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La nonviolenza e' in cammino. 1177
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1177
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 16 Jan 2006 02:52:59 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1177 del 16 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. Simone Weil: Quando 2. Danilo, o dell'azione nonviolenta 3. Hannah Arendt: Ideologie 4. Donatella Di Cesare: Il viaggio di Levinas 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. SIMONE WEIL: QUANDO [Da Simone Weil, Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano 1999, p. 260. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Quando si impedisce a se stessi di porsi delle domande, si e' stati corrotti dal sofisma collettivo. 2. MEMORIA. DANILO, O DELL'AZIONE NONVIOLENTA [Il seguente articolo su Danilo Dolci e' stato scritto da un collaboratore di questo foglio nel 2004 su richiesta di un amico. L'autore non piu' ricorda se poi sia stato pubblicato o meno, ma avendolo ritrovato ha pensato potesse essere non disutile proporlo ora qui. Nella lettera che lo accompagnava scriveva: "Una sola osservazione sulla forma di scrittura che ho scelto dopo altri tentativi e persistendo nel dubbio: mi e' parso che la prosa trattatistica non fosse adeguata ad esprimere cio' che sento essenziale nel dire e nel fare di Danilo in relazione all'azione diretta nonviolenta. Ho tentato quindi un modello che rimandasse all'oralita' dialogica e alle modulazioni del discorso formulare - allitterativo ed iterativo. L'intenzione mi e' parsa buona, l'esito mi sembra insoddisfacente, ma forse e' meglio di niente". Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004] 1. Passi La nonviolenza e' lotta, ma e' quello specifico tipo di lotta che e' insieme dialogo ed educazione, ascolto e comunicazione, conflitto che costruisce ed invera, umanizzazione di tutte le parti coinvolte, trasformazione strutturale e reciproco disvelamento. E' quella lotta che istituisce umana relazione, creaturale e compartecipe, ordinata al convivere, all'esserci insieme, al conoscere insieme (consapevolezza, coscienza), al riconoscere e riconoscersi: speranza che si fa esperienza. La nonviolenza e' condivisione: della sofferenza, e del sentire, del sapere delle vittime. Chi non condivide la vita delle vittime, chi non si fa parte del loro patire, del loro cercare, del loro lottare, non pratica la nonviolenza. Ma la nonviolenza e' anche il rifiuto del perdurare di questo soffrire, e' anche protesta e indignazione contro la violenza e contro la rassegnazione e contro l'apatia: la nonviolenza e' infatti, gia' lo sappiamo, lotta: la lotta delle vittime della violenza per abolire la violenza in se' e nell'altro, dell'altro e propria. E per abolire altresi' quelle forme di violenza cristallizzata ed introiettata che sono la menzogna e la sottomissione, la protervia come la sudditanza: il consenso ad un ordine iniquo come l'azione che invece di trasformare ed evolvere tutto distrugge. La nonviolenza nel suo nocciolo e' questo: salvare le vite, e tutto il resto viene dopo. La nonviolenza e' maieutica, e' ascolto reciproco e comune, e' autoanalisi popolare, e' progettazione dal basso, e' comunicazione, "palpitare di nessi". La nonviolenza e' riconoscimento di umanita', prassi che umanizza, lotta benedicente e degnificante. Aiuto al mondo, "vittoria al mondo" dice Vinoba. * 2. Sul digiuno, il silenzio, la sera La nonviolenza sa che il digiuno di questo e' simbolo e traccia ed esperienza e appello: dell'assunzione di responsabilita', del riconoscimento della dialettica dell'io e del tu, del se' e dell'altro, che fin nell'interiorita' di ciascuno ha luogo e prende forma e sostanza. Luogo della condivisione della fame e della ricerca, esperienza di esistenza nell'intreccio di solitudine e comunita', di apertura che scaturisce dall'intimo, radura e rilucere della creaturalita'. La lotta contro l'ingiustizia, l'accostamento alla verita', comincia nel digiuno. E' nel digiuno che ti avvicini all'umanita'. E la nonviolenza sa che anche il silenzio e' parola. Sa che tutto e' gesto, tutto e' azione, tutto e' relazione. E tutto e' musica. E tutto e' grazia. E' solo nella propria capacita' di silenzio che si da' ascolto, che si restituisce altrui la parola. Chi non sa farsi silenzio non sa fare verita'. Ma vi e' anche un silenzio che e' vile e complice della menzogna: e' il silenzio che non chiede, il silenzio che non da', il silenzio che non ascolta, il silenzio dell'indifferenza, e quello dell'ipocrisia. La nonviolenza sa che la via e' nell'interrogare. Ma che l'interrogare non basta, occorre saper ascoltare, e li' e' la via. Ma non basta neppure saper ascoltare, occorre che quel cercare diventi agire, cercare insieme, insieme agire. Poiche' cercare e' gia' agire, ma solo agire e' cercare. E solo nell'insieme, nel considerare insieme, nel tenere insieme, nello stare insieme, e' la verita'. E la via. A sera gli amici di Danilo e Danilo s'incontrano, parlano, ascoltano, raccontano storie, s'interrogano sulle cose e le cause, sui fatti e il da fare, cercano e trovano. Senza questo parlarsi e ascoltarsi, non esiste nonviolenza. * 3. Del comunicare La nonviolenza e' comunicare, ma quale comunicare? Il comunicare che e' prassi del nascere e del sostegno al nascere da parte della levatrice: la maieutica, ed equivalente in campo morale del rapporto persona-natura mediato dal lavoro come poesia: l'appercezione dell'esistere - proprio e dell'umanita' e dell'essere-nel-mondo - come creatura di creature. Il comunicare che e' spinta integrativa come riconoscimento che e' inveramento, ed e' contributo alla creazione, e nel circolo (ontologico, ermeneutico) creaturalita'-creativita' e' uno dei nuclei del sentire, del fare, del progettare che Danilo ci ha insegnato. Il comunicare che si oppone all'annientamento. * 4. Ove scompaiono Ha scritto Danilo: "ove scompaiono schiavi scompaiono padroni". La nonviolenza e' questo: quando tu cessi di esprimere il consenso (sia pure solo passivo) al potere iniquo, quel potere - per forte che sia - gia' s'incrina e cede. Quando la vittima rifiuta di accettare la relazione sacrificale, si apre la via che puo' riscattare altresi' l'umanita' dell'oppressore. Ha scritto Hannah Arendt: "si può sempre dire un si' o un no". Quando tu dici no alla violenza e alla menzogna, la lotta di liberazione e' gia' cominciata, l'ordine dell'orrore gia' vacilla. Ove scompaiono schiavi, scompaiono padroni, esseri umani appaiono. * 5. Nec nec, aut aut, et et La nonviolenza non e' ne' stupida ne' furba, e' innocente. Rifiuta di nuocere. E poiche' rifiuta di nuocere, essa e' la resistenza piu' forte contro ogni violenza e ingiustizia, contro ogni menzogna e vilta'. Non-nocente, ripudia il far male, il mal fare, il farsi male, il rendersi, arrendersi al male, il cedere al male e lasciarsene insignorire; essa lotta contro l'alienazione: alienazione di cio' che e' piu' proprio di ogni essere umano: la propria - e comune - umanita'. La nonviolenza e' riconoscimento e quindi restituzione di umanita'. Di contro alla techne che aliena la psiche essa e' critica pratica delle ideologie e dello sfruttamento; e pratica critica, e appello, e moto, di liberazione ordinata al convivere in condizioni di riconoscimento di dignita', di condivisione e rispetto di se', degli altri, del mondo. La nonviolenza sa che - come in quella visione di Alce Nero - ogni luogo e' il centro del mondo. La nonviolenza sa che ogni parola, ogni gesto, e' esemplare. La nonviolenza sa che la sua lotta e' sempre anche educazione. Nutre, apre vie, sostiene, restituisce. La nonviolenza e' compresenza dell'io e del tu, del singolo e dei tutti. La nonviolenza e' l'umanita' in cammino. * 6. Congedo La nonviolenza e' lotta ed e' colloquio, comunica e restaura umanita'. Non e' concetto astratto ma pratica concreta, ed e' pensiero che solo nel conflitto si fa atto. Pensiero che si pensa solo insieme: di resistente e levatrice l'arte. La nonviolenza non vuole che tu cambi i tuoi pensieri, ma che piu' in profondo li pensi; non ti chiede di rinunciare a te per qualcos'altro, ma di raggiungerti e cosi' trovare in te l'umanita', e negli altri te. La nonviolenza non e' un corpo di regole, non ha ricette, sedi, probiviri, non vende nulla e nulla vuol comprare; la nonviolenza sei tu che ti apri al volto a un tempo sofferente e luminoso dell'altro, dell'altra persona. La nonviolenza sa che tutti recano la verita', ed interroga incessante. A te lo chiede di salvare il mondo. Ha scritto Danilo: "quanto non c'e' ancora va creato". 3. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IDEOLOGIE [Da Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano 1967, 1996, pp. 643-644. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunche' dato che tutto e' compreso in questo processo coerente di deduzione logica. Il pericolo inerente al passaggio dall'inevitabile insicurezza del pensiero filosofico alla spiegazione totale di un'ideologia e della sua Weltanschauung non consiste tanto nel lasciarsi irretire da un'ipotesi spesso volgare, ma sempre acritica, quanto nell'abbandonare la liberta' implicita nella capacita' di pensare per la camicia di forza della logica, mediante la quale l'uomo puo' farsi violenza quasi con la stessa brutalita' usata da una forza esterna. 4. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE: IL VIAGGIO DI LEVINAS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 gennaio 2006. Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea; dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario. Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta' di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa' italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi, della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999; Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma 1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo, Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova 2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari 1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache, hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB, 1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen 1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993; Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano 1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990". Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia' cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg. L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell' Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas, ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas. Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo' non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel Levinas. La vita e la traccia, JacaBook, Milano 2003] L'annuncio della scomparsa di Emmanuel Levinas fu dato all'indomani della morte, il 25 dicembre 1995: "Liberation" mise la sua foto in prima pagina, France 2 diede la notizia nelle "Ore Venti", il "New York Times" gli dedico' un lungo articolo. La mattina del funerale al cimitero israelitico di Pantin, a Parigi, davanti alla folla raccolta dei parenti, degli allievi, degli amici, dei lettori anonimi, fu Jacques Derrida a pronunciare l'orazione funebre, confluita poi nel libro Addio a Emmanuel Levinas. A cento anni dalla nascita e' ancora difficile valutare l'influsso che la sua opera ha esercitato sulla filosofia degli ultimi tre decenni. E si puo' essere d'accordo o no con le sue idee, le sue intuizioni, le sue aspirazioni, o perfino con la sua impostazione. Certo e' che, come pochi altri, questo filosofo cosi' insolito ed eccentrico lascia una traccia profonda, il segno dell'ebraismo nel pensiero occidentale. * Dalla Lituania a Strasburgo Eccentrico Emmanuel Levinas era gia' per la sua provenienza. Nato il 12 gennaio del 1906 (il 30 dicembre 1905 secondo il calendario giuliano allora vigente nell'impero russo) a Kaunas, citta' della Lituania al confine tra l'occidente europeo e l'oriente russo, era cresciuto in una famiglia ebraica ortodossa. Il padre Yehiel gestiva una libreria-cartoleria. La madre, Dvora Gurvitch, trasmise al figlio la passione per la letteratura. Turghenev e Puskin, Lermontov, Tolstoj e Dostoevskij costituirono una parte significativa nella sua formazione intellettuale. "Il romanzo russo e' stato la mia preparazione alla filosofia" - ammettera' in un'intervista. In casa d'altronde si parlava russo; ma gia' a sei anni Levinas leggeva la Bibbia in ebraico. E studio' in seguito nelle scuole ebraiche della citta'. A Kaunas convivevano tutte le correnti dell'ebraismo moderno: da quelle ortodosse, testimoniate dalla presenza di importanti scuole talmudiche, a quelle illuministiche che si richiamavano a Moses Mendelssohn, dai sionisti, che guardavano a Theodor Herzl, ai seguaci del Bund, del movimento operaio ebraico. Per quanto possa essere sorprendente, nella citta' non c'erano ne' ghetti ne' quartieri ebraici e di quegli anni Levinas non conservo' ricordi di antisemitismo. Nel 1923 lascio' la Lituania per trasferirsi a Strasburgo, citta' europea, ma a sua volta al confine, e percio' piu' adatta a un esilio destinato a essere definitivo. La scena filosofica francese, allora molto eclettica, era dominata da Henri Bergson la cui riflessione costitui' per Levinas un primo punto di riferimento. L'evento piu' significativo fu pero' l'incontro nel 1926 con Maurice Blanchot da cui scaturi' l'amicizia di una vita. Amicizia paradossale perche' e' difficile immaginare due personaggi piu' distanti: l'uno immigrato russo, attratto dalla cultura europea ma fortemente legato alla tradizione ebraica; l'altro proveniente da una famiglia della borghesia francese, nazionalista, molto vicino agli ambienti di estrema destra. Negli anni trenta la rottura fu inevitabile. Mentre Blanchot proclamava la sua avversione al parlamentarismo e alla democrazia, Levinas avvertiva che a essere in gioco con Hitler non era piu' una determinata forma politica, ma l'umanita' stessa. A partire dal 1938 mutarono pero' le posizioni di Blanchot che intitolo' Aminadab - il nome del fratello minore di Levinas - il suo secondo romanzo uscito nel 1942; in seguito, dopo aver aderito nel 1968 al "Comitato degli scrittori e degli intellettuali", scrisse due testi che hanno Auschwitz come sfondo: L'intrattenimento infinito e La scrittura del disastro. Tra il 1928 e il 1929 Levinas si reco' per due semestri a Friburgo, in Germania. "Sono venuto per vedere Husserl e ho incontrato Heidegger" - avrebbe scritto dopo. La costellazione della filosofia di quegli anni e' complessa: la critica alla metafisica occidentale viene delineandosi sullo sfondo del nazismo. Levinas sapeva di trovarsi imprevedibilmente al centro di eventi epocali. Non tento' di sottrarsi. Al contrario. Con la sua tesi del 1930 La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl, e con la traduzione francese delle Meditazioni cartesiane di Husserl, introdusse in Francia la fenomenologia in tempo reale. E altrettanto rapidamente intui' che lo sviluppo della fenomenologia passava anche per l'analitica esistenziale di Essere e tempo. Ma il rapporto che lo avrebbe legato a Husserl e a Heidegger sarebbe stato del tutto diverso. * La condanna della filosofia occidentale Resto' fedele al metodo fenomenologico scelto come stile di pensiero - anche le sue letture talmudiche furono interpretazioni fenomenologiche; radicalizzo' pero' sin dall'inizio la "intenzionalita'" di Husserl che, guardata con "diffidenza", indica che la coscienza e' sempre coscienza di qualcosa, che il suo movimento intenzionale e' dunque eccentrico, perche' la spinge fuori dal suo centro - senza ritorno. La eccentricita', filo conduttore della sua filosofia, venne precisandosi attraverso la critica a Heidegger documentata nel bellissimo saggio del 1935 Dell'evasione. Qui evasione non significa fuga o disimpegno; piuttosto e' un modo ebraico per dire il nostro "essere gettati" nel mondo, secondo il linguaggio di Heidegger. Cosi' Levinas compie un ribaltamento che tocca la filosofia di Heidegger nel suo centro nevralgico. L'essere costituisce per Heidegger il luogo del senso ultimo; al contrario, per Levinas dall'essere occorre evadere, allontanarsi, liberarsi. L'esistenza umana e' descritta nel suo urto contro l'essere che assume qui i contorni di una potenza neutra, spaventosa e anonima. La prigione dell'essere e' per Levinas la prigione dell'identita': "l'essere e'". Cosi' e' cominciata la filosofia occidentale, che sembra non riuscire ad andare piu' in la' di questa brutale affermazione dove l'esistenza e' un assoluto che non richiede nient'altro. L'evasione e' allora il bisogno di uscire da se', "di spezzare l'incatenamento piu' radicale, piu' irremissibile, il fatto cioe' che l'io e' se stesso". Ma la condanna della filosofia occidentale non si ferma qui. "Ogni civilta' che accetta l'essere, la disperazione tragica che comporta e i crimini che giustifica merita il nome di barbara". Nel 1936, ancora trentenne, Levinas pubblico' un breve saggio dal titolo Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo - tentativo riuscito, come sottolinea Giorgio Agamben, di indicare nel nazismo la possibilita' estrema della barbarie del tutto contigua alla filosofia del Novecento. Il nazismo non e' un incidente, la follia di qualche anno. Piuttosto scaturisce da una ontologia dove l'uomo e' pronto ad accettare il proprio modo d'essere che rischia di trasformarsi in una trappola. Anche perche' di qui a considerare l'eredita' biologica come un destino storico il passo e' breve. Negli anni fra le due guerre Levinas si stabili' a Parigi. Dopo aver ottenuto la cittadinanza francese, nel 1932 sposo' Raissa Levi, una sua vecchia compagna di Kaunas, dalla quale ebbe due figli. A partire dal 1931 comincio' a lavorare presso la Scuola normale israelitica. Pur restando ai margini della vita universitaria, incontro' Jacques Lacan, Maurice Merleau-Ponty, Raymond Aron e partecipo' al circolo filosofico organizzato da Gabriel Marcel. * La logica che porto' a Auschwitz Nel 1940 fu richiamato come interprete nell'esercito francese ma, preso prigioniero, fu internato nel campo militare tedesco di Fallingsbotel dove resto' fino al 1945. A questi anni risale in gran parte l'opera Dall'esistenza all'esistente, uscita nel 1947, che si apre con un'epigrafe provocatoria: dove non e' questione di angoscia - un modo per denunciare l'esistenzialismo di Heidegger, ma anche quello di Sartre, astrattamente lontano dalla condizione di coloro che sono rinchiusi nei campi di internamento o, peggio, di sterminio. All'indomani della Shoah - in cui perse i genitori e i due fratelli, assassinati in Lituania - Levinas ando' precisando la sua accusa rivolta a tutta la filosofia occidentale attraverso un lungo ed intenso lavoro sfociato nell'opera forse piu' significativa Totalita' e infinito, pubblicata nel 1961. C'e' un tratto violento nella coscienza filosofica ed e' la volonta' di appropriarsi di cio' che e' altro da se', di inglobarlo, assimilarlo, totalizzarlo. Incapace di uscire da se', la coscienza filosofica occidentale persegue l'ideale dell'autonomia, indicato da Kant, e giunge infine a realizzare il sogno dell'autocoincidenza proclamato da Hegel. La coscienza filosofica e' conciliata con il mondo, prima ancora che con se stessa, perche' e' a casa ovunque, anche in cio' che a prima vista sembrava lontano e alieno. In questo sistema chiuso si realizza la totalita' di un sapere assoluto che presume di sapere tutto e invece afferma solo se stesso esercitando una violenza totalizzante e totalitaria sull'altro. Attraverso la contrapposizione tra il medesimo e l'altro per la prima volta la filosofia occidentale viene accusata a chiare lettere di un totalitarismo ego-centrico sempre vittorioso sulle differenze altrui. Auschwitz non e' che la conclusione "logica" di questa filosofia della totalita' dove il sapere si e' sempre identificato con il potere: quello del soggetto che ha preteso di essere il legislatore dell'universo, di istituirne il senso, di sistemarlo chiudendolo intorno a se' ed annientando l'altro. Pensare dopo Auschwitz vuol dire per Levinas uscire dall'egocentrismo della filosofia. Per l'esistenza umana la meta e' non tanto quella di essere altrimenti, di delinearsi in modo diverso, quanto semmai quella di oltrepassare l'essere, di andare al di la' - Altrimenti che essere, secondo il titolo di una delle opere piu' famose di Levinas pubblicata nel 1974. Il passaggio dall'essere in direzione dell'altro segna anche il passaggio dall'ontologia all'etica che diventa qui filosofia prima. Sarebbe una grave banalizzazione credere che il discorso di Levinas sia un sermone edificante sull'altruismo. Etica e' il movimento continuo dell'io, il suo passo in fuori verso l'altro, compiuto prima ancora di chiedersi: come devo comportarmi, che cosa devo fare? Senza questa uscita da se', verso l'altro, l'io non esisterebbe neppure. L'inversione del cammino seguito dalla filosofia e' una eversione che segna la rottura "nell'asse dell'essere". E' qui che Levinas fa agire l'ebraismo all'interno della tradizione occidentale. * Una via alternativa nella filosofia Ulisse e Abramo diventano le figure paradigmatiche di due modi del tutto diversi, e perfino opposti, di esistere. Smanioso di vivere, avido di tutto, di gustare, di sentire, di provare, di esperire, Ulisse non mette mai davvero a repentaglio la propria sicurezza. Dopo i suoi viaggi in terra straniera fa ritorno a Itaca, a casa, presso di se', presso i suoi. Il suo non e' stato un esilio, ma un allontanamento da se' per far ritorno a se', un movimento dal proprio verso l'estraneo, per ritornare al proprio. L'odissea dell'eroe non e' che questo movimento di riappropriazione che contraddistinguera' la tradizione eurocentrica e rispondera' all'economia del ritorno. Al contrario, nel cammino di Abramo non c'e' ritorno. "Lecha'! Va!" - gli comanda Dio sin dall'inizio. Chiamato all'erranza nomadica Abramo, svuotato di cio' che possiede, muove verso la terra che e' solo promessa, terra messianica della giustizia - luogo non-luogo, al di la' di Itaca, sempre ancora al di la'. Il cammino di Abramo dal se' all'altro, senza ritorno, traccia per Levinas una via alternativa nella filosofia. E' la via verso l'infinito dell'altro, che e' tale, che e' infinitamente altro, perche' oltrepassa sempre la sfera del se'. L'idea dell'infinito mantiene l'esteriorita' inappropriabile dell'altro. Con una mossa radicale Levinas fa apparire il "volto" dell'altro al centro della scena filosofica. Nella sua unicita' irriducibile il volto dell'altro, impedendo ogni progetto totalizzante, spinge l'io oltre se', lo sottopone a una eteronomia. E la direzione verso l'altro e' senza ritorno perche' il faccia-a-faccia non e' una relazione di reciprocita', di riconoscimento, d'amore. Piuttosto e' una relazione sempre asimmetrica. Il volto dell'altro non e' circoscrivibile, non e' afferrabile; e' l'irruzione del nuovo che ci sorprende, che e' al di la', che e' trascendenza. Rispetto al paganesimo, che e' "l'impotenza di uscire dal mondo", il compito dell'ebraismo sarebbe poca cosa se si limitasse ad insegnare ai popoli il monoteismo. Privo di radici definitive, tormentato da una sorda inquietudine, l'ebreo vive nel mondo sempre anche fuori dal mondo, guardando alle tracce della sua provvisorieta'. Questo guardare e' anche un salvaguardare l'erranza che porta sempre oltre. Per Levinas diventa necessario per un verso attingere alle fonti ebraiche per rileggere criticamente la filosofia occidentale; ma per altro verso appare indispensabile anche "tradurre in greco" il Talmud, leggerlo filosoficamente. Sta probabilmente qui piu' che altrove l'originalita' del suo pensiero. Nella filosofia occidentale trovano allora cittadinanza nuovi concetti come quelli di citta'-rifugio, ospitalita', rito, profezia, messianismo. Nel 1946 Levinas fu chiamato a dirigere la Scuola normale israelitica di Parigi, incarico che lascio' solo nel 1979. Il suo impegno nella ricostruzione dell'ebraismo in Francia e in Europa si fece piu' intenso e consapevole. Occorre dire che Levinas ebbe un maestro d'eccezione: il misterioso Mordechai Chouchani, talmudista e matematico, di cui ancora oggi si ignora pressoche' tutto, l'origine, il luogo di nascita e perfino il vero nome. Dotato di una memoria fuori del comune e di competenze vastissime, Chouchani viveva quasi come un clochard vagabondando da Strasburgo a New York a Gerusalemme per insegnare Bibbia e Talmud in cambio di vitto e alloggio. * Dalla saggezza millenaria del Talmud "L'incontro con quest'uomo - affermo' Levinas in un'intervista - mi ha ridato fiducia nei libri". Che cosa gli insegno' Chouchani? Non lo riporto' alle sue origini, perche' Levinas aveva sempre considerato l'ebraismo come una parte di se'. E non lo distolse neppure dalla filosofia, perche' in quegli anni si fece anzi piu' stretto il rapporto con il filosofo Jean Wahl che gli apri' le porte della carriera accademica - nel 1964 fu chiamato come professore di filosofia all'universita' di Poitiers, poi a quella di Paris-Nanterre e dal 1973 alla Sorbona. Chouchani gli insegno' che il Talmud e' il contributo ebraico alla cultura universale. E dunque dal Talmud, rimasto per secoli patrimonio esclusivo delle sfere intellettuali e rabbiniche nell'Europa dell'est o nel Magreb, bisognava ripartire per leggerne i trattati alla luce della filosofia e per interrogare quella saggezza millenaria muovendo dalle questioni attuali. Opere come Quattro letture talmudiche o L'al di la' del versetto testimoniano l'impresa di Levinas che riusci' a seguire la doppia ispirazione della sua vita portando la filosofia nel Talmud, il Talmud nella filosofia. * Scheda: Il dibattito su Levinas Emmanuel Levinas e' stato il filosofo del Novecento che con piu' coerenza ha riconsiderato la tradizione occidentale dal punto di vista ebraico. Ma resta ancora difficile una valutazione complessiva della sua opera. A inaugurare il dibattito e' stato nel 1964 Jacques Derrida con il saggio Violenza e metafisica, piu' tardi compreso nella raccolta La scrittura e la differenza. Con una critica serrata Derrida - che per il filosofo e germanista Stephane Moses e' "il solo che, molto presto, ha capito tutto" di lui - mette in dubbio l'idea di una alterita' assoluta che rende impossibile un rapporto con quello straniero che e' il prossimo. Si discute ancora sul ruolo svolto da questa critica nello sviluppo del pensiero di Levinas. Di certo, il merito di avere introdotto la sua filosofia nell'orizzonte contemporaneo, soprattutto in America, spetta a Derrida. All'inizio degli anni settanta nel numero del "Magazine litteraire" dedicato ai filosofi francesi contemporanei mancava ancora il nome di Levinas. Solo nel 1980 usci' la raccolta Textes pour Emmanuel Levinas in cui comparivano fra l'altro saggi di Blanchot, Derrida, Jabes, Lyotard, Peperzak, Ricoeur. Forse anche per la singolarita' della sua scrittura, il riconoscimento e' arrivato tardi. Ed e' stato problematico. Malgrado Derrida, si e' affermata una lettura confessionale sostenuta dagli ambienti cattolici. Levinas e' stato cosi' strappato alla fenomenologia, ma anche al mondo ebraico. Il centenario della nascita e' l'occasione per ridiscutere con una prospettiva piu' critica l'immagine stereotipata del filosofo dell'etica. Numerosissime sono le iniziative prese soprattutto nel mondo della filosofia. Dal 16 al 20 gennaio avra' luogo alla Hebrew University di Gerusalemme un congresso internazionale intitolato Un secolo con Levinas. Le risonanze della sua filosofia. Un altro importante convegno avra' luogo a maggio alla Facolta' di Filosofia della Sapienza di Roma. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1177 del 16 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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