La nonviolenza e' in cammino. 1422



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1422 del 18 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Maso Notarianni: Perche' diciamo no alla missione militare in Libano
2. Maria G. Di Rienzo: Quindicenni
3. Sara Menafra: La battaglia di Farah
4. Enrico Piovesana: 85.000 sfollati in fuga dalle bombe della Nato
5. Lorenzo Porta: Un appello di Michael Lerner per la pace in Medio Oriente
6. Azizah al-Hibri: Costruendo Adalah
7. Riletture: Michail Bachtin, Dostoevskij
8. Ristampe: Dante Alighieri, Commedia. Paradiso
9. Per farla finita con le uccisioni
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. MASO NOTARIANNI: PERCHE' DICIAMO NO ALLA MISSIONE MILITARE
IN LIBANO
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 13
settembre 2006. Maso Notarianni, giornalista, e' impegnato in Emergency e
dirige "Peacereporter"]

Non sono state le vacanze estive a impedire a "PeaceReporter" di fare un
ragionamento sulla missione militare in Libano: e' stata la complessita'
della vicenda. Una complessita' talmente ricca di contraddizioni che ha
impedito a molti di riuscire a dire, forte e chiaro, il loro "no" a una
ennesima chiamata alle armi.
E persino a salvare dallo sdegno necessario gli organizzatori di una "marcia
della pace" che e' stata a tal punto strumentalizzata da venir trasformata
in una marcia a sostegno di una missione militare.
*
Le diversita' della missione libanese
Quella del Libano e' una missione militare a tutti gli effetti, ma e' pur
vero che presenta caratteristiche che la rendono molto diversa da quelle,
presenti e passate, che hanno coinvolto il nostro paese.
Prima di tutto e' stata voluta fortissimamente dall'Onu, a differenza dei
macelli iracheno e afghano. Non e' destinata a cominciare con bombardamenti
devastanti, a differenza di quella in Serbia. E' stata accettata dalle parti
in causa. E' una missione che certamente ha spezzato l'unilateralismo della
politica statunitense, e infatti non e' stata ben digerita dagli Usa che han
fatto buon viso a cattivo gioco. In queste e altre particolarita' sta la
differenza che ha fatto "ben vedere" un nuovo invio di militari all'estero.
Tanto ben vedere che non hanno sentito nemmeno bisogno di chiamarla
"missione di pace".
*
Militari ben accetti
Ma la piu' importante differenza e' un'altra: i soldati italiani (e
francesi, e cinesi e russi...) sono stati bene accolti in terra libanese,
dalla popolazione di quel paese. Blair, primo ministro britannico, ha avuto
bisogno di scorte imponenti per riuscire a mostrarsi al paese dei cedri.
D'Alema invece no. Il primo e' visto anche la' come braccio poco pensante di
Washington, il secondo (e le sue truppe) invece e' stato accolto come un
salvatore. Almeno fino a che non si provi a fare sul serio, perche'
qualsiasi libanese che sia di Hezbollah o meno, apprezza il ruolo che quelle
milizie hanno avuto in questa storia.
*
Raccontare la guerra
A questo si aggiunga il tipo di comunicazione che e' stata fatta su quel
conflitto, almeno fino a un certo punto. Come e' giusto, ma come non viene
mai fatto, sono stati mostrati dalle televisioni di tutto il mondo gli
effetti non collaterali della guerra: la distruzione, i morti, le vite
spezzate, sempre civili. Solo civili, giacche' su un fronte come sull'altro
le vittime militari (peraltro non meno vittime) sono i veri effetti
collaterali. Per questo gli editoriali dei commentatori, e non solo di
quelli da sempre favorevoli ai conflitti e alle soluzioni militari, erano
cosi' sdegnati: "Ecco, vedete, usano le morti dei bambini per attaccare
l'occidente". Addirittura, le autorita' israeliane hanno protestato contro i
giornalisti che facevano il loro mestiere.
Poi pero' gli spazi di informazione si sono rapidamente chiusi. E di quello
che e' successo nel Libano meridionale, delle azioni criminali di un
esercito che ha raso al suolo citta' e villaggi e li ha riempiti di bombe a
grappolo, e che secondo tantissime testimonianze mediche avrebbe
sperimentato nuove armi contro i civili, non si e' piu' detto nulla. Le
facce, i nomi, la carne maciullata... tutto e' scomparso dai media, che sono
tornati rapidamente a trattare di quel conflitto come fosse altro, come
fosse "sterile".
*
Perche' no a questa missione
Per tutte queste ragioni, e forse anche per altre, e' difficile riuscire a
dire "no" a questa missione, a questa missione di pace che potrebbe
trasformarsi in una guerra terribile.
Ma se pur difficile non e' meno necessario di sempre. Anzi semmai lo e' di
piu'.
Pensiamo che la scelta militare o e' sempre sbagliata, oppure va bene
sempre.
Ed e' sbagliata per molte ragioni, sempre e dunque anche adesso, in Libano.
*
Diritto alla vita e legittimita' della scelta armata
Per una questione che non e' solo etica, o morale ma dannatamente concreta:
decidere per una spedizione militare, per quanto (forse) formalmente
legittima, significa essere disposti a sacrificare vite umane, e la vita e'
un diritto inalienabile sempre e comunque. Anche in Cina, in Iran, negli Usa
quando si decide di uccidere un uomo perche' colpevole di un reato si prende
una decisione legittima. Legittima, ma sbagliata. Perche' la pena di morte
e' sempre sbagliata. Il fatto che una cosa sia formalmente legittima non
significa affatto che sia sostanzialmente giusta.
*
Economia di guerra, economia di pace
La spedizione militare italiana in Libano costera' non si sa quanto (sulle
spese militari ci si ispira sempre e comunque all'azzeccagarbugli del
Manzoni) ma certamente non meno di 280-300 milioni di euro all'anno. Orbene,
siamo sicuri che con questi quattrini investiti in altra e piu' pacifica e
civile maniera si possano ottenere in quella regione risultati migliori e
certamente piu' duraturi.
Nemmeno la missione militare in Libano del 1982 riusci' a stabilizzare
l'area. Si ottenne una pausa durata qualche mese.
Se i soldi investiti in spese militari fossero impiegati nella costruzione
di strutture civili, i problemi si risolverebbero, invece cosi' si rinviano
se va bene.
*
La politica e' l'unica scelta
Al conflitto, in Libano, non ci si sarebbe nemmeno dovuti arrivare. Perche'
Hezbollah, per quanto provino a dipingerlo come un gruppo di pazzi fanatici,
e' una struttura politica, organizzata, stabile, e peraltro ha una
rappresentanza importante nel governo libanese. Con la quale, e anche il
cessate il fuoco giunto prima dell'arrivo dell'Onu lo sta a dimostrare, si
puo' (e dunque si deve) trattare. E certamente non si puo' reagire ad un
attentato o ad un rapimento provocando migliaia di morti. E questo dovrebbe
essere, se han ragione coloro che predicano la "superiorita' occidentale",
la "superiorita' democratica", davvero il minimo.
*
La questione palestinese
Alla missione militare in Libano non ci si doveva arrivare perche' con gli
strumenti della politica e della discussione si doveva, e si deve,
affrontare la questione palestinese. La vicenda di Hamas sta li' a dirci che
quella e' l'unica via praticabile. Nonostante la rappresentazione che di
Hamas ci danno (e che Hamas stessa si da'), e' stata proprio la sua vittoria
elettorale a trasformare un gruppo armato e militare (che come tutti i
gruppi armati e militari utilizza lo strumento del terrore) in un partito
politico che come tale agisce.
E questo sortilegio e' accaduto nonostante gli sforzi di gran parte del
mondo occidentale che lo voleva impedire. Si sono giudicate le elezioni
palestinesi inaccettabili (mentre invece quelle irachena e afgane sono state
mostrate come il successo di quelle imprese). Si tollera la cattura di
ministri e parlamentari di un governo legittimo da parte di un paese
straniero. E nonostante l'embargo economico e tutte le altre questioni che
affliggono il popolo palestinese, Hamas governa e non spara quasi piu': si
e' creata una frattura importante in quel movimento tra chi ha scelto la
politica e chi continua disperatamente a voler scegliere la guerra.
E' vero che non esiste una coscienza al mondo che possa rimanere
indifferente alla distruzione e alla morte, in Kosovo come in Libano, quando
la morte e la distruzione ce le fanno vedere. Ma e' piu' utile bombardare o
risolvere i problemi?
*
L'inganno delle scelte
Saddam era un boia, ma chi lo ha armato? Milosevic era un assassino, ma
l'affare Telekom Serbia, per quanto "pulito", e' servito a rafforzarlo.
Del resto, la questione cinese sta li' a dirci che non e' per questioni
"umanitarie" etiche o morali che si compiono le grandi scelte di politica
estera. Tutti sanno di quanto laggiu' siano calpestati (e con spregio anche)
i diritti umani. Eppure, sulle colonne dei nostri giornali, ci si rallegra
del fatto che finalmente abbiamo una politica commerciale che apre a quel
paese permettendoci di fare affari e di diventar piu' ricchi. Con buona pace
dei diritti e della democrazia che vanno difesi in Afghanistan e in Iraq e
in Libano, ma non in Cina. Perche'? Perche' con la Cina si diventa ricchi.
Ma solo trattando, perche' la via militare la' e' davvero preclusa, e dunque
non la si sceglie.
*
La guerra e' sempre sbagliata
Perche' la guerra e' assenza di politica, comincia dove la politica finisce.
E gli umani, hanno il dovere (non solo morale, ma biologico) di non far
cessare mai l'uso della politica, perche' e' quella che garantisce la
sopravvivenza della specie.
Quando si sceglie la via militare, oggi piu' che mai visti gli strumenti di
distruzione che abbiamo a disposizione, si sceglie di estinguere la specie
umana.

2. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: QUINDICENNI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza.
Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne
disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura
di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2005]

Bebi (non il suo vero nome) teme per la sua vita, eppure e' venuta. E'
fuggita da casa, dalla provincia afgana di Paktia lo scorso giugno. Ha
quindici anni, e venerdi' 15 settembre era in piazza a Kabul, assieme a
molte altre donne che hanno protestato contro i cosiddetti "delitti
d'onore". La Commissione indipendente afgana per i diritti umani (Aihrc)
segnala da tempo un aumento costante di questi omicidi. I volti delle donne
durante la manifestazione sono liberi, sensibili, determinati; molte
indossano una sciarpa allentata, che non copre del tutto i capelli, molte
altre non hanno nulla.
"Quando avevo sei mesi sono stata promessa all'uomo che ho dovuto sposare",
racconta Bebi, "Come puo' questa essere una cosa giusta?". La ragazza vive
ora in incognito nella capitale afgana, ospite di amici. Se pure volesse
rivolgersi ad una struttura che aiuti le donne in difficolta' non saprebbe
dove andare, non ce ne sono. Bebi e' a rischio di essere uccisa per la
restaurazione dell'"onore" di un marito che neppure ha voluto: "Mi trattava
come un animale, non come un essere umano. Mi picchiava ogni giorno, mi
tormentava e mi teneva chiusa in casa. So che vuole uccidermi, perche' pensa
che io lo abbia svergognato, ma dio sa che se c'e' un colpevole e' lui".
I "delitti d'onore" in Afghanistan vengono perpetrati usualmente da membri
maschi della famiglia; talvolta vengono ingaggiati dei veri e propri
"contractors", che sono pagati per uccidere le donne. Capita anche che la
commissione della morte sia affidata a ragazzini, la cui eta' li mette al
sicuro di fronte alla legge. Chi muore sono donne e ragazze che rifiutano un
matrimonio combinato, o che hanno una relazione affettiva giudicata
inappropriata dalla famiglia. Stante le fortissime pressioni familiari, le
ragazze si suicidano (spesso dandosi fuoco) o fuggono dalle loro case prima
di essere uccise. "Troppe donne continuano a perdere la vita per questi
crimini brutali", dice Soraya Sobrang dell'Aihrc, "Solo noi ne abbiamo
registrati 185 nei primi nove mesi di quest'anno, ma il numero reale e'
considerevolmente piu' alto. Specialmente nelle zone rurali, e' molto
difficile che questi omicidi vengano denunciati. Ci sono due fattori chiave
nella situazione: il fatto che gli assassini non vengono perseguiti dalla
legge, e il fatto che le donne non conoscono i loro diritti".
*
Ringrazio le mie corrispondenti, le foto sono bellissime, tenete duro amiche
e sorelle, abbracciate Bebi, siamo tutte li' con il cuore. E continuo a
leggere i messaggi: "Sono Fikirte Getahun, una sociologa etiope. Ho avuto
l'opportunita' di viaggiare sino alle zone remote del mio paese per un
lavoro di ricerca sui problemi degli adolescenti, il che include la salute
riproduttiva e l'uso dei contraccettivi. Ho incontrato questa ragazza,
Yenguse Dessie, che aveva all'epoca 15 anni ed era gia' madre di un bambino.
Era stata costretta dalla sua famiglia a sposarsi ad 11 anni. Il marito la
forzo' da subito ad avere rapporti sessuali, che lei ha descritto come
terribilmente dolorosi. Quando partori' il primo figlio le si formo' una
fistola, e dovette essere ricoverata nella capitale per l'intervento
chirurgico. Non voleva avere un altro figlio, ma non sapeva come prevenire
una seconda gravidanza. Di nuovo resto' incinta, e si rivolse ai medici
'tradizionali' per interrompere la gravidanza. E' stata sul punto di morire
a causa di questo aborto. Il piu' grande sogno della sua vita, mi ha detto,
sarebbe avere un'istruzione, di modo da poter crescere bene suo figlio".
E ancora: "Sono Kanchi Kumari Basnet, sono nepalese, e sono in prigione a
causa della malvagita' di mio suocero. Io vengo dal distretto di Sindhuli.
Sono stata stuprata dal padre di mio marito. Mio marito lavorava all'estero
come manovale quando e' successo. Sono rimasta incinta. Ho dato alla luce un
bambino morto. Credo che questo sia accaduto a causa di quanto pesante era
il mio lavoro. Ma mio suocero, che mi ha violentata, ha chiamato la polizia.
Ha detto loro che io dormivo con altri uomini e che avevo avuto questo
figlio. Inoltre, mi ha accusata di aver fatto aborti per nascondere la mia
condotta. A questo punto il cielo mi e' caduto sulla testa. Sono in prigione
da sette anni, ma sto ancora chiedendo giustizia. Il padre di mio marito,
che ha commesso il vero crimine, se va in giro libero e beato. Non capisco
perche' sia cosi' difficile credermi, lui non e' stato neppure interrogato.
Da quando sono detenuta non posso lavorare per dar da mangiare all'altro mio
figlio. Adesso, per fortuna, di lui si prende cura l'Assistenza prigionieri
del Nepal" (testimonianza raccolta da Indira Rana Magar, attivista
dell'Assistenza prigionieri summenzionata; Kanchi aveva 15 anni quando si e'
sposata).
Quindici anni sono pochi, per cosi' tanta sofferenza. Ma non scorgo un cenno
di resa: potrebbero uccidermi, eppure mi mostro in piazza ad affermare il
diritto alla vita mio e delle altre; voglio studiare, avere delle
possibilita', e non e' solo per me, ma anche per il mio piccolo; i torti che
ho subito e sto subendo sono enormi, pure non smettero' di chiedere
giustizia. A livello generazionale potrebbero essere tutte e tre figlie mie,
Bebi, Yenguse e Kanchi: se cosi' fosse sarei fiera della loro vitale
fierezza.

3. AFGHANISTAN. SARA MENAFRA: LA BATTAGLIA DI FARAH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 settembre 2006. Sara Menafra e'
giornalista del "Manifesto"]

La guerra afghana bussa alle porte delle basi italiane. E nell'attacco ai
corpi speciali della scorsa settimana non c'era nulla di fortuito o casuale,
checche' ne dica il ministro Parisi. La prova e' negli scarni dispacci
diffusi ieri dalla Bbc che raccontano di una offensiva talebana proprio
contro il quartiere generale distrettuale della provincia di Farah. La zona
sotto controllo italiano in cui si trovavano i militari colpiti. Una
offensiva che dimostra come le truppe taliban si siano ormai spostate dalla
zona sud ai confini col Pakistan a quella a ovest sotto Herat, adiacente
all'Iran. E che la guerra, quella vera, ormai non tocca piu' solo una zona
limitata del paese.
La battaglia di Farah e' durata lo spazio di un giorno. In mattinata i
ribelli hanno attaccato il quartier generale assediato da giorni e sono
riusciti a prenderne il controllo per poi vedersi respinti gia' nel tardo
pomeriggio. Lo ha raccontato un portavoce del movimento, Quari Mohammad
Yousuf, all'agenzia Afghan islamic press: "Nella battaglia sono stati
distrutti due veicoli governativi e un soldato e' rimasto ucciso, mentre
l'edificio che ospitava il quartier generale e' stato dato alle fiamme".
Solo nel tardo pomeriggio le truppe afghane sono riuscite a riprendere il
controllo della sede del quartier generale.
Storia confermata nei dettagli dal capo della polizia locale Sayed Aqa
Saquib con una aggiunta: "I rinforzi non sono stati in grado di raggiungere
il comando". I "rinforzi" di cui parla avrebbero dovuto essere italiani. E
quel che Saquib non dice o forse non sa e' che dopo quel che e' accaduto
alle forze speciali italiane, la Difesa ha ordinato ai nostri di rimanersene
rintanati ad Herat. Una precauzione che potrebbe non bastare. Anche perche'
ormai nella zona di Farah i miliziani sono centinaia e gli attacchi contro
la polizia e l'esercito crescono di ora in ora. L'ultimo, prima di quello di
ieri, e' di mercoledi' scorso. Quattro soldati e quattro talebani morti
durante uno scontro a fuoco di cui la Bbc non chiarisce i dettagli.
Era il 9 settembre quando quattro soldati italiani a bordo di un mezzo in
servizio di pattuglia sono rimasti feriti per l'esplosione di un ordigno
piazzato al lato della strada su cui transitavano. Erano in attivita' di
pattuglia nei pressi di Farah, nella zona di responsabilita' del Comando Rc-
West a guida italiana, si spiego' allora. Parisi parlo' di attentato "non
contro gli italiani" e evito' di chiarire perche' in quella zona fossero
stati mandati uomini dei corpi speciali della marina. Dall'esercito qualcuno
aveva gia' spiegato che gli "incursori" mandati a Farah avevano un compito
specifico: monitorare la presenza talebana nella zona e tentare di fermare
l'allargamento della zona sotto il loro controllo. Ora il quadro si fa piu'
chiaro. "La realta' e' che la zona sotto controllo dei taliban si allarga
ogni giorno di piu'" dice Francesco Martone, senatore di Rifondazione
comunista: "Abbiamo bisogno di attivare immediatamente l'osservatorio
permanente sull'area per capire cosa sta accadendo". L'organizzazione
inglese Senlis council e' ancora piu' esplicita. Nel rapporto pubblicato sul
loro sito, www.sensilcouncil.com, si parla di Farah come del nuovo centro
della zona di influenza talibana sull'Afghanistan. E si spiega nel dettaglio
come i taliban siano gia' in grado di muoversi liberamente in tutto il
paese. Nonostante i fragili distinguo del governo italiano.

4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: 85.000 SFOLLATI IN FUGA DALLE BOMBE DELLA
NATO
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 14
settembre 2006. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net",
per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e'
stato in Afghanistan in qualita' di inviato]

Sono ormai circa 85.000 i civili afgani sfollati nelle province meridionali
di Kandahar e Helmand. Migliaia di famiglie fuggite dai bombardamenti della
Nato in corso sui villaggi dei distretti di Panjwayi e Zhari (provincia di
Kandahar) e di Nawzad, Garamser, Sangin e Musa-Qala. Bombardamenti che,
secondo fonti locali, avrebbero provocato almeno 500 morti civili
dall'inizio di settembre. Oltre 5.000 famiglie (vale a dire circa 35.000
persone, vista la media di componenti delle famiglie afgane) si sono
accampate alla periferia di Lashkargah, e 7.500 (circa 50.000 persone) alla
periferia di Kandahar.
*
Niente tende, solo sapone
L'assistenza umanitaria fornita agli sfollati appare assolutamente
inadeguata. L'ingegner Abdul Kadar, vicedirettore del Dipartimento sviluppo
rurale della provincia di Helmand, ha riferito che oggi sono stati
distribuiti a 3.000 delle 5.000 famiglie sfollate a Lashkargah "generi di
aiuto" forniti dal World Food Programme delle Nazioni Unite e dal locale
Provincial Reconstruction Team britannico, struttura militare Nato. "Gli
aiuti dati sono minimi rispetto alle esigenze di queste persone", ha detto
l'ingegner Kadar.
"Ci hanno dato solo pezzi di sapone", protesta un profugo. "Ma noi abbiamo
bisogno di tende perche' non abbiamo un riparo".
La stessa assistenza e' stata fornita nei giorni scorsi agli sfollati di
Kandahar.
*
Il governo afgano non aiuta
Pare pero' che il governo afgano, che su richiesta del comando Isaf-Nato ha
ordinato l'evacuazione delle aree interessate dall'offensiva talebana, non
abbia intenzione di dare alloggio ai profughi. Alla domanda di alcuni
giornalisti sul perche' le autorita', dopo aver cacciato la gente dalla
proprie case, non provvede a offrire loro una sistemazione, il governatore
della provincia di Kandahar, Assadulah Khalid, ha detto: "Non abbiamo
bisogno di allestire campi profughi, perche' questa gente tornera' presto a
casa, visto che le operazioni della Nato finiranno tra poco".
Nessuno ha chiesto al governatore se ha pensato al fatto che questi sfollati
non hanno piu' una casa in cui tornare, dato che molti villaggi sono stati
rasi al suolo dalle bombe da 500 libbre sganciate dai bombardieri Isaf (tra
cui addirittura gli enormi B-1, quelli che sganciano le bombe in caduta
libera dalla pancia della fusoliera).

5. MATERIALI. LORENZO PORTA: UN APPELLO DI MICHAEL LERNER PER LA PACE IN
MEDIO ORIENTE
[Ringraziamo Lorenzo Porta (per contatti: porta.l at libero.it) per averci
messo a disposizione i seguenti materiali.
Lorenzo Porta e' docente del Corso di laurea "Operazioni di pace, gestione e
mediazione dei conflitti" della Facolta' di Scienze della formazione e
Scienze politiche dell'Universita' di Firenze.
Il rabbino Michael Lerner, nato 61 anni fa nel New Jersey, e' cresciuto in
un ambiente familiare immerso nella politica. I suoi genitori erano leader
del movimento sionista negli Stati Uniti nel periodo precedente la seconda
guerra mondiale. Dopo la guerra, suo padre divenne giudice e sua madre
consigliere politico e capo della campagna elettorale per un senatore. Icone
del partito democratico come Adlai Stevenson e Harry Truman passarono per
casa negli anni in cui Lerner cresceva, e quando si presento' all'ammissione
al college, John F. Kennedy gli scrisse una lettera di raccomandazione. A
dodici anni leggeva i resoconti del Congresso e notava la differenza tra
quello che i politici dicevano e come votavano in realta'. Vedeva
altrettanta ipocrisia anche nel mondo ebraico. Dice Lerner "Da un lato, le
sinagoghe negli anni '50 erano piene di persone che sviluppavano ideali
alti; dall'altro, era evidente che il risultato finale erano il materialismo
e il consumismo". In seguito, Lerner scopri' il libro di Abraham Joshua
Heschel Dio alla ricerca dell'uomo. Per anni lesse un capitolo a settimana
e, finito il libro, lo ricominciava. Adolescente, incontro' Heschel che lo
invito' a studiare al Jewish Theological Seminar a New York. Qui Lerner
scopri' che alcuni ebrei rifiutavano l'ebraismo americanizzato che lui
conosceva, e sostenevano che aveva poco a che fare con il messaggio centrale
della religione. Fu il suo primo incontro con una critica ebraica
dell'ebraismo e getto' le basi della sua successiva campagna per un
rinnovamento della fede. Nel 1966 Lerner visse per diversi mesi in un
kibbutz in Israele. Benche' l'ambiente socialista del kibbutz gli
dimostrasse che le persone potevano essere motivate da riconoscimenti non
materiali, gli rivelo' anche quello che egli percepi' come difetto centrale
del socialismo: l'assenza di un elemento spirituale. Alla fine degli anni
'60, Lerner era diventato un leader del movimento statunitense contro la
guerra. Era uno dei membri dei Sette di Seattle, un gruppo di attivisti
denunciati dal governo federale per utilizzare le proprieta' dello stato (il
telefono) con l'intento di incitare alla rivolta (una protesta contro la
guerra nel Vietnam). Il capo dell'Fbi J. Edgar Hoover chiamo' Lerner "uno
dei criminali piu' pericolosi degli Stati Uniti". Lerner fu incarcerato al
penitenziario federale di Terminal Island per disprezzo della corte. Le
accuse di cospirazione furono in seguito ritirate e le leggi in base alle
quali erano state portate furono dichiarate incostituzionali. Quando il
movimento contro la guerra perse vigore, Lerner attribui' parte della
responsabilita' a cio' che chiamo' un "surplus di impotenza" negli attivisti
stessi. Essi non potevano riconoscere i loro successi perche' "ridefinivano
continuamente i criteri in base ai quali definire il successo in un modo che
li faceva sentire dei falliti". Il desiderio di comprendere questa
"patologia" autodistruttiva porto' Lerner a studiare psicoterapia. Voleva
anche analizzare la sua vita emotiva. Dice Lerner, "Scoprii che ero troppo
severo nei miei giudizi, specialmente nei confronti dei miei genitori".
Fini' il suo secondo PhD (il primo era in filosofia) al Wright Institute nel
1977 e incomincio' a lavorare come psicologo clinico. Tra la fine degli anni
'70 ed i primi anni '80 Lerner viveva con disagio crescente lo spostamento
politico della comunita' ebraica dal polo liberal a quello conservatore.
Cio' lo condusse alla fine a fondare la rivista "Tikkun" nel 1986. Il suo
obiettivo era rivitalizzare le voci liberal e progressive degli ebrei
americani. Ma l'attivismo di Lerner non si limita al Medio Oriente ed ai
circoli ebraici statunitensi. Oggi "Tikkun" (che significa in ebraico
riparazione, guarigione o trasformazione) aiuta i liberal di tutte le
culture e confessioni a integrare nelle loro vite la dimensione politica e
quella spirituale. E' una rivista  molto considerata anche nel dibattito
culturale a livello accademico su questioni sociali cruciali. Lerner e'
stato consigliere di Bill Clinton nel primo mandato. Recentemente, Lerner ha
formato la Tikkun Community, un gruppo interconfessionale aperto ai laici,
impegnato per la pace in Medio Oriente, la nonviolenza, la consapevolezza
globale, la salute ecologica. Rabbi Lerner conduce servizi in diversi luoghi
a San Francisco. La sua congregazione, Beit Tikkun, e' un frutto del
movimento Jewish Renewal, che unisce alla spiritualita' un richiamo
all'azione sociale per il cambiamento. Il libro di Lerner Jewish Renewal: a
Path To Healing And Transformation delinea il suo progetto per rivendicare
lo spirito rivoluzionario dell'ebraismo. Il discorso si allarga a tutte le
altre religioni in Spirit Matters. Nel dibattito statunitense sul conflitto
tra Israele e Palestina la voce di Lerner e' emersa come una delle piu'
equilibrate. Il suo ultimo libro Healing Israel/Palestine incoraggia
entrambe le parti a riconoscere il proprio e altrui dolore e ad affermare la
dignita' innegabile dell'altro. Il ruolo della Tikkun Community a questo
riguardo e' educare il pubblico, i media, il mondo accademico, le
istituzioni politiche ed i rappresentanti eletti ad un percorso di pace e
sicurezza comune per Israele ed il popolo palestinese. Opere di Michael
Lerner: Jewish Renewal: A Path to Healing and Transformation (Putnam, poi
Harper Collins, 1995); con Cornel West: A Dialogue on Race, Religon and
Culture in America (Putnam, poi Penguin); The Politics of Meaning: Restoring
Hope and Possibility in an Age of Cynicism (Addison Wesley Longman/Perseus
Books); Spirit Matters (Walsch Books/Hampton Roads); Healing
Israel/Palestine (Tikkun Books, North Atlantic Books, 2003); The Left Hand
of God: Taking Back our Country from the Religious Right (Harper, 2006).
Sito: www.tikkun.org Altri piu' ampi testi di e su Michael Lerner sono ne
"La domenica della nonviolenza" n. 19, un suo ampio intervento recante una
proposta nonviolenta per la pace in Medio Oriente e' apparso nel n. 1362 di
questo foglio]

Il seguente appello promosso da Michael Lerner, storico attivista per la
pace e il disarmo, e sottoscritto negli Stati Uniti da piu' di 3.500
persone, tra cui figurano Mary Oliver, Cornell West, scrittori Karem
Armstrong, Clayborne Carson, Kim Chernin, Deepak Chpra, Sidra Keoven Ezrahi,
Caroln Force, Annie Lamott, Thomas Powers, Buffy Sainte-Marie, attivisti
come Daniel Ellsberg, Van Jones, Jonathan Granoff, il reverendo Tony
Campolo, Arun Gandhi.
Per la lista delle adesioni e gli aggiornamenti: www.tikkun.org/peacead
Michael Lerner, esponente di spicco del movimento americano per il disarmo e
la pace, rabbino riformato di Berkeley -California che abbiamo avuto il
piacere di invitare in Italia lo scorso anno a Firenze e a Milano con il
contributo degli amici italiani di Neve Shalom-wahat al Salam, Comune di
Firenze e Provincia di Milano e il Corso di Laurea "Operazioni di pace,
gestione  e mediazione dei conflitti" di Firenze.
Questo appello sulla guerra in Libano, in Israele e nella Striscia di Gaza
e' stato pubblicato a pagamento, grazie al contributo volontario di singole
personalita', gruppi e gente comune (circa 3.500 firme), sul "New York
Times" del 31 luglio e sul "Los Angeles Times" del 6 agosto, ed e' stato
ripreso da altri giornali importanti negli Stati Uniti, in Israele e in
Europa e in alcuni paesi arabi.
Per ulteriori informazioni/ www.tikkun.org
Per contattare Michael Lerner: RabbiLerner at tikkun.org
*
Un appello di Michael Lerner per fermare la guerra e imporre una pace
duratura nel Medio Oriente (luglio 2006)
In nome delle nostre sorelle e dei nostri fratelli che soffrono e muoiono in
Libano, in Israele e nei Territori palestinesi occupati, noi leader
religiosi, studiosi, accademici, leader culturali, poeti, scrittori,
filantropi, attivisti per il cambiamento sociale e cittadini del mondo,
chiediamo che il governo di Israele, le leadership di Hezbollah e Hamas, il
governo degli Stati Uniti, la comunita' internazionale e le Nazioni Unite
prendano immediatamente i seguenti provvedimenti per fermare la guerra in
Medio Oriente:
1. Chiediamo che il governo di Israele fermi immediatamente l'attacco contro
il Libano. Ci uniamo al movimento pacifista israeliano, e alle migliaia di
israeliani che hanno manifestato contro questa guerra a Tel Aviv il 22
luglio 2006, nel sottolineare che questi attacchi sono assolutamente
sproporzionati all'inizale provocazione di Hezbollah, hanno ucciso
innumerevoli civili innocenti, hanno causato mezzo milione di sfollati,
distrutto miliardi di dollari di infrastrutture libanesi e non produrranno,
nel lungo periodo, ne' pace ne' sicurezza per Israele. Chiediamo anche al
governo israeliano di fornire cibo, elettricita', acqua e denaro per porre
rimedio alla crisi umanitaria provocata dai recenti attacchi a Gaza.
2. Chiediamo che Hezbollah e Hamas cessino immediatamente di lanciare razzi
o di commettere altri atti di violenza contro Israele. Queste azioni, che
hanno ucciso numerosi civili israeliani, terrorizzato la popolazione di
Israele e danneggiato diversi villaggi e citta', hanno svolto un ruolo
centrale nel provocare l'attuale crisi, e non fanno altro che danneggiare la
causa dell'indipendenza e della democrazia palestinese e libanese. E' questo
genere di violenza che, nel corso degli anni, ha spinto molti rispettabili
israeliani e arabi nelle mani dei loro leader politici piu' militaristi e
ottusi.
3. Chiediamo che il governo statunitense e i governi di tutto il mondo
spingano Israele, Hezbollah e Hamas a stipulare un immediato cessate il
fuoco, pongano un immediato embargo sulle armi destinate alle parti in
conflitto (inclusi Siria e Iran), e prendano parte a una conferenza
internazionale per mettere in sicurezza il confine tra Israele e Libano.
Sostenendo gli attacchi di Israele, assicurando rifornimenti di armi e dando
esplicitamente tempo a Israele per causare ulteriori danni alla popolazione
del Libano, il governo degli Stati Uniti e' diventato parte in causa nel
conflitto, cosa che, unita alle azioni militari statunitensi in Iraq, crea
certamente ostilita' verso gli Usa e Israele nel mondo musulmano, per
generazioni a venire.
Questi sono i passi essenziali per fermare la violenza e il disastro
umanitario nel sud del Libano e nella Striscia di Gaza. Da soli, tuttavia,
non possono assicurare che la regione non ritorni a un insostenibile status
quo, che finira' per sfociare nuovamente nella violenza e in altri atti di
guerra.
Per  questo motivo lanciamo anche un appello per una pace duratura.
Chiediamo alla comunita' internazionale di indire una Conferenza
internazionale di pace per imporre un'equa e duratura soluzione al conflitto
israeliano-palestinese e al conflitto fra Israele e gli altri Stati della
regione. Perche' usiamo il termine "imporre"? Ci sono troppe forze, in
ciascun paese della regione, interessate a continuare questa lotta per
sempre. Le provocazioni continueranno fino a che la comunita' internazionale
non fermera' le violenze, una volta per tutte, e imporra' condizioni di pace
che permettano lo sbocciare, in ogni paese, delle forze della pace e della
riconciliazione.
Una soluzione del genere dovrebbe basarsi sulle seguenti condizioni:
a) la creazione di uno Stato palestinese economicamente e politicamente
capace di sostenersi (approssimativamente  sui confini pre 1967, con
modifiche minori concordate bilateralmente tra Israele e Palestina); e
contemporaneamente il pieno e inequivocabile riconoscimento, da parte dei
palestinesi, da parte dello Stato palestinese e di tutti gli Stati arabi
circostanti, del diritto di Israele a esistere come Stato ebraico che
riconosce pieni e uguali diritti ai suoi cittadini non ebrei;
b) Un consorzio internazionale che stabilisca risarcimenti per i palestinesi
che hanno perso le loro case o i loro beni dal 1947 a oggi, e risarcimenti
per gli ebrei rifugiati dagli Stati arabi nel 1947-1967;
c) Una forza di pace internazionale e a lungo termine per separare Hezbollah
e Israele nel Libano meridionale, per proteggere Israele e Palestina l'una
dall'altra e dalle altre forze nella regione che potrebbero cercare di
controllare o distruggere entrambi gli Stati, e
d) La rapida imposizione di pesanti sanzioni contro qualsiasi parte si
rifiuti di firmare o violi questi accordi.
Rabbi Michael Lerner
*
In una seconda parte dell'appello, Michael Lerner pone in rilievo i grandi
valori che la famiglia umana e' chiamata oggi a perseguire se intende
sottrarsi alla logica cinica e ottusa del "realismo politico" - che genera
guerre senza fine - e salvaguardare in tal modo la sicurezza di tutti e di
ciascuno. Tali valori sono uno spirito di apertura, la volonta' di
riconoscere l'umanita' dell'altro, e il pentimento per la lunga storia di
indifferenza e crudelta' contro gli altri.
Agli Stati Uniti e agli altri paesi del G8 Lerner chiede un Piano Marshall
Globale: nei prossimi vent'anni, gli Usa e gli altri paesi del G8 dovrebbero
impiegare ogni anno il 5% del loro prodotto interno lordo per risolvere, a
livello nazionale e globale, il problema della fame, della mancanza di
abitazioni, della poverta', dell'inadeguatezza delle cure mediche e
dell'educazione per i popoli del mondo.
"I 'realisti cinici', scrive Lerner, sostengono che gli 'altri' sono
trincerati nel loro odio, e che la guerra e il dominio sono gli unici
strumenti per combatterli. Questo modo di pensare ha condotto a cinquemila
anni di guerre combattute per 'porre fine a tutte le guerre', e non ha
funzionato". La strada per la pace deve essere una strada di pace.
Occorre, secondo Lerner "iniziare una nuova era e riconoscere che il nostro
personale benessere dipende dal benessere di chiunque altro sul pianeta. La
Conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente dovrebbe essere
strutturata per ottenere questo obiettivo: il che significa che dovrebbe
avere una dimensione esplicitamente psicologica e spirituale e un ordine del
giorno lungimirante".
In questo spirito Lerner auspica che, quando saranno state gettate le
fondamenta per una pace duratura, le parti che attualmente confliggono nel
Vicino Oriente istituiscano una Commissione per la verita' e la
riconciliazione, sul modello di quella utilizzata in Sudafrica.
*
Nel novero degli intellettuali Usa che intervengono ripetutamente contro le
devastazioni della guerra e i guasti della globalizzazione neoliberista,
Michael Lerner  - rabbino liberal di Berkeley (California) -  si segnala per
la singolare capacita' di coniugare la disposizione ad analizzare acutamente
le interne dinamiche del mondo sociale e politico americano con una creativa
immaginazione utopica.
Profondo conoscitore della realta' medio-orientale, Lerner, che e' nato 62
anni fa nel New Jersey, e' stato consigliere di Bill Clinton nel primo
mandato per la politica internazionale e il Medio Oriente. Nel 1986 ha
fondato la rivista "Tikkun" (che significa in ebraico "riparazione",
"guarigione" o "trasformazione") con l'obiettivo di rivitalizzare la voci
liberal e progressive degli ebrei americani. In tempi piu' recenti ha dato
vita alla Tikkun Community e al Network of Spiritual Progressives: gruppi
interconfessionali in rete fra loro, molto aperti ai laici, impegnati a
indicare ai media, al mondo accademico, alle istituzioni politiche, alla
galassia dei movimenti e al piu' ampio pubblico percorsi di pace, di
nonviolenza, di salute ecologica e di consapevolezza globale. Nel gennaio
2006 ha pubblicato il suo ultimo libro: The Left Hand of God ("La mano
sinistra di Dio").
Nel maggio 2005 e' stato invitato in Italia a Firenze dal Corso di laurea
"Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" con la
collaborazione del Comune di Firenze e a Milano con la collaborazione della
Provincia di Milano, gli amici italiani di Neve' Shalom-Wahat al Salam con
la partecipazione di Adel Jabbar, Moni Ovadia, Salvatore Natoli, Lorenzo
Porta, Bruno Segre.
*
L'appello e' sostento dall'Italia da Peacereporter (agenzia informativa di
Emegency), dagli Amici di Neve' Shalom Wahat al Salam - Italia, e da singole
persone.
Per informazioni: prof. Lorenzo Porta, e-mail: porta.l at libero.it

6. ESPERIENZE. AZIZAH AL-HIBRI: COSTRUENDO ADALAH
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento.
Azizah al-Hibri e' cofondatrice del gruppo femminista pacifista
internazionale "Peace x Peace", docente di diritto alla facolta' di
giurisprdenza dell'Universita' di Richmond, fondatrice e direttrice di
"Karamah: donne magistrate musulmane per i diritti umani", fondatrice e
direttrice di "Ipazia: giornale di filosofia femminista"]

Che cos'e' "Adalah"? Ricordo il primo giorno in cui questa parola fu
pronunciata nell'iniziale cerchio di dialogo di "Peace X Peace" (Pace
tramite la pace, ndt). Le donne arabe o musulmane suggerirono che Adalah era
il fondamento della pace. Quando ci fu chiesto cosa significasse, per
brevita' usammo la definizione dei dizionari: "giustizia". La traduzione
suscito' una reazione negativa. Le nostre sorelle nate in Occidente
recalcitravano all'idea che la pace dovesse essere fondata su una
"giustizia" che punisce o compensa, tipo "occhio per occhio e dente per
dente". Fu il nostro turno di restare sconvolte, non era certo quello il
nostro significato di "giustizia"!
Discutendo, divenne chiaro che stavamo usando le stesse parole in modo
differente. Dopo che fummo riuscite a spiegare cosa voleva dire "giustizia"
dal nostro punto di vista, il gruppo decise che il suo significato andava al
di la' della stretta traduzione inglese del termine. Percio' decidemmo
proprio di usare la parola "Adalah", invece di giustizia, di modo da
trasmettere il suo senso piu' ampio e piu' ricco.
*
In questo spazio limitato, tentero' di spiegare Adalah dalla mia prospettiva
islamica. Adalah e' il concetto chiave del Corano, e la sua spina dorsale e'
Mizaan (bilanciamento). Dio ci dice nel Corano di aver creato l'intero
universo misurando con precisione (cap. 25: versetto 2), cosi' che il sole
non avrebbe sopraffatto la luna, ne' la notte il giorno (36, 4), e che "la
terra che abbiamo svolto (come un tappeto) si sostiene su ferme e
inamovibili montagne, e produce ogni sorta di cose in perfetto
bilanciamento" (15, 19). In altre parole, ogni cosa sulla terra e' stata
creata in accordo a questa bilancia divina.
Quest'armonia cosmologica e' la chiave per l'armonia umana. Il Corano dice:
"E il firmamento egli lo innalzo' e stabili' Mizaan, di mondo che voi non
trasgredirete il bilanciamento e cosi', pesando con giustizia, non potrete
andar distanti da esso" (55, 7-9). Questo versetto e  i seguenti rendono
chiaro l'ampio spettro del bilanciamento, e di conseguenza di Adalah.
Entrambi i termini sono in relazione ad una nozione cosmologica di
bilanciamento che tocca tutto, dal commercio alla vita di ogni giorno, e che
viaggia in un cerchio.
Adalah, tuttavia, non viene a noi facilmente: "Oh, voi che credete! Ergetevi
fermamente per Dio nel testimoniare un agire giusto, e non lasciate che
l'odio altrui (da loro a voi o da voi a loro) vi faccia vacillare in cio'
che e' errato o vi separi dalla giustizia. Siate giusti, il che significa
siate quanto piu' vicini alla pieta'" (5, 8). Nella sfera sociale e
politica, il Corano ci dice chiaramente che Adalah significa l'eguaglianza
di base di tutti gli esseri umani, senza distinzioni di genere, etnia o
colore della pelle. Inoltre, Dio chiede a tutti i musulmani di dire la
verita', di prendersi cura di vedove ed orfani, di essere modesti. Dio
incoraggia anche i musulmani a perdonare quando ricevono un torto. Queste
sono forme piu' alte e piu' difficili di Adalah.
*
Come il Profeta soleva dire: "Irhamu (mostrate misericordia/compassione) a
coloro che vivono sulla terra, cosi' che in cielo yarhamukum (si mostrera'
misericordia/compassione) verso di voi".
Percio', perche' non impegnarci nell'essere gentili, compassionevoli e nel
perdonarci l'un l'altro, cosi' che i cerchi delle nostre vite raggiungano
quel bilanciamento che e' inteso per loro?

7. RILETTURE. MICHAIL BACHTIN: DOSTOEVSKIJ
Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968,
1995, pp. 356, lire 32.000. Che dire? Un capolavoro che si vorrebbe che
tutti avessero letto.

8. RISTAMPE. DANTE ALIGHIERI: COMMEDIA. PARADISO
Dante Alighieri, Commedia. Paradiso, Mondadori, Milano 1997, 2006, pp. LX +
1316, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nella collana
dei Meridiani, la terza cantica dantesca nell'eccellente edizione curata da
Anna Maria Chiavacci Leonardi. Per la delizia degli appassionati completa il
volume un rimario dell'intera Commedia.

9. LE ULTIME COSE. PER FARLA FINITA CON LE UCCISIONI

Tutte le vittime, la stessa umanita'.
Tutte le armi, il medesimo assassinio.
Scegliere occorre: il disarmo.
Scegliere occorre: salvare le vite.
Scegliere occorre: la nonviolenza.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1422 del 18 settembre 2006

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