La nonviolenza e' in cammino. 1169



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1169 dell'8 gennaio 2006

Sommario di questo numero:
1. Emanuele Piccardo: Disastri ambientali e abitazioni provvisorie
2. Laura Colombo: L'aborto, la legge, le donne, gli uomini
3. Mario Porro: Etica ambientale
4. Ristampe: Lev Tolstoj, Tutti i racconti
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. EMANUELE PICCARDO: DISASTRI AMBIENTALI E ABITAZIONI
PROVVISORIE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 gennaio 2006. Emanuele Piccardo, nato a
Genova nel 1972, vive e lavora a Roma; architetto, fotografo, filmaker,
opera in questi campi dando particolare attenzione al paesaggio ed ai
fenomeni sociali contemporanei; curatore di iniziative che mettono in
relazione l'architettura e la societa' civile; cofondatore con Luca Mori
della rivista digitale di architettura, arti visive e culture Archphoto
(www.archphoto.it) di cui e' direttore; e' tra i soci fondatori del
laboratorio di architettura e arti multimediali Plug-in]

Qualsiasi progetto di architettura non puo' prescindere dalle condizioni
climatiche o geografiche del territorio in cui viene realizzato. Sembra
ovvio. Eppure, come la storia recente e recentissima ha dimostrato, fin
troppo spesso architetti, ingegneri e politici consentono che si costruisca
in siti inadeguati come le rive alluvionali e le aree soggette a frane o a
terremoti, quasi dimenticando che proprio il riparo dalle intemperie
rappresenta una delle finalita' primarie della casa. Tale pericolosa incuria
si rivela soprattutto dove e' assente una attenta pianificazione urbana in
grado di fornire quegli strumenti legislativi che possano affrontare con
successo il manifestarsi delle catastrofi naturali. Da sole, pero', le
regole non bastano: quello che conta e' anche la capacita' di progettare
unita' abitative che abbiano i requisiti necessari per resistere alle
sollecitazioni imposte sia da terremoti e frane sia da uragani come nel caso
di New Orleans.
*
Abusivismo e inadeguatezza
Proprio a New Orleans migliaia di abitazioni, costruite nel tradizionale
metodo del balloon frame (struttura portante di travi e solai in legno) sono
state distrutte fin troppo facilmente dalla forza del vento. Ma gli esempi
di catastrofi che, solo per limitarci all'ultimo decennio, hanno avuto
effetti - alla lettera - devastanti sulle case e sulle costruzioni in genere
sono purtroppo numerosi: per restare in Italia, e' ancora vivo il ricordo
dell'alluvione del 1998 che cancello' quasi completamente il comune di Sarno
in Campania, provocando morte e disperazione. Tre anni prima, dall'altra
parte del mondo, era stato il terremoto di Kobe, in Giappone, a scuotere
l'opinione pubblica mondiale per la sua intensita' (7,3 gradi scala Richter)
e la sua forza distruttiva (trentamila chilometri quadrati): solo nel 2000
l'ultimo dei cinquantamila sfollati giapponesi ha potuto abbandonare
l'abitazione provvisoria che gli era stata assegnata. Due casi emblematici
delle tragiche conseguenze che possono produrre l'abusivismo da un lato,
l'inadeguatezza degli edifici dall'altro.
Sebbene gli architetti abbiano sempre amato prefigurare i panorami futuri
dell'abitare disegnando progetti utopici mai realizzati (come la Broadacre
City di Frank Lloyd Wright, del 1934, che individua nell'automobile il mezzo
privilegiato per vivere la metropoli), difficilmente pero' sono riusciti a
immaginare scenari di distruzione come, da parte loro, hanno fatto
scrittori, scienziati e registi. E anche ora che glaciazione e
desertificazione sono argomenti inflazionati soprattutto tra i media, le
problematiche relative alle abitazioni provvisorie del dopo-catastrofe
rimangono nel nostro immaginario, sostituite pero' nella realta' da
container metallici, caldi in estate e freddi in inverno. Il concetto di
"provvisorio" dura in Italia anni interi come testimoniano, dal terremoto
del 1997, i seimila sfollati dell'Umbria che, nonostante una legislazione
regionale di avanguardia, ha promulgato solo nel 2002 e nel 2004 un
programma annuale di prevenzione sismica che individua zone ad alta
criticita' e risorse finanziarie per intervenire sul patrimonio edilizio
esistente.
*
La gestione del dopo-catastrofe
Nonostante la storia dell'architettura del Novecento ci abbia fornito
straordinari esempi di architetture provvisorie progettate per sostituire
temporaneamente le abitazioni, ancora oggi non e' stata attuata una
produzione industriale di alloggi che possano servire alle protezioni civili
e alle associazioni non governative per la gestione del dopo-catastrofe. Chi
e' il colpevole di questa situazione? Gli architetti, troppo impegnati a
realizzare "il grande segno" dentro la citta', che non portano fino in fondo
una ricerca finalizzata a salvare vite umane, oppure una classe politica
priva di cultura progettuale e indifferente ai bisogni dei cittadini?
In ogni caso, il progetto di un alloggio provvisorio deve soddisfare
determinate esigenze di modularita', semplicita' di montaggio,
prefabbricazione e autosufficienza energetica. Il primo ad occuparsi di
queste tipologie abitative fu in Francia il fabbro Jean Prouve' (architetto
mancato, non riusci' a studiare per problemi economici), che nel 1939
propose al Ministere de l'Armee la costruzione di trecento baracche in due
moduli, quadrati di quattro metri di lato e rettangoli di quattro metri per
sei. Entrambi smontabili, con la struttura portante a vista rivestita in
pannelli di legno, rappresentano le prime produzioni in serie di case
realizzate con l'obiettivo di creare alloggi provvisori per i soldati.
"Indissolubilmente architetto e ingegnere o per meglio dire architetto e
costruttore, perche' tutto cio' che tocca e concepisce subito prende
un'elegante forma plastica", come disse di lui Le Corbusier, Prouve'
continuo' dopo la seconda guerra mondiale la sua sperimentazione sui moduli
abitativi prefabbricati puntando ancor piu' sulla qualita' architettonica e
progettando nuovi moduli quadrati di sei metri di lato in struttura
metallica e rivestiti in pannelli di legno. Proprio attraverso la
modularita', il progettista riusci' a migliorare la velocita' di montaggio,
consentendo la costruzione di una casa in un solo giorno: un risultato che,
se permette in situazioni di emergenza di attrezzare piccole citta' in breve
tempo, denota anche l'assenza di un progetto nella disposizione delle
abitazioni provvisorie che rimandano alla casualita' o all'organizzazione
degli accampamenti militari piuttosto che alla polis.
Dopo Prouve', il tema della casa provvisoria e' stato affrontato in molte
ricerche sperimentali di architetti e artisti: uno di questi fu Richard
Buckminster Fuller con la Wichita House (1945) la cui forma circolare fu
considerata dal suo autore la piu' idonea per il raggiungimento della
perfezione dal punto di vista biotecnologico, realizzata in alluminio,
acciaio e plexiglas in grado di essere montata da due persone.
A parlare di provvisorio in architettura si ritorno' dopo il '68, con
movimenti quali Archigram in Inghilterra, Ufo in Italia e Utopie Group in
Francia, questi ultimi caratterizzati dall'uso di strutture gonfiabili che
ben definiscono il carattere provvisorio e non stanziale dell'abitare. Negli
anni Settanta, a dimostrazione dell'interesse suscitato dal tema delle
abitazioni per l'emergenza, furono banditi numerosi concorsi e
contemporaneamente, in Germania, Frei Otto invento' le tensostrutture
realizzate con reti e pali metallici che riprendono la tipologia della tenda
nomade. Strutture prefabbricate, gonfiabili e tensostrutture costituiscono
cosi' un abaco di possibili soluzioni da cui partire per elaborare un
progetto di citta' provvisoria nella quale, come in una citta' permanente,
dovrebbero essere definiti gli edifici pubblici, le abitazioni, le piazze.
Ma nell'immaginario collettivo del nostro paese - un immaginario che
comprende tanto gli architetti che la societa' - il concetto di provvisorio
viene percepito come sinonimo di degrado (e in quanto tale frammentario,
disomogeneo, abusivo), e pertanto rimane una nicchia inesplorata del
progetto architettonico. Non a caso in Italia la protezione civile prevede
in caso di catastrofe l'utilizzo del container che in alcuni casi viene
sostituito da alloggi in legno in perfetto stile svizzero. Visitando il sito
web della protezione civile (www.protezionecivile.it) si apprende che la
disposizione dei container puo' essere "a corte" o "varia", termini che
mettono in rilievo ancora una volta la mancanza di cultura progettuale e
l'incapacita' di affrontare una problematica complessa, che dovrebbe
garantire una gamma di soluzioni diverse, adeguate al fabbisogno del
momento. Cosi' e' accaduto per il terremoto umbro, ma anche per lo tsunami
(www.architectureforhumanity.org) e per i recenti uragani americani, dove,
non a caso, le protezioni civili sono sotto accusa per i ritardi nei
soccorsi. In molte catastrofi la rapidita' nell'approntare alloggi
d'emergenza e' infatti determinante per salvare vite umane. Dal momento che
i container non possono essere montati dalla popolazione ma necessitano
dell'impiego dell'esercito, si dovrebbero studiare alloggi prefabbricati
differenti e piu' leggeri che possano essere costruiti direttamente dalle
popolazioni colpite. Questo presuppone che le amministrazioni comunali, il
cui territorio e' soggetto a catastrofi, si dotino di queste strutture da
poter utilizzare in un qualsiasi momento.
*
Case di carta
Nel 1995 quando si verifico' il terremoto di Kobe e Osaka, l'architetto
giapponese Shigeru Ban fu incaricato dall'Onu di progettare una serie di
abitazioni provvisorie, "Paper Log Houses", formate da un parallelepipedo
con struttura portante in tubi di cartone e un tetto a due falde realizzato
con un materiale plastico teso, funzionali ma di bassa qualita'
architettonica. L'unica eccezione e' la "Paper Church", che ha una forma
ellittica ed e' composta da 58 tubi di cartone con un diametro di 32,5 cm
per 5 metri di altezza, opera realizzata in sole cinque settimane da 160
volontari.
In Europa alcuni esempi significativi evidenziano una attenzione sempre
maggiore all'abitare provvisorio: e' il caso del progetto di Roger Christ,
vincitore del concorso indetto dall'Universita' Tecnica di Graz nel 1998 e
realizzato nel 1999, in cui moduli di dieci metri quadrati, in struttura
metallica prefabbricata e all'interno isolati con pannelli di legno,
costituiscono un villaggio. Sempre nell'ambito delle strutture metalliche
nel 1997 viene realizzato a Huelva in Spagna il campeggio progettato da
Ubaldo Garcia Torrente formato da alloggi modulari minimi a copertura
concava, rivestiti in pannelli compositi di alluminio (esterno) e legno
(interno), che ben rappresentano il concetto di provvisorio. Negli stessi
anni, Eduard Boehtlingh realizza Markies, una casa su ruote profonda 2 metri
e lunga 4,5 metri, che moltiplica la superficie attraverso un sistema a
soffietto che estende le pareti piu' lunghe.
Quanto all'Italia, dopo le sperimentazioni degli anni Settanta, solo di
recente si sono evidenziati su questo tema concorsi (come il recente Living
Box organizzato da Edilportale) e studi, tra i quali va segnalato quello
redatto nel 1995 da Anna Rita Emili/altro_studio con il progetto Absolute
box, una "scatola da abitare" realizzata in cartone pressato coibentato e
impermeabilizzato, la cui struttura e' formata da due cavalletti in acciaio
che sospendono la scatola nel vuoto, per cui variando i moduli delle pareti
in cartone e i cavalletti si ottengono superfici differenti, la cui
autosufficienza energetica e' garantita da pannelli solari mobili in silicio
amorfo.
*
Una nuova committenza
Finalmente pero' si cominciano adesso a registrare segnali di una maggiore
attenzione verso il problema dell'emergenza abitativa: a questo argomento,
nello scorso dicembre, si e' tenuta per esempio, su proposta della
maggioranza, una seduta straordinaria del Consiglio regionale del Lazio nel
corso della quale l'assessore alle politiche per la casa, Bruno Astorre, ha
fra l'altro evidenziato "l'istituzione di centri di assistenza abitativa
temporanea costituiti da strutture immobiliari di proprieta' pubblica e
residenze mobili di nuova concezione per rispondere a particolari emergenze
alloggiative". Si tratta di un primo passo verso una presa di coscienza da
parte della politica che ritorna a essere committente di opere di
architettura di questo genere.
*
Scheda: Bibliografia sulle abitazioni provvisorie
Numerose le pubblicazioni che hanno trattato il tema delle abitazioni
provvisorie, a cominciare dal testo di Peter Sulzer, Jean Prouve': Oeuvre
Complete, edito dagli svizzeri di Birkhauser nel 1999: si tratta di tre
monografie suddivise cronologicamente che raccontano il pionierismo
sperimentale nel campo della prefabbricazione. Le ricerche sperimentali di
Richard Buckminster Fuller, dalla Dimaxion House alla Wichita House, sono
presenti nell'interessante libro Your private sky, R. Buckminster Fuller
Design. Discourse, a cura di Joachim Krausse e Claude Lichtenstein, edito da
Lars Muller nel 1999. I gonfiabili delle strutture provvisorie realizzate
durante la contestazione del '68 da Ufo a Firenze sono stati raccolti nel
catalogo della mostra Radicals, a cura di Gianni Pettena edito nel 1996 da
Marsilio, ospitata all'interno della Biennale di architettura diretta da
Hans Hollein. A Parigi un gruppo di studenti, gli Utopie group, realizzo'
negli stessi anni strutture gonfiabili visibili nel sito di Jean Paul
Jungmann (www.jeanpauljungmann.fr). Il tema della provvisorieta' viene
affrontato anche dal numero tematico della rivista spagnola "Quaderns
d'arquitecture y urbanisme" dal titolo Tiempo fugaz, tiempo precario, in cui
vengono presentate le ricerche di Manuel Gausa con la M House, il campeggio
di Garcia Torrente e le Paper Log Houses di Shigeru Ban realizzate per il
terremoto di Kobe. Per quanto riguarda le tensostrutture sara' utile il
testo di Frei Otto e Bodo Rausch, Finding Form, edito da Menges nel 1995.
Nel 2003 il Nederland Architecture Institute pubblica Parasite Paradise: A
manifesto for temporary architecture and flexible urbanism in cui vengono
presentate alcune ricerche interessanti tra le quali quelle dell'Atelier van
Lieshout di Rotterdam (www.ateliervanlieshout.com/corporate3/index-b.html).
Abitazioni per l'emergenza e' il titolo della pubblicazione collettiva
realizzata da F. Donato, G. Guazzo, M. Platania, uscita per Veutro nel 1983,
in cui vengono trattati tutti i problemi relativi alle case per emergenza
individuando anche possibili soluzioni. Negli Usa il gruppo Hive
(www.hivemodular.com) riprogetta i container in modo innovativo, e navigando
sul sito si possono ordinare direttamente le diverse tipologie. Un altro
interessante gruppo americano, i Design Mobile (www.designmobile.com),
coordinato da Jennifer Siegal, ha progettato la Portable House. In Italia il
tema e' stato affrontato piu' volte, in particolare negli anni settanta, da
Zanuso e Sottsass Jr. Nell'anno appena passato Edilportale ha infine bandito
il concorso "Living Box" (www.edilportale.com/livingbox/livingbox.htm) il
cui scopo e' la realizzazione di unita' abitative prefabbricate.

2. RIFLESSIONE. LAURA COLOMBO: L'ABORTO, LA LEGGE, LE DONNE, GLI UOMINI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo l'intervento di Laura Colombo all'incontro del circolo della
Rosa svoltosi a Milano il 20 dicembre 2005. Laura Colombo e' una delle
animatrici della Libreria delle donne di Milano ed insieme a Sara Gandini e'
"webmater" del sito www.libreriadelledonne.it.]

In Italia fino al 1975 l'aborto era una pratica illegale. Utilizzato da
sempre dalle donne per far fronte a maternita' indesiderate, era tuttavia
perseguibile penalmente.
Nel 1975 un'importante sentenza della Corte Costituzionale stabiliva la
differenza tra un embrione e un essere umano - precisamente la donna
incinta -, e sanciva la prevalenza della salute della madre rispetto alla
vita del nascituro.
Ecco un frammento della sentenza della Corte Costituzionale n. 27, del 18
febbraio 1975: "non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma
anche alla salute proprio di chi e' gia' persona, come la madre, e la
salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare" (fonte:
http://www.cortecostituzionale.it).
Il 22 maggio 1978 viene approvata la legge 194, una legge di compromesso - e
leggendola si sente. Non si deve dimenticare che fu firmata da ministri
democristiani e da un presidente della Repubblica anch'egli democristiano
(Giovanni Leone). Gia' nel 1981 Laura Conti nel libro Il tormento e lo scudo
parlava di "compromesso contro le donne".
La 194 riconosce il diritto della donna a interrompere, gratuitamente e
nelle strutture pubbliche, solo in queste, la gravidanza indesiderata.
Inoltre si stabiliscono politiche di prevenzione da attuarsi presso i
consultori familiari. Ed e' ammessa la possibilita' di non operare per il
medico che sollevi obiezione di coscienza.
*
Il movimento delle donne assume sostanzialmente due posizioni nei confronti
della richiesta di una normativa sull'aborto, posizioni che sono ben
riassunte nella voce "Aborto" del Lessico politico delle donne / Donne e
medicina, una pubblicazione del 1978: "Mentre i laici e i cattolici
contrapposti portavano avanti la battaglia per l'aborto a livello
parlamentare, il movimento delle donne ha continuato separatamente il suo
dibattito. Schematizzando si possono individuare due posizioni di fondo: una
che ha visto nella formulazione di una legge che legalizzasse e rendesse
assistito e gratuito l'aborto, la conquista di un diritto civile e il
riconoscimento sociale dei diritti e della forza delle donne; l'altra
posizione non ha invece ritenuto utile per le donne una riforma sociale,
come e' una normativa sull'aborto (...). Rimanere incinte senza desiderarlo
o essere costrette ad abortire anche se si desidera un figlio provoca nelle
donne conflitti e situazioni tali che nessuna legge puo' pensare di
regolare, sistematizzare o risolvere (...). Per questo si e' chiesta
semplicemente l'abolizione del reato di aborto, la depenalizzazione; la cura
medica sarebbe stata garantita, come lo e' per qualsiasi altra necessita' di
assistenza dei cittadini".
Il fascicolo speciale del "Sottosopra rosso" del 1975 inizia con queste
parole: "Recentemente nella societa' e' prevalsa l'idea di trovare un
compromesso meno ipocrita e meno iniquo su tale problema [l'aborto - ndr],
salvo restando che tocca e tocchera' sempre alle donne assicurare la
limitazione delle nascite con i vari sistemi esistenti dei quali l'aborto e'
quello principale. Noi donne invece diciamo: 1) che non vogliamo piu'
abortire; 2) che non si puo' parlare di aborto senza chiamare in causa la
sessualita' dominante e la struttura sociale".
*
I nodi posti alla discussione dalle donne che sostenevano la
depenalizzazione dell'aborto sono pregnanti e a mio parere quelle questioni
sarebbero da porre alla discussione anche oggi, in una societa'
profondamente cambiata anche grazie all'avvento della liberta' femminile.
Naturalmente, in una situazione cosi' modificata, alcune delle risposte
potrebbero essere - a mio avviso - profondamente diverse. Vediamo le
questioni in gioco nel movimento di allora.
*
1) Principio dell'autodeterminazione.
Rivolta femminile (gennaio 1975 - identita' femminile e aborto):
"L'inconscio della donna registra che la nascita di un altro essere avviene
al prezzo dell'accettazione della sua propria morte. E nessuno, se non la
donna stessa, puo' decidere se e' giunto per lei il momento di tale
accettazione".
Gruppo donne di Torino ("Sottosopra" 1975 - la perdita del nostro corpo):
"Diritto di decidere sempre e in ogni momento in prima persona quanto e'
bene per noi".
*
2) Necessita' di una presa di coscienza femminile a partire dalla
sessualita' e, da qui, messa a fuoco della centralita' del conflitto tra i
sessi, necessita' che il conflitto si apra nella societa' (e non venga
invece "pacificato" con la legge).
Rivolta femminile (luglio 1971 - Sessualita' femminile e aborto): "Libera
maternita' e libera sessualita' devono trovare i loro significati
all'interno della nostra presa di coscienza: solo cosi' saremo sicure che la
liberta' di cui si parla e' la nostra e non quella del maschio che si
realizza attraverso di noi, attraverso la nostra piu' occulta oppressione".
"L'uomo fa l'amore come un rito della virilita' e alla donna accade di
restare fecondata nel momento stesso in cui le viene sottratto il suo
specifico godimento sessuale, nel momento in cui si compie l'atto che la
rende sessualmente colonizzata. Una volta incinta la donna scopre l'altro
volto del potere maschile che fa del concepimento un problema di chi
possiede l'utero e non di chi detiene la cultura del pene".
Collettivo cherubini (febbraio 1973 - A proposito dell'aborto): "Mentre
chiediamo l'abrogazione di tutte le leggi punitive sull'aborto (...) ci
rifiutiamo di considerare questo problema separatamente da tutti gli altri
nostri problemi (sessualita', maternita', socializzazione dei bambini e del
lavoro domestico). (...) Perche' l'aborto non sia un nuovo strumento di
oppressione, esso deve rientrare in un programma di mutamento radicale delle
nostre condizioni".
"Sottosopra "1975 (p. 3): "Non e' nel nostro interesse trattare del problema
dell'aborto per se stesso. Il nostro sforzo e' invece, mi sembra, di legare
questo problema a tutta la nostra condizione, e a una questione in
particolare, che e' quella della nostra sessualita' e del nostro corpo".
Gruppo donne di Torino ("Sottosopra" 1975 - la perdita del nostro corpo):
"Abbiamo cosi' iniziato un discorso che oltre a contestare l'impostazione
alienata della questione 'aborto', era un tentativo di incentrare il
discorso sul nostro corpo, sulla nostra sessualita', nel convincimento che
solo da questa riflessione puo' emergere una pratica autonoma originale, che
faccia esplodere la contraddizione dell'essere donne in un mondo che ci nega
continuamente in quanto tali".
Collettivo cherubini ("Sottosopra" 1975 - noi sull'aborto facciamo un lavoro
politico diverso): "Emerge qui la contraddizione tra sessualita' femminile e
sessualita' maschile, la realta' del dominio maschile sulla donna (...). La
clandestinita' dell'aborto e' una vergogna degli uomini, i quali spedendoci
negli ospedali ad abortire ufficialmente si metteranno la coscienza in pace
in modo definitivo (...). Al contrario noi donne preferiamo: o essere
lasciate in pace (le statistiche sulla frigidita' parlano chiaro) o cercare
godimento e gioia in altri modi".
Collettivo cherubini ("Sottosopra" 1975): "[necessita' di] mettere
l'accento... sulla violenza, cioe' sull'attuale rapporto di potere, di
forza, che c'e' tra uomini e donne (...). Io credo che sarebbe utile
analizzare tale rapporto di potere sia da parte di chi ha avvertito in modo
tremendo la violenza che gli uomini hanno fatto sul corpo della donna ed e'
stata frigida completamente, sia da parte di chi non e' arrivata a questa
censura e magari ha somatizzato in modo diverso, ad esempio e' ricorsa alla
finzione o alla seduzione per sostenere il proprio desiderio, per non dover
tagliare e censurare totalmente il proprio corpo".
Gruppo donne di Torino ("Sottosopra" 1975 - la perdita del nostro corpo):
"[esigenza di parlare dell'aborto] in relazione alla legge, a cio' che il
vecchio capitale esprime nella proibizione di questo intervento sul corpo
della donna, che permette di far crescere nell'illegalita' i traffici che
vanno dai meno redditizi (alcune ostetriche ecc.) ai piu' redditizi
(cliniche di lusso). Distinguiamo da questi interessi quelli di un capitale
piu' avanzato che preme per la pianificazione dei problemi inerenti alla
crescita demografica e che quindi vuole l'aborto libero in condizioni
igienico-sanitarie accettabili (...). In tutti e due i casi l'atteggiamento
e' sempre univoco, astratto: dalla negazione di questo atto si passa alla
proposta di "renderlo legale" senza andare alla radice dei motivi che
avevano prodotto questo divieto, trasgredito peraltro continuamente (...).
D'accordo sulla depenalizzazione dell'aborto in condizioni
igienico-sanitarie buone, controllato da noi donne (...). Ma non ci basta.
L'aborto non e' la soluzione".
*
3) Nell'analisi, nell'autocoscienza, emerge in forma molto forte la
frigidita' come sintomo di una sessualita' che resiste all'asservimento.
Cosa dice il sintomo della frigidita'? Che cosa permette di mettere in luce?
Attraverso la pratica dell'autocoscienza e dell'inconscio, i collettivi
femministi cercano una via politica che permetta di far fronte ai nodi che
via via emergono senza "delegare" alla legge un'improbabile soluzione. Viene
messo al centro il rapporto con la madre, luogo dell'origine e
contemporaneamente di una censura che non ha permesso la libera
significazione del corpo e del desiderio sessuale femminile.
Collettivo cherubini ("Sottosopra" 1975):"C'e' secondo me una mancata
scoperta, perche' non poteva avvenire autonomamente, liberamente, in un
rapporto libidico con la madre (...) la madre e' l'altra donna che doveva
aiutare, quindi a investire in senso sessuale, in senso fantastico,
positivo, il proprio corpo; mancando questa cosa, c'e' una proposta di tipo
coloniale e cioe' ti dicono 'guarda noi come ti desideriamo, vedi il nostro
desiderio e riconosci li' che sei sessuata'".
"Sottosopra" 1975 (p. 10): "La madre che ci e' mancata (...) la nostra
sessualita', legata alla percezione del nostro corpo, e' censurata, muta;
non esprime un desiderio autonomo nei confronti dell'uomo, ma rimane in
attesa della chiamata dell'uomo al suo desiderio".
"Sottosopra" 1975 (p. 13): "Si parlava di questo rapporto con la madre, che
e' il primo rapporto che abbiamo avuto tutti, con la differenza che gli
uomini l'hanno avuto con una donna, e noi invece... anche. (...) Ho l'idea
di trovare proprio li' qualche cosa che ci dia un'indicazione diversa,
nuova, che ci individui davvero come donne. (...) Da donna a donna si puo'
forse ricostruire qualcosa di perso e che non ha mai avuto modo di crescere
e di diventare reale. Tra noi potremmo ritrovarci madri l'un l'altra e
ricominciare da li', dalla percezione di un corpo uguale e potremmo al fine
trasmetterci qualcosa di diverso che non questa censura del nostro
desiderio, o questo rifarsi al desiderio dell'uomo che ci chiama a
soddisfarlo".
*
Torniamo alla legge, che sancisce in parte il principio
dell'autodeterminazione femminile, per quanto, come dicevamo, sia un
compromesso.
Contro questa legge vennero avviate tre raccolte di firme per indire
altrettanti referendum: una da parte dei Radicali (che ne chiedevano una
modifica in senso piu' ampio), e due da parte del Movimento per la vita (una
per un'abrogazione "minimale", una per l'abrogazione totale). Quest'ultimo
verra' poi dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale.
Il 17/18 maggio 1981 il voto: la proposta cattolica venne bocciata a
schiacciante maggioranza (68%), quella radicale anche (88%).
Tuttavia gli attacchi (in senso restrittivo) alla legge, o meglio, i
tentativi di una sua correzione non sono mancati dopo il referendum
abrogativo, anche da parte di uomini del centrosinistra.
Mi chiedo: qual e' il fine di questi attacchi? Di fatto, dopo la perdita
secca del referendum abrogativo del Movimento per la vita la posta in gioco
della politica istituzionale non ha piu' potuto essere il ritorno
nell'illegalita' dell'aborto. Infatti questa legge e' considerata una legge
forte, su una materia delicata e difficile da legiferare. Non mi pare che
sia tanto la legge la cosa da difendere, ma sicuramente c'e' da portare
avanti una battaglia culturale perche' non passino alcune idee sulle donne,
sul piacere, sulla vita, sulla morte, il fatto che l'aborto sia qualcosa di
immorale, ecc., perche' altrimenti si forma un blocco ideologico, con
personaggi anche molto distanti che pero' per esempio sull'aborto sono
alleati. Certamente poi c'e' il calcolo politico, che e' di ottenere i
favori della chiesa cattolica (irriducibilmente contraria alla pratica
abortiva).
*
Andando a rileggere articoli che riguardano questo tema, ho notato una sorta
di ripetizione: ogni volta, e anche questa volta, c'e' in ballo la paura
degli uomini, il tentativo di introdurre nei consultori personaggi del
Movimento per la vita che dissuadano le donne, la questione dei diritti
dell'embrione.
Rossana Rossanda, in un articolo del "Manifesto" del 2 giugno 1988 commenta
la posizione di Giuliano Amato che pone in discussione il fondamento stesso
della legge sull'aborto: la decisione autonoma della donna. La 194 ha
riconosciuto che spetta alla donna la decisione per un processo che si
compie in lei sola; ma cio' non significa negare la partecipazione affettiva
dell'uomo in una scelta cosi' importante. Significa solo che l'uomo non
potra' piu' dire, come dice Amato, "non tollero che non nasca un figlio che
io voglio". Qui emerge il tema ricorrente della paura dell'uomo, paura della
perdita di controllo, paura dell'unico potere in mano alla donna - potere di
dare la vita...
Annamaria Guadagni, in un articolo dell'8 marzo 1989 pubblicato su
"L'Unita'" scrive: "fuori dal corpo della donna si combatte un'altra
battaglia. La guerra non dichiarata tra l'uomo che vede se stesso embrione
davanti al fantasma di una madre distruttiva e non accogliente. E quella
dichiarata e combattuta da millenni per il diritto patriarcale sulla prole,
che ha fatto scempio del corpo delle donne, ridotto a strumento e oggetto di
contrattazione".
Lea Meandri in un recente articolo pubblicato su "Liberazione" (27 novembre
2005) dice: "Limitarsi ad affermare il primato della donna nella
procreazione (...) significa anche, purtroppo, offrire un'occasione facile
alla misoginia di ogni tipo, e alle paure infantili piu' profonde di ogni
individuo, per affermare il diritto del bambino a nascere, sulla base di
quel gioco di identificazioni che agiscono quasi sempre inconsapevolmente e
in modo diverso nella vita di ognuno". E propone di rimettere al centro il
conflitto tra i sessi nella sessualita', propone di ricominciare a parlare
di sessualita', oltre a manifestare in difesa della legge.
Nel 1989, in un articolo sul "Manifesto", Grazia Zuffa (allora senatrice del
Pci) evidenzia come l'allora ministro democristiano Donat-Cattin,
antiabortista di ferro, nella sua relazione annuale ha di mira la
trasformazione dei consultori statali in presidi di dissuasione
dell'interruzione di gravidanza. Anche oggi, come noto, siamo alla
riproposizione di questo punto. Stefania Giorgi sul "Manifesto" del 22
novembre 2005 scrive: "La lotta inesausta della Chiesa contro le donne con a
fianco vecchi/nuovi chierichetti disseminati nel centrosinistra e nel
centrodestra - ringalluzziti dal vittorioso referendum sulla procreazione
assistita (qui c'e' un'errata valutazione politica: ai referendum e' mancato
il quorum, non c'e' stata vittoria) - si ammassano nel ventre di questo
cavallo di Troia: ripensare le modalita' applicative della legge, battere il
tasto di quanto non e' stato fatto per la tutela della maternita'. La
prevenzione - affidata ai consultori e presente nella 194 - ben presto e'
scivolata nella dissuasione cui il testo della legge non fa alcun cenno".
In un articolo de "L'Unita'" del 4 marzo, Emanuele Lauricella (ginecologo,
si e' occupato di procreazione assistita con Flamigni) parla di RU-486
dicendo che se esistono i mezzi che producono il distacco dell'uovo nelle
primissime fasi non vede perche' non debbano essere usati. E sottolinea come
vi sia una mistificazione del termine "embrione", che non deve essere usato
per tutto lo sviluppo, dall'uovo fecondato alla nascita del bambino. E'
necessario usare "termini differenziati, che tra l'altro collimano con la
grande tradizione teologica, filosofica, anche della patristica cristiana".
Il termine "zigote" indica l'ovulo fecondato, che ancora non ha iniziato la
moltiplicazione cellulare. "Embrione" e' il termine che indica che le
cellule si sono differenziate in tessuti. Sente l'esigenza di "assicurare il
legislatore che l'ammasso di cellule finche' e' divisibile meccanicamente
per dar luogo a due individui differenti non e' un individuo umano. Quando
si sviluppano i tessuti allora questo organismo diventa indivisibile. E
quando l'individuo ha possibilita' di vita autonoma? Anche questo lo
possiamo dire: verso la fine del sesto mese".
Questo in parte si incrocia con la controversa questione della legge 40, la
cui esistenza e' in contraddizione con la 194. Addirittura Gianfranco Fini,
in un'intervista del 6 giugno 2005 afferma: "Ma il provvedimento approvato
[la legge 40 - ndr], a mio avviso molto restrittivo, pone un problema di
coerenza legislativa con altre leggi dello Stato. A partire dalla legge che
regola l'aborto. Il comitato che si oppone al referendum ha coniato lo
slogan 'sulla vita non si vota'. Rispetto questa posizione, pero' mi chiedo:
il principio della sacralita' della vita e' tutelato integralmente nella
nostra legislazione? Come far finta di nulla dinnanzi alla legge 194 e alla
possibilita' di interrompere la gravidanza in certi casi? Ecco la
contraddizione insanabile: se l'embrione e' vita, non lo e' ancor di piu' il
feto?".
E Stefano Rodota', in un bellissimo articolo su "La Repubblica" del 21
novembre 2005 intitolato "Se l'embrione e' piu' importante di una donna",
scrive: "Tutto per l'embrione, purche' nasca. Nulla a chi e' gia' nato, ai
bambini adottabili, che possono rimanere privi della possibilita' di
inserimento in un nucleo familiare anche quando vi sia la richiesta di
adozione da parte di una persona sola".
Certamente le questioni sono delicate, i piani molteplici, ma a me pare che
il criterio in base a cui regolarsi sia che la vita umana passa
necessariamente attraverso l'accettazione di una donna che la accoglie, la
coltiva per consegnarla al resto dell'umanita'. E' la posizione che Luisa
Muraro ha espresso in un articolo per il sito, "Sulla vita umana", e che ha
ribadito in un recentissimo pezzo, sempre per il sito, in cui afferma la
necessita' che "il diritto inscriva il principio della liberta' femminile
all'inizio della vita umana".
*
Sul cosa fare e come procedere il movimento delle donne non ha mai avuto -
per fortuna a mio avviso - una compattezza e una risposta univoca. Accanto a
una risposta di tipo "movimentista", che pure ritengo importante, si e'
sempre affiancata la necessita' di parlare, approfondire, discutere, fare
ricerca. E queste esigenze accompagnano anche la storia della 194.
In un articolo del maggio 1989 pubblicato su "Noi donne", Roberta Tatafiore
e Silvia Tozzi si interrogano: Ma la legge ci piace? Interrogano cioe' la
risposta di piazza a sostegno di una legge che presenta molte ombre. E
riportano le parole di Silvia Vegetti Finzi: "Bisognerebbe davvero creare
occasioni di incontro tra noi dove mettere insieme parti della nostra
identita' senza fughe e senza deleghe. Non per rimettersi a fare figli per
obblighi sociali. Per accettarci, col nostro istinto di procreazione, quello
che a volte ci fa incorrere nello 'scacco' dell'aborto, e pero' anche col
nostro bisogno di scelta".
Alessandra Bocchetti, in occasione della grande manifestazione del giugno
1995 diceva: "Noi del Virginia Woolf/B pensavamo di fare una convention, ma
da altri gruppi e' venuta una forte spinta per il corteo. Riteniamo che il
corteo significhi piu' che altro rabbia; e' una forma significante
rivendicazione, protesta. A mio avviso il salto che si deve fare e' di non
mostrare la rabbia, ma far agire la forza, la fermezza, la determinazione
che abbiamo. Il corteo quindi non ci sembrava una forma adatta ad esprimere
questa forza reale. In seguito abbiamo pensato a questa soluzione della
convention all'aperto dove la forma corteo potesse confluire, unirsi. Questo
mi sembra un modo per stare insieme rispettando i due sensi".
*
Ora mi chiedo: oggi cosa fare? La macchina organizzativa della
manifestazione del 14 gennaio e' in moto, benissimo, sara' un successo anche
per la forza e l'impegno che molte ci stanno mettendo. Tuttavia ritengo che
il campo in cui spendere le energie piu' preziose non sia quello disegnato
dalla reazione, anche se dalla reazione all'ingiustizia possiamo trarre la
forza per tratteggiare la contraddizione piu' stridente, quella che e'
necessario far scoppiare perche' vi siano reali modificazioni. In causa,
qui, ci sono gli uomini. Non certamente come "i soli responsabili" del
"problema aborto" in quanto portatori di una sessualita' che riproduce il
dominio sessista. Gli uomini e la nostra relazione con loro. Che non deve
rimanere (per chi ce l'ha) nel privato, ma deve essere analizzata
politicamente (quindi anche insieme alle donne che non hanno una relazione
affettiva con l'uomo) per disegnare un nuovo spazio pubblico, politico.
Non si tratta qui di correggere la legge per introdurre l'assenso dell'uomo
(che si dichiara il padre). Non voglio mettere sotto tiro il fatto che sia
la donna sola a decidere se si' o no alla vita che porta dentro. Si tratta
piuttosto di capire se l'altro, che e' un uomo, in una relazione di scambio,
mi e' necessario per un lavoro politico che parta dalla vita, dai problemi,
dagli scacchi, da quello che per lui e' una frustrazione che si trasforma
spesso in attacco (intendo: il non poter decidere, perche' e' la donna che
ha l'ultima parola sul suo corpo), per creare nuovo pensiero, una nuova
civilta', che forse, un giorno, il diritto potra' registrare. Insomma, per
non restare sempre in una posizione di "retroguardia", che si limita a
difendere i diritti gia' ottenuti, ma che non si pone come posta in gioco un
cambiamento nel sentire comune, e lascia all'avversario, alla mentalita'
conservatrice e di destra, il monopolio dei valori.
E' per questo che bisogna coinvolgerli, perche' si crei nuova cultura, un
senso comune, condiviso. Abbiamo visto che invece da parte degli uomini si
e' sempre sentita paura, variamente espressa, oppure si sente
un'accettazione intellettuale, di chi ha presente l'istanza democratica, ma
poi esce questa paura, la paura della sproporzione.
Gli uomini di oggi sono cambiati, perche' le donne sono cambiate con il
femminismo. Non si tratta piu' - a mio avviso - di separare, di dividere,
mossa importantissima del primo femminismo per una presa di coscienza
radicale, quanto di guadagnare cambiamenti, saper vedere i punti di scacco,
in una relazione politica con gli uomini (politica nel suo senso piu' largo,
che comprende la vita di tutti e ciascuno).
Se l'altro mi e' necessario, allora devo lottare per trovare lo spazio di
praticabilita' di questa relazione, perche' questo spazio ancora non c'e':
non puo' essere quello della manifestazione, non e' quello della politica
istituzionale (possiamo vederlo anche nello scambio tra Lea Meandri e
Bertinotti su "Liberazione" di ottobre).
Alcuni uomini iniziano a interrogarsi - faticosamente - a partire dalla
propria esperienza. L'abbiamo visto, per esempio, su "Liberazione", dove
Angela Azzaro ha chiesto il contributo ad alcuni a partire dalla domanda
"maschi, perche' uccidete le donne?". C'e' stato anche un convegno a Parma
nel giugno di quest'anno, intitolato "Per amore della differenza. Percorsi
di uomini e di donne per un altro rapporto tra i sessi"...
Ripartiamo a parlare di sessualita' con gli uomini, e con le donne in eta'
feconda, con quelle che ricorrono all'aborto, quelle che ne fanno a meno, in
uno spazio di ascolto che e' da inventare.
*
Alcuni numeri dell'aborto
Come nota finale, indispensabile secondo me per la discussione oggi, e'
necessario fornire alcuni dati, prodotti dallo stesso Ministero della
salute. Infatti, al fine di sorvegliare l'andamento del fenomeno, la legge
prescrive che il ministro della salute presenti una relazione annuale
sull'applicazione della legge stessa. A ottobre 2005 e' stato reso noto il
rapporto che raccoglie i dati definitivi per il 2003 e quelli generali del
2004.
Nel 2004 gli interventi sono stati 136.715, il 2,6% in piu' rispetto ai
132.178 interventi del 2003. Tuttavia bisogna sottolineare che il decremento
dal 1982 (anno in cui, con oltre 234.000 casi, si e' registrato il picco
piu' alto) e' del 41,8%.
In particolare, il contributo maggiore all'aumento della tendenza e' stato
dato dalle regioni del centro (+6%) e del nord (+4,8%), mentre nel sud e
nelle isole e' stato registrato un leggero calo (-0,1%).
La valutazione della tendenza si basa sul tasso di abortivita', ossia il
numero di interruzioni volontarie di gravidanza (in sigla: Ivg) per 1.000
donne in eta' feconda (15-49 anni). Il tasso di abortivita' e' passato dal
9,6 per 1.000 del 2003, al 9,9 per 1.000 del 2004.
Dal 1983 al 2003, i tassi di abortivita' sono diminuiti in tutti i gruppi di
eta', con riduzioni meno marcate per le donne con meno di 20 anni (-12,5%),
inoltre, dal 1995, e' stato osservato un leggero aumento per le classi di
eta' 20-24 e 25-29 anni.
La distribuzione per titolo di studio segue un andamento gia' rilevato negli
anni precedenti con prevalenza di donne in possesso di licenza media
inferiore (46,4%) e superiore (40,4%).
Per quanto riguarda lo stato occupazionale si e' evidenziata una prevalenza
di donne con un lavoro (48,9%), mentre il 27,1% e' casalinga e il 10,1%
studente.
Un dato rilevante e' quello relativo alle donne straniere, che hanno
praticato l'aborto in Italia, e che sono passate da quasi 9.000 nel 1995,
anno in cui si e' iniziato sistematicamente a rilevare l'informazione sulla
cittadinanza, a 29.000 nel 2002, con un aumento complessivo del 226,3%, per
arrivare a circa 32.000 del 2003. Nel 2003 gli interventi di interruzione
delle donne straniere hanno rappresentato il 25,9% del totale delle Ivg,
mentre, per esempio, nel 1998 tale percentuale era del 10,1%.
(fonte: www.ministerosalute.it)

3. RIFLESSIONE. MARIO PORRO: ETICA AMBIENTALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 gennaio 2005. Mario Porro e' docente di
filosofia, saggista e traduttore]

Quando si discute di tutela dell'ambiente si da' spesso per scontato che
l'unico valore sia il benessere dei cittadini: pur riconoscendo che le
esigenze economiche non debbono costituire l'unico criterio di valutazione,
si e' comunque convinti che il fine resti l'utilizzo delle risorse naturali
a vantaggio della nostra specie. Del resto, nella cultura dell'Occidente,
l'altro a cui si deve rispetto, il prossimo a cui rivolgere il nostro amore,
restano confinati entro la cerchia dell'umano, in genere inteso in termini
individuali. Nettamente separato dagli altri viventi, in virtu' del possesso
di un'anima, della ragione, di una vita sacra, solo l'uomo e' fine in se',
diceva Kant, non puo' dunque essere trattato in modo strumentale o
utilitario, come facciamo con le cose o con i viventi non umani.
Ma e' proprio inevitabile lo "sciovinismo umano", il privilegio di specie
che ci rende portatori esclusivi di diritti e di rispetto morale? Per i
sostenitori dell'etica ambientale altre strade sono possibili, e due libri
editi di recente ci forniscono mappe preziose per attraversare questo
territorio ormai variegato, percorso da accenti e correnti diverse:
Filosofie dell'ambiente di Serenella Iovino per Carocci e Valori selvaggi,
un'antologia curata da Roberto Peverelli e edita da Medusa.
*
L'atto di fondazione dell'etica ambientale potremmo indicarlo nella proposta
di un'etica della terra che l'amministratore di foreste Aldo Leopold incluse
nel suo Almanacco di un mondo semplice (1949, edito in Italia da Red).
Il principio a cui ispirare il nostro agire viene cosi' formulato: "e'
giusto cio' che tende a mantenere l'integrita', la stabilita' e la bellezza
della comunita' biotica". Tale prospettiva eco-centrica muove dalla
consapevolezza della nostra appartenenza a una comunita' piu' ampia di
quella sociale, a un oikos, una casa comune, i cui abitanti includono il
suolo, le acque, le piante e gli animali: la terra intera che forma, in
termini ecologici, un sistema di parti interdipendenti. Gli ultimi arrivati
fra gli ospiti della terra hanno imposto la logica del parassita per farsi
conquistatori dell'ambiente: ma nel villaggio globale di cui siamo cittadini
e non proprietari, le sorti dell'umanita' sono ormai connesse al destino
stesso del pianeta. Come scrive Edgar Morin, nell'Etica (Raffaello Cortina
editore), sesto volume del suo percorso enciclopedico, proprio la
possibilita' che oggi ci e' data di sconvolgere la biosfera dovrebbe indurci
finalmente a un'etica della convivialita' simbiotica. Del resto, nell'etica
planetaria alla quale Morin ci esorta riecheggiano istanze analoghe a quelle
intrinseche al "contratto naturale" di Michel Serres o al "principio
responsabilita'" con cui Hans Jonas esprimeva il dovere dell'umanita'
presente di conservare l'ambiente per le generazioni future.
*
Ma e' soprattutto negli Stati Uniti che si e' sviluppata negli ultimi
decenni un'etica ambientale (Environmental Ethics, da cui prende il nome
anche la rivista piu' significativa in questo campo di studi) nel solco
dell'eredita' lasciata da Leopold.
Per John Baird Callicott, l'etica ambientale costituisce una sfida piu'
radicale di quella promossa dalla sua parente prossima, la bioetica, dove
l'approccio dominante resta centrato sull'individualita' della persona. La
lezione sistemica dell'ecologia ribalta infatti il primato degli oggetti
sulle relazioni, tipico della scienza classica, ci offre della realta' non
l'immagine atomistica di un insieme di enti separati, ma quella di un
processo, di un campo di relazioni (immagine che Callicott ritrova nella
meccanica quantistica). L'invito di Leopold a pensare come una montagna,
cioe' in modo integrato, tenendo conto delle complesse relazioni che si
stringono in un ecosistema, prelude al motto di Gregory Bateson, "pensare
come pensa la natura".
Le correnti ispirate all'etica della terra promuovono, dunque, istanze
diverse da quelle dei teorici della liberazione o dei diritti degli animali,
sostenute dall'australiano Peter Singer o da Tom Regan; non si richiamano al
criterio della capacita' individuale di provare dolore, ne' accolgono
credenze mistico-religiose, come in Albert Schweitzer, seguace del principio
della sacralita' di ogni forma di vita. Le etiche ecocentriche tendono
invece a rivedere i principi dell'etica sulla base delle nozioni cardine
delle scienze naturali, ad esempio la nozione di equilibrio omeostatico e di
conservazione della biodiversita': la caccia puo' essere allora legittima,
non si richiede di abbracciare il vegetarianismo, anche se un'etica
eco-centrica spinta ai suoi estremi dovrebbe per coerenza auspicare, dicono
i critici, la scomparsa della stessa specie umana, dannosa all'oikos per
l'impatto dei suoi consumatori parassitari.
*
Altro rappresentante della Environmental Ethics e' il pastore presbiteriano
Holmes Rolston III, la cui riflessione muove dal rifiuto del vecchio
principio di Protagora per cui l'uomo e' misura di tutte le cose. I valori
non sono semplice attribuzione del soggetto, e' la natura stessa a
generarli: di qui la "svolta selvaggia" (dal saggio di Rolston e' tratto il
titolo della raccolta di Peverelli) in base alla quale dovremmo riconoscere
nella wilderness (nella natura selvaggia) la matrice originaria e il museo
vivente del radicamento umano nella natura. Invece di ribadire la grande
separazione tra fatti e valori, tra scienza descrittiva ed etica
prescrittiva (separazione contro cui si batte da tempo anche Hilary Putnam),
Rolston riconosce nell'armonica interconnessione degli enti naturali una
saggezza a cui adattarsi, quasi recuperando l'antico principio stoico del
naturam sequi.
"In cio' che e' selvaggio si preserva il mondo", scriveva a meta'
dell'Ottocento Henry D. Thoreau, che sulle rive del lago Walden aveva
cercato di ritrovare un'esistenza non alienante, informata al contatto
diretto con la natura. Il culto della wilderness e' un tratto peculiare
della cultura degli Stati Uniti e dell'Australia; ma, come ha notato
Callicott, l'idea di wilderness nasconde in se' un elemento ideologico ed
etnocentrico: e' allo sguardo del colonizzatore, a cui erano familiari i
paesaggi dell'antropizzazione europea, che le terre d'America appaiono
selvagge, una sorta di natura originaria su cui far giocare il mito della
frontiera, degli spazi aperti e incontaminati che attendono di essere
conquistati, cioe' in realta' strappati agli antichi abitanti, agli indigeni
ritenuti ancora prossimi alla condizione animale. In fondo "e' stata la
civilta' a creare la wilderness", come ha scritto Roderick Nash nell'ormai
classico Wilderness and the American Mind (1967).
Ma al di la' dei tratti che differenziano le diverse scuole di etica
ambientale, resta in essa l'istanza di superare la logica del dominio della
natura in cui lo storico delle tecniche Lynn White vide un portato della
tradizione ebraico-cristiana. Il saggio di Karen Warren, che chiude la
raccolta edita da Medusa, ricorda che femminilizzazione della natura e
naturalizzazione delle donne sono due aspetti solidali della logica
dell'oppressione: se la civilta' si misura dalla capacita' di confrontarsi
con l'alterita', della natura o delle culture, l'eco-femminismo sollecita a
concepire se stessi a partire dallo stare in relazione con altri, inclusi i
non-umani di cui dobbiamo prenderci cura e rispettare la differenza.

4. RISTAMPE. LEV TOLSTOJ: TUTTI I RACCONTI
Lev Tolstoj, Tutti i racconti, 2 voll., Mondadori, Milano 1991, 2005, pp.
CXXXVI + 1240 (vol. I) + 1516 (vol. II), euro 12,90 + 12,90 (in edicola in
supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Igor Sibaldi, la
fondamentale edizione italiana di tutti i racconti di Tolstoj nella collana
dei "Meridiani". Vivissimamente la raccomandiamo.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1169 dell'8 gennaio 2006

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