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La nonviolenza e' in cammino. 1369
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1369
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 27 Jul 2006 00:38:11 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1369 del 27 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: Di buon cuore gli assassini 2. Peppe Sini: L'ora della nonviolenza giuriscostituente 3. Enrico Piovesana: In Afghanistan occorre solidarieta', non guerra 4. Maso Notarianni: Il 73% degli elettori del centrosinistra vuole il ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan 5. Hans Kung: Religioni universali, pace mondiale, etica mondiale 6. Letture: Nunzia Penelope, Seveso 1976-2006 7. Letture: Francesco Pistolato (a cura di), Per un'idea di pace 8. Riedizioni: David Ricardo, Principi di economia politica e dell'imposta 9. Osvaldo Caffianchi: Orsu' gioiscano gli assassinati afgani 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: DI BUON CUORE GLI ASSASSINI Di buon cuore gli assassini fanno guerre umanitarie per salvare i piu' meschini dalle idee totalitarie. I governi piu' sapienti sanno quel che occorre e vale: romper ossa, spezzar denti all'indigeno permale. E per fare meglio e prima bombe e mine fanno all'uopo: con i morti si concima e il raccolto verra' dopo. Se lo stolido innocente va a ficcarsi sotto il fuoco sua e' la colpa, l'insipiente non capisce il grande gioco. Ah, la guerra sola igiene per un mondo stanco e lercio a cui inietta nelle vene morte e libero commercio. Di buon grado gli assassini fan le stragi umanitarie: sterminando anche i bambini aboliscon la barbarie. 2. EDITORIALE. PEPPE SINI: L'ORA DELLA NONVIOLENZA GIURISCOSTITUENTE La guerra che sta infiammando il Medio Oriente deve essere fermata al piu' presto, ed al piu' presto occorre recare soccorso alle vittime, a tutte le vittime. Il cessate il fuoco e' il primo, indispensabile passo. Il fondamentale diritto a non essere uccisi va riconosciuto a tutti gli esseri umani. Per questo obiettivo ciascuno si adoperi con azioni coerenti: ovvero che si basino sulla consapevolezza che fini di pace e di convivenza non si possono raggiungere con atti di guerra e di morte. * Il fallimento di un'operazione meramente propagandistica come quella della conferenza di Roma era implicito nelle sue stesse premesse: l'ipocrisia di governi e di organismi internazionali - come il governo Usa e quello italiano, come il segretario generale dell'Onu che negli ultimi decenni ha avallato crimini inenarrabili quando a commetterli erano i piu' potenti tra i potenti - non poteva che mostrare la corda: non possono pretendere di dar lezioni di pace coloro che commettono o avallano guerre e stragi. Occorre un'azione di pace con mezzi di pace, che abbia credibilita' e ingeneri fiducia: e' evidente che gli Usa - e i loro alleati e scudieri - non possono essere soggetto promotore e protagonista di un'azione di pace credibile mentre stanno continuando a massacrare iracheni ed afgani. * Sono anni che questo foglio sostiene la tesi che occorre che la nonviolenza entri e pienamente si dispieghi nelle istituzioni e nella politica statuale ed internazionale; che divenga fondamento della legislazione e dell'organizzazione degli ordinamenti giuridici, e chiave di volta delle relazioni tra gli stati e tra i popoli, cardine delle agende poltiche internazionali. Del resto la nonviolenza e' sempre stata eminentemente lotta politica e principio giuriscostituente: Gandhi e' innanzitutto un leader politico e in decisive fasi della lotta per l'indipendenza dell'India finanche un capo di partito. Esperienze di nonviolenza giuriscostituente sono ormai realta' in varie parti del mondo: l'esperienza sudafricana della Commissione per la verita' e la riconciliazione dmostra che persino nel campo del diritto penale la nonviolenza puo' e deve farsi principio-guida legislativo ed operativo. Il lavoro in corso da anni in Europa e in italia per i Corpi civili di pace e per la Difesa popolare nonviolenta (come gia', a suo tempo, le lotte che portarono al riconoscimento dell'obiezione di coscienza al militare, e le esperienze di servizio civile alternativo - quelle valide, poiche' come tutti sappiamo si sono date anche tante pratiche discutibili e fin ignobili), costituiscono percorsi di lavoro su cui occorre ancor piu' procedere e premere. * Chi - come certi dirigenti politici e certi ministri guerrafondai che trovano addirittura talora ascolto in accademici troppo segnati dalla loro subalternita' a partiti politici che li hanno a suo tempo reclutati come fiori all'occhiello nelle istituzioni - continua a predicare che la nonviolenza deve stare alla larga dalla politica e dalle istituzioni democratiche, non sa quel che si dice, o forse lo sa fin troppo bene. * Oggi o la nonviolenza si fa proposta politica, progetto giuriscostituente, principio informatore delle politiche internazionali come di quelle statuali e locali, o svanisce nel nulla. 3. RIFLESSIONE. ENRICO PIOVESANA: IN AFGHANISTAN OCCORRE SOLIDARIETA', NON GUERRA [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo di Enrico Piovesana del 18 luglio 2006. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in Afghanistan in qualita' di inviato] Approda in Parlamento il decreto sul proroga della partecipazione italiana alla missione militare della Nato in Afghanistan: Isaf. Alle critiche di chi la definisce una missione di guerra travestita da missione di pace, il governo risponde rivendicandone lo scopo umanitario, dichiarando che essa contribuisce alla ricostruzione del Paese: direttamente con le Squadre di Ricostruzione Provinciale (Prt) e indirettamente con la protezione garantita alle Ong che altrimenti non potrebbero operare sul territorio. Ma le stesse Ong italiane, da anni impegnate in Afghanistan, insorgono contro quella che giudicano una strumentalizzazione politica e una confusione di ruoli che finisce con l'ostacolare e rendere pericoloso, invece che facilitare, il lavoro di cooperazione e assistenza umanitaria. Coopi, Alisei, Cesvi, Aispo, Medici Senza Frontiere e Terres des Hommes, Caritas, interpellate da "PeaceReporter", chiedono al governo di non usare la scusa dell'umanitarismo per giustificare agli occhi dell'opinione pubblica decisioni di politica estera che nulla hanno a che vedere con il bene della popolazione irachena, e di valutare seriamente l'opportunita' di continuare a partecipare a una missione "di pace" ormai indistinguibile dall'operazione di guerra Enduring Freedom. E alcune Ong, non piu' solo Emergency, chiedono esplicitamente il ritiro dei nostri soldati dall'Afghanistan. Stanche di essere strumentalizzate ma inascoltate, le Ong italiane che operano in teatri di guerra (Afghanistan e Iraq) hanno deciso la scorsa settimana di cerare un coordinamento per far valere le proprie posizione di fronte ai politici ed ai militari. * Nino Sergi, segretario generale di Intersos: "I Prt vengono spacciati per strutture miste civili-militari, ma in realta' operano sotto il comando dei militari e consistono in squadre di militari che svolgono attivita' umanitaria in maniera strumentale a obiettivi militari che prescindono dalle reali esigenze della popolazione locale. Questo non solo contrasta con la regola etica fondante dell'aiuto umanitario, la neutralita'. Ma mette in pericolo il nostro lavoro in quelle zone, costringendoci addirittura a sloggiare dalle aree in cui operano i Prt. Perche' laddove i militari fanno lo stesso lavoro che facciamo noi, la popolazione non distingue piu' tra noi e loro, ci identifica con i militari e scarica anche su di noi l'ostilita' che ha nei confronti delle truppe straniere, soprattutto ora che la missione di pace Isaf e l'operazione bellica Enduring Freedom si sono sovrapposte e confuse diventando praticamente indistinguibili". "Lo stesso discorso - prosegue Sergi - vale per la protezione delle Ong da parte dei militari. Essere protetti dai soldati vuol dire essere associati a loro agli occhi della gente, e abbiamo capito sulla nostra pelle quanto questo sia rischioso. Altro che protezione! Ha fatto bene il dottor Gino Strada a rispondere al ministro della Difesa, Arturo Parisi: non e' certo grazie alla protezione dei militari che noi possiamo lavorare in Afghanistan. Non solo per il dato evidente che molte Ong, come la nostra, sono li' da ben prima che arrivassero i militari. Ma soprattutto perche' quello che rende possibile operare in aree anche difficili e isolate e' il rapporto di fiducia che stabiliamo con la popolazione locale la quale, sapendo che siamo li' solo per dar loro aiuto, ci offrono la loro tutela. Quella e' la migliore protezione che possiamo avere, l'unica che vogliamo avere". * Stefano Savi, direttore generale di Msf Italia: "La nostra Ong e' stata costretta nel 2004 a lasciare l'Afghanistan, dopo l'uccisione da parte dei talebani di cinque nostri operatori che lavoravano in una zona dove le forze Usa della Coalizione svolgevano azioni umanitarie in cambio di informazioni sui talebani. Allora denunciammo, come organizzazione, che era stata anche questa confusione tra aiuti e azioni militari a mettere a rischio la sicurezza dei nostri operatori". "L'attivita' delle Ong - continua Savi - e' altamente compromessa in contesti in cui sono presenti anche forze armate straniere che combattono e allo stesso tempo svolgono, in maniera interessata, attivita' di ricostruzione o di aiuto alla popolazione: la confusione tra operazioni militari e operazioni umanitarie fa solo aumentare l'ostilita' delle popolazioni locali e quindi il rischio di lavorare". "E poi - afferma il direttore di Msf - il governo la deve smettere di usare l'aggettivo 'umanitario' per mischiare le carte in tavola, per indorare la pillola da far ingoiare all'opinione pubblica quando si tratta di andare in guerra. Deve smetterla di usare le Ong e il nostro lavoro come specchietto per le allodole per attirare consensi su scelte politiche che con l'umanitarismo non hanno nulla a che spartire". * Carla Ricci, direttrice di Coopi: "Non vogliamo piu' essere usati come la copertura del governo per scelte politiche che non hanno nulla a che fare con l'aiuto alla popolazione afgana. Noi e i militari abbiamo scopi diversi. Confondere i due piani e' pericoloso per il nostro personale e deleterio per il nostro lavoro e quindi per il benessere della popolazione. Quello di cui l'Afghanistan ha bisogno adesso sono seri progetti di cooperazione gestiti da civili, non dai militari, che chiaramente hanno obiettivi e agende incompatibili con le nostre. Dire che in questo momento i nostri soldati sono in Afghanistan per scopi umanitari e per proteggere le Ong e' un modo per coprire scelte dettate da scopi ben diversi. Dal nostro punto di vista, la presenza militare italiana in Afghanistan non ha alcun senso umanitario. Per questo chiediamo l'immediato ritiro del nostro contingente". * Ruggiero Tozzo, direttore di Alisei: "Noi operavamo nell'ovest dell'Afghanistan, nella zona di Herat, fin dal 2000, ben prima dell'arrivo degli eserciti stranieri nel paese. Abbiamo lavorato bene fino a circa un anno fa, quando in quella zona sono arrivati i soldati italiani della missione Isaf. Pur non avendo un'opposizione pregiudiziale e ideologica alla collaborazione con i militari, con l'apertura del Prt di Herat abbiamo iniziato ad avere problemi. La sovrapposizione dei ruoli e la confusione delle competenze ci hanno creato problemi non solo operativi ma anche e soprattutto di sicurezza, perche' la gente del posto, che fino a quel momento ci aveva accolti senza problemi, ha iniziato a guardarci male, a identificarci con i soldati. Alla fine, la situazione e' diventata cosi' difficoltosa e pesante che abbiamo deciso di andarcene in attesa di tempi migliori". "La cooperazione - prosegue Tozzo - non si puo' fare sotto scorta armata militare. E se poi c'e' la guerra, come c'e' in Afghanistan, non ci puo' essere cooperazione. In queste condizioni di conflittualita' e confusione di ruoli, civili delle Ong e militari non possono operare fianco a fianco. Uno dei due si deve fare da parte. Per ora ci siamo fatti da parte noi. Aspettiamo di poter tornare al lavoro il prima possibile, perche' ce n'e' un disperato bisogno". * Stefano Piziali, responsabile policy del Cesvi: "Le Ong non possono lavorare fianco a fianco con i militari in un posto dove questi ultimi si alternano tra operazioni umanitarie e operazioni di guerra. Cosa puo' pensare la popolazione afgana che di giorno vede elicotteri con le insegne Isaf che scaricano sacchi di farina e di notte vede gli stessi elicotteri che scaricano bombe e missili sui loro villaggi? La missione della Nato, Isaf, dovrebbe garantire sicurezza alla popolazione e invece sta facendo la guerra con gli americani, attirandosi l'odio della popolazione, che ormai non distingue piu' tra una missione e l'altra. Per questo non possiamo operare dove sono presenti i soldati Isaf. Siamo molto piu' al sicuro dove loro non ci sono!". * Raffaele Salinari, Terres des Hommes: "Le imprescindibili linee guida del nostro lavoro, come Ong, sono quelle stabilite dalla Convenzione di Ginevra in riferimento all'operato della Croce Rossa: la neutralita' e l'imparzialita' dell'intervento umanitario, senza distinzioni tra 'amici' e 'nemici', e la sua autonomia e completa indipendenza dalle strutture militari. In questo momento, in Afghanistan, queste regole sono violate perche' le operazioni umanitarie militarizzate, quelle dei Prt, e quelle civili che si svolgono con la copertura e protezione dei militari, sono tutt'altro che neutrali e imparziali. Le Ong non possono, non devono avere a che fare con i militari! Soprattutto ora che la missione miliatre Isaf si e' trasformata in una missione di guerra. Per questo noi chiediamo il ritiro del contingente militare italiano, perche' esso costituisce un ostacolo alle operazioni umanitarie e alla ricostruzione del Paese, che potranno essere efficaci e reali solo quando i soldati se ne saranno andati. Solo allora noi torneremo a lavorare in Afghanistan: non vogliamo prestarci a fare da copertura alle scelte di guerra del nostro governo!". * Renato Corrado, direttore di Aispo: "Lavorare con i militari per noi e' diventato un problema perche' la loro logica e le loro valutazioni differiscono profondamente dalle nostre, e quindi, se dipendiamo da loro, l'agilita' e l'efficacia del nostro operato ne risentono fortemente. Ma non e' solo un problema di efficacia operativa. La confusione di ruoli tra militari e civili mette a rischio gli operatori delle Ong perche' vengono confusi e identificati con i soldati Isaf che, oltre che a fare la guerra, si occupano anche di attivita' umanitarie, cooperazione e ricostruzione. Il nostro governo dovrebbe richiedere, in sede Nato, una seria e approfondita valutazione dell'operazione Isaf: obiettivi, strategie, modalita' operative, sovrapposizioni con Enduring Freedom, esigendo chiarezza cosi' da poter assumere decisioni coerenti sulla continuazione o meno della partecipazione italiana all'operazione Isaf". * Paolo Beccegato, responsabile area internazionale Caritas Italiana: "Il nostro organismo pastorale sostiene moltissime Ong afgane da prima del 2001 e dell'arrivo degli eserciti stranieri. Come ha ribadito un recente documento di Caritas Internationalis, noi abbiamo sempre criticato la confusione e la sovrapposizione di operazioni umanitarie e operazioni militari, la militarizzazione dell'aiuto umanitario, perche' pensiamo che questo mini l'imparzialita' e l'indipendenza del nostro lavoro e lo esponga anche a rischi inutili". "Per noi che siamo cristiani e ci presentiamo alla gente con il simbolo della croce - spiega Beccegato - lavorare in Afghanistan e' molto difficile a causa della presenza militare, perche' veniamo automaticamente associati con le truppe dell'Occidente cristiano. Come Caritas Italiana non vogliamo entrare nella polemica sul ritiro o meno delle truppe italiane dall'Afghanistan. Ma quando questa guerra comincio', nel 2001, noi esprimemmo chiaramente la nostra opposizione a questo come a qualsiasi altro intervento militare". 4. RIFLESSIONE. MASO NOTARIANNI: IL 73% DEGLI ELETTORI DEL CENTROSINISTRA VUOLE IL RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE DALL'AFGHANISTAN [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo di Maso Notarianni del 24 luglio 2006. Maso Notarianni, giornalista, e' impegnato in Emergency e dirige "Peacereporter"] "Nessuna riduzione di uomini in Afghanistan". La frase del ministro della Difesa italiano Arturo Parisi stava su tutti i giornali all'inizio di luglio. Per "uomini" si intende, ovviamente, militari. Ma a sentire i giornali, e le dichiarazioni di politici e commentatori, la missione italiana sarebbe nelle intenzioni del governo ridotta, e questa sarebbe stata la concessione fatta ai pacifisti assoluti o confusi. Ma e' vero? Fino a giugno 2006 i militari italiani impegnati nella guerra in Afghanistan (meglio sarebbe chiamarla la guerra "contro" gli afgani, viste le cifre e i risultati ottenuti in cinque anni: 97% di vittime civili e il terrorismo che si doveva combattere sempre piu' attivo) erano 1370. Al 23 luglio si contano impegnati 1938 "uomini" (c'e' anche qualche donna, per la verita'). Una aggiunta di 568 militari in meno di due mesi, e due navi da guerra che non sono fatte per trasportare farinacei ma per tirare missili a lunga gittata. "Il 60% del nostro elettorato vorrebbe il ritiro dall'Afghanistan, ma il 90% e' assolutamente contrario a far cadere il governo Prodi". Lo ha dichiarato il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio. Straordinarie alchimie della politica. Un sondaggio del "Corriere della sera", conferma: il 61% degli italiani (non degli elettori del governo Prodi) sarebbero per il ritiro. Il Corriere non fornisce il dato disaggregato, e cioe' quanti sono gli elettori di questo governo a volere il ritiro dall'Afghanistan. E l'autore del sondaggio, il professor Renato Mannheimer, spiega cosi' a "PeaceReporter" quel 61% degli italiani che vogliono il ritiro delle truppe: "questo risultato non e' il frutto di consapevolezza sulla situazione di quel paese o della nostra presenza in quel paese. Questo risultato indica una grande ignoranza su questo tema, una grande confusione degli italiani sull'Afghanistan e sull'Iraq, e la ovvia scelta tra pace e guerra a favore della prima. Non e' una vittoria del movimento pacifista, ma della confusione". Le stesse cose pero' suonano diverse se dette in questo modo: la gente vuole la pace. E pensa che sia un bene a prescindere da qualsiasi motivazione, cavillo, arzigogolo lessicale venga usato per scegliere invece la guerra. La gente non distingue tra Iraq e Afghanistan, tra "missioni umanitarie" e "missioni di guerra al terrorismo" proprio perche' il risultato di entrambe e' il medesimo. Morti. Distruzione. Che colpiscono civili, donne, bambini. In Libano come in Afghanistan, in Israele come in Iraq. E allora detta cosi' sembra una vittoria del banale buonsenso. Che troppo spesso e' sacrificato all'ideologia o all'interesse privato. Peraltro, non dovrebbe essere grande motivo di vanto - tantomeno una indicazione di politica estera - il constatare che a due mesi dalle elezioni nove su dieci di coloro che hanno votato per questo governo vorrebbero che stesse in piedi. Questo e' normale. Quello che non e' normale, e che il "Corriere della sera" non dice ma che l'Ispo, l'istituto del professor Mannheimer, ha detto a "PeaceReporter", e' che il 72,8% degli elettori del centrosinistra vuole che le nostre truppe tornino a casa. E solo l'8,8% degli elettori dell'attuale governo chiede che i soldati vadano via dall'Iraq ma restino in Afghanistan. I pochi "ribelli", dunque, rappresentano la stragrande maggioranza degli elettori del governo. Ma di questo nessuno parla. 5. RIFLESSIONE. HANS KUNG: RELIGIONI UNIVERSALI, PACE MONDIALE, ETICA MONDIALE [Dal sito del dipartimento di filosofia dell'Universita' di Genova (www.dif.unige.it) riprendiamo la sintesi della conferenza tenuta nell'aula magna dell'Universita' degli Studi di Genova il 28 novembre 2001 e organizzata dal Dipartimento di filosofia in collaborazione con l'Istituto italiano per gli studi filosofici e il Consolato svizzero. Il testo integrale della conferenza, a cura del prof. Giovanni Moretto, sara' pubblicato all'interno della serie di testi e studi "Ethos e Poiesis" presso l'editore Il melangolo. La presente sintesi e' curata da Alberto Pirni. Per un approfondimento delle tematiche qui presentate e per un'informazione completa circa le attivita' del Centro di ricerca diretto e coordinato da Hans Kueng si veda il sito www.weltethos.org Segnaliamo che nel riprodurre il testo sul nostro notiziario - conformandolo alle peculiarita' grafiche richieste dalla trasmissione per posta elettronica a computer con sistemi operativi diversi - abbiamo usato la grafia Kueng anziche' Kung per segnalare/sciogliere l'umlaut sulla vocale u (ma nel titolo abbiamo preferito la grafia semplificata): i lettori e le lettrici che hanno contezza dei problemi posti da internet in materia di segni diacritici e peculiarita' grafiche delle diverse lingue comprenderanno e, come si diceva quando si parlava un italiano gentile come nelle commedie goldoniane, compatiranno. Hans Kueng, teologo nato nel 1928 in Svizzera, sacerdote cattolico, nel '62 fu nominato da Giovanni XXIII consulente teologico del Concilio, docente a Tubinga. Tra le opere di Hans Kueng: Essere cristiani (1974); 20 tesi sull'essere cristiani - 16 tesi sulla donna nella Chiesa (1975-'76); Dio esiste? (1978); Teologia in cammino (1978); (con J. Ching), Cristianesimo e religiosita' cinese (1988); Conservare la speranza (1990); Progetto per un'etica mondiale (1990); Ebraismo (1991); (a cura di, con K. J. Kueschel), Per un'etica mondiale (1993); Islam (2005). Opere su Hans Kueng: cfr. il sintetico profilo in AA. VV., Etiche della mondialita', Cittadella, Assisi 1996. Si veda anche H. Haering, K. J. Kueschel (a cura di), Hans Küng: itinerario e opera, Queriniana, Brescia 1978. Dalla Wikipedia riprendiamo la seguente scheda biografica "Il teologo svizzero Hans Kueng (Sursee, Cantone di Lucerna, 19 marzo 1928) dopo gli studi liceali compiuti a Lucerna, viene ammesso al Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum di Roma e studia filosofia e teologia presso la pontificia Universita' Gregoriana. Viene ordinato sacerdote a Roma nel 1954 e celebra la sua prima messa nella basilica di San Pietro, davanti a un gruppo di Guardie Svizzere. Prosegue gli studi a Parigi, dove consegue il Dottorato in teologia presso l'Institut Catholique difendendo una tesi sulla dottrina della Giustificazione del teologo riformato Karl Barth. A soli 32 anni, nel 1960, viene nominato professore presso la Facolta' di Teologia cattolica all'Universita' di Tubinga, in Germania, dove fondera' anche l'Istituto per la ricerca ecumenica. Tra il 1962 e il 1965 partecipa al Concilio Vaticano II in qualita' di esperto, nominato da papa Giovanni XXIII: in questa occasione conosce Joseph Ratzinger, che prende parte al Concilio come teologo consigliere del vescovo di Colonia. Tornato a Tubinga, invita l'universita' ad assumere Ratzinger come professore di teologia dogmatica: la cooperazione tra i due termina nel 1968 quando, a seguito delle manifestazioni studentesche, Ratzinger si sposta su posizioni piu' conservatrici. Nel 1970 pubblica il libro Infallibile? Una domanda: e' il primo teologo cattolico di spicco a mettere in dubbio la dottrina dell'infallibilita' papale dallo scisma dei Vecchi Cattolici del 1871. In conseguenza di cio', la Congregazione per la dottrina della fede (di cui intanto Joseph Ratzinger e' diventato Prefetto) il 18 dicembre 1979 gli ha revocato la missio canonica (l'autorizzazione all'insegnamento della teologia cattolica). Kueng conserva comunque la cattedra presso il suo Istituto (che viene pero' separato dalla facolta' cattolica). Ha lasciato l'insegnamento nel 1996 per raggiunti limiti di eta'. Rimane il principale contestatore dell'autorita' papale (che insiste nell'affermare essere un'invenzione umana) e del culto mariano; continua la sua lotta perche' la chiesa cattolica (sulla scia del Concilio Vaticano II) si apra al presente, ammetta le donne a ogni ministero, favorisca la partecipazione dei laici alla vita religiosa, incentivi il dialogo ecumenico e interreligioso e si apra al mondo, abbandonando l'eurocentrismo. Nel 1993 ha creato la fondazione Weltethos (Etica globale), impegnata a sviluppare e rafforzare la cooperazione tra le religioni mediante il riconoscimento dei valori comuni e a disegnare un codice di regole di comportamento universalmente accettabili. Weltethos ha preparato il documento 'Towards a Global Ethic: An Initial Declaration' (Verso un'etica globale: Una dichiarazione iniziale) che e' stato sottoscritto nel 1993 a Chicago dal Council for a Parliament of the World's Religions. Il 26 settembre 2005, Kueng e' stato ricevuto a Castel Gandolfo dal vecchio amico e collega Ratzinger ora papa Benedetto XVI, col quale ha avuto un cordiale colloquio di cui entrambi si sono detti soddisfatti". Tra le molte opere di Hans Kueng disponibili in italiano: Le strutture della Chiesa, Borla, 1965; Riforma della Chiesa e unita' dei cristiani, Borla, 1965; Veracita'. Per il futuro della Chiesa, Queriniana, 1969; Chiesa, Queriniana, 1972; Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero teologico di Hegel, prolegomeni ad una futura cristologia, Queriniana, 1972; Che cosa deve rimanere nella Chiesa, Queriniana, 1974; (con Yves Congar e Piet Schoonenberg), L'esperienza dello Spirito. In onore di Edward Schillebeeckx, Queriniana, 1974; Che cosa e' la confermazione?, Queriniana, 1976; L'infallibilita', Mondadori, 1977; Andare a messa. Perche'?, Queriniana, 1979; La giustificazione, Queriniana, 1979; (con Edward Schillebeeckx e J. Baptist Metz), Verso la Chiesa del terzo millennio, Queriniana, 1979; (con Pinchas Lapide), Gesu' segno di contraddizione. Un dialogo ebraico-cristiano, Queriniana, 1980; Dio esiste?, Mondadori, 1980; Ventiquattro tesi sul problema di Dio, Mondadori, 1980; Vita eterna?, Mondadori, 1983; Cristianesimo e religioni universali. Introduzione al dialogo con islamismo, induismo e buddhismo, Mondadori, 1986;. Teologia in cammino. Un'autobiografia spirituale, Mondadori, 1987; (con Norbert Greinacher), Contro il tradimento del Concilio. Dove va la Chiesa cattolica, Claudiana, 1987; Perche' sono ancora cristiano, Marietti, 1988; Arte e problema del senso, Queriniana, 1988; (con Walter Jens), Poesia e religione, Marietti, 1989; Maestri di umanita', Rizzoli, 1989; (con Julia Ching), Cristianesimo e religiosita' cinese, Mondadori, 1989; Venti tesi sull'essere cristiani. Sedici tesi sulla donna nella Chiesa, Mondadori, 1990; Conservare la speranza, Rizzoli, 1990; Perche' sono ancora cristiano, Tea, 1991; Progetto per un'etica mondiale, Rizzoli, 1991; La Chiesa, Queriniana, 1992; Verso l'Europa. Considerazioni sul futuro della Svizzera, Casagrande-Fidia-Sapiens, 1992; Mozart. Tracce della trascendenza, Queriniana, 1992; Ebraismo. Passato, presente e futuro, Rizzoli, 1993; Credo. La fede, la Chiesa e l'uomo, Rizzoli, 1994; Credo. La fede, la Chiesa e l'uomo contemporaneo, Rizzoli, 1996; Della dignita' del morire. Una difesa della libera scelta, Rizzoli, 1996; Ebraismo. Passato, presente, futuro, Rizzoli, 1995; (con Karl-Josef Kuschel), Per un'etica mondiale. La dichiarazione del parlamento delle religioni mondiali, Rizzoli, 1995; (con Leonardo Boff e Norbert Greinacher), Il grido degli ultimi. La Chiesa dei poveri tra il nord e il sud del mondo, Datanews, 1997; Vita eterna?, Rizzoli, 1998; Grandi pensatori cristiani, Rizzoli, 1999; Cristianesimo, Rizzoli, 1999; Ebraismo, Rizzoli, 1999; La Chiesa cattolica. Una breve storia, Rizzoli, 2001; Etica mondiale per la politica e l'economia, Queriniana, 2002; Credo. La fede, la chiesa e l'uomo contemporaneo, Rizzoli, 2003; Ricerca delle tracce. Le religioni universali in cammino, Queriniana, 2003; Religioni mondiali, pace mondiale, etica mondiale, Queriniana, 2004; (con Juergen Hoeren), Perche' un'etica mondiale? Religione ed etica in tempi di globalizzazione. Intervista, Queriniana, 2004; Scontro di civilta' ed etica globale. Globalizzazione, religioni, valori universali, pace, Datanews, 2005; Islam. Passato, presente e futuro, Rizzoli, 2005; L'intellettuale nell'Islam, Diabasis, 2005; La donna nel cristianesimo, Queriniana, 2005] 1. L'anno internazionale del dialogo tra le civilta' Tra le rea1izzazioni piu' notevoli di questo secolo vanno annoverati l'ammissione della necessita' e dell'importanza del dialogo e il rifiuto della forza, la promozione della comprensione in campo culturale, economico e politico, e il consolidamento delle fondamenta della liberta', della giustizia e dei diritti umani. L'instaurazione e il miglioramento della civilta', sia a livello nazionale che a livello internazionale, dipendono dal dialogo tra societa' e civilta' rappresentanti vedute, inclinazioni e approcci diversi. Gli orribili avvenimenti dell'11 settembre hanno manifestato in un modo crudele che il pensiero e l'azione politica oggi devono prendere in seria considerazione certi aspetti politici, economici, culturali e religiosi. I terroristi non hanno attaccato luoghi simbolici della cristianita' o di un'altra religione, bensi' edifici che sono simbolo del potere economico e militare degli Stati Uniti. Per combattere il terrorismo non basta bombardare un paese povero come l'Afghanistan. Si dovrebbe riflettere di piu' sulle radici del terrorismo: sulla lunga storia del colonialismo e dell'imperialismo occidentali; sul problema della Palestina e sulla presenza delle truppe americane sui luoghi santi dell'Arabia. Ma non abbiamo a questo proposito a che fare con un conflitto di civilta'? * 2. Guerra di civilta'? Samuel P. Huntington, direttore dell'Institute of Strategic Studies della Harvard University, ha ragione quando nel suo importante saggio del 1993 "The Clash of Civilizations?" afferma che delle contese territoriali, degli interessi politici e della concorrenza economica le rivalita' etnico-religiose costituiscono le strutture sotterranee, continuamente presenti, da cui i conflitti politico-economico-militari possono sempre venire giustificati, ispirati e inaspriti. Concordo nel ritenere che esse costituiscono la dimensione culturale profonda, continuamente presente in tutti gli antagonismi e conflitti dei popoli e percio' non devono in nessun caso venire trascurate. In breve, Huntington ha ragione su due punti decisivi: a) alle religioni va attribuito un ruolo fondamentale; b) le religioni non tendono verso un'unica religione, ma piuttosto a mantenere il loro potenziale conflittuale. Ma, una volta riconosciuti i meriti di Huntington, devo ora formulare il mio dissenso di fondo che si articola fondamentalmente in tre punti: I. la "clash theory" e' troppo semplicistica: tematizza solo i conflitti fra civilta' e non tiene conto dei conflitti interni alle singole civilta'; II. la "clash theory" favorisce un pensiero in blocchi: delimita le "civilta'" come se fossero dei monoliti e non ci fossero in molte situazioni delle sovrapposizioni, degli intermezzi e persino delle fusioni tra le diverse culture; III. la "clash theory", infine, non prende in considerazione gli elementi comuni: ovunque egli sottolinea gli antagonismi tra le culture senza riflettere sugli elementi comuni, come ad esempio gli elementi comuni esistenti nella cristianita', nell'ebraismo e nell'Islam. * 3. L'alternativa: dialogo e pace tra le religioni Se tali conflitti tra civilta' e religioni fossero realmente inevitabili, l'avvenire dell'umanita' non potrebbe che presentarsi estremamente fosco: se in futuro i conflitti dovranno essere primariamente conflitti tra civilta', allora essi si presenteranno come dati naturali, e percio' anche inevitabili: in questo caso l'avvenire dell'umanita' dovrebbe essere costantemente e senza fine la guerra. E' necessario pensare un'alternativa. I conflitti di civilta' possono e devono essere evitati. E' da questo punto di vista necessario sviluppare una piu' profonda comprensione dei presupposti religiosi e filosofici che stanno alla base delle altre civilta' e delle vie per cui un popolo individua il proprio interesse in tali civilta'. Ho posto le fondamenta teoriche di questa alternativa gia' nel mio libro del 1984 Cristianesimo e religioni universali (trad. it. di G. Moretto, Milano 1984) con lo slogan "No world peace without religious peace". Per oltre un decennio il mio punto di partenza e' stato: "Non c'e' pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c'e' pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni". Proprio tre religioni come l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam, che storicamente si sono di continuo confrontate tra loro, hanno nondimeno in comune numerosi aspetti di fede e ancor piu' di etica. * 4. Mancanza di orientamento, un problema mondiale In senso generale si lamenta spesso un vuoto di orientamento: nonostante, e in parte anche a causa della globalizzazione, viviamo in un tempo lacerato dal punto di vista politico-religioso, pieno di guerre e conflitti e insieme povero di orientamento; in un tempo in cui molte autorita' morali hanno perduto credibilita'; in un tempo in cui molte istituzioni sono cadute nel vortice di una profonda crisi di identita'; in un tempo in cui molti criteri e norme hanno incominciato a vacillare, cosi' che molti, anche giovani, non sanno piu' che cosa sia bene e male nei diversi campi della vita. Questa e' la nostra fondamentale indicazione per questo passaggio epocale: c'e' bisogno di un'etica elementare, comune a tutti gli uomini, un'etica dell'umanita' che pervada la cultura, un'etica mondiale (Weltethos). Cio' vale sia nel piccolo che nel grande: se vogliamo che abbia successo la convivenza delle nazioni, abbiamo bisogno di una nuova politica della responsabilita': al di la' sia dell'immorale Realpolitik che della moraleggiante Idealpolitik. Una politica della responsabilita' presuppone una disposizione etica, ma s'interroga sulle possibilita' e sulle conseguenze dell'agire politico. Ma con questo e' anche gia' manifesto che l'espressione "etica mondiale" non denota, in realta', una nuova ideologia mondiale, una nuova cultura dell'unita' mondiale, tanto meno il tentativo di una uniforme religione dell'umanita'. L'etica mondiale e' piuttosto un elementare consenso di fondo su alcuni valori vincolanti, criteri irrevocabili e atteggiamenti di fondo personali, che vengono affermati da tutte le tradizioni religiose ed etiche dell'umanita' e devono essere condivisi di comune accordo da credenti e non credenti, da persone religiose e non religiose. E nessuno puo' oggi dubitare che proprio nell'epoca della globalizzazione sia assolutamente necessaria un'etica globale. Infatti una globalizzazione dell'economia, della tecnologia e della comunicazione comporta anche una globalizzazione dei problemi che, a livello mondiale, minacciano di travolgerci. Cio' non vale soltanto per i problemi globalizzati dell'ecologia, ma anche per quelli del crimine globalizzato, del commercio globalizzato della droga - per non parlare qui di complessi ambiti problematici come la tecnologia genetica o la tecnologia atomica. In una simile epoca e' urgentemente necessario che la globalizzazione di economia, tecnologia e comunicazione venga sostenuta da una globalizzazione dell'etica. * 5. Verso un'etica mondiale vincolante Ma, in fondo, e' possibile elaborare e formulare un'etica globale? Le norme etiche delle diverse nazioni, culture e religioni non sono tra loro incompatibili? Naturalmente esse differiscono tra loro su molti punti concreti. D'altra parte ho scoperto che alla base di tutte le grandi tradizioni etiche e religiose dell'umanita' si possono trovare molti elementi comuni. Esistono tre documenti molto importanti, che testimoniano una sensibilita' e una convergenza internazionali su questo punto: la "Dichiarazione per un'etica mondiale" (Chicago, 1993); la "Dichiarazione universale delle responsabilita' umane" (1997); l'"Appello alle nostre istituzioni direttrici" (Citta' del Capo, 1999). * 6. Un nuovo paradigma di relazioni internazionali Ad onta di tutte le difficolta' e guerre che hanno caratterizzato l'ultimo secolo, non possiamo trascurare il lato positivo del XX secolo: non soltanto nell'Unione Europea, ma nell'intera Oecd (Organization of Economic Cooperation and Development) non c'e' stata per mezzo secolo una sola guerra nella vasta area che va da Berlino e Londra a Tokyo e Sydney. Qui e' gia' visibile quello che chiamiamo un nuovo paradigma di relazioni internazionali. Questa nuova globale costellazione politica richiede un cambiamento di mentalita', che ovviamente raggiunge livelli piu' profondi di quelli della politica del giorno per giorno. Non si deve continuare a vedere le differenze nazionali, etniche e religiose come una minaccia, vanno viste piuttosto come possibilita' di arricchimento. Mentre il vecchio paradigma pensa in termini di avversari, il nuovo paradigma non ha piu' bisogno del nemico: esso vede invece nell'altro un partner, un competitore, o - nel peggiore dei casi - un oppositore in una comune situazione di gioco a somma positiva, nel quale tutti sono vincitori. Naturalmente tale nuovo paradigma richiede un consenso sociale su valori, diritti e doveri fondamentali. Questo consenso fondamentale deve essere ripartito tra tutti gli elementi della societa', tra credenti e non credenti, tra gli aderenti di tutte le religioni, filosofie e ideologie che si trovano nella societa'. L'etica globale non e' pero' orientata verso una responsabilita' collettiva che diminuisca la responsabilita' individuale. L'etica globale rivolge la responsabilita' individuale di ogni membro della societa' verso il suo posto concreto in quella societa'; in particolare, naturalmente, essa dirige la responsabilita' personale dei leaders politici. Ma non si deve parlare soltanto dei nostri leaders politici: questa e' facilmente una scusa per evitare la responsabilita' individuale di ciascuno. Ovviamente, il libero riconoscimento personale di una tale etica comune non esclude, bensi' include la possibilita' di un supporto giuridico nelle applicazioni particolari - di qui la creazione di diritti rivendicabili giuridicamente. L'attuazione dell'etica globale non dipende dalle organizzazioni o dai leaders, dipende invece da ciascuno. Ciascuno puo' cercare di realizzare la regola aurea in famiglia, in una comunita', in un istituto, in un posto di lavoro, in una nazione, tra gruppi etnici. * 7. L'etica mondiale all'Onu Cio' che conclusivamente mi preme sottolineare e' che, ai nostri giorni, le religioni tornano a presentarsi come attori nella politica mondiale. E' vero, nel corso della storia le religioni hanno spesso mostrato il loro volto distruttivo. Esse hanno provocato e legittimato l'odio, l'ostilita', la violenza, anzi, le guerre. Ma in molti casi hanno provocato e legittimato l'intesa, la riconciliazione, la collaborazione e la pace. Negli ultimi decenni sono nate di continuo e si sono consolidate nel mondo iniziative di dialogo interreligioso e di collaborazione tra le religioni. In questo dialogo le religioni del mondo hanno riscoperto le loro proprie asserzioni etiche fondamentali: hanno sostenuto e approfondito quei valori etici secolari che sono contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Nel Parlamento delle religioni universali di Chicago del 1993 oltre duecento rappresentanti di tutte le religioni del mondo hanno dichiarato per la prima volta nella storia il loro consenso su alcuni valori, modelli e comportamenti comuni come base di un'etica mondiale, che poi vennero raccolti nel rapporto stilato dal gruppo di cui anch'io faccio parte - insieme, fra gli altri, a Richard von Weizsaecker, Jacques Delors, Hanan Ashrawi, Nadine Gordimer, Javad Zarif, Amartya Sen - per il Segretario generale e per l'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quale allora la base per un'etica mondiale, che gli uomini possono condividere alla luce di tutte le grandi religioni e tradizioni etiche? Anzitutto e fondamentalmente il principio dell'umanita': "Ogni uomo - maschio o femmina, bianco o di colore, ricco o povero, giovane o vecchio - deve venire trattato umanamente". Cio' e' espresso piu' chiaramente nella "regola aurea" della reciprocita': "Quello che non vuoi che sia fatto a te, non farlo ad altri". Questi principi vengono sviluppati in quattro ambiti centrali della vita e invitano ogni uomo, ogni istituzione, ogni nazione ad assumere la propria responsabilita': - per una cultura della nonviolenza e del rispetto di ogni vita; - per una cultura della solidarieta' e di un giusto ordine economico; - per una cultura della tolleranza e di una vita nella veracita'; - per una cultura della parita' dei diritti e della solidarieta' tra uomo e donna. Proprio nell'epoca della globalizzazione e' assolutamente necessario un tale ethos globale. Infatti la globalizzazione dell'economia, della tecnologia e della comunicazione implica anche una globalizzazione dei problemi del mondo intero, problemi che minacciano di sopraffarci. La globalizzazione ha dunque bisogno di un ethos globale, non come peso supplementare, bensi' come fondamento e aiuto per gli uomini e per l'intera societa' civile. 6. LETTURE. NUNZIA PENELOPE: SEVESO 1976-2006 Nunzia Penelope, Seveso 1976-2006, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006, pp. 112, suppl. gratuito al quotidiano "L'Unita'". La tragedia del 10 luglio 1976 - e quel che ne segui' - raccontata in una serie di interviste a Carlo Ghezzi, Carlo Smuraglia, Rino Pavanello, Ermete Realacci, Giorgio Ruffolo, Umberto Saccone; con prefazione di Guglielmo Epifani. 7. LETTURE. FRANCESCO PISTOLATO (A CURA DI): PER UN'IDEA DI PACE Francesco Pistolato (a cura di), Per un'idea di pace, Cleup, Padova 2006, pp. 288, euro 14. Il volume raccoglie i materiali del convegno internazionale svoltosi dal 13 al 15 aprile 2005 presso l'Universita' di Udine, con testi, interventi e contributi di Giovanni Frau, Francesco Pistolato, Roberto Gusmani, Maurizio Pagano, Luigi Reitani, Paolo De Stefani, Silvo Devetak, Francesco Milanese, Maurizio Maresca, Fulvio Salimbeni, Mariolina Meiorin, Heiner Bielefeldt, Werner Wintersteiner, Daniele Novara, Roberto Albarea, Davide Zoletto, Nanni Salio, Antonino Drago, Rocco Altieri, Enrico Peyretti, Tina Bahovec, Neva Slibar, Verdiana Grossi, Anna Paola Peratoner, Maria Carminati, Valentina Romita, Nicola Strizzolo, Gorazd Bajc. Per contatti con il curatore: fpistolato at yahoo.it; per richieste alla casa editrice: www.cleup.it 8. RIEDIZIONI. DAVID RICARDO: PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA E DELL'IMPOSTA David Ricardo, Principi di economia politica e dell'imposta, Utet, Torino 1986, 2005, Istituto geogafico De Agostini - Milano Finanza Editori, Novara-Milano 2006, pp. 584, euro 12,90 (in suppl. a "Milano finanza"). A cura di Pier Luigi Porta, e con la classica introduzione di Piero Sraffa, un classico che non tramonta. 9. LE ULTIME COSE. OSVALDO CAFFIANCHI: ORSU' GIOISCANO GLI ASSASSINATI AFGANI Orsu' gioiscano gli assassinati afgani che non e' vano il loro sacrificio giacche' in Italia consolida il governo. Non piangano le madri i figli uccisi inorgogliscano anzi, che l'italico governo gode di salda fiducia a cosi' poco prezzo. Plaudano anzi, plaudano i superstiti e siano grati: questa e' civilta', questa e' democrazia. E abbiamo pure vinto i mondiali. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1369 del 27 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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