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La nonviolenza e' in cammino. 1422
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1422
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 18 Sep 2006 00:20:05 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1422 del 18 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Maso Notarianni: Perche' diciamo no alla missione militare in Libano 2. Maria G. Di Rienzo: Quindicenni 3. Sara Menafra: La battaglia di Farah 4. Enrico Piovesana: 85.000 sfollati in fuga dalle bombe della Nato 5. Lorenzo Porta: Un appello di Michael Lerner per la pace in Medio Oriente 6. Azizah al-Hibri: Costruendo Adalah 7. Riletture: Michail Bachtin, Dostoevskij 8. Ristampe: Dante Alighieri, Commedia. Paradiso 9. Per farla finita con le uccisioni 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. MASO NOTARIANNI: PERCHE' DICIAMO NO ALLA MISSIONE MILITARE IN LIBANO [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 13 settembre 2006. Maso Notarianni, giornalista, e' impegnato in Emergency e dirige "Peacereporter"] Non sono state le vacanze estive a impedire a "PeaceReporter" di fare un ragionamento sulla missione militare in Libano: e' stata la complessita' della vicenda. Una complessita' talmente ricca di contraddizioni che ha impedito a molti di riuscire a dire, forte e chiaro, il loro "no" a una ennesima chiamata alle armi. E persino a salvare dallo sdegno necessario gli organizzatori di una "marcia della pace" che e' stata a tal punto strumentalizzata da venir trasformata in una marcia a sostegno di una missione militare. * Le diversita' della missione libanese Quella del Libano e' una missione militare a tutti gli effetti, ma e' pur vero che presenta caratteristiche che la rendono molto diversa da quelle, presenti e passate, che hanno coinvolto il nostro paese. Prima di tutto e' stata voluta fortissimamente dall'Onu, a differenza dei macelli iracheno e afghano. Non e' destinata a cominciare con bombardamenti devastanti, a differenza di quella in Serbia. E' stata accettata dalle parti in causa. E' una missione che certamente ha spezzato l'unilateralismo della politica statunitense, e infatti non e' stata ben digerita dagli Usa che han fatto buon viso a cattivo gioco. In queste e altre particolarita' sta la differenza che ha fatto "ben vedere" un nuovo invio di militari all'estero. Tanto ben vedere che non hanno sentito nemmeno bisogno di chiamarla "missione di pace". * Militari ben accetti Ma la piu' importante differenza e' un'altra: i soldati italiani (e francesi, e cinesi e russi...) sono stati bene accolti in terra libanese, dalla popolazione di quel paese. Blair, primo ministro britannico, ha avuto bisogno di scorte imponenti per riuscire a mostrarsi al paese dei cedri. D'Alema invece no. Il primo e' visto anche la' come braccio poco pensante di Washington, il secondo (e le sue truppe) invece e' stato accolto come un salvatore. Almeno fino a che non si provi a fare sul serio, perche' qualsiasi libanese che sia di Hezbollah o meno, apprezza il ruolo che quelle milizie hanno avuto in questa storia. * Raccontare la guerra A questo si aggiunga il tipo di comunicazione che e' stata fatta su quel conflitto, almeno fino a un certo punto. Come e' giusto, ma come non viene mai fatto, sono stati mostrati dalle televisioni di tutto il mondo gli effetti non collaterali della guerra: la distruzione, i morti, le vite spezzate, sempre civili. Solo civili, giacche' su un fronte come sull'altro le vittime militari (peraltro non meno vittime) sono i veri effetti collaterali. Per questo gli editoriali dei commentatori, e non solo di quelli da sempre favorevoli ai conflitti e alle soluzioni militari, erano cosi' sdegnati: "Ecco, vedete, usano le morti dei bambini per attaccare l'occidente". Addirittura, le autorita' israeliane hanno protestato contro i giornalisti che facevano il loro mestiere. Poi pero' gli spazi di informazione si sono rapidamente chiusi. E di quello che e' successo nel Libano meridionale, delle azioni criminali di un esercito che ha raso al suolo citta' e villaggi e li ha riempiti di bombe a grappolo, e che secondo tantissime testimonianze mediche avrebbe sperimentato nuove armi contro i civili, non si e' piu' detto nulla. Le facce, i nomi, la carne maciullata... tutto e' scomparso dai media, che sono tornati rapidamente a trattare di quel conflitto come fosse altro, come fosse "sterile". * Perche' no a questa missione Per tutte queste ragioni, e forse anche per altre, e' difficile riuscire a dire "no" a questa missione, a questa missione di pace che potrebbe trasformarsi in una guerra terribile. Ma se pur difficile non e' meno necessario di sempre. Anzi semmai lo e' di piu'. Pensiamo che la scelta militare o e' sempre sbagliata, oppure va bene sempre. Ed e' sbagliata per molte ragioni, sempre e dunque anche adesso, in Libano. * Diritto alla vita e legittimita' della scelta armata Per una questione che non e' solo etica, o morale ma dannatamente concreta: decidere per una spedizione militare, per quanto (forse) formalmente legittima, significa essere disposti a sacrificare vite umane, e la vita e' un diritto inalienabile sempre e comunque. Anche in Cina, in Iran, negli Usa quando si decide di uccidere un uomo perche' colpevole di un reato si prende una decisione legittima. Legittima, ma sbagliata. Perche' la pena di morte e' sempre sbagliata. Il fatto che una cosa sia formalmente legittima non significa affatto che sia sostanzialmente giusta. * Economia di guerra, economia di pace La spedizione militare italiana in Libano costera' non si sa quanto (sulle spese militari ci si ispira sempre e comunque all'azzeccagarbugli del Manzoni) ma certamente non meno di 280-300 milioni di euro all'anno. Orbene, siamo sicuri che con questi quattrini investiti in altra e piu' pacifica e civile maniera si possano ottenere in quella regione risultati migliori e certamente piu' duraturi. Nemmeno la missione militare in Libano del 1982 riusci' a stabilizzare l'area. Si ottenne una pausa durata qualche mese. Se i soldi investiti in spese militari fossero impiegati nella costruzione di strutture civili, i problemi si risolverebbero, invece cosi' si rinviano se va bene. * La politica e' l'unica scelta Al conflitto, in Libano, non ci si sarebbe nemmeno dovuti arrivare. Perche' Hezbollah, per quanto provino a dipingerlo come un gruppo di pazzi fanatici, e' una struttura politica, organizzata, stabile, e peraltro ha una rappresentanza importante nel governo libanese. Con la quale, e anche il cessate il fuoco giunto prima dell'arrivo dell'Onu lo sta a dimostrare, si puo' (e dunque si deve) trattare. E certamente non si puo' reagire ad un attentato o ad un rapimento provocando migliaia di morti. E questo dovrebbe essere, se han ragione coloro che predicano la "superiorita' occidentale", la "superiorita' democratica", davvero il minimo. * La questione palestinese Alla missione militare in Libano non ci si doveva arrivare perche' con gli strumenti della politica e della discussione si doveva, e si deve, affrontare la questione palestinese. La vicenda di Hamas sta li' a dirci che quella e' l'unica via praticabile. Nonostante la rappresentazione che di Hamas ci danno (e che Hamas stessa si da'), e' stata proprio la sua vittoria elettorale a trasformare un gruppo armato e militare (che come tutti i gruppi armati e militari utilizza lo strumento del terrore) in un partito politico che come tale agisce. E questo sortilegio e' accaduto nonostante gli sforzi di gran parte del mondo occidentale che lo voleva impedire. Si sono giudicate le elezioni palestinesi inaccettabili (mentre invece quelle irachena e afgane sono state mostrate come il successo di quelle imprese). Si tollera la cattura di ministri e parlamentari di un governo legittimo da parte di un paese straniero. E nonostante l'embargo economico e tutte le altre questioni che affliggono il popolo palestinese, Hamas governa e non spara quasi piu': si e' creata una frattura importante in quel movimento tra chi ha scelto la politica e chi continua disperatamente a voler scegliere la guerra. E' vero che non esiste una coscienza al mondo che possa rimanere indifferente alla distruzione e alla morte, in Kosovo come in Libano, quando la morte e la distruzione ce le fanno vedere. Ma e' piu' utile bombardare o risolvere i problemi? * L'inganno delle scelte Saddam era un boia, ma chi lo ha armato? Milosevic era un assassino, ma l'affare Telekom Serbia, per quanto "pulito", e' servito a rafforzarlo. Del resto, la questione cinese sta li' a dirci che non e' per questioni "umanitarie" etiche o morali che si compiono le grandi scelte di politica estera. Tutti sanno di quanto laggiu' siano calpestati (e con spregio anche) i diritti umani. Eppure, sulle colonne dei nostri giornali, ci si rallegra del fatto che finalmente abbiamo una politica commerciale che apre a quel paese permettendoci di fare affari e di diventar piu' ricchi. Con buona pace dei diritti e della democrazia che vanno difesi in Afghanistan e in Iraq e in Libano, ma non in Cina. Perche'? Perche' con la Cina si diventa ricchi. Ma solo trattando, perche' la via militare la' e' davvero preclusa, e dunque non la si sceglie. * La guerra e' sempre sbagliata Perche' la guerra e' assenza di politica, comincia dove la politica finisce. E gli umani, hanno il dovere (non solo morale, ma biologico) di non far cessare mai l'uso della politica, perche' e' quella che garantisce la sopravvivenza della specie. Quando si sceglie la via militare, oggi piu' che mai visti gli strumenti di distruzione che abbiamo a disposizione, si sceglie di estinguere la specie umana. 2. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: QUINDICENNI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Bebi (non il suo vero nome) teme per la sua vita, eppure e' venuta. E' fuggita da casa, dalla provincia afgana di Paktia lo scorso giugno. Ha quindici anni, e venerdi' 15 settembre era in piazza a Kabul, assieme a molte altre donne che hanno protestato contro i cosiddetti "delitti d'onore". La Commissione indipendente afgana per i diritti umani (Aihrc) segnala da tempo un aumento costante di questi omicidi. I volti delle donne durante la manifestazione sono liberi, sensibili, determinati; molte indossano una sciarpa allentata, che non copre del tutto i capelli, molte altre non hanno nulla. "Quando avevo sei mesi sono stata promessa all'uomo che ho dovuto sposare", racconta Bebi, "Come puo' questa essere una cosa giusta?". La ragazza vive ora in incognito nella capitale afgana, ospite di amici. Se pure volesse rivolgersi ad una struttura che aiuti le donne in difficolta' non saprebbe dove andare, non ce ne sono. Bebi e' a rischio di essere uccisa per la restaurazione dell'"onore" di un marito che neppure ha voluto: "Mi trattava come un animale, non come un essere umano. Mi picchiava ogni giorno, mi tormentava e mi teneva chiusa in casa. So che vuole uccidermi, perche' pensa che io lo abbia svergognato, ma dio sa che se c'e' un colpevole e' lui". I "delitti d'onore" in Afghanistan vengono perpetrati usualmente da membri maschi della famiglia; talvolta vengono ingaggiati dei veri e propri "contractors", che sono pagati per uccidere le donne. Capita anche che la commissione della morte sia affidata a ragazzini, la cui eta' li mette al sicuro di fronte alla legge. Chi muore sono donne e ragazze che rifiutano un matrimonio combinato, o che hanno una relazione affettiva giudicata inappropriata dalla famiglia. Stante le fortissime pressioni familiari, le ragazze si suicidano (spesso dandosi fuoco) o fuggono dalle loro case prima di essere uccise. "Troppe donne continuano a perdere la vita per questi crimini brutali", dice Soraya Sobrang dell'Aihrc, "Solo noi ne abbiamo registrati 185 nei primi nove mesi di quest'anno, ma il numero reale e' considerevolmente piu' alto. Specialmente nelle zone rurali, e' molto difficile che questi omicidi vengano denunciati. Ci sono due fattori chiave nella situazione: il fatto che gli assassini non vengono perseguiti dalla legge, e il fatto che le donne non conoscono i loro diritti". * Ringrazio le mie corrispondenti, le foto sono bellissime, tenete duro amiche e sorelle, abbracciate Bebi, siamo tutte li' con il cuore. E continuo a leggere i messaggi: "Sono Fikirte Getahun, una sociologa etiope. Ho avuto l'opportunita' di viaggiare sino alle zone remote del mio paese per un lavoro di ricerca sui problemi degli adolescenti, il che include la salute riproduttiva e l'uso dei contraccettivi. Ho incontrato questa ragazza, Yenguse Dessie, che aveva all'epoca 15 anni ed era gia' madre di un bambino. Era stata costretta dalla sua famiglia a sposarsi ad 11 anni. Il marito la forzo' da subito ad avere rapporti sessuali, che lei ha descritto come terribilmente dolorosi. Quando partori' il primo figlio le si formo' una fistola, e dovette essere ricoverata nella capitale per l'intervento chirurgico. Non voleva avere un altro figlio, ma non sapeva come prevenire una seconda gravidanza. Di nuovo resto' incinta, e si rivolse ai medici 'tradizionali' per interrompere la gravidanza. E' stata sul punto di morire a causa di questo aborto. Il piu' grande sogno della sua vita, mi ha detto, sarebbe avere un'istruzione, di modo da poter crescere bene suo figlio". E ancora: "Sono Kanchi Kumari Basnet, sono nepalese, e sono in prigione a causa della malvagita' di mio suocero. Io vengo dal distretto di Sindhuli. Sono stata stuprata dal padre di mio marito. Mio marito lavorava all'estero come manovale quando e' successo. Sono rimasta incinta. Ho dato alla luce un bambino morto. Credo che questo sia accaduto a causa di quanto pesante era il mio lavoro. Ma mio suocero, che mi ha violentata, ha chiamato la polizia. Ha detto loro che io dormivo con altri uomini e che avevo avuto questo figlio. Inoltre, mi ha accusata di aver fatto aborti per nascondere la mia condotta. A questo punto il cielo mi e' caduto sulla testa. Sono in prigione da sette anni, ma sto ancora chiedendo giustizia. Il padre di mio marito, che ha commesso il vero crimine, se va in giro libero e beato. Non capisco perche' sia cosi' difficile credermi, lui non e' stato neppure interrogato. Da quando sono detenuta non posso lavorare per dar da mangiare all'altro mio figlio. Adesso, per fortuna, di lui si prende cura l'Assistenza prigionieri del Nepal" (testimonianza raccolta da Indira Rana Magar, attivista dell'Assistenza prigionieri summenzionata; Kanchi aveva 15 anni quando si e' sposata). Quindici anni sono pochi, per cosi' tanta sofferenza. Ma non scorgo un cenno di resa: potrebbero uccidermi, eppure mi mostro in piazza ad affermare il diritto alla vita mio e delle altre; voglio studiare, avere delle possibilita', e non e' solo per me, ma anche per il mio piccolo; i torti che ho subito e sto subendo sono enormi, pure non smettero' di chiedere giustizia. A livello generazionale potrebbero essere tutte e tre figlie mie, Bebi, Yenguse e Kanchi: se cosi' fosse sarei fiera della loro vitale fierezza. 3. AFGHANISTAN. SARA MENAFRA: LA BATTAGLIA DI FARAH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 settembre 2006. Sara Menafra e' giornalista del "Manifesto"] La guerra afghana bussa alle porte delle basi italiane. E nell'attacco ai corpi speciali della scorsa settimana non c'era nulla di fortuito o casuale, checche' ne dica il ministro Parisi. La prova e' negli scarni dispacci diffusi ieri dalla Bbc che raccontano di una offensiva talebana proprio contro il quartiere generale distrettuale della provincia di Farah. La zona sotto controllo italiano in cui si trovavano i militari colpiti. Una offensiva che dimostra come le truppe taliban si siano ormai spostate dalla zona sud ai confini col Pakistan a quella a ovest sotto Herat, adiacente all'Iran. E che la guerra, quella vera, ormai non tocca piu' solo una zona limitata del paese. La battaglia di Farah e' durata lo spazio di un giorno. In mattinata i ribelli hanno attaccato il quartier generale assediato da giorni e sono riusciti a prenderne il controllo per poi vedersi respinti gia' nel tardo pomeriggio. Lo ha raccontato un portavoce del movimento, Quari Mohammad Yousuf, all'agenzia Afghan islamic press: "Nella battaglia sono stati distrutti due veicoli governativi e un soldato e' rimasto ucciso, mentre l'edificio che ospitava il quartier generale e' stato dato alle fiamme". Solo nel tardo pomeriggio le truppe afghane sono riuscite a riprendere il controllo della sede del quartier generale. Storia confermata nei dettagli dal capo della polizia locale Sayed Aqa Saquib con una aggiunta: "I rinforzi non sono stati in grado di raggiungere il comando". I "rinforzi" di cui parla avrebbero dovuto essere italiani. E quel che Saquib non dice o forse non sa e' che dopo quel che e' accaduto alle forze speciali italiane, la Difesa ha ordinato ai nostri di rimanersene rintanati ad Herat. Una precauzione che potrebbe non bastare. Anche perche' ormai nella zona di Farah i miliziani sono centinaia e gli attacchi contro la polizia e l'esercito crescono di ora in ora. L'ultimo, prima di quello di ieri, e' di mercoledi' scorso. Quattro soldati e quattro talebani morti durante uno scontro a fuoco di cui la Bbc non chiarisce i dettagli. Era il 9 settembre quando quattro soldati italiani a bordo di un mezzo in servizio di pattuglia sono rimasti feriti per l'esplosione di un ordigno piazzato al lato della strada su cui transitavano. Erano in attivita' di pattuglia nei pressi di Farah, nella zona di responsabilita' del Comando Rc- West a guida italiana, si spiego' allora. Parisi parlo' di attentato "non contro gli italiani" e evito' di chiarire perche' in quella zona fossero stati mandati uomini dei corpi speciali della marina. Dall'esercito qualcuno aveva gia' spiegato che gli "incursori" mandati a Farah avevano un compito specifico: monitorare la presenza talebana nella zona e tentare di fermare l'allargamento della zona sotto il loro controllo. Ora il quadro si fa piu' chiaro. "La realta' e' che la zona sotto controllo dei taliban si allarga ogni giorno di piu'" dice Francesco Martone, senatore di Rifondazione comunista: "Abbiamo bisogno di attivare immediatamente l'osservatorio permanente sull'area per capire cosa sta accadendo". L'organizzazione inglese Senlis council e' ancora piu' esplicita. Nel rapporto pubblicato sul loro sito, www.sensilcouncil.com, si parla di Farah come del nuovo centro della zona di influenza talibana sull'Afghanistan. E si spiega nel dettaglio come i taliban siano gia' in grado di muoversi liberamente in tutto il paese. Nonostante i fragili distinguo del governo italiano. 4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: 85.000 SFOLLATI IN FUGA DALLE BOMBE DELLA NATO [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 14 settembre 2006. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in Afghanistan in qualita' di inviato] Sono ormai circa 85.000 i civili afgani sfollati nelle province meridionali di Kandahar e Helmand. Migliaia di famiglie fuggite dai bombardamenti della Nato in corso sui villaggi dei distretti di Panjwayi e Zhari (provincia di Kandahar) e di Nawzad, Garamser, Sangin e Musa-Qala. Bombardamenti che, secondo fonti locali, avrebbero provocato almeno 500 morti civili dall'inizio di settembre. Oltre 5.000 famiglie (vale a dire circa 35.000 persone, vista la media di componenti delle famiglie afgane) si sono accampate alla periferia di Lashkargah, e 7.500 (circa 50.000 persone) alla periferia di Kandahar. * Niente tende, solo sapone L'assistenza umanitaria fornita agli sfollati appare assolutamente inadeguata. L'ingegner Abdul Kadar, vicedirettore del Dipartimento sviluppo rurale della provincia di Helmand, ha riferito che oggi sono stati distribuiti a 3.000 delle 5.000 famiglie sfollate a Lashkargah "generi di aiuto" forniti dal World Food Programme delle Nazioni Unite e dal locale Provincial Reconstruction Team britannico, struttura militare Nato. "Gli aiuti dati sono minimi rispetto alle esigenze di queste persone", ha detto l'ingegner Kadar. "Ci hanno dato solo pezzi di sapone", protesta un profugo. "Ma noi abbiamo bisogno di tende perche' non abbiamo un riparo". La stessa assistenza e' stata fornita nei giorni scorsi agli sfollati di Kandahar. * Il governo afgano non aiuta Pare pero' che il governo afgano, che su richiesta del comando Isaf-Nato ha ordinato l'evacuazione delle aree interessate dall'offensiva talebana, non abbia intenzione di dare alloggio ai profughi. Alla domanda di alcuni giornalisti sul perche' le autorita', dopo aver cacciato la gente dalla proprie case, non provvede a offrire loro una sistemazione, il governatore della provincia di Kandahar, Assadulah Khalid, ha detto: "Non abbiamo bisogno di allestire campi profughi, perche' questa gente tornera' presto a casa, visto che le operazioni della Nato finiranno tra poco". Nessuno ha chiesto al governatore se ha pensato al fatto che questi sfollati non hanno piu' una casa in cui tornare, dato che molti villaggi sono stati rasi al suolo dalle bombe da 500 libbre sganciate dai bombardieri Isaf (tra cui addirittura gli enormi B-1, quelli che sganciano le bombe in caduta libera dalla pancia della fusoliera). 5. MATERIALI. LORENZO PORTA: UN APPELLO DI MICHAEL LERNER PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE [Ringraziamo Lorenzo Porta (per contatti: porta.l at libero.it) per averci messo a disposizione i seguenti materiali. Lorenzo Porta e' docente del Corso di laurea "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" della Facolta' di Scienze della formazione e Scienze politiche dell'Universita' di Firenze. Il rabbino Michael Lerner, nato 61 anni fa nel New Jersey, e' cresciuto in un ambiente familiare immerso nella politica. I suoi genitori erano leader del movimento sionista negli Stati Uniti nel periodo precedente la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, suo padre divenne giudice e sua madre consigliere politico e capo della campagna elettorale per un senatore. Icone del partito democratico come Adlai Stevenson e Harry Truman passarono per casa negli anni in cui Lerner cresceva, e quando si presento' all'ammissione al college, John F. Kennedy gli scrisse una lettera di raccomandazione. A dodici anni leggeva i resoconti del Congresso e notava la differenza tra quello che i politici dicevano e come votavano in realta'. Vedeva altrettanta ipocrisia anche nel mondo ebraico. Dice Lerner "Da un lato, le sinagoghe negli anni '50 erano piene di persone che sviluppavano ideali alti; dall'altro, era evidente che il risultato finale erano il materialismo e il consumismo". In seguito, Lerner scopri' il libro di Abraham Joshua Heschel Dio alla ricerca dell'uomo. Per anni lesse un capitolo a settimana e, finito il libro, lo ricominciava. Adolescente, incontro' Heschel che lo invito' a studiare al Jewish Theological Seminar a New York. Qui Lerner scopri' che alcuni ebrei rifiutavano l'ebraismo americanizzato che lui conosceva, e sostenevano che aveva poco a che fare con il messaggio centrale della religione. Fu il suo primo incontro con una critica ebraica dell'ebraismo e getto' le basi della sua successiva campagna per un rinnovamento della fede. Nel 1966 Lerner visse per diversi mesi in un kibbutz in Israele. Benche' l'ambiente socialista del kibbutz gli dimostrasse che le persone potevano essere motivate da riconoscimenti non materiali, gli rivelo' anche quello che egli percepi' come difetto centrale del socialismo: l'assenza di un elemento spirituale. Alla fine degli anni '60, Lerner era diventato un leader del movimento statunitense contro la guerra. Era uno dei membri dei Sette di Seattle, un gruppo di attivisti denunciati dal governo federale per utilizzare le proprieta' dello stato (il telefono) con l'intento di incitare alla rivolta (una protesta contro la guerra nel Vietnam). Il capo dell'Fbi J. Edgar Hoover chiamo' Lerner "uno dei criminali piu' pericolosi degli Stati Uniti". Lerner fu incarcerato al penitenziario federale di Terminal Island per disprezzo della corte. Le accuse di cospirazione furono in seguito ritirate e le leggi in base alle quali erano state portate furono dichiarate incostituzionali. Quando il movimento contro la guerra perse vigore, Lerner attribui' parte della responsabilita' a cio' che chiamo' un "surplus di impotenza" negli attivisti stessi. Essi non potevano riconoscere i loro successi perche' "ridefinivano continuamente i criteri in base ai quali definire il successo in un modo che li faceva sentire dei falliti". Il desiderio di comprendere questa "patologia" autodistruttiva porto' Lerner a studiare psicoterapia. Voleva anche analizzare la sua vita emotiva. Dice Lerner, "Scoprii che ero troppo severo nei miei giudizi, specialmente nei confronti dei miei genitori". Fini' il suo secondo PhD (il primo era in filosofia) al Wright Institute nel 1977 e incomincio' a lavorare come psicologo clinico. Tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80 Lerner viveva con disagio crescente lo spostamento politico della comunita' ebraica dal polo liberal a quello conservatore. Cio' lo condusse alla fine a fondare la rivista "Tikkun" nel 1986. Il suo obiettivo era rivitalizzare le voci liberal e progressive degli ebrei americani. Ma l'attivismo di Lerner non si limita al Medio Oriente ed ai circoli ebraici statunitensi. Oggi "Tikkun" (che significa in ebraico riparazione, guarigione o trasformazione) aiuta i liberal di tutte le culture e confessioni a integrare nelle loro vite la dimensione politica e quella spirituale. E' una rivista molto considerata anche nel dibattito culturale a livello accademico su questioni sociali cruciali. Lerner e' stato consigliere di Bill Clinton nel primo mandato. Recentemente, Lerner ha formato la Tikkun Community, un gruppo interconfessionale aperto ai laici, impegnato per la pace in Medio Oriente, la nonviolenza, la consapevolezza globale, la salute ecologica. Rabbi Lerner conduce servizi in diversi luoghi a San Francisco. La sua congregazione, Beit Tikkun, e' un frutto del movimento Jewish Renewal, che unisce alla spiritualita' un richiamo all'azione sociale per il cambiamento. Il libro di Lerner Jewish Renewal: a Path To Healing And Transformation delinea il suo progetto per rivendicare lo spirito rivoluzionario dell'ebraismo. Il discorso si allarga a tutte le altre religioni in Spirit Matters. Nel dibattito statunitense sul conflitto tra Israele e Palestina la voce di Lerner e' emersa come una delle piu' equilibrate. Il suo ultimo libro Healing Israel/Palestine incoraggia entrambe le parti a riconoscere il proprio e altrui dolore e ad affermare la dignita' innegabile dell'altro. Il ruolo della Tikkun Community a questo riguardo e' educare il pubblico, i media, il mondo accademico, le istituzioni politiche ed i rappresentanti eletti ad un percorso di pace e sicurezza comune per Israele ed il popolo palestinese. Opere di Michael Lerner: Jewish Renewal: A Path to Healing and Transformation (Putnam, poi Harper Collins, 1995); con Cornel West: A Dialogue on Race, Religon and Culture in America (Putnam, poi Penguin); The Politics of Meaning: Restoring Hope and Possibility in an Age of Cynicism (Addison Wesley Longman/Perseus Books); Spirit Matters (Walsch Books/Hampton Roads); Healing Israel/Palestine (Tikkun Books, North Atlantic Books, 2003); The Left Hand of God: Taking Back our Country from the Religious Right (Harper, 2006). Sito: www.tikkun.org Altri piu' ampi testi di e su Michael Lerner sono ne "La domenica della nonviolenza" n. 19, un suo ampio intervento recante una proposta nonviolenta per la pace in Medio Oriente e' apparso nel n. 1362 di questo foglio] Il seguente appello promosso da Michael Lerner, storico attivista per la pace e il disarmo, e sottoscritto negli Stati Uniti da piu' di 3.500 persone, tra cui figurano Mary Oliver, Cornell West, scrittori Karem Armstrong, Clayborne Carson, Kim Chernin, Deepak Chpra, Sidra Keoven Ezrahi, Caroln Force, Annie Lamott, Thomas Powers, Buffy Sainte-Marie, attivisti come Daniel Ellsberg, Van Jones, Jonathan Granoff, il reverendo Tony Campolo, Arun Gandhi. Per la lista delle adesioni e gli aggiornamenti: www.tikkun.org/peacead Michael Lerner, esponente di spicco del movimento americano per il disarmo e la pace, rabbino riformato di Berkeley -California che abbiamo avuto il piacere di invitare in Italia lo scorso anno a Firenze e a Milano con il contributo degli amici italiani di Neve Shalom-wahat al Salam, Comune di Firenze e Provincia di Milano e il Corso di Laurea "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" di Firenze. Questo appello sulla guerra in Libano, in Israele e nella Striscia di Gaza e' stato pubblicato a pagamento, grazie al contributo volontario di singole personalita', gruppi e gente comune (circa 3.500 firme), sul "New York Times" del 31 luglio e sul "Los Angeles Times" del 6 agosto, ed e' stato ripreso da altri giornali importanti negli Stati Uniti, in Israele e in Europa e in alcuni paesi arabi. Per ulteriori informazioni/ www.tikkun.org Per contattare Michael Lerner: RabbiLerner at tikkun.org * Un appello di Michael Lerner per fermare la guerra e imporre una pace duratura nel Medio Oriente (luglio 2006) In nome delle nostre sorelle e dei nostri fratelli che soffrono e muoiono in Libano, in Israele e nei Territori palestinesi occupati, noi leader religiosi, studiosi, accademici, leader culturali, poeti, scrittori, filantropi, attivisti per il cambiamento sociale e cittadini del mondo, chiediamo che il governo di Israele, le leadership di Hezbollah e Hamas, il governo degli Stati Uniti, la comunita' internazionale e le Nazioni Unite prendano immediatamente i seguenti provvedimenti per fermare la guerra in Medio Oriente: 1. Chiediamo che il governo di Israele fermi immediatamente l'attacco contro il Libano. Ci uniamo al movimento pacifista israeliano, e alle migliaia di israeliani che hanno manifestato contro questa guerra a Tel Aviv il 22 luglio 2006, nel sottolineare che questi attacchi sono assolutamente sproporzionati all'inizale provocazione di Hezbollah, hanno ucciso innumerevoli civili innocenti, hanno causato mezzo milione di sfollati, distrutto miliardi di dollari di infrastrutture libanesi e non produrranno, nel lungo periodo, ne' pace ne' sicurezza per Israele. Chiediamo anche al governo israeliano di fornire cibo, elettricita', acqua e denaro per porre rimedio alla crisi umanitaria provocata dai recenti attacchi a Gaza. 2. Chiediamo che Hezbollah e Hamas cessino immediatamente di lanciare razzi o di commettere altri atti di violenza contro Israele. Queste azioni, che hanno ucciso numerosi civili israeliani, terrorizzato la popolazione di Israele e danneggiato diversi villaggi e citta', hanno svolto un ruolo centrale nel provocare l'attuale crisi, e non fanno altro che danneggiare la causa dell'indipendenza e della democrazia palestinese e libanese. E' questo genere di violenza che, nel corso degli anni, ha spinto molti rispettabili israeliani e arabi nelle mani dei loro leader politici piu' militaristi e ottusi. 3. Chiediamo che il governo statunitense e i governi di tutto il mondo spingano Israele, Hezbollah e Hamas a stipulare un immediato cessate il fuoco, pongano un immediato embargo sulle armi destinate alle parti in conflitto (inclusi Siria e Iran), e prendano parte a una conferenza internazionale per mettere in sicurezza il confine tra Israele e Libano. Sostenendo gli attacchi di Israele, assicurando rifornimenti di armi e dando esplicitamente tempo a Israele per causare ulteriori danni alla popolazione del Libano, il governo degli Stati Uniti e' diventato parte in causa nel conflitto, cosa che, unita alle azioni militari statunitensi in Iraq, crea certamente ostilita' verso gli Usa e Israele nel mondo musulmano, per generazioni a venire. Questi sono i passi essenziali per fermare la violenza e il disastro umanitario nel sud del Libano e nella Striscia di Gaza. Da soli, tuttavia, non possono assicurare che la regione non ritorni a un insostenibile status quo, che finira' per sfociare nuovamente nella violenza e in altri atti di guerra. Per questo motivo lanciamo anche un appello per una pace duratura. Chiediamo alla comunita' internazionale di indire una Conferenza internazionale di pace per imporre un'equa e duratura soluzione al conflitto israeliano-palestinese e al conflitto fra Israele e gli altri Stati della regione. Perche' usiamo il termine "imporre"? Ci sono troppe forze, in ciascun paese della regione, interessate a continuare questa lotta per sempre. Le provocazioni continueranno fino a che la comunita' internazionale non fermera' le violenze, una volta per tutte, e imporra' condizioni di pace che permettano lo sbocciare, in ogni paese, delle forze della pace e della riconciliazione. Una soluzione del genere dovrebbe basarsi sulle seguenti condizioni: a) la creazione di uno Stato palestinese economicamente e politicamente capace di sostenersi (approssimativamente sui confini pre 1967, con modifiche minori concordate bilateralmente tra Israele e Palestina); e contemporaneamente il pieno e inequivocabile riconoscimento, da parte dei palestinesi, da parte dello Stato palestinese e di tutti gli Stati arabi circostanti, del diritto di Israele a esistere come Stato ebraico che riconosce pieni e uguali diritti ai suoi cittadini non ebrei; b) Un consorzio internazionale che stabilisca risarcimenti per i palestinesi che hanno perso le loro case o i loro beni dal 1947 a oggi, e risarcimenti per gli ebrei rifugiati dagli Stati arabi nel 1947-1967; c) Una forza di pace internazionale e a lungo termine per separare Hezbollah e Israele nel Libano meridionale, per proteggere Israele e Palestina l'una dall'altra e dalle altre forze nella regione che potrebbero cercare di controllare o distruggere entrambi gli Stati, e d) La rapida imposizione di pesanti sanzioni contro qualsiasi parte si rifiuti di firmare o violi questi accordi. Rabbi Michael Lerner * In una seconda parte dell'appello, Michael Lerner pone in rilievo i grandi valori che la famiglia umana e' chiamata oggi a perseguire se intende sottrarsi alla logica cinica e ottusa del "realismo politico" - che genera guerre senza fine - e salvaguardare in tal modo la sicurezza di tutti e di ciascuno. Tali valori sono uno spirito di apertura, la volonta' di riconoscere l'umanita' dell'altro, e il pentimento per la lunga storia di indifferenza e crudelta' contro gli altri. Agli Stati Uniti e agli altri paesi del G8 Lerner chiede un Piano Marshall Globale: nei prossimi vent'anni, gli Usa e gli altri paesi del G8 dovrebbero impiegare ogni anno il 5% del loro prodotto interno lordo per risolvere, a livello nazionale e globale, il problema della fame, della mancanza di abitazioni, della poverta', dell'inadeguatezza delle cure mediche e dell'educazione per i popoli del mondo. "I 'realisti cinici', scrive Lerner, sostengono che gli 'altri' sono trincerati nel loro odio, e che la guerra e il dominio sono gli unici strumenti per combatterli. Questo modo di pensare ha condotto a cinquemila anni di guerre combattute per 'porre fine a tutte le guerre', e non ha funzionato". La strada per la pace deve essere una strada di pace. Occorre, secondo Lerner "iniziare una nuova era e riconoscere che il nostro personale benessere dipende dal benessere di chiunque altro sul pianeta. La Conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente dovrebbe essere strutturata per ottenere questo obiettivo: il che significa che dovrebbe avere una dimensione esplicitamente psicologica e spirituale e un ordine del giorno lungimirante". In questo spirito Lerner auspica che, quando saranno state gettate le fondamenta per una pace duratura, le parti che attualmente confliggono nel Vicino Oriente istituiscano una Commissione per la verita' e la riconciliazione, sul modello di quella utilizzata in Sudafrica. * Nel novero degli intellettuali Usa che intervengono ripetutamente contro le devastazioni della guerra e i guasti della globalizzazione neoliberista, Michael Lerner - rabbino liberal di Berkeley (California) - si segnala per la singolare capacita' di coniugare la disposizione ad analizzare acutamente le interne dinamiche del mondo sociale e politico americano con una creativa immaginazione utopica. Profondo conoscitore della realta' medio-orientale, Lerner, che e' nato 62 anni fa nel New Jersey, e' stato consigliere di Bill Clinton nel primo mandato per la politica internazionale e il Medio Oriente. Nel 1986 ha fondato la rivista "Tikkun" (che significa in ebraico "riparazione", "guarigione" o "trasformazione") con l'obiettivo di rivitalizzare la voci liberal e progressive degli ebrei americani. In tempi piu' recenti ha dato vita alla Tikkun Community e al Network of Spiritual Progressives: gruppi interconfessionali in rete fra loro, molto aperti ai laici, impegnati a indicare ai media, al mondo accademico, alle istituzioni politiche, alla galassia dei movimenti e al piu' ampio pubblico percorsi di pace, di nonviolenza, di salute ecologica e di consapevolezza globale. Nel gennaio 2006 ha pubblicato il suo ultimo libro: The Left Hand of God ("La mano sinistra di Dio"). Nel maggio 2005 e' stato invitato in Italia a Firenze dal Corso di laurea "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" con la collaborazione del Comune di Firenze e a Milano con la collaborazione della Provincia di Milano, gli amici italiani di Neve' Shalom-Wahat al Salam con la partecipazione di Adel Jabbar, Moni Ovadia, Salvatore Natoli, Lorenzo Porta, Bruno Segre. * L'appello e' sostento dall'Italia da Peacereporter (agenzia informativa di Emegency), dagli Amici di Neve' Shalom Wahat al Salam - Italia, e da singole persone. Per informazioni: prof. Lorenzo Porta, e-mail: porta.l at libero.it 6. ESPERIENZE. AZIZAH AL-HIBRI: COSTRUENDO ADALAH [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento. Azizah al-Hibri e' cofondatrice del gruppo femminista pacifista internazionale "Peace x Peace", docente di diritto alla facolta' di giurisprdenza dell'Universita' di Richmond, fondatrice e direttrice di "Karamah: donne magistrate musulmane per i diritti umani", fondatrice e direttrice di "Ipazia: giornale di filosofia femminista"] Che cos'e' "Adalah"? Ricordo il primo giorno in cui questa parola fu pronunciata nell'iniziale cerchio di dialogo di "Peace X Peace" (Pace tramite la pace, ndt). Le donne arabe o musulmane suggerirono che Adalah era il fondamento della pace. Quando ci fu chiesto cosa significasse, per brevita' usammo la definizione dei dizionari: "giustizia". La traduzione suscito' una reazione negativa. Le nostre sorelle nate in Occidente recalcitravano all'idea che la pace dovesse essere fondata su una "giustizia" che punisce o compensa, tipo "occhio per occhio e dente per dente". Fu il nostro turno di restare sconvolte, non era certo quello il nostro significato di "giustizia"! Discutendo, divenne chiaro che stavamo usando le stesse parole in modo differente. Dopo che fummo riuscite a spiegare cosa voleva dire "giustizia" dal nostro punto di vista, il gruppo decise che il suo significato andava al di la' della stretta traduzione inglese del termine. Percio' decidemmo proprio di usare la parola "Adalah", invece di giustizia, di modo da trasmettere il suo senso piu' ampio e piu' ricco. * In questo spazio limitato, tentero' di spiegare Adalah dalla mia prospettiva islamica. Adalah e' il concetto chiave del Corano, e la sua spina dorsale e' Mizaan (bilanciamento). Dio ci dice nel Corano di aver creato l'intero universo misurando con precisione (cap. 25: versetto 2), cosi' che il sole non avrebbe sopraffatto la luna, ne' la notte il giorno (36, 4), e che "la terra che abbiamo svolto (come un tappeto) si sostiene su ferme e inamovibili montagne, e produce ogni sorta di cose in perfetto bilanciamento" (15, 19). In altre parole, ogni cosa sulla terra e' stata creata in accordo a questa bilancia divina. Quest'armonia cosmologica e' la chiave per l'armonia umana. Il Corano dice: "E il firmamento egli lo innalzo' e stabili' Mizaan, di mondo che voi non trasgredirete il bilanciamento e cosi', pesando con giustizia, non potrete andar distanti da esso" (55, 7-9). Questo versetto e i seguenti rendono chiaro l'ampio spettro del bilanciamento, e di conseguenza di Adalah. Entrambi i termini sono in relazione ad una nozione cosmologica di bilanciamento che tocca tutto, dal commercio alla vita di ogni giorno, e che viaggia in un cerchio. Adalah, tuttavia, non viene a noi facilmente: "Oh, voi che credete! Ergetevi fermamente per Dio nel testimoniare un agire giusto, e non lasciate che l'odio altrui (da loro a voi o da voi a loro) vi faccia vacillare in cio' che e' errato o vi separi dalla giustizia. Siate giusti, il che significa siate quanto piu' vicini alla pieta'" (5, 8). Nella sfera sociale e politica, il Corano ci dice chiaramente che Adalah significa l'eguaglianza di base di tutti gli esseri umani, senza distinzioni di genere, etnia o colore della pelle. Inoltre, Dio chiede a tutti i musulmani di dire la verita', di prendersi cura di vedove ed orfani, di essere modesti. Dio incoraggia anche i musulmani a perdonare quando ricevono un torto. Queste sono forme piu' alte e piu' difficili di Adalah. * Come il Profeta soleva dire: "Irhamu (mostrate misericordia/compassione) a coloro che vivono sulla terra, cosi' che in cielo yarhamukum (si mostrera' misericordia/compassione) verso di voi". Percio', perche' non impegnarci nell'essere gentili, compassionevoli e nel perdonarci l'un l'altro, cosi' che i cerchi delle nostre vite raggiungano quel bilanciamento che e' inteso per loro? 7. RILETTURE. MICHAIL BACHTIN: DOSTOEVSKIJ Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968, 1995, pp. 356, lire 32.000. Che dire? Un capolavoro che si vorrebbe che tutti avessero letto. 8. RISTAMPE. DANTE ALIGHIERI: COMMEDIA. PARADISO Dante Alighieri, Commedia. Paradiso, Mondadori, Milano 1997, 2006, pp. LX + 1316, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nella collana dei Meridiani, la terza cantica dantesca nell'eccellente edizione curata da Anna Maria Chiavacci Leonardi. Per la delizia degli appassionati completa il volume un rimario dell'intera Commedia. 9. LE ULTIME COSE. PER FARLA FINITA CON LE UCCISIONI Tutte le vittime, la stessa umanita'. Tutte le armi, il medesimo assassinio. Scegliere occorre: il disarmo. Scegliere occorre: salvare le vite. Scegliere occorre: la nonviolenza. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1422 del 18 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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