La nonviolenza e' in cammino. 1290



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1290 del 9 maggio 2006

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Alla prova e in cammino
2. Alcune altre adesioni all'appello per Lidia Menapace Presidente della
Repubblica
3. "Insieme per un'Italia nonviolenta", il 12-13 maggio a Riccione
4. Luisa Muraro: A partire da se', il magico affacciarsi del nuovo
5. Fausto Concer: Universalismo e assolutismo
6. L'indice di "Storia e tecniche della nonviolenza" di Antonino Drago
7. Enrico Peyretti presenta "Una forza che da' vita" di Fulvio Cesare Manara
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: ALLA PROVA E IN CAMMINO

Come era prevedibile, gia' la prima votazione per l'elezione del Presidente
della Repubblica rivela due dati rocciosi e ineludibili.
Il primo: il maschilismo durissimo dominante totalitariamente in Parlamento;
se non ci inganniamo solo due donne hanno ottenuto pochi voti.
Il secondo: l'autoreferenzialita' del ceto politico e l'obbedienza
("bulgara" come si diceva una volta) dei parlamentari alle decisioni
autoritarie dei vertici e ai compromessi che essi patteggiano
trasversalmente.
Ne' mette conto dire delle solite pagliacciate.
*
Questa realta' (che molto ci preoccupa e ci conferma nel giudizio che
avevamo gia' espresso sia durante la campagna elettorale per le politiche,
sia in sede di valutazione dei risultati del 9-10 aprile) a nostro modesto
avviso non solo non inficia il valore dell'iniziativa che in tante e tanti
abbiamo persuasamente promosso e gioiosamente animato in queste due
settimane proponendo Lidia Menapace come Presidente della Repubblica, ma
anzi ne evidenzia il valore dirompente di uscita dalla subalternita', dalla
rassegnazione, dalla complicita' con logiche oligarchiche che deprimono la
democrazia e corrompono i costumi (il fatto che dai vertici del cosiddetto
centrosinistra siano stati proposti per la massima carica dello Stato uno di
seguito all'altro prima il nome del responsabile delle stragi del 1999, poi
quello del coautore della legge che ha riaperto nel 1998 i campi di
concentramento in Italia, la dice lunga).
*
Siamo assai grati a Lidia per essere stata per tante e tanti anche in questi
giorni un limpido e luminoso, ed insieme allegro e scanzonato punto di
riferimento; e sappiamo che dal suo scranno di senatrice la attende un
impegnativo lavoro; le persone che si sono riconosciute nella sua figura in
questa vicenda le saranno vicine nel suo lavoro parlamentare.
Siamo anche assai grati a tutte le persone che hanno promosso l'idea e
animato l'iniziativa per Lidia al Quirinale in queste settimane: e' stata
una bella esperienza sulla quale continueremo a riflettere insieme nei
prossimi giorni.
*
Se qualcuno credeva che una proposta rigorosamente nonviolenta nel metodo e
nel merito avrebbe trovato un vasto consenso in questo Parlamento, si
illudeva. E' bene che di questo vi sia ora la prova provata.
Se qualcuno credeva che le persone amiche della nonviolenza si sarebbero
rassegnate a una condotta sottomessa e servile nei confronti dei vertici del
cosiddetto centrosinistra, si ingannava non meno. Ed e' bene che anche di
questo vi sia ora la prova provata.
La nonviolenza e' in cammino.

2. ALCUNE ALTRE ADESIONI ALL'APPELLO PER LIDIA MENAPACE PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA

Riportiamo altre adesioni all'appello per Lidia Menapace Presidente della
Repubblica pervenuteci prima dell'inizio delle votazioni di ieri.
*
[Ringraziamo Ciro Biondi (per contatti: cirobiondi at aliceposta.it) per questo
intervento]
Esprimo sostegno alla compagna Lidia Menapace per la sua elezione a Capo
dello Stato.
Ciro Biondi
*
[Ringraziamo Arnaldo Casali (per contatti: adesso at reteblu.org) per questo
intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera]
Vogliamo un segnale dai politici che abbiamo votato, e che potremmo anche
non votare piu'.
Un segnale che la politica appartiene ai cittadini, e non ai partiti. Che i
dipendenti che abbiamo assunto in Camera e in Senato lavorano per noi, e che
non siamo noi a lavorare per loro.
Un segnale che ci faccia capire che le cariche istituzionali si assegnano in
base all'autorevolezza della personalita', e non a misere spartizioni di
palazzo.
Purtroppo, fino ad oggi, questo segnale e' mancato completamente...
In questo triste scenario noi non ci stanchiamo di chiedere a gran voce
l'elezione di Lidia Menapace. E lo facciamo perche' vogliamo ribadire che
noi ci siamo. Noi cittadini, noi societa' civile, noi non iscritti ai
partiti ma fedeli ad un ideale, noi popolo delle primarie. Non tanto quelle
che hanno assecondato i "leader" incoronando il gia' designato Prodi, ma
quelle che hanno rovesciato i giochi dei partiti scegliendo Nichi Vendola e
Rita Borsellino.
Noi ci siamo. E vogliamo un presidente autorevole, un presidente di pace.
Una presidente. Lidia Menapace.
Arnaldo Casali, presidente dell'associazione Adesso
*
[Ringraziamo Maddalena Danovaro, Demian e Silvio Gaggeri (per
contatti:silvio.gaggeri3 at tin.it) per questo intervento]
I sottoscritti Maddalena Danovaro, Silvio e Demian Gaggeri aderiscono
all'appello per affidare la Presidenza della Repubblica a Lidia Menapace.
*
[Ringraziamo Daniele Gallo (per contatti: d.gallo at viator.it) per questo
intervento]
Ho chiuso l'editoriale del numero di maggio di "Viator" imperniato sulla
fatiscenza della nostra democrazia con il sogno di un'alba nuova sul colle
piu' importante di Roma e della Repubblica.
Forse i giochi sono fatti ma non ci dispiacerebbe un nome nuovo, lontano
dalle tossine degli equilibrismi e vicino al cuore e ai bisogni della gente.
Provo a farne uno: Lidia Menapace, senatrice, persona sulla quale contare.
Una persona vera che aspira alla pace, all'eguaglianza, alla giustizia, ad
una societa' migliore in un mondo nuovo.
Daniele Gallo, direttore di "Viator"
*
[Ringraziamo Vito La Fata (per contatti: vitofata at inwind.it) per questo
intervento]
Sono con voi.
Lidia al Quirinale sarebbe eccezionale, rappresenterebbe l'Italia che vuole
la pace.
Vito La Fata
*
[Ringraziamo Stefano Longagnani (per contatti: longagnani at yahoo.it) per
questo intervento]
Appoggio completamente la proposta di lidia Menapace Presidente della
Repubblica... Aderisco pienamente e spero in un insperato ravvedimento della
classe politica.
Stefano Longagnani
*
[Ringraziamo Raffaella Mauceri (per contatti: raffaella.lanereide at libero.it)
per questo intervento]
Sottoscrivo l'appello per Lidia Menapace Presidente della Repubblica.
Raffaella Mauceri, giornalista ed editrice, Siracusa
*
[Ringraziamo Pina Mandolfo (per contatti: pinamandolfo at virgilio.it) per
questo intervento]
Voglio con tutto il cuore Lidia Menapace Presidente della Repubblica.
Sarebbe un grande segno di civilta' e cultura degli italiani.
Pina Mandolfo

3. INCONTRI. "INSIEME PER UN'ITALIA NONVIOLENTA", IL 12-13 MAGGIO A RICCIONE
[Dalla Tavola della Pace (per contatti: segreteria at perlapace.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo]

Cari amici,
vi inviamo il programma aggiornato del seminario nazionale della Tavola
della pace "Insieme per un'Italia nonviolenta" che si terra' a Riccione
presso il Palazzo del Turismo, viale  Ceccarini 1, il 12 e il 13 maggio
2006.
In attesa di incontrarci a Riccione vi inviamo i nostri cordiali saluti.
Flavio Lotti  e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della
pace
*
Venerdi' 12 maggio 2006
- Ore 14,30: accoglienza e registrazione.
- Ore 15,30: apertura del seminario, saluto del Sindaco del Comune di
Riccione, saluto del Presidente del Consiglio Provinciale di Rimini.
- Ore 15,45-19: Prima sessione: Facciamo pace con l'Italia. Cosa chiediamo
al nuovo Governo e al nuovo Parlamento? Gli impegni e le proposte per una
politica di pace dell'Italia. L'agenda dei primi 100 giorni per
riconciliarci con il mondo.
- Ore 21: incontro con i familiari delle vittime del terrorismo: Perdonarsi
per un futuro di pace, con John Titus, di "Peaceful Tomorrows - familiari
delle vittime dell'11 settembre per un domani di pace". Saranno presenti
rappresentanti israeliani e palestinesi dell'associazione dei familiari
delle vittime del terrorismo "The Parents Circle - Families Forum".
*
Sabato 13 maggio 2006
- Ore 9-13: riunione dei gruppi di lavoro sul programma della Tavola della
pace:
1. Il comitato italiano per l'Africa (contro la miseria e l'ingiustizia
verso il Forum sociale mondiale di Nairobi 2007);
2. L'agenda del disarmo;
3. Per un'informazione e una comunicazione di pace;
4. I giovani e la pace;
5. Riprendiamoci l'Onu;
6. Contro il terrorismo, la guerra e le armi nucleari: facciamo pace in
Medio Oriente (Iraq, Iran, Israele, Palestina, Afghanistan...).
- Ore 13,15: pranzo.
- Ore 14,45-15,30: presentazione dei risultati dei gruppi di lavoro.
- Ore 15,30: sessione conclusiva: Insieme per un'Italia nonviolenta.
Definiamo insieme gli obiettivi e il programma della Tavola della pace nel
2006-2007.
- Ore 18,30: saluti e chiusura del seminario.
- Ore 19: Festa del convivio dei popoli. Cena offerta del Convivio dei
popoli per la pace a cura della  cooperativa Harissa e realizzata con
prodotti del commercio equo e solidale. Musica dal vivo con Manlio Santini.
*
Per adesioni e informazioni: Tavola della pace, via della viola 1, 06122
Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: segreteria at perlapace.it,
sito: www.tavoladellapace.it

4. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: A PARTIRE DA SE', IL MAGICO AFFACCIARSI DEL
NUOVO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 maggio 2006 riprendiamo questa testo
che costituisce la traccia della lezione magistrale che Luisa Muraro terra'
il 12 maggio al Festival della filosofia di Roma. Luisa Muraro, una delle
piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona,
fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle
sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica:
"Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata
nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si
e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su
invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto
interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo,
dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha
partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli.
Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia
Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini,
che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona
parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli,
Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla
Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine
simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza
divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000).
Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che
pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed
alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei
volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata
madre nel 1966 e nonna nel 1997"]

Il femminismo, non l'ideologia ma la vicenda storica iniziata verso la fine
degli anni Sessanta, prima che la filosofia concerne la politica e questa
precedenza non si puo' annullare. Voglio dire che una confutazione
filosofica della posizione femminista sarebbe inconsistente. Perche' vai con
le femministe? mi chiese un giorno il mio professore, tu sei homo. Lui
stesso dovette rendersi conto che questo non era vero, o non lo era piu'. Io
non ero piu' o non ero mai stata quella che lui fino allora aveva pensato
che fossi, un homo in un corpo sessuato femminile. Dalla filosofia si puo',
anzi si deve aspettarsi che tenga conto di quello che capita e che ci aiuti
a capirlo - filosofia intesa da me non come un sapere dotato di
supervisione, ma come una disciplina del pensiero sempre disposto a
ricominciare da capo, con l'aggiunta che anche in filosofia puo' capitare
qualcosa.
Negli anni Settanta, a proposito del movimento delle donne, si parlo' di
nascita di un nuovo soggetto politico: la formula, troppo abbreviata,
nascondeva quella che io considero la parte piu' interessante della
faccenda. Il femminismo che noi conosciamo inizia con un arresto nelle
"sorti umane e progressive", e cioe' con il rifiuto di andare avanti con
l'emancipazione, opposto da alcune donne, poche agli inizi, che decisero di
separarsi dalla societa' maschile per affermare la loro differenza, quella
differenza sessuale da cui si doveva prescindere, astrarre (le formule in
uso sono molte) per integrarsi nell'universale in perfetta parita' con gli
uomini. Le ragioni e le parole di quel rifiuto molte di noi le hanno
ritrovate in certi testi, come Le tre ghinee di Virginia Woolf (1937), Il
secondo sesso di Simone de Beauvoir (1949), Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi
(1970), Speculum di Luce Irigaray (1974), e formano il nucleo iniziale del
pensiero della differenza sessuale. Ma non ci fu bisogno di leggere, allora.
Sto parlando di un momento in cui l'essenziale ci veniva incontro
praticamente, per passa parola, sentito dire, invenzioni e imitazioni, nel
contesto di un'estesa sommossa del corpo sociale.
*
La prima invenzione fu la pratica di una parola scambiata tra donne, senza
censure sul desiderio, mescolando esperienze che l'ordine simbolico
dominante (il patriarcato) aveva sapientemente dislocato di qua e di la', in
diverse regioni, pubblico/privato, produzione/riproduzione,
conscio/inconscio, ecc. Con la sola regola, che non era una regola perche'
ci veniva spontanea, di parlare a partire da se'. Partire nel senso di
cominciare con se' per portarsi o perdersi ovunque (anche "all'inferno").
Sono cose familiari a chi conosce le vicende del femminismo in Italia e
altrove, ma vanno ripassate perche' non abbiamo finito di capire.
Sorprendentemente, quel rifiuto di sottostare al progetto dell'emancipazione
convoglio' anche e forse principalmente desideri indirizzati
all'emancipazione: liberta' di scelta rispetto al matrimonio e alla
procreazione, indipendenza economica, visibilita' sociale... Tant'e' che
l'emancipazione continuo' con il femminismo e come femminismo. Il movimento
delle donne si trovo' cosi' abitato da una tensione tra estraneita' e
inclusione, che si e' manifestata variamente e non si e' mai aggiustata,
facendo del femminismo un permanente campo di battaglia di pratiche, teorie,
linguaggi, che dura tuttora, senza che venga meno un senso di continuita'.
*
Siamo generalmente d'accordo che i conflitti nel femminismo sono da
considerare una ricchezza, benche' siano una fatica. Forse, la fatica e'
aggravata dal fatto che manchiamo di buone chiavi di lettura. Tentero' di
proporne una, a proposito del contrasto che ha preso l'etichetta piuttosto
fuorviante di uguaglianza versus differenza. Suggerisco di pensare,
piuttosto, all'entita' di un differimento, il quanto si va e si sta fuori
dal tempo lineare delle conquiste politiche man mano possibili, per dare
ascolto e parola a cio' che resta tacitato dalle esigenze di un certo ordine
simbolico. Il femminismo radicale, in Italia, ha combattuto l'istituzione di
women's studies (e simili) con l'intento di aprire tutta l'universita',
subito, alla cultura della differenza. Siamo lontani da cio', ma la pretesa
resta intatta e agisce, poiche' il nuovo non si e' chiuso in un ghetto.
Suggerisco di pensare anche al significato che si da' alla mancata simmetria
tra i sessi, ossia, ai diversi rapporti che donne e uomini hanno con le
stesse cose: gli effetti della discriminazione vi si mescolano con vere e
proprie strategie di liberta'. Per esempio, gli analisti del lavoro hanno
notato il fenomeno non raro di donne con qualifiche professionali elevate
che interrompono la carriera per vivere un tipo di vita meno competitiva: le
donne hanno un diverso rapporto con il potere, il primato e i soldi, e'
stato il loro commento (Cristina Borderias, in Tre donne e due uomini
parlano del lavoro che cambia, Libreria delle donne di Milano, 2006). Il
femminismo piu' radicale lavora su questi scarti, che ci affettano anche in
prima persona, come una mancata coincidenza tra se' e se', e vi legge la
possibilita' di un di piu', di un altrove, traducibile in apertura di
liberta' per donne e uomini. In cio' consiste il pensiero e la politica
della differenza. Il femminismo moderato mira piuttosto a sanarli, ma non
per questo nega la differenza.
*
Non ho ancora nominato l'aspetto forse decisivo, certo piu' appariscente, di
tutta la faccenda, che e' stato l'accendersi di un conflitto tra i sessi, in
termini storicamente inediti. Conflitto con persone singole e con la cultura
di una societa' sessista e patriarcale. La classica guerra dei sessi
prevedeva vincitori e vinti, e imponeva a ciascuno dei due sessi la parte
che doveva fare. Le femministe aprono il conflitto ma non vogliono vincere.
"Vincere cosa?" oppone Susan B. Anthony, protagonista di una piece di
Gertrude Stein, The Mother of Us all. Del resto, nel linguaggio del
femminismo radicale non si puo' neanche parlare di obiettivi da raggiungere,
per quel differimento che dicevo, che fa un'apertura verso l'imprevisto.
Alcune hanno visto nella separazione non la chiusura ma l'apertura di una
nuova relazione con l'altro sesso. Il risultato piu' tangibile del conflitto
e' stato il cambiamento nei rapporti tra i sessi in un senso favorevole alla
liberta' femminile. Pensiamo al fatto che la gravidanza fuori dal matrimonio
non suscita piu' le condanne della societa' e della morale sulla futura
madre, pensiamo che una donna non ha piu' bisogno di dipendere da un uomo
per essere e sentirsi libera. Alcuni hanno parlato di una rivoluzione
pacifica. Alcune di noi hanno parlato di fine del patriarcato, non come
evento sociologico, ma politico. "Il patriarcato e' finito, non ha piu' il
credito femminile ed e' finito", dice l'incipit di un documento della
Libreria delle donne del 1996. Queste parole riassumono ed esemplificano la
natura della politica delle donne quando e' vincente: c'e' la sottrazione
del credito e questo fa si' che il dominio cessi di essere vero, e c'e',
implicitamente, il passaggio a un altro ordine di rapporti, dove il credito
liberamente dato (la fiducia, l'autorita') conta piu' del potere.
*
E' una politica che agisce a livello simbolico, dove le cose prendono e
cambiano significato, presente nel femminismo fin dagli inizi, pensiamo
soltanto a Kate Millett (Sexual Politics, 1969) e, da noi in Italia, al
documento del gruppo Demau, Il maschile come valore (1969). E' questa
politica che ci garantisce di lottare sapendo che l'essere umano e' donna e
uomo, che l'umanita' sono le donne e gli uomini, e di non ragionare come se
le donne fossero una categoria o un gruppo sociale perdendo cosi' la
concezione dell'universale propria del pensiero della differenza,
alternativa alla concezione classica dell'uniformita'.
L'agire simbolico, dotato di un'efficacia purtroppo misconosciuta, produce
un allargamento dell'orizzonte fino a vedere la possibilita'
dell'impossibile e la realizzazione del possibile. I detentori del potere in
qualche modo lo sanno, a giudicare dalla messa in scena della violenza con
cui la manifestazione di Genova nel 2001 fu aggredita (non era la solita
repressione, era una trappola) allo scopo di toglierle la fiducia e il
credito di cui il movimento no-global cominciava a godere. Le possibilita'
dell'agire simbolico sono grandi, ma passano attraverso la porta stretta di
una pratica della relazione non strumentale, e di una rinuncia alla logica
della contrapposizione, che inchioda nell'orizzonte di quello che c'e' gia'.
*
Oltre all'arretratezza delle dottrine politiche, io lamento l'adozione, da
parte di molte pensatrici femministe, del cosiddetto poststrutturalismo,
assunto come pensiero paradigmatico della postmodernita', e presuntamente
adeguato alle esigenze teoriche del movimento delle donne.
Nel suo ultimo libro, In metamorfosi. Verso una teoria materialista del
divenire (Feltrinelli 2003), Rosi Braidotti si chiede come mai la teoria
della differenza (che lei vede esposta al suo meglio in Luce Irigaray), con
tutta la sua ricchezza, raffinatezza e carica politica, sia stata male
intesa negli Usa. E parla di una "disconnessione transatlantica", una
formula eloquente che contraddice, in parte, quella continuita' di cui
parlavo sopra. Sono d'accordo con lei, ma a me pare che si debba considerare
anche qualcosa che e' venuto prima degli anni Novanta, e cioe' l'abbandono
del linguaggio e della pratica della differenza sessuale che erano presenti
agli inizi del movimento femminista negli Usa come da noi (anzi, e' da loro
che li abbiamo appresi), per passare alla semplice rivendicazione del potere
in competizione con gli uomini. Si e' cosi' persa la dimensione del
simbolico o, meglio, il lavoro politico del simbolico. Del simbolico si e'
continuato a ragionare in sede accademica, sulla scia del successo del
poststrutturalismo francese in molte universita' nordamericane tra gli anni
'80 e '90 del secolo scorso.
In questa situazione e' avvenuta l'adozione del poststrutturalismo come se
fosse una teoria femminista, seguita dalla "sconnessione" su cui si
sofferma, giustamente, Rosi Braidotti. Abbiamo bisogno di teoria, scrive
Joan W. Scott nel 1990, e continua con un lungo elenco di requisiti, per
concludere che "il corpo teorico designato come poststrutturalismo risponde
a tutti i requisiti elencati" (Conflicts in Feminism, a cura di Marianne
Hirsch e Evelyn Fox Keller, Routledge 1990). Chi, come me e altre in Europa,
conosceva i testi e gli autori di questo corpo teorico fin dal loro apparire
negli anni Sessanta, e li ha apprezzati come teoria del disfarsi del
soggetto moderno e come specchio critico della postmodernita', non puo' non
trovare sorprendente quella conclusione da parte di una pensatrice
femminista, e non giudicarla una abdicazione.
La prima abdicazione e' nel fatto di adottare un sapere elaborato
indipendentemente dalla lotta politica delle donne, nel quale "donna" e' una
nozione dedotta. Si perde la fecondita' dell'interazione tra pratica e
teoria e si rischia di tornare all'inesistenza. Segue l'abdicazione all'idea
stessa di guadagni teorici del femminismo, messo cosi' in una posizione di
mendicante. La riprova che c'e' stata perdita, l'abbiamo avuta con lo
spegnersi di parole come differenza sessuale e asimmetria che ci sono
tornate indietro la prima ridotta a designare una costruzione patriarcale (o
una taccia di essenzialismo o naturalismo per quelle che la usano), la
seconda privata di ogni capacita' di rilancio verso un senso libero della
differenza, ridotta a statico sinonimo di disuguaglianza.
Rispetto alla mia vicenda, la teoria femminista elaborata in questi ultimi
decenni negli Usa (e non soltanto, perche' gli Usa sono un paese potente e
invadono), ha operato un capovolgimento che non riesco ad accettare. Da un
autore come Michel Foucault abbiamo imparato a guardare a noi stessi senza
ingenuita', ad avere coscienza della costruzione culturale normativa dei
corpi, i nostri stessi corpi fatti luogo del potere e del dominio, e a
cercare i punti di resistenza alla logica binaria maschile/femminile della
sessualita' imposta. E poi, che fare? La pratica politica delle donne mi ha
portata fuori, non dico oltre ma fuori, da questo mondo "concluso e
insignificante" (Antonio Negri, La differenza italiana, Nottetempo 2005).
Come ha potuto? Interrompendo, semplicemente, il lavoro senza fine del
pensiero critico.
*
A differenza della teoria critica del postmoderno, il femminismo radicale,
nella testimonianza che rende il mio vissuto e nel testo (tessuto) in cui
questo vissuto s'iscrive, intessuto da molte in uno spaziotempo che mi
oltrepassa, conosce il magico punto di arresto, che e' esattamente quando il
possibile nuovo si affaccia e brilla. Se non si hanno schemi e obiettivi
davanti allo sguardo, il possibile nuovo fa una luce che non si puo' non
vedere.
In pratica, l'affacciarsi avviene quando le parole e l'esperienza entrano in
circolo e si potenziano a vicenda. In quel momento sai che sei fuori dalla
macchinazione di un ordine simbolico della non liberta' e devi smettere di
occuparti di questa macchina, vorresti continuare perche' ormai ti e'
diventata familiare, e' la cosa che conosci meglio, ma si smette per
cominciare a vivere. Toni Negri nel libriccino che ho citato parla di
"differenza creativa", io parlo di generazione della liberta', adottando un
linguaggio, quello del generare, che si trova anche in certe scuole di
linguistica, perche' la pratica della parola e' molto importante in questa
faccenda che ho cercato, bene o male, di ripercorrere con voi. Ma,
soprattutto, si tenga presente che le cose capitano e bisogna fermarsi anche
dal pensare, se occorre, per lasciarle capitare.

5. RIFLESSIONE. FAUSTO CONCER: UNIVERSALISMO E ASSOLUTISMO
[Ringraziamo Fausto Concer (per contatti: faustoconcer at alice.it) per questo
intervento. Fausto Concer e' impegnato in varie esperienze, particolarmente
a Bolzano e a Bologna, per la pace, i diritti dei popoli, la difesa della
Costituzione, un'economia di giustizia e di solidarieta']

Il contrario di relativismo e' assolutismo, non universalismo.
Una cultura, come un sapere, universale, che si basa su alcuni principi e
concetti universali comuni, non puo' che essere filosofia della pluralita' e
della differenza nell'eguaglianza. Una cultura (una filosofia, un sapere, un
progetto di costruzione umana collettiva) universale, o e' dialettica o non
e'.
A patto pero' d'intendere, e soprattutto intendersi, sul termine. Dialettica
che non mira a sottomissione o distruzione, ma a piu' avanzate sintesi;
dialettica sorvegliata ed emancipata da pretese totalizzanti, che accetta e
valorizza anche le differenza irriducibili.
Dialettica che tende all'universale appunto, e non all'assoluto.

6. LIBRI. L'INDICE DI "STORIA E TECNICHE DELLA NONVIOLENZA" DI ANTONINO
DRAGO
[Ringraziamo Antonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per averci messo
a disposizione l'indice del suo ultimo libro. Antonino (Tonino) Drago, nato
a Rimini nel 1938, e' stato il primo presidente del Comitato ministeriale
per la difesa civile non armata e nonviolenta; gia' docente universitario di
Storia della fisica all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e
tecniche della nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della
difesa popolare nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei
movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani
e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di
Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano
1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino
1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa
e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi
(Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997;
Storia e tecniche della nonviolenza, La Laurenziana, Napoli 2006]

E' uscito pochi giorni fa per i tipi de La Laurenziana di Barra Napoli il
libro di testo del corso omonimo "Storia e tecniche della nonviolenza", che
Antonino Drago tiene da due anni all'Universita' di Firenze. Per richieste,
inviare 15 euro all'indirizzo dell'autore: Antonino Drago, via Benvenuti 5,
Castelmaggiore Calci 56010 (Pisa), tel. 050937493, fax 06233242218.
*
Storia e tecniche della nonviolenza
Introduzione
1. E' possibile la nonviolenza?
2. E' possibile una nonviolenza politica?
3. Sono possibili tecniche nonviolente?
Capitolo 1. Storia della nonviolenza: dalla fede personale alla prassi
sociale, alla ideologia politica
1.1. I precedenti nelle varie religioni e nei vari secoli
1.2. La centralita' di Gandhi
1.3. I grandi maestri della nonviolenza: le loro motivazioni. I quattro
modelli di sviluppo
1.4. Rapporti con la religione, l'etica e la teoria politica
1.5. Cenni storici sulle azioni collettive nonviolente nei secoli passati
1.6. Le maggiori lotte nonviolente nel secolo XX
1.7. Il carattere nonviolento della rivoluzione del 1989
1.8. Caratterizzazione del dopo 1989
1.9. Storia della politica nonviolenta in Italia: i principali maestri
1.10. Storia della politica nonviolenta in Italia: i gruppi politici
1.11. Storia della lotta per la istituzione pubblica della Difesa popolare
nonviolenta in Italia
Capitolo 2. La nonviolenza come comportamento personale gestibile
universalmente
2.1. Conflitti: classificazioni e loro soluzioni
2.2. Definizioni di "nonviolenza": da quella soggettiva a quella strutturale
2.3. Tecniche intellettuali: teorica dei conflitti di Galtung
2.4. Tecniche intellettuali: il conflitto come un A-B-C
2.5. Tecniche intellettuali: teorica dei conflitti oltre Galtung
2.6. Tecniche individuali: la dinamica di un conflitto personale
2.7. Tecniche individuali: la dinamica generale della soluzione dei
conflitti
2.8. Tecniche individuali: lavoro su di se' e lavoro sociale
2.9. Tecniche di convivenza: training nonviolento, pedagogia e vita
comunitaria
2.10. Tecniche giuridiche: diritti, obiezione di coscienza, disobbedienza
civile, istituzioni alternative, Onu
2.11. Tecniche di lotta sociale: manifestazioni e scioperi
2.12. Tecniche della difesa popolare nonviolenta
2.13. Il pensiero strategico utile per la nonviolenza
Appendice: La nonviolenza contro le dittature (G. Sharp)
Bibliografia introduttiva allo studio della nonviolenza : Antologie - I
maestri - La difesa popolare nonviolenta.

7. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "UNA FORZA CHE DA' VITA" DI FULVIO CESARE
MANARA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione il testo del suo intervento ad un incotnro di
presentazione del bel libro di Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita.
Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi (Unicopli, Milano 2006, pp.
360, euro 18), svoltosi a Bergamo il 3 maggio.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario.
Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0 at tin.it) e' un prestigioso
studioso e amico della nonviolenza; nato a Bergamo il 29 giugno 1958,
coniugato con tre figli, laureato in filosofia presso l'Universita' di
Milano discutendo la tesi "Fides falsa. Il concetto di eresia in Tommaso
d'Aquino", ha frequentato seminari di ricerca e studio presso vari enti: il
Program on Nonviolent Sanctions della Harvard University, la Western
Michigan University, la American Philosophical Association (Central
Division), e la Albert Einstein Institution (Cambridge, Ma, Usa).
Perfezionatosi a Padova in didattica della filosofia, e' stato ricercatore
esterno della Fondazione Tovini presso il Dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Padova, dove ha condotto una ricerca sul laboratorio di
filosofia. Nell'anno accademico 2004-2005 ha insegnato "Religioni e diritti
dell'uomo" al Master di II livello dell'Universita' degli Studi di Bergamo.
Nel settore della didattica della filosofia insegna filosofia e storia nei
licei statali; opera quale formatore di formatori e interviene in corsi di
formazione promossi da istituti superiori in varie parti d'Italia ed in
seminari e corsi promossi dal Ministero e da altre agenzie (la piu' recente
attivita' e' la funzione di moderatore in due forum della Sfi per l'Indire);
ha collaborato al laboratorio di didattica della filosofia presso la Siss
Veneto; e' membro del consiglio direttivo e della commissione didattica
nazionale della Societa' filosofica italiana; suo campo di sperimentazione e
di indagine e' la comunita' di ricerca filosofica e il laboratorio di
filosofia; collabora in qualita' di redattore a "Comunicazione filosofica.
Rivista telematica di ricerca e didattica filosofica" (sito:
www.getnet.it/sfi/013.html); collabora in qualita' di formatore esterno al
corso di perfezionamento in filosofia e didattica della filosofia
dell'Universita' di Bari, e al corso di perfezionamento in metodologia
dell'insegnamento filosofico presso l'Universita' di Padova. Nel settore
disciplinare della didattica della filosofia ha pubblicato una quindicina di
saggi e alcune recensioni, oltre al volume "Comunita' di ricerca e
iniziazione al filosofare. Appunti per una nuova didattica della filosofia",
Lampi di Stampa, Milano 2004. Nel settore degli studi sulla nonviolenza si
occupa continuativamente di etica della nonviolenza, settore in cui ha
pubblicato una ventina tra saggi e articoli; opera quale formatore con
esperienza di metodologia attiva: addestrato nelle competenze dell'ascolto
attivo e della gestione del lavoro di gruppo, grazie ad una esperienza
ventennale di animazione e facilitazione di gruppi, anima a sua volta
all'ascolto attivo, ad una gestione di gruppo centrata sulla leadership
partecipativa ed alla trasformazione nonviolenta dei conflitti. Dal 2002 e'
collaboratore della cattedra di Pedagogia sociale dell'Universita' di
Bergamo, ove si occupa in particolare del tema della trasformazione
nonviolenta dei conflitti. Tra le opere di Fulvio Cesare Manara: Scritti
vari sulla nonviolenza, l'obiezione di coscienza e l'educazione alla pace,
Eirene, Bergamo 1990; (a cura di), La nonviolenza si impara, Celsb, Bergamo
2003; Tra cattedra e vita. Comunicazione e insegnamento della filosofia tra
Kant e Gentile, Lampi di stampa, Milano 2004; Comunita' di ricerca e
iniziazione al filosofare. Appunti per una nuova didattica della filosofia,
Lampi di Stampa, Milano 2004; Una forza che da' vita. Ricominciare con
Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006]

"Violenza e' distruzione della vita, nonviolenza e' amore per la vita, cura
per la vita e forza che fa vivere". Questa definizione (p. 159) spiega il
titolo del libro di Manara, filosofo e pedagogista dell'Universita' di
Bergamo. Ma siamo, in questo inizio del XXI secolo, in un'eta' di
terrorismi. Terrorismi al plurale: come Gandhi ebbe a che fare col
terrorismo dei dominatori britannici e quello dei ribelli indiani, cosi'
oggi abbiamo il terrorismo ribelle anti-imperiale, e il terrorismo delle
guerre imperiali di dominio. "La storia dice: violenza. La coscienza ha un
soprassalto e dice: amore" (Paul Ricoeur, citato a p. 16).
"Ricominciare con Gandhi" non significa tornare a lui, ma raccogliere di
nuovo la sua testimonianza per la nostra ricerca personale e politica di
nonviolenza attiva.
Il libro di Manara, fitto e ampio, e' un lavoro non celebrativo ma critico,
per la cura conoscitiva, per il controllo dei punti di vista del ricercatore
(p. 30), e perche' si lascia porre sotto giudizio (p. 43) e vede anche
aspetti critici di Gandhi (per esempio p. 55). Con molta cura, ricerca e
precisione testuale, l'autore lavora sulle fonti gandhiane originali (pp.
30-32), sulle quali da' al lettore utili consigli (pp. 28-32). Efficaci
citazioni, oltre a tutte le molte nel testo, aprono ognuno dei dieci
capitoli. Sarebbe stato utile che l'indice indicasse anche i paragrafi,
quasi come un sommario, e che un indice dei nomi chiudesse il gia' ampio
volume.
L'introduzione di Giuliano Pontara indica, di Gandhi, i temi della verita' e
della nonviolenza, che, nella presente barbarie, stanno davanti a noi,
nonostante tutto, come possibilita' da cogliere. "La nonviolenza - scrisse
Gandhi - appare nella sua vera e piu' profonda natura quando viene opposta
alla violenza" (p. 11). Ci sono, nel nostro tempo violento, semi di
nonviolenza (p. 18).
I capitoli, dopo il primo sulle fonti, sono dedicati a religione, religioni,
verita'; al metodo satyagraha; al terrorismo; alla progettazione sociale; al
nazionalismo; all'istruzione; all'economia; alla difesa nonviolenta; alla
conoscenza di Gandhi in Italia: tutti aspetti dell'opera e del significato
di Gandhi, affrontati con "esplorazione esperienziale" (p. 20) e
"coinvolgimento esistenziale" (p. 44). La ricerca di Manara e' parte di un
progetto e lavoro di educazione "tra" adulti.
*
Mi sono soffermato sul capitolo IV, "Gandhi, il terrorismo e la
nonviolenza", di impressionante attualita'. Gandhi ebbe esperienza diretta
di entrambi i terrorismi, inglese e indiano; coi terroristi dialogo'
intensamente, sia a Londra, sia in India. Ammira il loro zelo, mentre lo
critica apertamente come fuorviato. Atti di terrorismo scandiscono
continuamente i suoi anni, fino a colpirlo a morte, nel 1948. Egli sviluppa
una decina di argomenti contro il terrorismo (pp. 138-147), che e' il "culto
delle pistole e delle bombe" (Kulke): i principali sono il nesso tra mezzi e
fini; la necessita', ben piu' che della repressione, di cercare le cause
profonde del terrorismo "popolare"; il quale e' segno di debolezza; i due
terrorismi si rafforzano a vicenda, ma piu' grave e' il terrorismo di stato,
perche' usa le istituzioni e corrompe l'intera popolazione; soprattutto,
Gandhi indica la "non-ritorsione" come l'unica via d'uscita dalla spirale:
questa e' l'arma del forte, che fa ricorso a profonde forze spirituali, come
leggiamo nel lungo grande brano del 1947 (p. 145).
Come per i piu' alti pensatori politici (Aristotele, Hannah Arendt, per
esempio), per Gandhi la politica autentica esclude la violenza (p. 150).
Cio' che piu' lo turba sono gli scoppi di violenza dentro le lotte
nonviolente che egli conduce, e che in tali casi egli blocca immediatamente,
pagando di persona (p. 151). Egli discute, ma sa bene che l'azione parla
piu' delle parole, e che, nelle tensioni della vita, l'alternativa
originaria e' tra distruttivita' ed empatia. Nonostante tutto, nella storia
umana c'e' stata finora piu' empatia che distruzione, piu' bene che male,
altrimenti ci saremmo gia' distrutti (pp. 156-157). Vale ancora per noi,
nell'era del rischio atomico ed ecologico, questa fiducia? Comunque, la
ritorsione gioca per la distruzione.
Non si puo' dire che il terrorista e il satyagrahi abbiano lo stesso fine e
soltanto  differenti i metodi. Infatti, il mezzo-dominio qualifica anche il
risultato come dominio. Se la violenza e' il metodo d'azione, alla fine
acquisiscono potere i violenti, non  gli oppressi liberati (p. 158). "La
violenza e' suicida" (p. 153).
Un diagramma di Nanni Salio (p. 159), incrociando la disponibilita' o meno
ad uccidere e analogamente a morire, nei conflitti, evidenzia quattro aree
corrispondenti, schematicamente, la prima al soldato e al terrorista comune
(uccidere si', morire no); la seconda al terrorista suicida (uccidere si',
morire si'); la terza all'astensionista (ne' uccidere ne' morire); la quarta
al satyagrahi (che lotta pronto a morire ma non ad uccidere). Le quattro
aree rappresentano rispettivamente la violenza del debole, la violenza del
forte, la nonviolenza del debole, la nonviolenza del forte. Non si tratta di
categorie assolutamente separate: per lo piu' siamo nell'area tre, ma in
ciascuno di noi c'e' qualcosa di tutti i quattro atteggiamenti. Il problema
e' educarci alla nonviolenza del forte, alla nonviolenza attiva nei
conflitti, e quindi alla pace. Ci si educa nell'esperienza quotidiana dei
piu' comuni conflitti.
Nel confronto col terrorismo, l'uomo gandhiano (area quattro) apparentemente
perde, ma e' colui che piu' attivamente tesse una tela alternativa, non
imitativa e non rassegnata, al potere della violenza (p. 160). E' per questo
suo essere "prigioniero della speranza" (p. 12) che Gandhi continua ad
essere letto, studiato, a fare scrivere libri: quello di Manara e' uno dei
piu' accurati nell'analisi e nella documentazione sui grandi appelli e
apporti che da Gandhi ci vengono sempre. "Una volta che si e' incontrato
Gandhi e' difficile liberarsene" (p. 7), testimonia Pontara, conferma
Manara, e noi con loro.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1290 del 9 maggio 2006

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