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La nonviolenza e' in cammino. 1188
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1188
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 27 Jan 2006 00:12:50 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1188 del 27 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. Elena Loewenthal: Persone 2. Grazia Casagrande intervista Gabriele Nissim su Dimitar Peshev 3. Enrico Peyretti: Molti Schindler: dunque si poteva resistere al nazismo (parte seconda e conclusiva) 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ELENA LOEWENTHAL: PERSONE [Da Elena Loewenthal, L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002, p. 61. Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg] Persone e non numeri. Persone e non carne da macello. Persone e non subumani alla voce "soluzione finale". Persone e non pasto per le camere a gas. Persone e non fumo per le ciminiere. 2. MEMORIA. GRAZIA CASAGRANDE INTERVISTA GABRIELE NISSIM SU DIMITAR PESHEV [Dal sito www.cafeletterario.it riprendiamo questa intervista del 9 ottobre 1998. Grazia Casagrande e' giornalista, scrittrice, redattrice di "alice.it", portale dedicato alle segnalazioni librarie. Gabriele Nissim, nato a Milano nel 1950, saggista, ha fondato nel 1982 "L'Ottavo Giorno", rivista italiana sul tema del dissenso nei paesi dell'est europeo. Opere di Gabriele Nissim: con Gabriele Eschenazi, Ebrei invisibili, Mondadori, Milano 1995; L'uomo che fermo' Hitler, Mondadori, Milano 1998, 2000; Il tribunale del bene, Mondadori, Milano 2003, 2004. Dimitar Pesev, vicepresidente del Parlamento bulgaro nel 1943, informato dell'imminente deportazione di 48.000 ebrei bulgari, costrinse il re e il governo a ordinare che i treni per Auschwitz non partissero. Opere su Dimitar Pesev: Gabriele Nissim, L'uomo che fermo' Hitler, Mondadori, Milano 1998, 2000. Su Dimitar Pesev si veda anche l'utile sito: http://peshev.org] - Grazia Casagrande: Da cosa e' nata la sua ricerca su questo "eroe sconosciuto" e sulla sua straordinaria impresa? - Gabriele Nissim: Mi sono sempre occupato del totalitarismo, soprattutto di quello comunista, e avevo gia' scritto un libro intitolato Ebrei invisibili, in cui affrontavo quella che era stata la sorte degli ebrei, dopo l'Olocausto, nei paesi dell'Europa orientale. Lavorando a quel libro mi imbattei nella figura di Peshev, quando un bulgaro mi disse che la vicenda del salvataggio degli ebrei era stata fino a quel momento strumentalizzata e che se lui era salvo lo doveva solo a Dimitar Peshev. Mi incuriosii e quando un mio caro amico dovette recarsi a Sofia colsi l'occasione e lo incaricai di cercare qualche parente di Peshev a cui chiedere informazioni piu' precise. Fui piuttosto fortunato perche' rintraccio', grazie solo all'elenco telefonico, alcuni nipoti che tenevano ancora nascoste in casa (il crollo del regime in Bulgaria avvenne in realta' solo nel 1997) quelle che erano le memorie di Peshev, quaderni scritti a mano nei quali si raccontavano le vicende di quel periodo. Su queste basi ho cominciato a lavorare e ho poi cercato materiali negli archivi del Ministero degli Interni, pur con grandi difficolta'. Molte informazioni le ho poi paradossalmente tratte proprio dai verbali del processo che i comunisti gli intentarono. Nel 1944 infatti Peshev e altri deputati subirono uno dei processi piu' terribili dell'est europeo. Tre quarti dei deputati furono condannati a morte e lui si salvo' solo per miracolo. * - Grazia Casagrande: Come e' proseguita la sua indagine? - Gabriele Nissim: Ho cercato poi tutti i discorsi da lui tenuti in Parlamento (fu vicepresidente del Parlamento e Ministro della Giustizia), e con l'aiuto di una giovane storica bulgara ho setacciato tutti gli archivi cercando testimonianze. C'e' stata poi un'altra parte del lavoro avvenuta attraverso la ricerca di persone che lo avevano conosciuto. Peshev e' morto nel 1973 e attraverso inserzioni sui giornali abbiamo trovato gente anziana che lo aveva conosciuto e ci ha fornito molte informazioni sulla sua vita; poi ho contattato alcuni suoi vecchi amici, anche in Israele, e infine, attraverso internet, ho rintracciato a Washington, quasi per caso, il figlio dell'avvocato che aveva difeso Peshev davanti alla Corte comunista. Mi sono subito precipitato a Washington per incontrare quell'uomo, che non solo mi ha fatto avere documenti di suo padre relativi al processo, ma mi ha anche riferito la propria testimonianza, dal momento che aveva seguito personalmente la vicenda, malgrado allora avesse solo diciassette anni. * - Grazia Casagrande: E' stata quindi una scoperta sempre piu' interessante, man mano che otteneva informazioni. E' questo che l'ha tanto appassionata? - Gabriele Nissim: Sono un grande ammiratore di Hannah Arendt, che nel suo libro La banalita' del male si era posta questo interrogativo, esaminando la figura di Eichmann: sono in grado di pensare autonomamente quelle persone che vivono all'interno di un regime dove le regole sono cambiate, dove i principi sono cambiati, dove il delitto diventa la regola? L'amore che ho avuto per Peshev deriva dal fatto che la sua figura si sposava benissimo con questa problematica. Non e' stato un uomo che ha deciso di agire perche' fin dall'inizio aveva capito come andava la storia, come andava il mondo: no, negli anni Trenta era stato fra coloro che avevano creduto nella Germania nazista, aveva creduto in Hitler. Aveva creduto che la Germania nazista avrebbe potuto dare alla Bulgaria soddisfazione per le sue rivendicazioni territoriali e pensava che dalla Germania sarebbe nato un nuovo ordine in Europa, che avrebbe aiutato le piccole nazioni ingiustamente dimenticate dagli occidentali. Era uno che aveva seguito quest'onda, aveva dichiarato in Parlamento che Hitler era il piu' grande dirigente della nostra epoca. * - Grazia Casagrande: Non aveva nemmeno contrastato le leggi razziali... - Gabriele Nissim: Addirittura, pur avendo stretti rapporti con ebrei, aveva pensato che queste leggi fossero ben poca cosa. Pensava che fossero una sorta di tributo formale che era dovuto alla Germania, in modo che poi potesse aiutare la Bulgaria per le rivendicazioni territoriali. Lo scrive nelle sue memorie, dice che pensava fosse tutto una farsa. * - Grazia Casagrande: Quando capisce che la faccenda e' estremamente seria? - Gabriele Nissim: Quando il tempo passa e i tedeschi fanno delle sollecitazioni per la consegna degli ebrei Peshev, sollecitato da un amico di famiglia, comincera' a riflettere e seguira' una sorta di percorso tipicamente arendtiano: prima agira' per un istinto di coscienza e per la richiesta di aiuto ricevuta dall'amico, poi iniziera' a ragionare. Allora, da privato che aiuta un amico, diventa personaggio politico: si precipita al Ministero degli Interni con una delegazione di parlamentari e dichiara che, se la deportazione prevista per il giorno dopo non sara' bloccata, fara' scoppiare uno scandalo politico. Non si fermera' li', ma scrivera' un documento che fara' firmare a quarantadue deputati della maggioranza (una maggioranza filotedesca) in cui si afferma che se la Bulgaria avesse accettato questo crimine si sarebbe macchiata di fronte alla Storia nei secoli a venire. E' un uomo di governo che usa il suo potere e svolge un'azione politica fondamentale. Se facciamo un raffronto con altri paesi satelliti della Germania, compresa l'Italia, Peshev e' stato l'unico uomo politico di un governo filotedesco a dire di no. * - Grazia Casagrande: La presa di coscienza nasce da un evento privato. La volonta' di salvare un amico... - Gabriele Nissim: C'e' una sorta di attivazione della coscienza in un momento in cui tutti, dal re ai ministri, ai principali personaggi politici, occultavano quei misfatti. Tutti vivevano una sorta di crisi di coscienza per quello che avveniva, ma trovavano varie forme, che nel libro definisco "di depistaggio morale della coscienza" per non pensare. In Bulgaria queste leggi c'erano, ma non erano applicate: si pensava di poter restare in buoni rapporti con la Germania e al tempo stesso di poter difendere gli ebrei, c'era questo clima. L'episodio determinante invece crea una autentica crisi di coscienza e provoca il movimento. * - Grazia Casagrande: Oggi, attraverso il suo sito Internet sta provocando una mobilitazione collettiva a favore di Peshev. - Gabriele Nissim: Questo sito Internet e' una sorta di monumento virtuale a Peshev ed e' stato pensato in modo che, da tutto il mondo, migliaia e migliaia di persone possano dare il loro nome per ricordare questa figura. Una sorta di omaggio che sta avendo degli esiti clamorosi. Da questa campagna sono infatti nati tre eventi internazionali: sara' ricordato nel Parlamento italiano il 16 ottobre da Luciano Violante, Nando dalla Chiesa, Furio Colombo, alla presenza del vicepresidente del Parlamento bulgaro; proprio al Parlamento bulgaro si terra' una sessione straordinaria, in occasione della quale sono stato invitato a presentare la figura di Peshev; il Parlamento europeo infine ha deciso di indire una giornata, il 17 novembre, in ricordo di questo personaggio. Ho raccolto anche tante adesioni dal mondo della cultura, dal mondo della politica e sia il libro che il sito Internet mi hanno permesso di riabilitare un uomo, "un giusto del nostro secolo". 3. MATERIALI. ENRICO PEYRETTI: MOLTI SCHINDLER: DUNQUE SI POTEVA RESISTERE AL NAZISMO (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Riproponiamo questo scritto di Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) gia' pubblicato su questo foglio un anno fa. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] 3. Gli "altri Schindler" Veniamo ora a quelli che fecero come Schindler, o magari anche di piu', se consideriamo il numero di ebrei salvati e le condizioni in cui i salvatori agirono. Ci sono, questi "altri Schindler", ci sono. Con questo nome ci riferiamo unicamente a chi, dentro e contro la persecuzione razziale, salvo' ebrei. Non ci riferiamo ad altre azioni di protezione e aiuto dato a popolazioni occupate, o azioni di resistenza ad altre forme di violenza. Essi sono tedeschi - anche militari - e non tedeschi, operarono in zone sotto dominio nazista, oppure sotto la sua minaccia, oppure resistettero con forza agli effetti di quella violenza razzista, che arrivavano anche in paesi neutrali. Il grande interesse dell'opinione pubblica attorno al film di Spielberg ha fatto ricordare storie simili o scoprirne di nuove. Non faccio altro che presentare alcune schede sintetiche, in ordine casuale, rinviando alla stampa anche non specialistica che, in questa occasione, ne ha parlato. Ringrazio gli amici che mi hanno fornito parte delle fonti d'informazione. Infine, presento alcuni dati generali. - Giorgio Perlasca (1910-1992), italiano, agi' a Budapest, spacciandosi per il console spagnolo, che era fuggito. Salvo' cosi' da 5.200 a 6.000 ebrei riparandoli nella "casa rifugio" extraterritoriale, sfornando documenti falsi, trovando cibo per tutti, strappando ragazzi dal "treno della morte". Era stato fascista e aveva combattuto in Spagna da quella parte. Divenuti noti i fatti dopo quasi mezzo secolo, e' stato riconosciuto "uomo giusto" in Israele (7). - Gino Martinoli, italiano (di cui parla Natalia Ginzburg in Lessico famigliare), ingegnere dirigente della Olivetti di Ivrea, sottrasse al carcere e alla deportazione 800 antifascisti, tra cui molti ebrei, facendoli passare per impiegati della Olivetti (azienda protetta perche' lavorava per i tedeschi). Nato nel 1901, ha ricoperto molti importanti incarichi industriali, e' morto il 26 dicembre 1996 (8). - Paul Grueninger, svizzero, gendarme alla frontiera con l'Austria, chiusa dalla Svizzera agli ebrei in fuga dopo l'Anchluss, nel 1938, perche' - dissero - "la barca e' piena". Grueninger lascio' entrare illegalmente in poche settimane 3.000 ebrei. Fu aiutato dalla complicita' di alcuni colleghi, ma si assunse tutta la responsabilita'. Condannato, perse il lavoro e la pensione. Fu riabilitato politicamente solo dopo la morte, nel 1993 (9). A questo proposito merita segnalare il discorso tenuto dal Presidente della Confederazione Elvetica, Kaspar Villiger, davanti alle Camere federali, il 7 maggio 1995, in occasione del cinquanesimo anniversario della fine della guerra (10). Il Presidente svizzero riconosce che "neppure la Svizzera ha sempre agito come avrebbero richiesto i suoi ideali", ammette che la piccola Confederazione si salvo' con cooperazioni e concessioni parziali alla Germania (successivamente, fra il 1996 e il 1997, sono emerse rivelazioni sulla ricettazione compiuta da banche svizzere di denaro e beni sottratti dai nazisti agli ebrei). "Malgrado tutta la comprensione per le difficili circostanze di allora, non possiamo ignorare che anche la Svizzera si e' macchiata di colpe". In particolare, c'e' un fatto che si sottrae a qualunque giustificazione: "Si tratta dei molti ebrei che, respinti alla frontiera svizzera, andarono incontro a morte certa. La barca era veramente piena?". Questa domanda e' sviluppata da Villiger in un vero esame di coscienza nazionale. Poi il presidente, dopo aver ricordato che "molte svizzere e molti svizzeri contribuirono a salvare migliaia di profughi ebrei, assumendosi il rischio di conseguenze personali", sembra alludere non solo a Grueninger, ma ad altri casi analoghi, quando dice: "Alcuni di loro furono addirittura puniti per questo, ma seguirono valori etici che piu' tardi sono diventati fondamenti del diritto internazionale e svizzero d'asilo". Su questi casi Villiger conclude: "Non possiamo piu' correggere sentenze che ai nostri giorni sembrano incomprensibili: possiamo pero' offrire alle persone interessate il riconoscimento morale che e' loro dovuto". Abbiamo detto della riabilitazione politica. Successivamente, si e' avuta notizia che il processo per la riabilitazione giuridica si e' celebrato in pochi giorni e concluso il 30 novembre 1995 (due anni dopo la morte di Grueninger): il presidente del tribunale del distretto di San Gallo ha sentenziato che "Paul Grueninger ha salvato numerose vite e dunque non ha violato alcuna legge" (11). - Karl de Bavier, svizzero, console a Milano, concesse il visto d'ingresso a 1.600 ebrei, prima che lo fermassero (12). - Imhof, svizzero, console a Venezia, diede lo stesso aiuto ad almeno 500 ebrei (13). Hans Georg Calmeyer, tedesco, si fece assumere nell'amministrazione civile tedesca nell'Olanda occupata e arrivo' proprio a capo di un ufficio per gli affari razziali, allo scopo di sabotare la persecuzione degli ebrei, che aiuto' in molti modi. Sono documentati 2.899 casi di ebrei da lui salvati, ma probabilmente furono quasi 5.000. Provo' rimorso per non aver fatto di piu'. Nella Germania democratica soffri' isolamento e disprezzo, mentre vedeva i persecutori di ebrei ritrovare agiatezza e ruoli sociali (14). - Anton Schmid, tedesco, maresciallo della Wehrmacht, responsabile dei lavoratori forzati ebrei, pare che si facesse pagare dagli ebrei che salvava. Probabilmente quei soldi gli occorrevano per corrompere, come faceva Schindler. Fu riconosciuto "giusto" dallo Jad wa-Schem di Gerusalemme dopo lunga esitazione, ma era stato fucilato dai nazisti come traditore il 2 aprile 1942 (15). - Maria Helena Francoise Isabel von Maltzan, contessa tedesco-svedese, personalita' anticonformista, di famiglia nazista, fu attiva nella resistenza antinazista a Monaco. Nascose, nutri' e curo' piu' di 60 ebrei in casa propria a Berlino. Vissuta in difficolta' nella Germania democratica, aveva 85 anni nel 1994 (16). - Donata e Eberhard Helmrich, coniugi tedeschi, lui ufficiale della Wehrmacht, aiutarono gli ebrei fin dalla "notte dei cristalli" del 9 novembre 1938. In vari modi ne salvarono almeno 100. Anche per loro il dopoguerra fu amaro, mentre tornavano sulla scena tanti vecchi nazisti (17). - Berthold Beitz, tedesco, ha vissuto la storia piu' simile a quella di Schindler: anche lui dirigeva una fabbrica in Polonia e impiegava lavoratori ebrei che proteggeva per semplice umanita'. Arrestato nel '43, scampo' alla condanna a morte per un colpo di fortuna. Unico tra questi "eroi silenziosi", ha fatto carriera dopo la guerra, fino a divenire presidente della Fondazione Krupp, il colosso dell'acciaio (18). - Raoul Wallenberg, giovane diplomatico svedese, salvo' 100.000 ebrei ungheresi (19). Questo risulta il numero piu' alto, per quel che cio' puo' significare. Anche a lui e' stato dedicato un film, presentato nel 1992 a Berlino. Wallenberg scomparve misteriosamente in qualche parte dell'Unione Sovietica. Si puo' giustamente definirlo il primo martire del diritto d'ingerenza umanitaria (20). Operando col piu' ampio mandato del suo governo e disponibilita' di mezzi anche di fonte statunitense, precisamente allo scopo di salvare gli ebrei, proprio a Budapest dove imperversava addirittura Eichmann per sterminarli, Wallenberg adempi' il compito che con slancio aveva accettato, con una determinazione, un coraggio fisico, una inventiva inarrestabile, un'astuzia inesauribile e romanzesca, un'abilita' di manovra fra ungheresi e tedeschi, una franchezza assai poco "diplomatica", una totale assenza di rassegnazione all'eliminazione anche di un solo ebreo, una liberta' e spregiudicatezza nel far prevalere del tutto le ragioni umane sulle regole politiche e diplomatiche, tutte doti tali che riempiono di grande ammirazione. La sua azione principale consistette nel rilasciare migliaia e migliaia di passaporti svedesi di protezione a qualunque ebreo, e nel difenderne accanitamente il valore, arrivando a strappare fisicamente dai treni della deportazione quanti piu' ebrei poteva. La sua determinazione riusci' a far revocare, alla vigilia dell'arrivo dell'armata rossa, l'ordine di distruzione del ghetto dato dal comando tedesco. Si calcola cosi' che, tra il suo arrivo a Budapest (9 luglio 1944) e la liberazione della citta' ad opera dei russi (12 gennaio 1945), Wallenberg abbia salvato la vita di circa 100.000 ebrei. L'ammirazione e' piu' grande se si pensa che, mentre aveva salvato dallo sterminio i condannati con migliaia di passaporti, non penso' a salvare se stesso e all'arrivo dei russi non aveva predisposta una documentazione che lo proteggesse. Cadde quindi in sospetto di collaborazionismo, agli occhi dei sovietici, perche' aveva promesso ripetutamente il riconoscimento svedese al governo ungherese che cercava di sottrarsi alle pressioni naziste, allo scopo di averne l'aiuto, che infatti piu' volte ottenne, nel salvataggio degli ebrei. La sua scomparsa all'interno dell'Unione Sovietica (ucciso? impazzito? morto naturalmente?), senza che sia mai venuto un chiarimento convincente, costituisce un mistero internazionale, indagato da Vecchioni nella seconda parte del suo libro. - Chiune Sugihara, console giapponese a Kaunas, in Lituania, con azione simile a quella di Perlasca e di Wallenberg, salvo' almeno 6.000 ebrei (qualcuno calcola anche 10.000) tra la fine di luglio e la fine di agosto 1940, rilasciando, contro l'eplicito e ripetuto divieto del proprio governo, visti di transito ad ebrei polacchi in fuga, dopo l'occupazione nazista del loro paese (21). Bisogna dire che la Lituania non era soggetta all'impero nazista, ma indipendente, finche' non fu occupata e annessa all'Unione Sovietica proprio in quelle settimane, il 3 agosto. Pero' il Giappone era alleato della Germania ed ogni aiuto agli ebrei era un atto ostile allo stato nazista. Percio' l'azione di Sugihara, che segui' la coscienza contro l'ordine del suo governo, era un'autentica resistenza alla violenza razziale. Scrive la moglie: "Egli diceva che quello che deve primeggiare tra gli uomini e' l'amore e l'umanita'. Per conformarsi a questi ideali, egli disobbedi' al suo governo". E rischio' non poco: "Mio marito ed io sapevamo perfettamente che un'azione come questa rischiava di attirare su di noi la Gestapo". Espulso dai sovietici, il primo settembre parte con la famiglia per Berlino e arriva infine in Romania, come console. Finita la guerra e rientrato dopo un penoso periplo in Giappone, e' subito dimesso con disonore dal servizio diplomatico, per aver disobbedito. Vive di vari mestieri. Nel 1968 e' riconosciuto da uno degli ebrei salvati, consigliere nell'ambasciata di Israele a Tokio. Nel 1985 il governo israeliano gli conferisce la medaglia di "giusto tra le nazioni", titolo riconosciuto per la prima volta ad un giapponese. Ma Sugihara e' malato e muore il 31 luglio 1986. Un busto in suo onore e' eretto nel parco della sua citta' natale, Yaotsu; una via e' dedicata al suo nome nella citta' lituana di Vilnius; a questo punto il governo giapponese, in fretta e in tono minore, riabilita Sugihara, senza una parola di scuse. Non era gradita all'ufficialita' la memoria di un uomo che aveva reso onore al suo paese con la disubbidienza. - Non includiamo in questo elenco aperto le azioni collettive di difesa degli ebrei perseguitati dai nazisti (22), per limitarci agli "altri Schindler", come ci siamo proposti. Ma, nel quadro dell'assistenza dei danesi agli ebrei, merita un cenno Georges Ferdinand Duckwitz, tedesco, addetto all'ambasciata in Danimarca. Saputo del progetto di cattura degli ebrei danesi, Duckwitz, dopo aver tentato di impedirla con interventi in Danimarca, in Germania, in Svezia, avviso' segretamente i dirigenti della Resistenza danese (23). E' pur vero che altri tedeschi giudicavano un errore quell'operazione, data la rischiosa tensione tra popolazione danese ed occupanti, e percio' non e' chiaro se la motivazione di Duckwitz fosse principalmente umanitaria, in disobbedienza al suo governo, o addirittura concordata col plenipotenziario Werner Best (24). Il contatto con la Resistenza fu comunque un atto illegale, rischioso e coraggioso, che salvo' molti ebrei. - Infine, diversi nomi, anche molto noti, alcuni dei quali pagarono con la vita, come Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo luterano, vengono ricordati dallo storico della Resistenza tedesca Peter Hoffmann come organizzatori di una rete clandestina di solidarieta' con gli ebrei o con altri perseguitati, che venivano aiutati a fuggire dal paese (25). Registro qui con tristezza il fatto, testimoniato a Torino il 17 ottobre 1996 da Jacques Semelin, reduce da un giro di conferenze in Germania: Dietrich Bonhoeffer, a quella data, non era stato ancora riabilitato nel suo Paese. * Questo modesta raccolta e' di natura sua incompleta, per fortuna. E' bastata la proiezione televisiva su Raiuno del film Schindler's List, la sera del 5 maggio 1997, visto da 12 milioni di spettatori, perche' sui giornali comparisse notizia ancora di "altri Schindler". "La Stampa" del 7 maggio da' questa notizia (con piccolissima evidenza): "Due Schindler italiani", cioe' due preti salesiani, don Francesco Antonioli e don Armando Alessandrini, sono stati premiati, alla memoria, dall'ambasciatore d'Israele a Roma per l'accoglienza che dettero a giovani ebrei durante l'occupazione nazista nella scuola di cui erano responsabili. Nello stesso giornale, lo stesso giorno, compare una intervista di Guido Davico Bonino a Nuto Revelli. Lo scrittore annuncia che sta preparando un libro su un prete cuneese, Raimondo Viale (1907-1984), antifascista, condannato al confino, partigiano, che si prese cura di circa 350 ebrei polacchi, francesi, tedeschi, sconfinati dalla Francia nelle montagne cuneesi, e li protesse uno ad uno. Il libro di Revelli e' poi uscito dall'editore Einaudi nel 1998 (26). Un altro caso emerge col tempo: nel 1998 esce il libro di Gabriele Nissim, L'uomo che fermo' Hitler, edito da Mondadori (una anticipazione su "La Stampa", 7 aprile 1998, in un articolo di Gustaw Herling; una intervista all'autore di Carmela Marsibilio su "Il Segno", settimanale di Bolzano 21 novembre 1998). Il libro racconta la vicenda di Dimitar Peshev, ministro della Giustizia e poi vice-presidente del Parlamento bulgaro, uomo di destra (come Giorgo Perlasca), che condusse un'offensiva politica nel Parlamento e nel paese contro il piano segreto del re Boris e del governo di Filov, antisemita, di accondiscendere alle pressioni tedesche per la deportazione dei cinquantamila ebrei bulgari, benvoluti nella societa' e difesi dalla Chiesa ortodossa. Peshev perdette la sua carica politica, ma svento' la deportazione. Fu condannato dai sovietici che occuparono la Bulgaria come politico reazionario (vedi l'analoga sorte di Raoul Wallenberg) a quindici anni di prigione, ridotti ad un anno e mezzo, e mori' povero ma libero. Nissim sottolinea che Peshev "e' stato l'unico personaggio politico di un paese filotedesco che, dopo essersi fatto abbagliare dal nazismo e avere sottoscritto le leggi razziali, ha capito l'insensatezza di quel regime e ha compiuto uno di quei miracoli che hanno cambiato la storia" (27). L'azione personale di Peshev e' innegabile, ma si inserisce in una molto significativa azione di massa della popolazione bulgara in difesa degli ebrei, come risulta dalle pagine dedicate da Jacques Semelin al caso bulgaro nella sua opera specifica Senz'armi di fronte a Hitler (pp. 172-175), gia' citata (si veda qui la nota 22). E' significativo che si continui a scoprire persone che, a loro rischio, aiutarono gli ebrei contro i piani nazisti di sterminio. "La Stampa" del primo luglio 1999 da' qualche notizia su Bill Barazetti, cittadino svizzero, che aveva studiato ad Amburgo all'inizio del periodo nazista. Avendo capito le intenzioni di Hitler, si dedico' ad aiutare gli ebrei a fuggire dalla Germania, mentre lavorava come spia per conto della Cecoslovacchia minacciata. Catturato, quasi ucciso a percosse, riusci' avventurosamente a fuggire in Polonia, quindi in Cecoslovacchia. Qui, nel 1938, organizzo' un treno per l'Inghilterra di 663 bambini e giovanetti ebrei, protetti da documenti perfettamente falsificati, procurati da Barazetti. I bambini si salvarono tutti. Barazetti non parlo' mai a nessuno, neppure ai suoi quattro figli, di quella sua impresa. Solo nel 1992 una studiosa, quasi per caso, scopri' la parte da lui avuta in quel salvataggio. Nel 1999 Barazetti aveva 85 anni, viveva malato e povero a Horn-Church, nell'Essex, Inghilterra. Si e' fatto vivo per chiedere aiuto ad uno dei bambini allora salvati, Hugo Marom, ex-pilota da caccia, il quale si e' messo alla ricerca degli altri bambini di allora, dai quali raccogliere fondi per sostenere la vecchiaia del loro salvatore (28). Il francescano polacco Massimiliano Kolbe, ucciso ad Auschwitz il 14 agosto 1941, e' molto noto per essersi offerto di morire in luogo di altri selezionati per la morte, padri di famiglia. Meno noto e' il fatto che fu arrestato a Niepokalanow per aver dato rifugio a centinaia di ebrei destinati al campo di sterminio (29). Giovanni Palatucci, poliziotto ricco di sensibilita' umana, responsabile dell'ufficio stranieri della questura di Fiume, tra il 1937 e il 1944 salvo' da tremila a cinquemila ebrei, falsificandone i documenti. Scoperto da Herbert Kappler e deportato a Dachau, matricola 117826, vi mori' nel 1945 a trentasei anni. Il libro che narra la sua storia ci da' anche i nomi di alcuni suoi collaboratori: Americo Cucciniello, Alberino Palumbo, Feliciano Ricicardelli, ma tace sui tanti funzionari di polizia che, nella repubblica di Salo', collaborarono coi tedeschi (30). Un altro libro di Gabriele Nissim, racconta la storia di Moshe Bejski, lui stesso ebreo salvato da Schindler, che e' stato dal 1970 al 1985 presidente della Commissione dei Giusti dello Jad wa-Schem, ed ha abolito la graduatoria morale che prima veniva stabilita tra i Giusti, salvatori di ebrei, ricordati a Gerusalemme. Fu lui a fornire al regista Spielberg i documenti su Schindler e a perorarne l'inclusione tra i Giusti, nonostante qualche sregolatezza personale (31). Un quotidiano, nel darne notizia, ricorda altri nomi di salvatori di ebrei, rintracciati e registrati da Bejski, qui non ancora menzionati: Aristide Sousa Mendes, console portoghese a Bordeaux nel '40, cacciato senza pensione per avere stampato migliaia di visti; Armin Wegner, intellettuale tedesco, che nel '33 scrisse a Hitler rimproverandogli la persecuzione degli ebrei, quindi imprigionato, frustato per cinque mesi, abbandonato da tutti; una prostituta polacca, che andava coi nazisti, ma nascondeva in casa alcuni ebrei (32). Il film Il pianista, di Roman Polanski, in programmazione nel 2002 e 2003, racconta una storia vera: nella Varsavia occupata e violentata, sul finire della guerra, un capitano dell'esercito tedesco scopre Wladyslaw Szpilman (protagonista del film), famoso musicista ebreo di radio Varsavia, sfuggito alla deportazione e nascosto in una soffitta. Il capitano gli chiede di suonare, e' commosso dalla sua musica, lo aiuta a sopravvivere fino all'arrivo dei russi. Il capitano tedesco si chiama Wilm Hosenfeld, e morira' nel 1952 in un campo di prigionia sovietico. Il libro, scritto nel 1946 dallo stesso Szpilman (33), nell'edizione italiana contiene diciotto pagine di estratti dal diario del capitano Hosenfeld (pp. 209-226), tra il gennaio 1942 e l'agosto 1944, in cui egli registra senza mezzi termini le violenze naziste su oppositori politici interni e su popolazioni occupate, parla con precisione, gia' nell'aprile '42, di cio' che avviene ad Auschwitz, non crede alla vittoria tedesca perche' "l'ingiustizia alle lunghe non puo' prevalere" e perche' "ora noi abbiamo sulla coscienza sanguinosi crimini a causa delle orribili ingiustizie commesse nell'assassinare i cittadini ebrei". Sente riferire questi fatti, a cui non partecipa direttamente, ma stenta a credervi. Se questo e' vero, considera un disonore essere un ufficiale tedesco. Chiama pazzi, canaglie, bestie, i tedeschi che fanno queste cose. "Come siamo codardi a pensare innazitutto a noi stessi e a permettere che cio' accada. Dovremmo essere puniti per questo. (...) Noi permettiamo che vengano commessi simili crimini, rendendocene complici". Attribuisce queste crudelta' all'allontanamento da Dio. Apprende e descrive con orrore i particolari delle deportazioni a Treblinka. E' a conoscenza di parecchi ebrei nascosti in Varsavia. "Ho capito con assoluta certezza che avremmo perso la guerra perche' ormai non aveva piu' senso" e ritiene che sia ormai "una guerra totalmente condannata dall'intera nazione". Riferisce tra virgolette la testimonianza (l'ha avuta personalmente?) di un ebreo sulle violenze subite. E' "un'onta che non potra' mai essere cancellata, e' una maledizione dalla quale non ci libereremo mai. Non meritiamo alcuna pieta'. Siamo tutti colpevoli. Provo vergogna ad andare in citta'. Qualsiasi polacco ha il diritto di sputarci addosso. (...) Ogni giorno che passa mi sento peggio". Si pone la stessa domanda che si ponevano gli ebrei nei lager: "Perche' Dio non interviene?" e risponde che l'umanita' e' abbandonata al male perche' ha abbracciato il male. "Quando i nazisti sono saliti al potere non abbiamo fatto nulla per fermarli. Abbiamo tradito i nostri ideali (...) e ora noi tutti dobbiamo accettarne le conseguenze". Registra le disfatte militari e la demoralizzazione. Ma la popolazione tedesca, che egli crede in maggioranza ormai contraria al regime, e' impossibilitata a ribellarsi, e l'esercito "e' disposto a lasciarsi condurre alla morte". "Abbiamo usato metodi mostruosi (...) tutto e' andato perduto". La personalita' di Hosenfeld, il suo animo e la sua azione risultano illustrati nel libro meglio che nella breve parte finale del film. Il capitano insegna a Szpilman come meglio nascondersi, gli dice che si vergogna di essere tedesco. Szpilman lo definisce "l'unico essere umano con indosso l'uniforme tedesca che io abbia mai conosciuto". Nell'appendice al libro (pp. 227-239), scritta di recente da Wolf Biermann, si apprende che Hosenfeld, che aveva gia' fatto la prima guerra mondiale, era nella vita civile un insegnante elementare generoso, gentile, tenero coi suoi alunni, affettuoso e materno con i bambini in difficolta'. In Polonia aveva gia' salvato un ragazzino dalla fucilazione, rischiando la propria vita; poi un giovane ebreo, Leon Warm, fuggito dal treno dei deportati, assumendolo sotto falso nome al proprio servizio. Aveva anche comperato scarpe e cibo per i bambini polacchi. All'inizio dell'occupazione tedesca, Hosenfeld, pregato dalla moglie di Stanislaw Cieciora, soldato polacco fatto prigioniero, lo aveva fatto liberare ed era diventato amico di questa famiglia, che frequento', andando anche a messa insieme a loro. Salvo' anche un prete loro parente, impegnato nella resistenza polacca, e cosi' un loro conoscente, il signor Koschel. Hosenfeld, dalla prigionia russa, dopo la guerra, scrisse alla moglie un elenco di ebrei e di polacchi da lui salvati, in cui il quarto nome era quello di Szpilman. Warm, andato in visita dalla moglie di Hosenfeld, ebbe questo elenco e, tramite Szpilman, lo fece trasmettere dalla radio polacca. A Biermann, autore di questa appendice, Szpilman racconta di avere tentato, nel 1950, di aiutare Hosenfeld, quando seppe che si trovava prigioniero dei sovietici. Si umilio' ad elemosinare l'intervento di Jakob Berman, potente e odiato capo della polizia comunista polacca, al quale racconto' come il capitano tedesco aveva salvato la vita di moltissime persone. Berman effettivamente si attivo', ma gli dovette rispondere che i sovietici non volevano liberarlo perche' il suo reparto aveva avuto a che fare con lo spionaggio. Nella prima edizione polacca del libro (peraltro subito tolto dalla circolazione), nel 1946, Szpilman si vide costretto a far passare il capitano Hosenfeld per austriaco, invece che tedesco, perche' in quel momento in Polonia non era possibile rappresentare un ufficiale tedesco come buono e generoso. Nel 1995 il nome di Wilm Hosenfeld non compariva ancora nel Viale dei Giusti, a Gerusalemme. Wolf Biermann si augurava che a piantarlo fosse Wladyslaw Szpilman. Il quale e' morto novantenne nel 2001. Non sappiamo al momento se l'albero per Hosenfeld sia stato piantato. Sulle donne tedesche della Rosenstrasse, abbiamo parlato al momento dell'uscita del film omonimo di Margarethe von Trotta, dei suoi meriti e dei suoi limiti. * 4. I "baciaebrei" tedeschi noti ed ignoti Ripetiamo che questa "lista" di altri Schindler e' aperta e incompleta. E' triste dover annotare che Calmeyer, la contessa Maria Helena, i coniugi Helmrich, dopo la fine della guerra e del nazismo, soffrirono in patria non solo delusione, ma anche disprezzo. Cosi' tocco', del resto, anche a Schindler: quando la sua storia fu resa nota dalla stampa, "gli fischiarono dietro per le strade di Francoforte, gli gettarono delle pietre, un gruppo di operai lo scherni' e gli grido' che avrebbero dovuto cremarlo insieme agli ebrei. Nel 1963 prese a pugni un operaio che lo aveva chiamato 'baciaebrei'". Per questo fatto Schindler fu condannato da un giudice locale a pagare i danni. "Mi ucciderei - egli scrisse ad un amico americano - se non sapessi di dar loro una soddisfazione" (34). L'insulto "baciaebrei" tocco' anche, a Vienna, a Raimund Titsch, austriaco cattolico che, nello stesso lager in cui opero' Schindler, aveva anche lui protetto gli ebrei e raccolto documentazione fotografica sui maltrattamenti per futura memoria (35). * 5. Berlino "judenfrei" Lo scrittore e regista Marek Halter ha girato un documentario di quattro ore, dal titolo Tzadek (giustizia e carita', in ebraico), sui "Giusti", i salvatori di ebrei. Ne ha rintracciati e intervistati 36 nel mondo. Questi coraggiosi solitari vanno distinti da chi opero' in organizzazioni, come i congiurati contro Hitler e il gruppo della Rosa Bianca (36). I "Giusti fra i popoli" onorati a Jad wa-Schem sono 18.240. Di questi, i "Giusti fra i tedeschi" sono 358 (37). Questi, piu' quelli ancora ignoti, sono gli "altri Schindler" tedeschi. Quanti potranno essere stati in tutto? Al Centro per le ricerche sull'antisemitismo dell'Universita' tecnica di Berlino si calcola che quando, il 19 maggio 1943, il governo nazista dichiaro' Berlino "judenfrei", cioe' "liberata dagli ebrei", vivessero nella citta' almeno 1.400 ebrei clandestini, i cosiddetti "U-Boote" (sommergibili), nascosti ed aiutati da tedeschi non ebrei. Poiche' l'esistenza di un clandestino era conosciuta in media da 4-5 persone, si conclude che, nella sola Berlino, almeno 6-7.000 tedeschi sfidavano la morte per proteggere gli ebrei. In tutta la Germania i "sommergibili" dovevano essere circa 4.000. Percio' alcune decine di migliaia di tedeschi proteggevano gli ebrei a loro rischio. Calcolando anche i casi in cui l'aiuto falli', il Centro berlinese stima che siano stati fra 50 e 80.000 i tedeschi impegnatisi ad aiutare gli ebrei. Il numero e' considerevole, confrontato con l'immagine prevalente di una Germania tutta passiva di fronte alla crudelta' nazista, quando non complice. Di tutte queste "storie di ordinario eroismo" non piu' di qualche centinaio sono note. Pochissimi dei loro protagonisti hanno avuto un riconoscimento in Germania. In occasione dell'uscita di Schindler's List, i giornali tedeschi hanno raccontato alcune di queste storie. Altre sono raccolte nel libro Sie waren stille Helden (Furono eroi silenziosi), uscito alla fine del 1993 (38). Qui abbiamo nominato alcune decine di "altri Schindler", di cui una decina tedeschi. Dunque, 50-80.000 tedeschi aiutarono coraggiosamente gli ebrei. Sui circa 70 milioni di tedeschi - tale era la popolazione nel 1940 - essi rappresentano l'1 per mille (senza contare la diminuzione della popolazione per i molti morti in guerra, che accresce la percentuale). Avviciniamo a questi il numero degli oppositori interni al nazismo: da uno (secondo Salvadori) a tre milioni (secondo Vaccarino) si contano i tedeschi imprigionati nei lager per ragioni politiche, non razziali. Furono tanti? Pochi? Vorremmo evitare la questione quantitativa, sebbene non priva di significato e interesse, per concludere con l'indicazione sostanziale che qui ci inporta: anche nella Germania dominata dallo hitlerismo era possibile resistere, sabotare, disobbedire agli ordini, proteggere i minacciati. Chi lo fece salvo' vite umane, e il significato del mondo. Era possibile. Dunque e' possibile, anche in situazioni difficilissime quanto altre mai, comportarsi da umani, salvare l'umanita', la qualita' umana di chi cade e di chi sopravvive. * Note 7. Quello di Perlasca e' il caso piu' noto in Italia. Cfr. Enrico Deaglio, La banalita' del bene. Storia di Giorgio Perlasca, Feltrinelli, Milano 2002. La Rai trasmise il 30 aprile 1990 un documentario-intervista seguito da quattro milioni di spettatori, Omaggio a Giorgio Perlasca. Nel periodo del film su Schindler, i quotidiani tornarono a parlarne, per esempio "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23, e "la Repubblica", 10 marzo 1994. 8. Cfr. "Avvenire", 8 aprile 1994, e "Il Risveglio Popolare", settimanale di Ivrea, 11 aprile 1994, p. 3 sull'azione di Martinoli per gli ebrei. Sulla sua vita, all'indomani della morte: "La Stampa", 27 dicembre 1996, p. 23, e "Il Risveglio Popolare", 9 gennaio 1997 e 27 giugno 1997. Dieci giorni prima di morire, Martinoli presento' egli stesso al pubblico, nell'Universita' di Torino, il suo libro sul Novecento Un secolo da non dimenticare, Mondadori, Milano 1996. 9. Biografia di Stefan Keller, Grueningers Fall, ora in francese col titolo Delit d'humanite'. Cfr. "Corriere della Sera", 16 febbraio 1994, p. 27; "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23; "la Repubblica", 10 marzo 1994. 10. Kaspar Villiger, A 50 anni dalla fine della guerra, in "Dialoghi di riflessione cristiana", Locarno, giugno-luglio 1995. 11. Cfr. "l'Unita'", 28 novembre 1995, e "la Repubblica", 1 dicembre 1995. 12. Cfr. "Corriere della Sera", citato. 13. Cfr. "Corriere della Sera", citato. 14. Cfr. "Avvenimenti", 25 maggio 1994, pp. 22-23. 15. Cfr. "Avvenimenti", citato, p.23. 16. Cfr. "Avvenimenti", citato, p. 23, e "l'Unita'", 21 aprile 1994, p. 13. 17. Cfr. "l'Unita'", citato. 18. Cfr. "l'Unita'", citato. 19. Cfr. "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23, e "la Repubblica", 10 marzo 1994. Si veda soprattutto Domenico Vecchioni, Raoul Wallenberg, l'uomo che salvo' 100.000 ebrei, Prefazione di Giovanni Spadolini, Eura Press Edizioni, Milano 1994. 20. D. Vecchioni, op. cit., p. 126. 21. Ho trovato le prime informazioni su Sugihara in "Internazionale", 5 novembre 1994 (articolo di Uwe Schmitt su "Frankfurter Allgemeine", che annuncia un libro del sociologo americano Hillel Levine, Sulle tracce di Sugihara: la banalita' del bene), poi altre piu' precise negli articoli di Jean-Francois Riviere, Chiune Sugihara, un "juste", in "Non-violence actualite'", ottobre 1995, e di Giovanna De Stefani, La "lista" di Sugihara, in "Avvenire", 26 luglio 1995. Questi due articoli (specialmente l'ultimo) attingono al libro della moglie di Sugihara, Yukiko Kikuike, tradotto in francese, Visas pour 6.000 vies (Visti per 6.000 vite), Ed. Picquier, Arles 1995 (in preparazione la traduzione inglese). 22. Tra queste azioni collettive, con intere popolazioni per protagoniste, sono da ricordare in primo luogo quelle che in Danimarca e in Bulgaria salvarono la gran parte degli ebrei. Cfr. Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993, pp. 160, in particolare per la Danimarca pp. 183-186, per la Bulgaria pp. 172-175. Sulla Bulgaria v. anche: Olivier Maurel, Comment furent sauves les Juifs bulgares, in "Non-violence actualite'", dicembre 1995. Ricordiamo anche la protezione degli ebrei attuata con metodo e coraggio dalla popolazione del villaggio di Chambon sur Lignon (narrata in un capitolo inedito Un villaggio nella Resistenza, di Sergio Albesano), e il rifugio dato a cento ragazzi ebrei, di vari paesi europei, la maggior parte sotto i 14 anni, dato da tutti gli abitanti di Nonantola (Modena), nelle loro case, fino a quando riuscirono a portarli tutti in salvo in Svizzera (cfr. Simonetta Pagnotti, I ragazzi dell'Orsa Maggiore. Una rievocazione inedita di Resistenza civile 1942-1943, Edizioni Paoline, 1995. Su una iniziativa attuale di solidarieta' tra i popoli a Nonantola ispirata a quell'azione, vedi il mensile "Confronti", settembre 1996, pp. 24-25). 23. Cfr. Semelin, op. cit., p. 184; Jorgen H. Barfod, Danmark 1940-1945, Frihedsmuseets Venner, Kobenhavn 1984, p. 21. 24. Cosi' secondo Patrice Coulon, in Les lecons de l'histoire, Resistances civiles et defense populaire non-violente, "Les dossiers de Non-violence politique", n. 2, 1983, p. 34. Seconda edizione nel 1989. 25. Cfr. Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo, cit., pp. 77-78, 82-83 (dove parla di circa 3.000 casi di tale resistenza), 90, 150. "La persecuzione e l'uccisione degli ebrei fu per molti cospiratori il motivo principale che li spinse a entrare nell'opposizione clandestina" (p. 174). 26. Nuto Revelli, Il prete giusto, Einaudi, Torino 1998. L'attivita' per gli ebrei di don Viale, che nel 1980 fu invitato ed accolto a Gerusalemme come uno dei "giusti d'Israele", e' narrata alle pp. 47-55, 65, 70, 98-104, 107. 27. Gabriele Nissim, L'uomo che fermo' Hitler, Mondadori, Milano 1998. 28. Bill, il ladro di piccoli ebrei, di Dennis Eisenberg, in "La Stampa", 1 luglio 1999. 29. Cfr. l'articolo di Luigi F. Ruffato in "Avvenire", 14 agosto 1999, p. 17. 30. AA. VV. Giovanni Palatucci, il poliziotto che salvo' migliaia di ebrei, Edizioni Polizia di Stato, 2002. 31. Gabriele Nissim, Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l'uomo che creo' il Giardino dei Giusti, Mondadori, Milano 2003. 32. Cfr. "La Repubblica", 19 dicembre 2002, p. 15. 33. Film tratto dal libro di Wladislaw Szpilman, Il pianista, Baldini & Castoldi, Milano 1999. 34. Th. Keneally, op. cit., p. 380. 35. Ivi, p. 215-217. Nel capitolo citato "Quelli dell'ultima ora" abbiamo visto che i disertori, in genere, furono trattati allo stesso modo nella Germania del dopoguerra. 36. Cfr. "La Stampa" e "la Repubblica", citati. 37. Traggo questi dati da "La Repubblica", 19 dicembre 2002, p. 15. 38. Traggo la maggior parte di questi dati dall'articolo di Paolo Soldini, in "l'Unita'", 21 aprile 1994, p. 13. Giorgio Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa 1938-1945, Feltrinelli, Milano 1981, denuncia a p. 87 il fatto che la popolazione cattolica tedesca, salvo pochi casi, fu indifferente al destino degli ebrei e informa che i soccorritori di molti ebrei a Berlino furono, per lo piu', di estrazione operaia (fonte: Gunther Lewy, I nazisti e la Chiesa, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 419) e spesso di nessuna chiesa. (Parte seconda - Fine) 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1188 del 27 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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