscenza dello status delle donne
in Africa aiutera' molto la giudice Kuenyehia nel suo lavoro al Tribunale
internazionale: "Lei sa che le donne affrontano problemi maggiori, e si
assicurera' che abbiano appropriate facilitazioni e che siano trattate ad un
livello di eguaglianza".

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1424 del 20 settembre 2006

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