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La nonviolenza e' in cammino. 1186
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1186
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 25 Jan 2006 23:02:43 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1186 del 25 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. La legge istitutiva del Giorno della Memoria 2. Giorgio Gomel: Perche' non accada piu' 3. Simonetta Cretoni: Una bibliografia, filmografia e discografia introduttiva sulla Shoah 4. Adriana Lotto: La deportazione femminile nella storiografia tedesca 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. LA LEGGE ISTITUTIVA DEL GIORNO DELLA MEMORIA Legge 20 luglio 2000, n. 211: Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177, 31 luglio 2000). * Art. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonche' coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. * Art. 2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto e' accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinche' simili eventi non possano mai piu' accadere. 2. RIFLESSIONE. GIORGIO GOMEL: PERCHE' NON ACCADA PIU' [Dalla bella rivista di vita e cultura ebraica "Keshet", n. 2-3, maggio-giugno 2002 (disponibile anche nel sito: www.keshet.it), riprendiamo il seguente testo. Giorgio Gomel, economista e saggista, e' cofondatore del gruppo "Martin Buber - ebrei per la pace"] E' importante dal punto di vista esistenziale, umano, che nel celebrare la Giornata della Memoria e nel discutere del suo significato partecipino all'incontro organizzato dal Centro di cultura ebraica di Roma generazioni di persone coeve alla Shoah, altri, come me, nati immediatamente dopo, e altri assai piu' giovani. Diro' prima qualcosa sul concetto di "memoria" cosi' come io lo interpreto e sulla differenza fra "memoria" e "storia". La distinzione, a mio avviso, e' semplice: la "memoria" e' memoria di un unico evento ed e' qualcosa di soggettivo, mentre la "storia" ambisce a ricostruire il contesto, a guardare ai fenomeni in maniera piu' oggettiva, al di la' dell'esperienza del singolo. A oltre cinquant'anni dalla Shoah, dalla liberazione, con il trascorrere del tempo e con la scomparsa dei testimoni diretti, dei deportati, dei sopravvissuti, il problema di come conservare e trasmettere la memoria resta una questione di importanza capitale. Da un lato perche' questa memoria con il tempo si disincarna nel racconto impersonale della storia, diventa appunto "storia". E dall'altro perche' le singole vicende degli individui pur nella loro unicita' possono in qualche modo essere rivissute nel racconto, nella narrazione. Il racconto, l'esperienza individuale possono essere uno degli strumenti piu' efficaci di conservazione e trasmissione della memoria. Pensiamo alla letteratura, alla narrativa in questi anni: e' molto positivo che ci sia un proliferare, da Primo Levi in avanti, anche in Italia, di libri e testimonianze di autori italiani o piu' spesso tradotti da altre lingue, da Aldo Zargani (1) a Saul Friedlaender (2), da Janina Bauman (3) a Simha Guterman (4). La vitalita' di questa produzione letteraria va in senso contrario alle tesi che ritengono che la Shoah in quanto male assoluto sia qualcosa di indicibile, di irrappresentabile. * Vi e' poi l'esigenza di comprendere storicamente la Shoah. Il tema e' molto complesso, appartiene agli storici. La lettura ottimista, in cui fondamentalmente mi ritrovo, e' quella di Elie Wiesel, quando in uno dei suoi scritti dice che la Shoah e' una sfida alla comprensione umana, ma che, assimilando la lezione di quell'orrore, l'umanita' puo' sperare di non ricadervi. Quindi c'e' in un certo senso una pedagogia, un impegno educativo, che ne scaturisce. Qualche anno fa e' uscita in Italia una collana dal titolo "Insegnare Auschwitz", ispirata dall'idea delle lezioni da trarre, ricordando, interpretando, approfondendo quell'orrore, al fine di trovare i modi per cui l'umanita' non vi ricada. Ritengo che i due canali fondamentali per trasmettere la memoria, in una societa' che con difficolta' ricorda, che tende a rimuovere e banalizzare il male, siano da un lato la narrazione, il racconto individuale, dall'altro il confronto con il presente. Quest'ultimo e' molto importante per le generazioni piu' giovani, per offrire loro il senso concreto di un legame tra la vicenda dello sterminio nazista e situazioni di violenza, di offesa ai diritti umani, di eccidi di massa che accadono oggi, pur con tutte le differenze con la Shoah. Che cosa ci insegna la Shoah e a quali fini e' importante oggi conservare e trasmettere la memoria, in particolare per noi ebrei? La prima lezione e' che la Shoah e' stata davvero una catastrofe per il popolo ebraico. La distruzione sistematica degli ebrei d'Europa, organizzata con gli strumenti della macchina industriale-tecnologica, ha annientato circa un terzo degli ebrei del mondo, circa la meta' degli ebrei europei, ma soprattutto, al di la' dei sei milioni di ebrei assassinati, ha distrutto una civilta', quella dell'ebraismo centro ed est-europeo. Ha distrutto la "nazione" ebraica in Polonia, Lituania, Slovacchia, Romania, Ungheria, Ucraina - una quasi nazione per comunanza di territorio, di lingua, di storia, pur frammentata in molteplici comunita', divisa in piu' Stati e in condizioni di minoranza oppressa e perseguitata. L'ebraismo oggi nel mondo e' altra cosa da quello degli anni Venti o Trenta del secolo scorso: esso e' essenzialmente Israele da una parte e l'ebraismo americano e occidentale dall'altra. Israele e' uno Stato indipendente dove gli ebrei in quanto maggioranza esercitano il potere di governo e ricercano la normalita' della pace e della sicurezza, "come le altre nazioni". Il resto e' l'ebraismo occidentale, in America in primis, e in Europa occidentale - societa' pluraliste, multiculturali in cui la dimensione religiosa si va attenuando, l'appartenenza religiosa non e' piu' l'elemento determinante del vivere individuale e collettivo, l'identita' ebraica si affievolisce. La seconda lezione e' il fatto che lo sterminio nazista e' avvenuto nell'Europa cristiana, istigato e organizzato da un regime che godeva del consenso di larga parte della nazione piu' civile e piu' istruita dell'Europa. Cio' ci riporta a Hannah Arendt, alla sua visione del totalitarismo e delle sue degenerazioni - un sistema politico in cui l'individuo-massa e' gregario, obbediente all'autorita'. Di qui la "banalita' del male" della Arendt, in cui l'individuo e' granello inerte e servile della macchina burocratico-totalitaria dello sterminio. La sconfitta del nazismo e dell'orrore dei campi di sterminio non hanno impedito il ripetersi negli ultimi cinquant'anni di genocidi e stragi di massa, pure in circostanze nettamente differenti dalla Shoah, anche nel cuore dell'Europa, sotto la spinta di ideologie aberranti. L'impegno a cui siamo chiamati e' quindi quello di rimuovere le condizioni che hanno reso nuovamente possibili tali orrori. Gli strumenti stanno nella difesa della democrazia, nella tutela dei diritti umani, nel ripudio dello sciovinismo e del razzismo. La terza lezione riguarda il modo in cui noi ebrei dobbiamo agire a fronte dell'antisemitismo. Sartre asseriva che l'antisemitismo non e' un problema degli ebrei bensi' degli antisemiti. Ma occorre ricordare che sono gli ebrei che soffrono da anni, da generazioni, le conseguenze dell'antisemitismo. L'antisemitismo e', tuttavia, anche l'indice di un malessere della societa', dei pericoli per la democrazia, dell'affermarsi di fenomeni di intolleranza. E' importante ricordare che lottare contro l'antisemitismo non e' un favore che la societa' fa agli ebrei, ma un dovere verso se stessa, se vuole restare un luogo di convivenza democratica. L'ostilita' verso lo straniero e il diverso, la passivita' verso rigurgiti di razzismo sono sintomi del degrado del vivere civile cui bisogna opporsi perche' il silenzio, l'indifferenza, rischiano di dare agli imitatori odierni del nazismo vigore, insolenza, senso di impunita'. * In questo qual e' il compito specifico di noi ebrei? Il primo e' quello di diffondere la cultura ebraica come antidoto all'intolleranza e al pregiudizio che di ignoranza si nutre. Non bastera' certamente questo, ma e' una condizione necessaria. Ed esaltare anche il senso positivo della "doppia appartenenza". L'essere ebrei e italiani, con il trattino (ebrei-italiani o ebrei-americani o ebrei-francesi), l'affermare un'identita' plurale, vanno vissuti come un qualcosa di positivo, di benefico, di arricchente per la societa'. Il secondo dovere di noi ebrei e' quello di testimoniare la memoria, cosi' come intende fare la Giornata della Memoria di recente istituita, in ambiente anche non ebraico, pubblico. Il terzo dovere e' di non autoghettizzarci, di non cedere qualche volta al vittimismo dell'isolamento, del sentirsi dispersi, disancorati dal resto della societa', quasi fossimo gli unici a lottare contro il male dell'antisemitismo; e' quindi importante saperci collegare con altre forze nella tutela della diversita', dei diritti delle minoranze. L'ultimo punto che voglio trattare sugli insegnamenti della Shoah, e' che vi e' un interesse particolare di noi ebrei a lottare contro la discriminazione in generale. Vi e' un interesse oggettivo che si connette con la nostra condizione esistenziale, con la nostra storia di popolo, giacche' molte volte nella storia forme di razzismo o di sciovinismo si sono poi riflesse nell'odio antiebraico. Vi e' quindi un interesse oggettivo degli ebrei a lottare contro forme di discriminazione quand'anche esse non colpiscano direttamente o immediatamente gli ebrei, a vivere in societa' che siano multiculturali, in cui le differenti identita' siano rispettate, legittimate a convivere, viste come un beneficio per tutti. Ma c'e' poi un qualcosa di soggettivo, un dovere di noi ebrei in quanto portatori della memoria di essere particolarmente sensibili a fenomeni di intolleranza e discriminazione al di fuori di noi, di essere solidali con i deboli per la nostra stessa esperienza storica di profughi. Le navi cariche di curdi e albanesi che arrivano sulle nostre sponde non evocano forse assonanze emotive con la nostra storia? Come non ricordare le navi dei sopravvissuti alla Shoah che nel '46-'47 cercavano di varcare il Mediterraneo per andare in Palestina e venivano poi respinti o internati dagli inglesi? Oppure, prima della seconda guerra mondiale, gli ebrei che cercavano di fuggire nel resto dell'Europa, in Svizzera, Spagna, Francia o negli Stati Uniti ? C'e' un libro dal titolo La barca e' piena che racconta la storia della fuga disperata degli ebrei verso la Svizzera: "la barca e' piena" - dicono le autorita' elvetiche- il Paese e' troppo pieno, non si possono accogliere altri profughi. * Osserva A. B. Yehoshua: "Noi, in quanto vittime del microbo nazista, dobbiamo essere portatori degli anticorpi di questa malattia tremenda da cui ogni popolo puo' essere affetto e in quanto portatori di anticorpi dobbiamo innanzitutto curare il rapporto con noi stessi. Poiche' dietro di noi c'e' una sofferenza cosi' terribile, potremmo essere indifferenti a ogni sofferenza meno violenta della nostra. Chi ha molto sofferto puo' non rendersi conto del dolore degli altri, e questo e' un comportamento del tutto naturale. Come alfieri dell'antinazismo dobbiamo acuire la nostra sensibilita' e non diminuirla. Perche' dobbiamo ricordarci che il fatto di essere stati vittime non e' sufficiente per conferirci uno status morale. La vittima non diventa morale in quanto vittima. L'Olocausto al di la' delle azioni turpi nei nostri confronti non ci ha dato un diploma di eterna rettitudine. Ha reso immorali gli assassini, ma non ha reso morali le vittime. Per essere morale, bisogna compiere degli atti morali e per questo affrontiamo degli esami quotidiani" (5). Nel guardarci dentro nel rapporto con gli altri, dovremmo comprendere che non seguiamo gli insegnamenti profondi di Yehoshua. Nel rapporto con i palestinesi, la cecita' di molti ebrei israeliani, ma anche di noi stessi ebrei diasporici, rispetto alle scelte politiche sbagliate di Israele, alle violazioni dei diritti umani, riflette l'istinto a negare la verita' quando essa e' dolorosa. Tutto cio' trova un substrato psicologico nel fatto di essere stati come ebrei perseguitati e di sopportare sulle nostre spalle il carico della persecuzione. Questo ci da' inconsapevolmente un senso di "immunita'", di superiorita' morale che si traduce in mancanza autistica di comprensione e di compassione per le sofferenze degli altri. La moralita' va conquistata invece sul campo ogni giorno con azioni concrete; essa non e' un attributo naturale che viene dall'essere vittime o eredi di vittime. * Questo mi conduce a un ultimo punto che lascio alle riflessioni dei lettori. Mi e' stato suggerito dalla lettura di un libro straordinario di Tom Segev, giornalista israeliano di "HaAretz" (6). Il libro prende le mosse dagli anni Venti, discutendo come il movimento sionista si atteggiasse nei confronti dell'antisemitismo nazista, come esso abbia vissuto l'inizio delle deportazioni, la Shoah; poi il rapporto con i profughi che immigravano in Palestina dopo la guerra, la commemorazione della Shoah in Israele, la nascita di Yad Vashem, e cosi' via. Secondo Segev, la memoria e' diventata una specie di religione civile in Israele, con un suo rituale codificato; essa e' un elemento di coesione e di definizione dell'identita' collettiva del paese. Israele e' lo Stato degli ebrei profughi e perseguitati, il luogo di rifugio e di riscatto dopo gli orrori della Shoah. Storicamente, questo e' probabilmente vero, fino al punto che forse Israele non sarebbe nato senza la Shoah, ma la memoria della Shoah come elemento di coesione e di identita' e' un fenomeno abbastanza recente, sviluppatosi essenzialmente negli anni Sessanta-Settanta, in particolare dopo la guerra dei sei giorni e accentuatosi negli anni Ottanta, con l'affermarsi di posizioni nazionaliste e antiarabe. Della memoria si e' fatto da parte di alcuni anche un uso politico strumentale. Nel conflitto con gli arabi e con i palestinesi e' diventato conveniente equiparare gli avversari di oggi ai nazisti di ieri, considerare Arafat novello Hitler. "L'eredita' dell'Olocausto, cosi' come e' insegnata nelle scuole e alimentata nelle cerimonie ufficiali di commemorazione, spesso incoraggia lo sciovinismo degli israeliani e l'opinione che lo sterminio nazista degli ebrei giustifichi ogni atto che contribuisca alla sicurezza di Israele, inclusa l'oppressione della popolazione nei territori occupati da Israele nella guerra dei sei giorni" (7). Ironicamente, negli anni precedenti la Shoah era al contrario qualcosa da espungere dalla memoria collettiva di Israele perche' l'israeliano si autorappresentava come l'uomo nuovo, il sionista, il halutz, del tutto diverso nel suo ethos dall'ebreo della diaspora, visto come anormale, vinto dalla storia e destinato a sparire. La stessa memoria era qualcosa da eliminare. Anche per gli ebrei diasporici la Shoah ha costituito un elemento di coesione e di identita' comunitaria assai forte. Per molti ebrei non osservanti, la dualita' fra memoria della Shoah e Stato di Israele e' stata l'elemento fondante della propria identita' ebraica. Con l'attenuarsi fatale del ricordo, con la distanza storica rispetto al genocidio nazista e alla nascita di Israele come luogo di riscatto e di salvezza per il popolo ebraico perseguitato questo elemento e' destinato ad affievolirsi. Rammento qui le parole del direttore dell'Istituto di storia della scienza e delle idee dell'Universita' di Tel Aviv, Yehuda Elkana, egli stesso un sopravvissuto alla Shoah. La sua e' una risposta radicale, che pone dubbi, interrogativi. Il titolo dell'articolo che suscito' all'epoca grande fermento in Israele e' "Dimenticare" (8). "Per noi stessi non vedo un compito educativo piu' grande che impegnarci nel costruire il nostro futuro in questa terra senza sbandierare ogni giorno i simboli orrendi, le cerimonie strazianti e le lezioni deprimenti della Shoah. L'elemento politico e sociale piu' profondo che motiva la maggior parte della societa' israeliana nel suo rapporto con i palestinesi e' un'angoscia esistenziale, alimentata da un'interpretazione particolare della lezione della Shoah e dalla predisposizione a ritenere che tutto il mondo sia contro di noi, che noi siamo le vittime eterne. In questa antica credenza, condivisa da molti di noi in Israele oggi, io vedo la vittoria tragica e paradossale di HitIer. Due nazioni, parlando metaforicamente, sono emerse dalle ceneri di Auschwitz: una minoranza che dice che cio' non deve accadere mai piu', e una maggioranza spaventata ed ossessionata che dice: 'questo non deve accadere mai piu' a noi'. Se queste sono le due uniche possibili lezioni, io sono molto piu' vicino alla prima. Vedo la seconda come catastrofica. La storia, la memoria collettiva sono certamente una parte inseparabile di ogni cultura, ma il passato non deve diventare l'elemento determinante del futuro di una societa' e del destino di un popolo". Ritengo anch'io con Elkana che la prima lezione sia quella fondamentale da trarre dall'esperienza della Shoah e che essa contenga in se' la finalita' essenziale del ricordare, un ricordare - come ho cercato di argomentare nelle pagine precedenti - consapevole, non angoscioso ne' ossessivo. * Note 1. Aldo Zargani, Per violino solo, Il Mulino, Bologna 1995. 2. Saul Friedlaender, A poco a poco il ricordo, Einaudi, Torino 1990. 3. Janina Bauman, Inverno nel mattino. Una ragazza nel ghetto di Varsavia, Il Mulino, Bologna, 1994. 4. Simha Guterman, Il libro ritrovato, Einaudi, Torino 1994. 5. Abraham B. Yehoshua, Elogio della normalita', La Giuntina, Firenze 1991. 6. Tom Segev, Il settimo milione, Mondadori, Milano 2001. 7. Tom Segev, op.cit. 8. "HaAretz", 16 marzo 1988. 3. MATERIALI. SIMONETTA CRETONI: UNA BIBLIOGRAFIA, FILMOGRAFIA E DISCOGRAFIA INTRODUTTIVA SULLA SHOAH [Dal sito www.fuoridalcomune.com riprendiamo il seguente repertorio di materiali. Simonetta Cretoni e' bibliotecaria presso la Biblioteca "Pier Paolo Pasolini" di Roma] 1. Storia - Arendt, Hannah, La banalita' del male, Milano, Feltrinelli, 1998 - Arendt, Hannah, Le origini del totalitarismo, Milano, Comunita', 1978 - Bauman, Zygmunt, Modernita' e Olocausto, Bologna, Il mulino, 1992 - Beccaria Rolfi, Lidia - Bruzzone, Anna Maria, Le donne di Ravensbruck, Torino, Einaudi, 2003 - Beccaria Rolfi, Lidia - Maida, Bruno, Il futuro spezzato: i nazisti contro i bambini, Firenze, Giuntina, 2000 - Bensoussan, Georges, L'eredita' di Auschwitz. Come ricordare?, Torino, Einaudi, 2002 - Beradt, Charlotte, Il Terzo Reich dei sogni, Torino, Einaudi, 1991 - Bernadac, Christian, Il treno della morte, Ginevra, Ferni, 1977 - Bernadac, Christian, Manichini nudi. Il lager delle donne. Ravensbruck, Ginevra, Ferni, 1977 - Browning, Christopher, Uomini comuni, Torino, Einaudi, 1999 - Burleigh, Michael - Wippermann, Wolfgang, Lo stato razziale, Milano, Rizzoli, 1992 - Caffaz, Ugo, L' antisemitismo italiano sotto il fascismo, Scandicci, La nuova Italia, 1975 - Cavaglion, Alberto, Per via invisibile, Bologna, Il mulino, 1998 - Coen, Fausto, 16 ottobre 1943: la grande razzia degli ebrei di Roma, Firenze, Giuntina, 1993 - Collotti, Enzo, Il fascismo e gli ebrei, Roma-Bari, Laterza, 2003 - Collotti, Enzo, La soluzione finale, Roma, Newton Compton 2002 - De Felice, Renzo, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1997 - Deaglio, Enrico, La banalita' del bene, Milano, Feltrinelli, 1993 - Ducci, Teo, Un tallet ad Auschwitz (10.2.1944-5.5.1945), Firenze, Giuntina, 2000 - Edelman, Marek - Krall, Hanna, Il ghetto di Varsavia, Roma, Citta' nuova, 1985 - Elias, Ruth, La speranza mi ha tenuto in vita. Da Theresienstadt e Auschwitz a Israele, Firenze, Giunti, 1993 - Epstein, Helen, Figli dell'Olocausto, Firenze, Giuntina, 1982 - Fenelon, Fania, Ad Auschwitz c'era un'orchestra, Firenze, Vallecchi, 1978 - Fergnani, Enea, Un uomo e tre numeri, Milano, Speroni, 1945 - Fest, Joachim C., Il volto del Terzo Reich. Profilo degli uomini chiave della Germania nazista, Milano, Garzanti, 1977 - Fischer, K. P., Storia dell'Olocausto, Roma, Newton & Compton, 2000 - Giuntella, Vittorio Emanuele, Il nazismo e i lager, Roma, Studium, 1979 - Gross, Jan T., I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunita' ebraica di Jedwabne in Polonia, Milano, Mondadori, 2002 - Hilberg, Raul, Carnefici, vittime, spettatori. 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La mia infanzia nell'Aldiqua, 1938-1945, Bologna, Il mulino, 1995 - Zsolt, Bela, Le nove valigie, Parma, Guanda, 2004 - Zweig, Zacharias, Il bambino di Buchenwald, Roma, Erre Emme, 1989 - Voci dalla Shoah, Firenze, La nuova Italia, 1996 * 3. Libri per ragazzi sull'antisemitismo e la Shoah - Auerbacher, Inge, Io sono una stella. Una bambina dall'Olocausto, Milano, Bompiani, 1995 - Balbi, Rosellina, Ebrei, razzismo e antisemitismo, Roma-Napoli, Theoria, 1993 - Collotti, Enzo, Hitler e il nazismo, Firenze, Giunti, 1996 - Finzi, Roberto, L' antisemitismo. Dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio, Firenze, Giunti, 1997 - Frank, Anne, Diario. L' alloggio segreto, 12 giugno 1942 - I agosto 1944, Torino, Einaudi, 2003 - Gold, Alison Leslie, Mi ricordo Anna Frank, Milano, Bompiani, 1999 - Gutman, Claude, L' albergo del ritorno, Trieste, E. 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Cinema e Shoah - Armstrong, Gilliam, Charlotte Gray, Germania-Gran Bretagna-Australia, 2001 - Benigni, Roberto, La vita e' bella, Italia, 1997 - Chaplin, Charles S., Il grande dittatore, Usa, 1940 - Chomsky, Marvin J., Olocausto, Usa, 1978 - Costa-Gavras, Konstantinos, Amen, Francia, 2002 - De Sica, Vittorio, Il giardino dei Finzi Contini, Italia, 1970 - Enrico, Robert, In nome dei miei, Francia-Canada, 1983 - Faenza, Roberto, Jona che visse nella balena, Italia, 1993 - Frazzi, Andrea e Antonio, Il cielo cade, Italia, 2000 - Holland, Agnieszka, Europa Europa, Germania-Francia, 1991 - Imhoof, Markus, La barca e' piena, Svizzera,1981 - Jong, Ate de, Il prezzo della vittoria, Olanda, 1986 - Kadar, Jan - Klos, Elmar, Il negozio al corso, Cecoslovacchia, 1965 - Kassovitz, Peter, Jakob il bugiardo, Usa, 1999 - Kragh-Jacobsen, Soren, L' isola in via degli uccelli, Danimarca-Gran Bretagna-Germania, 1997 - Kramer, Stanley, Vincitori e vinti, Usa, 1961 - Lelouch, Claude, Tornare per rivivere, Francia, 1985 - Lizzani, Carlo, L'oro di Roma, Italia, 1961 - Lumet, Sidney, L'uomo del banco dei pegni, Usa, 1965 - Malle, Louis, Arrivederci ragazzi, Francia, 1987 - Mann, Daniel, Ballata per un condannato, Usa, 1980 - Meszaros, Marta, La settima stanza, Italia, 1996 - Mihaileanu, Radu, Train de vie, Belgio-Francia-Olanda, 1998 - Moll, James, Gli ultimi giorni, Usa, 1998 - Pakula, Alan J., La scelta di Sophie, Usa, 1982 - Polanski, Roman, Il pianista, Polonia-Francia-Germania-Gran Bretagna, 2002 - Pontecorvo, Gillo, Kapo', Francia-Italia, 1960 - Ramati, Alexander, Assisi underground, Usa-Italia, 1984 - Rosi, Francesco, La tregua, Italia-Francia-Svizzera-Germania, 1997 - Schatzberg, Jerry, L'amico ritrovato, Gran Bretagna-Francia-Germania,1989 - Scola, Ettore, Concorrenza sleale, Italia, 2001 - Seltzer, David, Vite sospese, Usa, 1992 - Spielberg, Steven, Schindler's list, Usa, 1993 - Stevens, George, Il diario di Anna Frank, Usa, 1959 - Tognazzi, Ricky, Canone inverso, Italia, 2000 - Trotta, Margarethe von, Rosenstrasse, Germania, 2003 - Truffaut, Francois, L'ultimo metro', Francia, 1980 - Verhoeven, Michael, La ragazza terribile, Germania, 1989 - Wajda, Andrzej, Dottor Korczak, Polonia-Germania-Francia, 1990 - Weiss, Jiri, Marta ed io, Germania-Francia, 1990 - Young, Robert M., Oltre la vittoria, Usa, 1989 - Zinnemann, Fred, Giulia, Usa, 1977 * 5. Musica e Shoah - Berman, Karel, Poupata - Berman, Karel, Terezin Suite per pianoforte - Cage, John, In the name of the Holocaust - Chailly, Luciano, Serenata a Mauthausen - Curran, Alvin, Crystal psalms - Dauber, Robert, Serenata per violino e pianoforte - Domazlicky, Frantisek, Concerto n. 2 per violino ed archi - Gal, Hans, Concertino per pianoforte op. 43 - Gal, Hans, Concertino per violoncello op. 87 - Gal, Hans, Divertimenti op. 90 nn. 1-3 - Gal, Hans, Huyton suite op. 92 per flauto e due violini - Gal, Hans, Partita - Gal, Hans, Quartetto per archi op. 95 - Gal, Hans, Quartetto per archi op. 99 - Gal, Hans, Quintetto per archi op. 106 - Gal, Hans, Quintetto per clarinetto op. 107 - Gal, Hans, Serenade op. 93 - Gal, Hans, Sonata per due violini e pianoforte op. 96 - Gal, Hans, Sonata per viola e pianoforte op. 101 - Gellhorn, Peter, Due studi per violino - Gellhorn, Peter, The cats per orchestra d' archi - Haas, Pavel, Quattro lieder su testi di poemi cinesi - Haas, Pavel, Quartetti per archi nn. 1-6 op. 98 - Haas, Pavel, Quintetti per fiati op. 88 - Haas, Pavel, Studio per orchestra d' archi - Haas, Pavel, Suite per pianoforte e oboe - Karel, Rudolf, Marcia dei prigionieri per pianoforte - Karel, Rudolf, Nonet op. 43 - Karel, Rudolf, Pezzi per pianoforte - Karel, Rudolf, Three hairs of the wise old man (opera) - Klein, Gideon, Divertimento - Klein, Gideon, Duo per violino e viola - Klein, Gideon, Quartetto per archi op. 2 - Klein, Gideon, Sonata per pianoforte - Klein, Gideon, Trio per violino, viola e violoncello - Krasa, Hans, Brundibar (opera per bambini) - Krasa, Hans, Lieder op. 4 - Krasa, Hans, Passacaglia e fuga per violino, viola e violoncello - Krasa, Hans, Quartetto per archi op. 2 - Kropinski, Jozef, Canti da Auschwitz e da Buchenwald - Kropinski, Jozef, Quartetto d' archi - Kummermann, Jiri, Composizione per due violini, viola e violoncello - Messiaen, Olivier, Quatuor pour la fin du temps per violino, clarinetto, violoncello e pianoforte - Nono, Luigi, Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz (nastro magnetico per coro, soprano e materiale elettroacustico) - Penderecki, Krzysztof, Dies irae a' la memoire des victimes d' Auschwitz - Pinkhof, Josef, Canti religiosi in lingua ebraica - Reich, Steve, Different trains - Roman, Martin, Lieder - Schoenberg, Arnold, Un sopravvissuto di Varsavia op. 46 -Schulhoff, Ervin, Doppio concerto per flauto e pianoforte -Schulhoff, Ervin, Sinfonia n. 8 con coro maschile e pianoforte -Schulhoff, Ervin, Sonata per violino e pianoforte - Strauss, Adolf, Lieder - Strjiecky, Z., Argentinska tango per pianoforte - Stutecky, Otto, Drunt im Prater ist ein Platzerl per cantante e orchestra da cabaret - Svenk, Karel, Terezin hymn per coro - Szpilman, Wladyslaw, Concertino per pianoforte e orchestra - Szpilman, Wladyslaw, Concerto per violino - Ullmann, Viktor, Brezulinka op. 53 - Ullmann, Viktor, Quartetto per archi op. 46 - Ullmann, Viktor, Sonate per pianoforte nn. 5, 6, 7 - Weber, Ilse, Otto lieder per mezzosoprano e pianoforte. 4. MEMORIA. ADRIANA LOTTO: LA DEPORTAZIONE FEMMINILE NELLA STORIOGRAFIA TEDESCA [Dal sito della bella rivista telematica "Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile" (venus.unive.it/rtsmf) riportiamo ancora una volta il seguente testo. Adriana Lotto e' presidente dell'"Associazione culturale Tina Merlin"] Dopo il silenzio degli anni Cinquanta, piu' tardi interpretato come "l'amnesia di una generazione colpevole" (Michael Geyer, La politica della memoria nella Germania contemporanea, in Leonardo Paggi, a cura di, La memoria del nazismo nell'Europa di oggi, La Nuova Italia, 1997, p. 265), di tanto in tanto interrotto dalle voci isolate dei sopravvissuti e delle sopravvissute, alla fine degli anni Sessanta il disagio forte della nuova generazione dinanzi a padri e madri assenti, l'infittirsi di adunate neo-naziste, segno di una continuita' sotterranea col passato regime, nonche' la proliferante pubblicistica della Ddr tesa a segnare confini netti tra un passato nazista e un presente-futuro socialista contribuirono, assieme ad altri fattori, ad alimentare una politica della memoria che denunciando il passato valesse per l'oggi: desse, cioe', alla Germania, rimpossessatasi di quel passato, una nuova identita' e con essa la certezza che quel che era stato non sarebbe mai piu' tornato. Fu cosi' che i tedeschi uscirono dalla loro smemoratezza, tanto che negli anni Settanta la storia del Terzo Reich divento' oggetto pressante e frequente dell'indagine storiografica. Sulla base delle memorie dei prigionieri, che subito dopo essere stati liberati avevano raccontato la loro prigionia, e dei documenti salvati dalla distruzione operata dagli stessi nazisti, sorse una vasta letteratura sulla storia di alcuni campi di concentramento, sulle condizioni di vita e di lavoro dei prigionieri e sulla loro resistenza al sistema di annientamento; una resistenza che spesso traeva forza dalla difesa di se', dal voler mantenere a tutti i costi la propria dignita' di persona. Lavori come quello di Eugen Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutschen Konzentrationslager (Monaco 1977), o quello di Hermann Langbein, Menschen in Auschwitz, uscito per la prima volta a Vienna nel 1972, e dello stesso autore, ...nicht wie die Schafe zur Shlachtbank. Widerstand in den nazionalsozialistischen Konzentrationslagern 1938-1945 (Francoforte 1980) furono fondamentali; tuttavia, nello sforzo di spiegare le persecuzioni come funzionali ad un sistema di terrore pianificato, finirono coll'equiparare l'esperienza delle donne a quelle degli uomini o col parlare di esperienza dei campi in generale, senza cioe' distinzione di sesso. Limitazione questa di cui soffrono ancora talune pubblicazioni recenti. Ad esempio il volume di Falk Pingel uscito ad Amburgo nel 1978 sotto il titolo Haeftlinge unter SS-Herrschaft. Widerstand, Selbstbehauptung und Vernichtung im Konzentrationslager, oppure quello di Johannes Tuchel, Konzentrationslager. Organisationsgeschichte und Funktion der Inspektion der Konzentrationslager (Boppard sul Reno 1991), e di Wolfang Sofsky, Die Ordnung des Terrors: das Konzentrationslager, apparso a Francoforte nel 1993 e tradotto in italiano da Laterza nel 1995 col titolo L'ordine del terrore. Nessuno dei lavori sopracitati perdeva di vista la sofferenza umana pur avendo, soprattutto l'ultimo, lo scopo di dare razionalita' all'irrazionalita'; ma ancora una volta usando il termine neutro Haeftlinge, prigionieri, si trascuravano di fatto le differenze di genere di fronte alla violenza e ai suoi meccanismi di produzione. * A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta apparvero lavori di ricerca condotti da donne e aventi come oggetto la resistenza attiva di donne contro il nazismo, documentata altresi' dagli atti ufficiali della Gestapo e delle SS. Volumi come Frauen in deutschen Widerstand 1933-1945 (Francoforte 1978) di Hanna Elling, e Frauen leisten Widerstand: 1933-1945. Lebengeschichten nach Interviews und Dokumenten, pubblicato a Francoforte nel 1983 da Gerda Szepansky, raccoglievano storie di vita di donne politicamente attive, che avevano avuto un certo ruolo nella resistenza al nazismo. Una resistenza che nei territori occupati era armata, come racconta Ingrid Strobel nel suo "Sag nie, du gehst den letzten Weg". Frauenwiderstand gegen Faschismus und deutsche Besatzung (Francoforte 1989). In questi lavori, pero', nel mentre si poneva l'accento sull'attivita' antinazista, si taceva delle sofferenze e della morte di innumerevoli altre donne, donne comuni e pertanto sconosciute. Dall'altra parte, alla fine degli anni Settanta, si cominciava a studiare la posizione delle donne dentro il nazismo e a concentrare l'attenzione su coloro che non erano state perseguitate, cosi' che, all'inizio del decennio seguente, apparve una serie di ricerche sulla politica nazista del lavoro femminile che poneva l'accento sulla specifica strumentalizzazione delle donne sia nella riproduzione che nella produzione. In questo modo pero' tutte le donne venivano considerate vittime di una politica di genere dominata dai maschi e che non era prerogativa del nazismo ma anche del periodo antecedente. Fu il "Frauengruppe Faschismusforschung" nel suo Mutterkreuz und Arbeitsbuch. Zur Geschichte der Frauen in der Weimarer Republik und im Nationalsozialismus (Francoforte 1981) a indagare il comportamento politico e sociale delle donne nella Repubblica di Weimar e durante il nazismo. Altri studi presero invece in esame le organizzazioni nazionalsocialiste delle donne e delle ragazze, le modalita' di reclutamento, le attivita' che svolgevano e l'influenza che esercitavano. In questo modo emerse la questione della responsabilita', ossia del collaborazionismo e dell'attivismo, bene analizzata nel contributo di Dagmar Reese e Carola Sachse, Frauenforschung zum Nationalsozialismus. Eine Bilanz, apparso nel volume curato da Lerke Gravenhorst e Carmen Tatschmurat, Toechter-Fragen. NS-Frauen-Geschichte (Freiburg 1990). * Fu proprio a partire da queste tematiche che si sviluppo' in tempi piu' recenti tra le ricercatrici un dibattito serrato. Ad essere criticate furono le premesse e gli obiettivi della ricerca, troppo a lungo, si disse, e troppo marcatamente condizionati o addirittura appiattiti sulle "congiunture" del movimento femminista. Secondo Lerke Gravenhorst questo fece si' che le ricercatrici assumessero la storia del nazismo come la loro identita' negativa. La discussione fu promossa soprattutto dalla tesi di Claudia Koonz ( Muetter in Vaterland. Frauen im Dritten Reich, Freiburg 1991, tradotto in italiano da Giunti nel 1996 col titolo Donne del Terzo Reich), secondo la quale le donne avrebbero collaborato col nazismo anche e proprio nella loro funzione apolitica di massaie e madri. L'intreccio razzismo/sessismo avrebbe fatto si', nel suo profondo radicamento sociale, che da un lato la donna "ariana" fosse considerata mero strumento di riproduzione della "razza germanica", dall'altro che l'istinto materno fosse il piu' grande peccato contro natura e "femminili" venissero etichettati i popoli da sottomettere o da eliminare. Anche Gisela Bock (Zwangssterilisation im Nationalsozialismus: Studien zur Rassenpolitik und Frauenpolitik, Opladen 1986) esaminando il contributo delle donne comuni tedesche al nazismo come infermiere e funzionarie, sottolineava la loro responsabilita' nella politica demografica del regime, mirante attraverso una riproduzione controllata e aborti coatti a selezionare il patrimonio genetico nazionale. Tuttavia anche se questo dibattito - denominato Historikerinnenstreit - riportava l'attenzione sulla responsabilita' delle donne nel nazismo, esso continuava a occuparsi prevalentemente di tedesche borghesi o casalinghe. Donne ebree, di colore, appartenenti alle minoranze etniche misero subito in evidenza che la ricerca sulle donne non poteva limitarsi solo al loro ruolo nel nazismo. Occorreva condurre ricerche scientifiche sulla sorte delle donne perseguitate dal nazismo, la cui mancanza era legata tanto alla rimozione della responsabilita' femminile nel nazismo, dettata dal generale senso di colpa e di vergogna, quanto alla presa di distanza critica delle cosiddette minoranze. * La discrepanza tra la carente produzione storiografica sulle donne nei campi di concentramento e il bisogno delle donne allora internate di raccontare la loro esperienza e' significativa dell'abbondanza di pubblicazioni autobiografiche di cui si occupo' Rolf Krause nel suo Autobiografisches Schreiben als Spaeform der Baewaltigung der Verfolgung (Hannover 1989). Dei circa 450 titoli che uscirono in lingua tedesca, Il 25% comparve negli anni tra il 1945 e il 1950, mentre dal 1979 al 1988 vide la luce un terzo di tutti i testi elaborati da donne. Tuttavia questa letteratura non era ancora "tipica". Perche' lo diventasse occorreva che memorie e ricerca storica si incontrassero. E cio' avvenne negli anni Novanta. Sul piano generale, in un quadro di responsabilita' collettiva e insieme di assunzione della prospettiva delle vittime, questo significo' non solo cogliere appieno la natura distruttiva e la portata devastante del nazismo, ma, proprio per questo, impedire che esso, incasellato in un continuum storico, scomparisse dentro la storia nazionale, venisse archiviato e sottratto al giudizio morale. Dal punto di vista di genere si introdusse un'ottica complementare, non certo di confronto. La ricerca si oriento' sui campi prevalentemente femminili come Ravenbrueck e Bergen Belsen, ne ricostrui' la storia, l'organizzazione, il sistema di sorveglianza, con particolare attenzione ai rapporti interni a quella comunita' e alle condizioni di vita. In altre parole, nel volume curato da Claus Fuellberg-Stolberg - Martina Jung - Renate Riebe - Martina Scheitenberger, Frauen in Konzentrationslagern. Bergen-Belsen. Ravensbrueck (Brema, 1994), ci si comincio' a chiedere che cosa avesse significato essere internata come donna; se c'erano state forme di resistenza femminile, strategie di conservazione di se' e di sopravvivenza, se le donne erano state umiliate e prostrate in modo particolare proprio in quanto donne. Questioni come queste, avvertivano i curatori, non intendevano in nessun caso misurare il dolore delle donne e degli uomini e dire magari che le prime avevano sofferto di piu'. Si trattava piuttosto, nella ricerca sui campi di concentramento nei quali si opero' una sistematica disumanizzazione delle vittime, di assumere la categoria di genere e di far uscire le donne dall'anonimato che si celava dietro la parola "prigioniero". Il "potere assoluto" delle SS privava i prigionieri dell'orientamento nel tempo e dello spazio cosi' come di qualsiasi relazione sociale e le assoggettava a un regime di terrore. Scopo di questo sistema era anche livellare la differenza di sesso. Molte donne raccontano che dopo lo shock ebbero la sensazione di non essere piu' donne. Il Lager come "istituzione totale" e la violenza delle SS avevano come scopo la distruzione dell'identita' personale e con essa anche quella di genere. Questo valeva per tutti gli internati, ma per le donne assunse forme specifiche e su di esse ebbe altre ripercussioni che sugli gli uomini. Da un lato le SS volevano ridurre le prigioniere a vittime senza genere, ma nello stesso tempo sfruttarono il genere femminile con la piu' alta scrupolosita'. Le defatiganti procedure di entrata nel campo e la documentata prostituzione coatta nei campi dimostravano che la violenza sessuale nei campi era ben presente. Questa ambivalenza indicava che era importante includere nella ricerca sull'internamento la categoria genere accanto a quelle di religione, nazionalita', appartenenza etnica. Significativo e' a tal proposito sia il volume di Christa Paul sulla prostituzione coatta (Zwangsprostitution: Staatlich errichtete Bordelle im Nationalsozialismus, Berlin 1994), che quello di Martina Dietrich sul lavoro coatto, Zwangsarbeit in Genshagen, Brandenburgo 1996. Negli anni Novanta, la ricerca prese dunque una nuova direzione, tenendo ben presente che indagare e descrivere i comportamenti delle donne non significava relativizzare, bensi' rispondere in maniera articolata all'immagine "totale" che dei campi di concentramento era stata data. Significava mettere in luce che la decisione di "resistere" non sempre derivava da "virtu' eroica", magari ideologicamente marcata, ma da spinte incontenibili che dimostravano come il valore della vita, la dignita' degli essere umani erano infinitamente superiori a qualsiasi tentativo di annichilirli. * Nel corso degli ultimi anni la ricerca si e' articolata sulle biografie, ovvero sulle storie di vita delle sopravvissute, con particolare attenzione al momento della liberazione e al dopo. Anche la nazionalita' ha costituito un criterio di ulteriore articolazione dell'esperienza concentrazionaria soprattutto in riferimento alle donne russe e slovene. In altre parole, la ricerca ha, da un lato, abbandonato il discorso generico sulle donne, scavando dentro le diverse esperienze ed esistenze, dall'altro ha colmato un vuoto pubblicistico di memorie di donne vissute nei regimi comunisti. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1186 del 25 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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