[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1212
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1212
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 20 Feb 2006 01:02:16 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1212 del 20 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Jan Oberg: Riflessioni di un danese amico della nonviolenza 2. Annamaria Rivera: Immagini dell'odio razzista 3. Giuliano Pontara: Un convincimento di Gandhi 4. Aldo Nove ricorda Amelia Rosselli a dieci anni dalla scomparsa 5. Ida Dominijanni presenta "La magica forza del negativo" di Diotima 6. Manuela Fraire presenta "La magica forza del negativo" di Diotima 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. JAN OBERG: RIFLESSIONI DI UN DANESE AMICO DELLA NONVIOLENZA [Dal sito del Centro Gandhi di Pisa (http://pdpace.interfree.it) riprendiamo il seguente intervento del 7 febbraio 2006 di Jan Oberg, pubblicato originariamente nel notiziario della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: Tff; sito: www.transnational.org) che ne detiene i diritti di copia; la traduzione e' di Giovanni Mandorino. Jan Oberg (per contatti: oberg at transnational.org), danese, nato nel 1951, illustre cattedratico universitario, e' uno dei piu' importanti peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della nonviolenza in cammino; e' direttore della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: Tff), uno dei punti di riferimento piu' rilevanti del movimento per la pace a livello internazionale, che ha sede a Lund in Svezia. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power. Giovanni Mandorino (per contatti: gmandorino at interfree.it) e' una delle piu' rigorose e attive persone impegnate per la nonviolenza, partecipa all'esperienza del Centro Gandhi di Pisa e cura il sito della rivista "Quaderni satyagraha" (pdpace.interfree.it)] Le caricature pubblicate sullo "Jyllands-Posten" hanno una precisa intenzione. Associano l'immagine del Profeta dell'islam al terrorismo, al crimine e alla repressione delle donne. Nessuna di esse puo' risultare utile al dialogo, alla mutua comprensione o alla tanto necessaria formazione civile e al reciproco riconoscimento tra i danesi e i musulmani ovunque si trovino. Sono fondate su una volonta' malevola. L'intensita' della reazione negativa puo' risultare sorprendente. Ma certo, inquadrata nel contesto del nostro mondo contemporaneo immerso nella globalizzazione, quella pubblicazione e' stata immotivata e insensata: e rivela una carenza, intellettualmente paralizzante, di cultura e deontologia. * Il governo danese ha perso un'occasione Ancora peggio, il governo danese non ha capito ne' quello che stava accadendo ne' la necessita' di un immediato intervento di limitazione del danno. Il primo ministro, Fogh Rasmussen, ha respinto gli appelli al dialogo, seguendo uno schema gia' consolidato anche in relazione alla politica della Danimarca sull'Iraq e le problematiche dell'immigrazione: per definizione noi non facciamo errori e non abbiamo niente da imparare da nessuno. Se il governo avesse compreso il mondo e i nostri tempi, avrebbe potuto sottolineare il diritto dello "Jyllands-Posten" di pubblicare le caricature, ma avrebbe colto l'occasione per prendere con forza le distanze da un atto cosi' offensivo e controproducente. La conferenza stampa del primo ministro e del ministro degli Esteri, del pomeriggio del 7 febbraio, si e' rivelata poco piu' di un ulteriore sforzo di autocelebrazione senza neppure il piu' piccolo accenno di rincrescimento, scuse o riconciliazione. Il fatto che - in un discorso rivolto al mondo islamico - il primo ministro abbia posto l'accento sul pieno sostegno che gli giunge da George W. Bush, rivela quanto deplorevolmente poco abbia capito del mondo. * Perche' si deve parlare di liberta' di non pubblicazione, non di liberta' di espressione Si dovrebbe apprezzare che il direttore del "Jyllands-Posten" si sia scusato per il fatto che il suo giornale abbia provocato e offeso un cosi' gran numero di persone; ha detto (il 30 gennaio 2006) che non era loro intenzione farlo. Sostiene che le caricature sono state pubblicate come parte di un "dibattito in corso sulla liberta' di espressione che noi amiamo profondamente". Bello e buono - ma quanto terribilmente cieco da un punto di vista culturale. L'argomento della liberta' di espressione e' un'impostura. L'esistenza della stampa libera e', nel migliore dei casi, una verita' sottoposta a condizioni. Il modo in cui i principali media occidentali trattano alcuni problemi della contemporaneita', come la partecipazione alle guerre dei loro governi, e' solo uno dei molti esempi di autocensura e propaganda al servizio del potere piuttosto che di verita' e liberta' nella formazione della pubblica opinione. La liberta' della stampa ha sempre implicato anche la liberta' di trascurare e sottacere, per esempio, l'enorme verita' sul come e perche' miliardi di persone continuino a vivere nell'assoluta poverta'. E ha significato un orientamento sistematicamente favorevole alle politiche dei governi piuttosto che alla societa' civile. In secondo luogo, la liberta' d'espressione implica la responsabilita'. Non equivale al diritto di umiliare, offendere, demonizzare, diffamare o calunniare. La maturita' personale, come anche un comportamento civile, consiste anche in una sana capacita' di giudizio e nel comprendere cosa dire e cosa non dire, quando e perche'. I giornalisti hanno pur sempre la possibilita' di comportarsi in modo rispettoso, essere educati, mostrare empatia e comportarsi in modo civile nel rapportarsi con gli altri esseri umani, o non e' cosi'? In terzo luogo, chiunque abbia viaggiato fuori dai confini della propria cultura sa bene che la liberta' di espressione, insieme ad altre cosiddette "regole universalmente accettate", deve essere interpretata nel contesto. Nessuna cultura o societa' e' felice che le sia imposta l'interpretazione degli stranieri. Il generico cittadino occidentale - il maestro del mondo, mai l'allievo - rifiuterebbe con forza che fossero applicate alla sua vita quotidiana le interpretazioni di queste norme che sono tipiche di un musulmano o di un indiano. * Autoglorificazione e razzismo istituzionalizzato Sono un cittadino danese che ha vissuto in Svezia per 33 anni. Per periodi piu' brevi ho lavorato in Somalia, nei Balcani, in Giappone, in Burundi e altrove. Cio' che e' accaduto in Danimarca, grosso modo nell'ultima decade, sfugge alla mia comprensione sia come danese che come studioso. Sono preoccupato, di piu': terrorizzato, quando mi trovo a considerare le conseguenze di cio' che chiamerei autoglorificazione occidentale del dominio della propria civilta' e razzismo istituzionalizzato. Cio' e' diventato cosi' pervasivo e "naturale" a partire dalla fine della vecchia guerra fredda che ne' i danesi, ne' gli altri occidentali in generale sembrano accorgersene. Con la "guerra contro il terrorismo" siamo gia' nel pieno di una nuova guerra fredda. E questo per nessun'altra buona ragione salvo la follia umana che si sprigiona dalla combinazione di arroganza culturale e assenza di spirito autocritico e di empatia. Neanche per un momento riesco a credere che le caricature di Maometto o il ragionamento sulla liberta' di stampa siano qualcosa di piu' dell'ultima goccia in una serie di umiliazioni dei non-occidentali determinata dalla cecita' culturale. Questi fatti si vengono a sommare a secoli di umiliazione e insensibilita' nei confronti dell'"altro". Siamo divenuti ciechi e proiettamo sugli altri il nostro stesso lato oscuro. La politica danese e' diventata cosi' priva di empatia che il ministro degli Esteri danese, Stig Moeller, utilizza ripetutamente una sola parola: "Inaccettabile!" - ma non a proposito delle politiche sull'immigrazione del proprio governo o della sua partecipazione nel genocidio e nel massacro del popolo iracheno, bensi' - naturalmente - a proposito delle reazioni che percorrono l'intero mondo musulmano. Sempre piu', in questi giorni e in queste ore, i commentatori presentano la Danimarca come la vittima e le reazioni dei musulmani come esagerate e premeditate. Pochi cittadini e pochi mezzi d'informazione danesi sembrano aver voglia di sollevare le questioni di piu' ampio contesto e chiedersi se le politiche della Danimarca - Iraq, immigrazione, islamofobia - possano essere alla radice di tutto cio' che sta avvenendo. * Vedono il mio Paese come uno "stato canaglia" e non li biasimo per questo Supponiamo che i danesi e i loro politici siano ancora dotati di buone maniere e maturita' umana. Se e' cosi', riconosceranno che e' giunto il tempo dell'umilta', della riflessione interiore, delle scuse e della riconciliazione. Una cultura che non dispone di nessuna di queste qualita' e' in declino e, in fieri, e' anche pericolosa per se' e per gli altri. Diventa una "cultura canaglia". In questi giorni temo che la cultura occidentale risulti sempre piu' carente di empatia, di una discussione libera, e del coraggio di dire "Ci dispiace". Il mio Paese natio appare oggi come uno "stato canaglia" a milioni di esseri umani nostri simili. Non si discute qui se questo e' un giudizio onesto sulla Danimarca. Il punto, qui, e' che la politica danese e' una delle ragioni principali per cui cio' accade. Non possiamo escludere di trovarci a testimoniare l'inizio della corsa verso una catastrofe senza precedenti. 2. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: IMMAGINI DELL'ODIO RAZZISTA [Dal sito del quotidiano "Liberazione" (www.liberazione.it) riprendiamo il seguente intervento. Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa, fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli, Dedalo, Bari 2005] Il lato piu' sconcertante dell'affaire delle vignette danesi e' che tutti i protagonisti si siano comportati come lo sciocco che fissa il dito di chi gli sta indicando la luna. Lo hanno fatto perfino giornali e giornalisti di sinistra, ripubblicando le vignette e contribuendo anch'essi a trasformare una vicenda minore in un'accesa controversia di dimensione internazionale e di portata esplosiva. Mentre cresce la luna della guerra preventiva e dei suoi effetti devastanti, del dominio imperiale e dello sfruttamento globale, da noi si discetta intorno al dito, cioe' intorno alla liberta' di satira, come se davvero questo fosse il problema inerente alle "caricature" di Maometto. E altrove si assaltano ambasciate europee e si partecipa a manifestazioni e violenze di piazza - incoraggiate o ispirate dai regimi al potere oppure sanguinosamente represse, secondo i paesi - facendo spesso il gioco di dittature che hanno interesse a deviare da se' la rabbia popolare. Per cercare di fare chiarezza e' opportuna anzitutto qualche puntualizzazione lessicale. Cos'e' una caricatura? Una rappresentazione - scrivono i dizionari - in cui i tratti caratteristici del soggetto rappresentato sono esagerati o distorti per produrre un effetto comico o grottesco. E cos'e' la satira? Un'espressione letteraria o figurativa che, muovendo da un intento morale, mira a criticare, con l'arma del ridicolo, personaggi, costumi o istituzioni. Ora, cosa v'e' di caricaturale o di satirico nel rappresentare il fondatore dell'islam con il capo coperto da un turbante-bomba con miccia accesa? Si puo' parlare d'intento morale allorche' la finalita' della "satira" e' illustrare la tesi secondo cui l'islam sarebbe una religione intrinsecamente terrorista e il terrorismo sarebbe per essenza musulmano? Ad argomenti e dubbi di tal genere si obietta che l'intangibile principio della liberta' d'espressione non puo' essere sacrificato sull'altare del rispetto delle sensibilita' religiose, si tratti pure di un miliardo e mezzo di fedeli. E ci si richiama a Voltaire (che peraltro fu poligenista convinto, fautore dell'antiebraismo, sostenitore e profittatore del sistema schiavistico) per sostenere che l'irrisione delle fedi religiose e' parte intrinseca della liberta' d'opinione e d'espressione. Altrimenti, si dice, si corre il rischio che siano proibiti i fumetti irriverenti di Cavanna, le caricature dei pontefici, la satira sulla chiesa cattolica, cose a cui nessuno spirito libero, men che mai chi scrive, vorrebbe rinunciare (in realta', quando ridiamo delle "Avventure di Dio" e' di noi stessi che ridiamo, non degli altri). Non e' necessario essere degli intellettuali raffinati per sapere che e' il contesto a conferire senso al testo. Ne' occorre una particolare acutezza per intuire che il contesto e' dato non solo dal quotidiano, il "Jyllands Posten", che ha ospitato quelle vignette, ma anche dalla situazione storica presente, dalla sua temperie politica, dalla posizione occupata dagli attori in campo, dalla sedimentazione di memorie, culture, conflitti. Isolare la vicenda dalla temperie del dopo 11 settembre per iscriverla nella categoria, concepita come astratta e immutabile, della liberta' d'espressione e' un'operazione alquanto sospetta, tanto piu' se i difensori del principio assoluto della liberta' "di satira" sono gli stessi che mai hanno nominato, a proposito di questa vicenda, la parola razzismo. Eppure e' principalmente di questo che si tratta: di crudi stereotipi razzisti sui musulmani, rappresentati in blocco come potenziali terroristi. * Soffermiamoci sulla polivalenza dello stereotipo. Se raffiguro i napoletani come mangiatori di spaghetti e suonatori di mandolino, sto usando si' uno stereotipo, ma tanto sciocco quanto veniale. Al contrario, se rappresento gli ebrei come deicidi, avidi di denaro, occulti responsabili di complotti, sto facendo dell'antisemitismo bello e buono. I napoletani, infatti, non sono mai stati vittime di pogrom e di stermini in quanto reputati mangiatori di spaghetti e suonatori di mandolino. Alla stessa maniera, se raffiguro Maometto come l'archetipo del terrorista faccio del razzismo poiche' rappresento l'islam come una religione per essenza malvagia e violenta, in un momento storico in cui i musulmani, veri o presunti, sono oggetto di disprezzo e di ostilita', ed alcune popolazioni musulmane sono vittime di occupazioni militari, torture, saccheggi, bombardamenti, stragi. In secondo luogo, conviene analizzare gli attori in campo e la posizione che essi occupano in termini di potere. Il "Jyllands Posten" non e' un qualsiasi giornale scandalistico o conservatore; e' invece l'espressione di un partito di governo e del suo orientamento anti-immigrazione e anti-musulmano. Orientamento a sua volta condiviso dalla regina di Danimarca, che e' anche la suprema autorita' della chiesa luterana, cui fa riferimento l'85% della popolazione danese, mentre i musulmani non superano il 3%. Ancora una considerazione: quando cittadini bianchi di paesi europei di tradizione cristiana prendono in giro la chiesa cattolica e il Vaticano - del cui potere e' difficile dubitare - la cosa puo' risultare piu' o meno di buon gusto ma certo e' del tutto legittima; come legittimo ed auspicabile sarebbe che i cittadini di paesi a maggioranza musulmana conquistassero il diritto di criticare e perfino ridicolizzare non solo l'islamismo ma anche i confessionalismi musulmani e le loro strutture. Cio' equivale ad affermare che il diritto di critica e di satira puo' esercitarsi soltanto nell'ambito della propria tradizione religiosa? No di certo: si vuol dire, invece, che il segno e il senso mutano a seconda dei contesti e dei rapporti di forza. Inoltre, ben pochi hanno osservato che alcune fra le vignette in questione ricalcano stilemi propri dell'iconografia antisemita. Pochissimi rilevano, d'altra parte, che gli enunciati e gli atti antimusulmani compiuti dalla Lega Nord, per fare un esempio a caso, presentano un'inquietante analogia con i cliche' e la semantica dell'antisemitismo (basta pensare alla tristemente famosa profanazione con orina di maiale di un terreno destinato alla costruzione di una moschea); e che la stessa "aria di famiglia" circola nei pamphlet della pluripremiata Fallaci, ove gli immigrati sono subumani che "orinano nei battisteri" e "si moltiplicano come topi". * Non c'e' da stare allegri neppure se si guarda all'altro versante. In alcuni fra i piu' "moderati" regimi arabi - si pensi all'Egitto - circolano i Protocolli dei savi anziani di Sion ed altra simile robaccia antiebraica, fra cui vignette improntate alla classica iconografia nazista dell'ebreo: barba, kippa', naso adunco, aspetto ripugnante, avido e sanguinario. Per non parlare della delirante proposta di un concorso a premi per vignette sull'Olocausto, lanciata dal quotidiano iraniano "Hamshahri" come "reazione" alle vignette danesi. In verita' l'intera vicenda reca il marchio dell'insensatezza. E' stupefacente che chi, con quelle vignette, ha incitato, e con tanta leggerezza, all'odio razzista e all'islamofobia gia' dilaganti non avesse previsto reazioni popolari spropositate e campagne strumentali da parte dei regimi di paesi a maggioranza musulmana. Ancora piu' sorprendente e' che i giornali democratici che le hanno ripubblicate - per rivendicare il diritto alla libera espressione, sostengono - abbiano sottovalutato gli effetti esplosivi della loro scelta. E' amaro constatare che le conseguenze di tanta irresponsabilita' sono centinaia di persone arrestate e decine di persone uccise nel corso delle manifestazioni di protesta. Infine, ad uscire rafforzata da questa vicenda non e' la liberta' d'espressione, bensi' il risentimento e l'ostilita' reciproca, a tutto vantaggio di chi, nell'uno e nell'altro versante, ha interesse ad inverare la nefasta profezia dello "scontro di civilta'". 3. MAESTRI. GIULIANO PONTARA: UN CONVINCIMENTO DI GANDHI [Da Giuliano Pontara, "Il pensiero etico-politico di Gandhi", saggio introduttivo a Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. CXLIII. Giuliano Pontara (per contatti: giuliano.pontara at philosophy.su.se) e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia' apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni all' Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e' stato coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49. E' autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 di questo foglio. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] Il religiosissimo Gandhi fu sempre un intransigente fautore dello stato laico. 4. MEMORIA. ALDO NOVE RICORDA AMELIA ROSSELLI A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA [Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 febbraio 2006. Aldo Nove ( Antonello Satta Centanin) e' nato a Varese e vive a Milano, scrittore, redattore della rivista di poesia e poetica" Testo a fronte", con Elisabetta Sgarbi dirige per Bompiani la collana di poesia contemporanea "inVersi". Tra le opere di Aldo Nove: Musica per streghe, Edizioni Polena, 1991; La luna vista da Viggiu', in "Quinto quaderno di poesia contemporanea", Guerini e associati, 1994; Woobinda e altre storie senza lieto fine, Castelvecchi, 1996; Puerto Plata Market, Einaudi, 1997; Superwoobinda, Einaudi, 1998.. Amelia Rosselli (Parigi 1930 - Roma 1996), poetessa, figlia dell'eroe antifascista Carlo Rosselli; una delle voci piu' intense ed originali della poesia del Novecento, una delle testimonianze piu' intime e sofferte della storia del secolo. Opere di Amelia Rosselli: Variazioni belliche, Garzanti, Milano 1964; Serie ospedaliera, Mondadori, Milano 1969; Documento, Garzanti, Milano 1976; Primi scritti 1952-63, Guanda, Parma 1980; Impromptu, San Marco dei Giustiniani, 1981; Appunti sparsi e persi, Aelia Lelia, 1983, 1996; La libellula, SE, Milano 1985; Diario ottuso, 1996; la sua opera poetica e' ora raccolta ne Le poesie, Garzanti, Milano 1997, 2004] "Mi truccai da prete della poesia ma ero morta alla vita". Questa frase, tratta dalla raccolta Documento (1966-1973), ci dice molto della piu' grande, ed anomala, poeta italiana della seconda meta' dello scorso secolo. Amelia Rosselli e' scomparsa tragicamente l'11 febbraio del 1996 a Roma, citta' che la accolse dopo un'esistenza apolide fin dalle radici divelte dalla guerra. Suo padre, l'antifascista Carlo Rosselli, e lo zio, Nello, furono uccisi in Francia nel 1937, dove avevano cercato di riparare nel '29. Amelia nacque in Francia, nel '30, per trasferirsi ancora bambina, insieme alla mamma, prima in Inghilterra e negli Stati Uniti poi. Nel 1946 venne per la prima volta in Italia, ma ritorno' subito in Inghilterra perche' da noi i suoi titoli di studio non furono riconosciuti come validi. Furono, quelli inglesi, anni di studio di musica e composizione, studi che l'accompagneranno per tuta la vita e che costituiranno la cifra della sua poesia, forse all'apparenza orfica ma tutta tesa, invece, a lavorare sullo scheletro e le giunture del corpo della parola, sulla sua fisicita' ancora prima che sulla funzione referenziale. Una poesia musicale, dunque, non fosse troppo immediato incorrere nell'errore che identifica musica con armonia o addirittura con la consumabilita', l'orecchiabilita' dei testi. La parola era per Amelia la materia grezza dalla quale traeva la vita, quella si' esuberante, dei suoi sogni e delle sue paure, sotto il controllo estremo delle regole del suono. Prima della parola venne il suono. Prima del suono venne il vuoto che la precedeva. Venne il silenzio. Questo sembra dirci ancora il verso straniato e straniante, scandaloso di Amelia Rosselli. Ad accorgersi di lei, da noi, fu Pierpaolo Pasolini, quando, nel "Menabo'", pubblico' ventiquattro poesie definendo l'autrice "questa specie di apolide, dalle grandi tradizioni famigliari di Cosmopolis", insistendo, nella sua interpretazione, sui frequenti, voluti o non voluti, lapsus, in uno spazio interpretativo che va dallo psicologicismo onirico alla piu' corretta trascrizione in parole di suggestioni cosi' profonde da precedere il territorio della parola. Gia' questo spaventava in Amelia Rosselli. Se "in principio era il verbo" Amelia lasciava trasparire che prima del principio c'era altro. Forse la potenza orrorifica delle divinita' azteche, forse quell'"aum" o "om" dell'Oriente che Amelia mai visito', ma interpreto' in chiave personale ed esistenzialista, unica, proprio a Roma. Se per la Chiesa all'inizio era il Logos, per Amelia, come per un altro grande ed ostico poeta del Novecento, Paul Celan, all'inizio era il respiro, e il suo essere universale ordine e disordine, dal rumore delle stelle ai battiti del cuore, ai suoi sussulti. Un anno dopo le poesie pubblicate sul "Menabo'", Amelia Rosselli scrisse, e fu una delle poche volte, dei suoi versi come "l'espressione della durata del tempo fra una nota e l'altra in musica e quella fra una sillaba e l'altra in poesia". Il successo di critica, dopo un infelice e mai risolto avvicinamento al mondo della neoavanguardia, che mai la capirono e tuttora la ricordano (o la dimenticano) con sospetto, avvenne attraverso Variazioni Belliche, del 1964, il suo primo vero libro, capolavoro assoluto della poesia di quegli anni, spiazzante e dolorosa testimonianza di un mondo fatto a pezzi e saldato da un vortice emozionale che nasce dalla piu' estrema tensione linguistica. Quasi un atto di laica, disperata preghiera a lacerare e ricomporre le pagine di un abisso raggelato in un rigore formale (quasi una sorta di Beckett al femminile), dove il canto si fa suono metallico, dove le parole vengono toccate da altri sensi, da altre serie ed ordini. Una poesia che puo' ricordare, mutando ovviamente il paesaggio storico e le influenze piu' o meno manifeste, quello di un altro grande del Novecento, Dino Campana, anche lui cosi' vicino al territorio in cui significato e significante si sbriciolano di fronte all'evocativita' arcaica del suono, del rumore della voce, dei suoi gorgogli piu' profondi. Mi viene in mente Stockhausen, musicista molto caro alla neoavanguardia italiana, che intitolo' una sua opera La musica della pancia. La musica della pancia di Amelia Rosselli e' stata la trascrizione di un viaggio in un baratro dove tutto lo scorso secolo ha trovato asilo, e dove per sempre lo trovera' nella sua opera. Sempre per rimanere nella metafora corporale, organica, Pier Vittorio Mengaldo defini' il lavoro di Amelia Rosselli "un organismo biologico, le cui le cellule proliferano incontrollatamente in un'attivita' riproduttiva che come nella crescita tumorale diviene patogena e mortale", o che forse, e meglio, patogena e mortale era gia' all'inizio, se la vita, al suo inizio, ne prevede la fine. Si approssima alla prosa Diario ottuso (1954-1968), in cui la parola di Amelia torna ossessivamente "con la fedelta' viziata di un'abitudine che si trovo' bene con noi, e non se ne ando'", diceva Rilke. Dove "l'abitudine" e' poi il circolo vizioso da cui e' impossibile uscire: quella sensibilita' esasperata, quella memoria lacerata che ha portato al suicidio tanti dei piu' grandi testimoni del nostro tempo appena passato. La sua Antologia poetica e' uscita, arricchita della raccolta Primi scritti, nel 1987. E da allora, la sua carsica, inquieta presenza non ha mai smesso di insegnarci la magia di un'invenzione sempre spinta ai suoi limiti, con lucida, onirica follia. Se, come diceva Freud, "il sogno e' un rebus", la poesia di Amelia Rosselli, la sua oniricita' cosi' ricca, a tratti sublime, a tratti davvero incomprensibile, continuera' ad affascinarci ancora a lungo, forse per sempre. Come accade ad ogni classico. 5. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "LA MAGICA FORZA DEL NEGATIVO" DI DIOTIMA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 febbraio 2006. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005. Sulla comunita' filosofica femminile di Diotima cfr. il sito www.diotimafilosofe.it] Non ci eravamo dimenticate di Lynnie England, anche prima che le nuove foto diffuse dalla Sbs riattivassero la memoria dello strazio di Abu Ghraib. La giovane torturatrice americana con prigioniero iracheno al guinzaglio sta impressa nelle nostre menti come icona della fine di ogni illusione sull'estraneita' femminile dall'esercizio del male; e torna non a caso piu' d'una volta nell'ultimo libro della comunita' filosofica Diotima, dedicato al negativo e alla sua "magica forza". Attenzione, perche' la ragione di questa presenza non sta nell'equiparazione del negativo con il male, che viceversa il libro si dedica filosoficamente a smontare, invitandoci a guardare in faccia il negativo ovunque si manifesti nelle nostre esistenze e a trattarlo in modo che per l'appunto non vada a male, ma senza d'altra parte illuderci che esso sia destinato a tramutarsi dialetticamente in bene. I riferimenti a Lynnie England stanno piuttosto nel tema che il libro si dedica politicamente a porre: che riguarda per un verso il rapporto fra negativo e differenza sessuale, per l'altro verso il posto e il ruolo del negativo in un pensiero-pratica come quello di Diotima, abituato a fare leva piuttosto sul positivo dell'ordine simbolico della madre e delle relazioni fra donne. Di entrambi i corni - anzi "i chiodi", come lei scrive - del problema tratta il saggio di Diana Sartori ("La tentazione del bene") che apre il volume legandone efficacemente le motivazioni filosofiche e politiche. C'e' fra le altre false dicotomie strutturate dall'ordine simbolico patriarcale, scrive Sartori, una sorta di "divisione sessuale del lavoro morale" che assegna il negativo agli uomini, il positivo alle donne: agli uni starebbe l'oscuro della violenza, della distruttivita', dell'uso della forza, alle altre il chiaro dell'accoglienza, della benevolenza, della conciliazione. Con la conseguenza di una divisione sessuale del lavoro politico, secondo la quale gli uomini obbediscono per necessita' al "supplemento osceno" di forza e violenza che costituisce la "dura lex sed lex" della politica, le donne ne sono esentate e se ne autoesentano, con cio' esentandosi anche dalla politica; e se le une reagiscono con un riflesso di estraneita' a una politica basata sulla forza, gli altri rispondono con un riflesso di incredulita' alla proposta femminile di una politica basata sulla relazione. Un "inchiodamento" ai ruoli sessuali che stenta a schiodarsi anche dopo trentacinque anni di femminismo. Anzi rischia perfino di esserne rinforzato, se il pensiero della differenza si fa a sua volta complice involontario di quella divisione sessuale del lavoro morale, raffigurando l'ordine simbolico della madre come un ordine esente dal negativo. Sartori e' precisa nella sua ricostruzione. Non va dimenticato ne' diminuito il valore che ha avuto, nella vicenda teorica e politica del femminismo della differenza, il passaggio dalla retorica della rivendicazione, basata sul segno "meno" del disagio e della sofferenza femminile, a una retorica positiva, basata sul segno "piu'" dell'autorita' materna e della capacita' creativa della relazione fra donne. Questa prospettiva positiva non puo' pero' elidere "il perdurare del negativo e della sofferenza nella vita di molte, l'emergere di forme di negativita' nelle relazioni fra donne, un certo indulgere femminile in una rappresentazione edulcorata e celebrativa della nostra politica". Da qui l'esigenza di tornare a sostare sul negativo. Ma con uno spostamento cruciale rispetto al tempo del rivendicazionismo, giacche' se allora la spinta a emanciparsi dal negativo dell'oppressione veniva da un addebito al patriarcato, oggi il lavoro sul negativo parte dall'interno dell'ordine della madre, e non emancipazione ma convivenza ed elaborazione. Non si tratta solo di vedere i lati negativi del rapporto con la madre e con le altre donne, ma di riconoscere il "passaggio attraverso il negativo" che la forma stessa della relazione con la madre porta con se': e' la' infatti, nella prima fusione, che ciascuna e ciascuno di noi sperimenta anche la prima separazione, la prima perdita, il primo lutto. E' su quella prima ferita che ogni altra, ogni volta, torna a imprimersi. 6. LIBRI. MANUELA FRAIRE PRESENTA "LA MAGICA FORZA DEL NEGATIVO" DI DIOTIMA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 febbraio 2006. Manuela Fraire, autorevole intellettuale, psicoanalista, una delle figure piu' prestigiose del femminismo, e' autrice di numerosi saggi. Tra le opere di Manuela Fraire: (a cura di), Lessico politico delle donne: teorie del femminismo, Fondazione Elvira Badaracco, Franco Angeli, Milano 2002] La sculpture du vivant (tradotto impropriamente in italiano Al cuore della vita) e' il titolo del libro dell'immunologo francese Jean Claude Ameisen sul fenomeno dell'apoptosi - ovvero del suicidio cellulare e della "morte creatrice" (Feltrinelli 2001). Ogni cellula - scrive Ameisen - e' un miscuglio di esseri viventi eterogenei, una coabitazione di differenze la cui perennita' ha avuto nella maggior parte dei casi come unica alternativa la morte. Lo spirito che anima la ricerca di questo scienziato e' prossimo - pur venendo da tutt'altro "laboratorio" - a quello dell'ultimo libro (l'ottavo) di Diotima, che doveva intitolarsi "Il lavoro del negativo" come il "grande seminario" organizzato presso l'universita' di Verona nel 2003. Alla fine si e' optato per La magica forza del negativo (Liguori, pp. 216, euro 13,50), titolo che allude alla grande forza dello spirito che sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. "Questo soffermarsi - scrive Hegel a cui il titolo scelto si riferisce - e' la magica forza che volge il negativo nell'essere". Manca curiosamente un riferimento esplicito a Carla Lonzi e al suo fondamentale Sputare su Hegel. Particolarmente significativo invece il richiamo - presente in quasi tutte le autrici - a Simone Weil. L'idea della de-creazione si oppone in lei alla formula della dialettica, ispirando un lavoro del negativo che non deve mai dimenticare "quell'intervallo che ha la finezza di un capello e che fa l'abissale distanza fra la de-creazione e la distruzione" (Luisa Muraro). Il lavoro del negativo e' dunque un'operazione che parte dal nostro essere soggetti incarnati, e in questo senso non puo' essere "un'operazione intellettuale", perlomeno non solo, poiche' l'idea stessa di lavoro suggerisce una trasformazione che la pulsione de-creatrice subisce quando riesce a divenire parte di un discorso, di un dialogo, di una relazione. Il libro stesso va trattato con questa accortezza, individuando dove i punti di congiunzione e di disgiunzione segnalano la soggettivita' delle singole autrici e dove il negativo "lavora" all'interno e dall'interno del testo di ognuna. * Ogni autrice e' accompagnata da una donna che rappresenta attraverso la sua "arte" la possibilita' di attraversare il negativo uscendone "viva". Weil e' il faro che illumina la notte che Rita Fulco attraversa con coraggio e passione nel suo "L'irriducibilita' del negativo", permettendole di affrontare un aspetto del negativo come quello proposto da Duras ne Il dolore senza cadere nel negativismo, e anzi mostrando come sia possibile sfuggire alla "sventura" dell'impossibilita' di testimoniare l'esperienza di un dolore assoluto, e in quanto tale sciolto da ogni rappresentazione verosimile. * Generare parola viva (dialogo) e/o scritta rappresenta per tutte le autrici la forza che si oppone al potere "slegante" del negativo. Cosi' Monica Farnetti legge la figura di Annamaria Ortese come persona salvata "dal dono e dal medicamento" della scrittura, che le ha permesso di restare prossima al male e al proprio male "senza farsene corrompere pur riconoscendone l'esistenza". Le creature della Ortese - scrive Farnetti - sono "figure del negativo al lavoro" che esasperano l'esperienza dell'alterita' senza tuttavia distruggere e/o distruggersi. * Il timore di Diotima, scrive Muraro nell'introduzione, era quello di "non riuscire a parlare del negativo e di evocarlo come un ospite triste e muto... o peggio ancora, temevamo di sentirci obbligate a contrastare la muta invasione del negativo a forza di affermazioni ideali". Poiche' e' proprio nell'ammutolimento - che e' altra cosa dal silenzio - che il negativo si impone malignamente a noi; esso "va a male" quando impedisce di riconoscere nell'esistenza dell'altro e di altro il principio e la possibilita' della nostra propria esistenza di soggetti. Che vuol dire altrimenti partire da se'? Se non vi e' l'altro verso cui andare o da cui allontanarsi, perche' mettersi in viaggio? Mettere al lavoro il negativo vuol dire dunque innanzitutto incontrare quell'altro di noi stessi che non abita piu' nella realta' che ci circonda, bensi' occupa il nostro stesso io come suo antagonista, come decostruttore instancabile di ogni sua affermazione, e la cui esistenza si rivela a noi come "inquietante presenza". Freud lo intuisce genialmente nello scritto su "La negazione" riferimento ineludibile per chi e' appassionato ai processi di formazione della soggettivita'. La negazione come affermazione di esistenza viene confermata da uno scienziato come Ameisen che - dopo avere osservato per anni il comportamento cellulare- sostiene in modo controintuitivo che "la nostra stessa sopravvivenza dipende dalla capacita' delle cellule di trovare nell'ambiente esterno al corpo i segnali che consentono di reprimere, giorno dopo giorno, lo scatenarsi del suicidio". Freud ha intuito questa verita' paradossale introducendo nella metapsicologia la spina irritativa della categoria della pulsione di morte. * La magica forza del negativo puo' essere considerato una riserva aurea che va visitata nel tempo per ri-leggere tra l'altro e non da ultimo la trasformazione importante di Diotima, secondo me un rafforzamento, che permette a chi pure si sente meno affine al suo pensiero e alla sua pratica di accostarvisi senza sentirsi indeboliti dal dubbio e dagli interrogativi che non hanno trovato una risposta, ma anzi sentendosi rinforzati dalla molteplicita' di percorsi proposta, che permette al lettore identificazioni diverse ma non "sleganti" del filo principale. * Wanda Tommasi per esempio declina il negativo lungo l'asse della malinconia, analizzando quando essa da "sventura" si trasforma in scrittura - sia pure, come dice il titolo del saggio, una "scrittura del deserto". Plath, Duras, Bachmann, Cvetaeva attraversano la malinconia con quattro scritture diverse - differentemente difensive aggiungerei - ma che cos'e' la scrittura se non innanzitutto - in accordo con Blanchot - una difesa dall'eccesso rappresentato da una troppo grande prossimita' alle fonti di ispirazione della vita? * Chiara Zamboni invece incontra il negativo come "crepa" nella/della continuita' dell'essere. Una intermittenza che osserva nell'esperienza totalizzante dell'estasi di Teresa d'Avila, in cui sono coinvolti mente e corpo e che la restituisce sfinita alla vita quotidiana: l'esperienza ripetuta di un crollo che segue alle fasi di esaltazione senza tuttavia divenire definitivo. Etty Hillesum al contrario sembra inseguire la convinzione di poter diminuire il male che pervade il mondo, innanzitutto il suo mondo che sta scivolando inesorabilmente verso la persecuzione degli ebrei e quindi di lei stessa, cominciando a "cancellarlo dalla sua anima", quindi cercando di sottrarre terreno al negativo. Il modo in cui queste due donne affrontano la crepa che si apre nel loro essere senza smettere di "esserci" fornisce a Zamboni la chiave per affrontare il negativo: imparare a sopportare l'alternanza di essere e non essere, di pienezza e senso di vuoto, riconoscendoli come ricorrenze della prima terribile e pero' fondativa esperienza di scissione dalla madre. A quell'esperienza, che e' di tutti, c'e' solo una risposta che tramuta il negativo in negativismo: la risposta dell'in-differenza, che abolisce l'altro in quanto erede e antagonista di quell'altra da se' che ci ha messo al mondo e da cui abbiamo dovuto separarci. La via da percorrere - dice Zamboni - e' il rilancio della relazione linguistica con gli altri, "che pero' non cancella la faglia che si e' venuta a creare, che ci seguira' per tutta la vita". * Il "male contingente" contrapposto al male metafisico, assoluto, eterno - scrive Annarosa Buttarelli - "sottosta alla legge dell'incarnazione... e sta a noi avere la capacita'... di andarlo a scovare, costringerlo a dichiararsi". E' una diffusa sapienza femminile, scrive l'autrice, ma non insita nella natura della donna - aggiungo io - bensi' ad essa consegnata dalle circostanze nelle quali si viene al mondo, e sta alla donna-madre approntare le condizioni perche' la passivita' legata all'impotenza originaria non si trasformi in inesistenza. Ma e' difficile trasportare questo sapere nella relazione tra le donne senza che si riproduca un'attesa idealizzante di protezione da parte dell'altra, e cioe' senza che si attivi un'attrazione fatale per la dipendenza. * Per quanto preciso e minuto possa essere il disegno di una costa esso andrebbe aggiornato quasi minuto per minuto, poiche' il lavoro di erosione del mare sulla terraferma ne modifica continuamente anche l'irregolarita'. Dare un nome a questa mutevole irregolarita' - che il matematico Mandelbrot ha denominato frattale e attorno a cui ha costruito una teoria che ha permesso di misurare con il linguaggio della matematica superfici geometriche irregolari - vuol dire rendere questa irregolarita' pensabile nella sua processualita', farne uno strumento di lavoro, una misura. Il libro di Diotima funziona un po' cosi': tenta l'impresa di disegnare confini sempre piu' dettagliati della differenza tra donna e uomo, tra donna e donna e soprattutto tra ogni donna e se stessa. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1212 del 20 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La domenica della nonviolenza. 61
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1213
- Previous by thread: La domenica della nonviolenza. 61
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1213
- Indice: