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La nonviolenza e' in cammino. 1158
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1158
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 28 Dec 2005 00:24:22 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1158 del 28 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Silvana Sacchi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. Piu' che una rivista 3. Cindy Sheehan: Il linguaggio del cuore 4. Una intervista di Gianpiero Landi a Luce Fabbri del 1981 (parte seconda) 5. Letture: Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Oltre la guerra. Annuario geopolitico della pace 2005 6. Letture: Reporters sans frontieres, Il libro nero della guerra in iraq 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. SILVANA SACCHI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Silvana Sacchi (per contatti: ssacchi at libero.it) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera personale. Silvana Sacchi e' impegnata nei movimenti nonviolenti ed in esperienze di formazione e di iniziativa nonviolenta] Da molti anni ormai frequento il Movimento Internazionale della Riconciliazione-Movimento Nonviolento, sono stata coordinatrice di campi estivi in giro per l'italia e ho sempre proposto l'abbonamento ad "Azione nonviolenta", in quanto la ritengo una rivista utile e attuale per i temi trattati, oltre che libera. E' importante che i nonviolenti abbiano uno spazio di informazione e di approfondimento critico, aperto ovviamente a chiunque lo voglia. Consiglio "Azione nonviolenza" soprattutto perche' la nonviolenza mi sembra l'unica via d'uscita, per quanto difficilmente praticabile su livelli macro, da un sistema di vita sempre piu' folle, veloce e vorace, e quindi violento sotto tutti i punti di vista... 2. STRUMENTI DI LAVORO. PIU' CHE UNA RIVISTA "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: IL LINGUAGGIO DEL CUORE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra] Sono stata in Europa per due settimane. In Gran Bretagna ho ricevuto il benvenuto di Ken Livingston, il sindaco di Londra, e sono stata salutata dal ministro degli esteri, dal vicepresidente e da altri membri del Parlamento: queste storie ve le raccontero' in un prossimo articolo. L'onore piu' alto che provo oggi, negli Usa e in Europa, e' incontrare le famiglie i cui figli sono stati uccisi nella "guerra al terrorismo" che George Bush ha dichiarato al mondo. Non ha importanza se parliamo un inglese dai differenti accenti, o spagnolo, o l'inglese con l'intonazione di Glasgow della mia sorella scozzese nel dolore, Rose Gentle, il cui figlio dolcissimo e' stato ucciso in Iraq nel luglio 2004: i nostri cuori parlano lo stesso idioma di sofferenza e cantileniamo lo stesso lamento per una perdita inutile. In Scozia, mentre incontravamo i ministri al Parlamento e chiedevamo loro di far pressione sul governo a Londra e di ritirare le truppe scozzesi dall'Iraq, con noi c'era Sue Smith, una donna il cui figlio Philip e' parimenti morto in Iraq lo scorso anno. La sua voce fluttuava e vibrava della perdita incalcolabile, mentre narrava del tradimento che ha sentito di patire, nel seppellire suo figlio cosi' presto e nell'udire le menzogne di Blair, compagno di Bush in crimini di guerra. La ferita nel suo cuore era fresca, e sanguinava apertamente. Nei suoi occhi ho visto il mio cuore quale esso era un anno fa. Alla Conferenza internazionale per la pace a Londra ho incontrato il padre di Shaun Brierly, Peter. Shaun era nell'esercito britannico, ed e' morto nel marzo 2003, durante i primi giorni di guerra. Peter ha cercato di disperdere il mio umore grave con il suo quieto umorismo. Ha tentato di descrivermi cos'e' stato per la sua famiglia perdere Shaun. In un pub abbiamo brindato ai nostri figli, al nostro dolore, e in special modo alla nostra risoluzione di mettere fine alla guerra, e di smascherare i farabutti che governano i nostri paesi in modo vergognoso. Guardandoci negli occhi appannati di lacrime, ci siamo promessi l'un l'altra che saremmo rimasti fermi e forti nel nostro proposito. Sempre alla Conferenza ho conosciuto Reg Keys e John Miller: entrambi i figli di costoro sono "morti in azione". Ci siamo presi in giro a vicenda per i nostri vestiti: eleganti i loro, da ginnastica i miei. Reg Keys si era candidato contro Blair alle elezioni, l'anno scorso, ed ha avuto un risultato dignitoso. Lui e John si sostengono a vicenda nel dolore. E' duro esprimere la sofferenza, per i padri. Noi madri apriamo il cuore piu' facilmente, i padri tentano di tenersi il male nel cuore, di controllarlo. Ho anche incontrato Ann Laurence, che mi ha descritto la dolce campagna inglese in cui vive e mi ha mostrato le foto del suo bel figlio morto in Iraq, Marc. Aveva una voce quieta, e gli occhi colmi di stanchezza e di lacrime pronte a scorrere. * In Spagna, ho incontrato due donne i cui figli sono stati uccisi dalle politiche dei governi degli Usa e della Gran Bretagna, due governi che mano nella mano hanno condotto i nostri paesi ad un'invasione impossibile ed immorale, all'occupazione di un paese innocente e per lo piu' privo di difese. Maribel Permuy e' la madre del cameraman Jose' Couso, ucciso all'Hotel Palestine l'8 aprile 2003, assieme ad altri giornalisti. Con le nuove prove che si manifestano, rispetto al desiderio di Bush di uccidere i giornalisti di Al Jazeera ed alla vicenda del fuoco aperto su Giuliana Sgrena e sui suoi soccorritori, io trovo difficile credere che l'omicidio di Jose' sia stato un incidente. La magistratura spagnola ha aperto un procedimento contro le truppe Usa che spararono un missile sull'albergo. Maribel non parlava inglese, ed io lo spagnolo lo so poco, ma i nostri cuori si sono capiti subito: il dolore e la speranza li hanno messi in relazione. In Spagna e nei paesi latino-americani mi chiamano "Madre Coraje" (Madre Coraggio), ma Maribel lo e' molto piu' di me. E' decisa ad ottenere giustizia per il proprio figlio, in modo fermo e privo di compromessi. E' il suo amore incondizionato, imperituro, per Jose' e per gli altri suoi figli a darle la forza di lottare. Abbiamo riso e pianto cosi' tanto, insieme, che mi chiedo se avremmo davvero comunicato meglio, parlando la stessa lingua. Ho anche incontrato Pilar Mahon, a Madrid, una delle portavoci delle famiglie colpite dall'agguato terroristico dell'11 marzo 2004. Suo figlio Daniel e' morto di quelle bombe. Il giorno in cui ci siamo viste, Daniel avrebbe compiuto 22 anni. Pilar aveva gli occhi rossi dal pianto e riusciva a stento a parlare, ma quando lo ha fatto la sua voce si e' levata contro George Bush e l'ex presidente spagnolo Aznar, contro una guerra basata sui sogni di petrolio dei neocons. La stessa bugia del "combattiamoli laggiu', cosi' non dovremo combatterli in casa" ha ucciso mio figlio Casey e Daniel. * Io brucio dall'indignazione, quando incontro persone come Pilar, che dovrebbero festeggiare il compleanno dei figli e il Natale, ma che passano i giorni a piangere sulle tombe dei loro ragazzi. C'e' cosi' tanta gente che in questi giorni celebrera' festivita' segnate dalla sofferenza. Il Natale e' durissimo, per noi, non solo perche' abbiamo perduto i nostri figli, ma perche' ricordiamo la felicita' dei Natali passati. Fa male ricordare le mattine in cui i bambini sono venuti a svegliarti, perche' volevano aprire i regali portati da Babbo Natale. Fa male tirare fuori le decorazioni, e appendere le calze, sapendo che una restera' vuota per sempre. Percio' la maggior parte di noi evita i festeggiamenti tradizionali, e in quei giorni cerchiamo di sostenerci a vicenda attraverso la devastazione che ha sconvolto le nostre vite. Una devastazione inutile, che si poteva evitare. I nostri cuori vanno direttamente a collegarsi a tutti coloro che quest'anno stanno sperimentando il lutto e la perdita, anziche' il piacere e la gioia di stare insieme. George Bush e gli altri distributori di dolore si prenderanno invece un giorno o due di pausa dallo spiare gli americani, per festeggiare il Natale. Dick Cheney non prova sofferenza per la tragica perdita di vite umane che la sua avidita' ha causato. Ha avuto persino, pochi giorni fa, la spudoratezza di fare una visita "a sorpresa" in Iraq. Come osa mostrare la faccia in un paese distrutto dalla sua insaziabile ricerca di oro nero, dall'oscena cupidigia per il profitto della sua compagnia, la Halliburton, e degli altri profittatori di guerra? Il male che questa gente ha fatto al mondo e' incalcolabile. I popoli della terra vorrebbero che al loro dolore fosse data risposta, e vorrebbero un poí di giustizia per i danni che hanno subito. * Comunque celebriate le feste in questi giorni, per favore, ricordate le famiglie che tenteranno di farlo con una parte di loro che manca. Ma soprattutto vi prego di ricordare gli americani e gli iracheni che rischiano di morire in Iraq di vecchie e nuove menzogne. In conclusione, voglio riportarvi l'estratto di una e-mail che ho ricevuto da una madre irachena. Suo figlio, Zaydoun Mamoun Fadhil Al-Samarai, un "insorgente" sciita, fu coinvolto nella stessa battaglia in cui Casey mori'. Zaydoun fu ucciso successivamente. "Noi, amica mia, pur nel marchio del dolore possiamo lavorare insieme, ognuna di noi nel luogo in cui si trova, e mettere fine allo spargimento di sangue, ed andare insieme verso la pace e l'amore che prevarranno, invece che verso la guerra. Insieme, cara signora, possiamo lavorare per dare speranza di felicita' a tutte le madri, perche' abbiamo fatto esperienza del male, abbiamo perso i nostri figli. Chi non fa esperienza del dolore non capisce davvero la gioia. Saro' davvero felice solo quando la guerra finira', e allora festeggeremo nella mia citta', Samara, la citta' in cui il mio figlio maggiore Zaydoun era nato. Zaydoun che avrebbe dovuto lamentare la mia morte, ed invece io ho dovuto lamentare la sua un mese prima che si sposasse. Ti mando anche i saluti della sua fidanzata, che ancora lo piange. Infine, accetta la mia profonda simpatia, da una madre che ha perso il proprio figlio ad un'altra madre che ha perso il suo. Io spero che ci incontreremo, in cammino verso la pace, verso l'amore. George Bush e gli altri hanno insegnato a troppa gente, nel mondo, il linguaggio del dolore tramite le loro bugie e le loro dottrine dell'uccisione preventiva con lo scopo del profitto. Abbiamo bisogno di imparare un nuovo linguaggio, una lingua amorevole e pacifica con cui dobbiamo parlare, e persino urlare, ai nostri governanti, che capiscono solo l'idioma dell'avidita' e dell'omicidio. Peace, shalom, paz, salaam". 4. MEMORIA. UNA INTERVISTA DI GIANPIERO LANDI A LUCE FABBRI DEL 1981 (PARTE SECONDA) [Dal sito www.socialismolibertario.it riprendiamo la seguente intervista a Luce Fabbri a cura di Giampiero Landi apparsa su "A rivista anarchica" nel n. 95 dell'ottobre 1981 (sito: www.arivista.org). Gianpiero Landi (per contatti: gplandi at racine.ra.it) e' un prestigioso studioso e valoroso militante libertario. Tra le opere di Giampiero Landi: (a cura di), Andrea Caffi, un socialista libertario, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1996. Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti: Luce Fabbri, vivendo la mia vita, apparsa su "A. rivista anarchica" dell'estate 1998 (disponibile anche nella rete telematica alla pagina web: http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/247/22.htm; ora anche nel sito: www.arivista.org). Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org)] Sindacalismo e libera sperimentazione - Gianpiero Landi: Qual era l'atteggiamento di tuo padre nei confronti del sindacalismo e dell'organizzazione operaia? - Luce Fabbri: Fin dove rimontano i miei ricordi direi che mio padre non e' mai stato sindacalista in senso proprio. Lui e' stato sempre partigiano del sindacato unico. Sosteneva la necessita' di lavorare in seno all'unione di tutti i lavoratori della categoria, facendo la propria propaganda dentro un organismo che raggruppasse i lavoratori di tutte le opinioni. Anche quando piu' spingeva per l'organizzazione operaia, si trattava di un'organizzazione non tipicamente anarchica, come invece avveniva per esempio in Spagna, dove esisteva un sindacalismo anarchico. Al contrario lui riteneva che la cosa migliore fosse la coesistenza distinta dei gruppi anarchici organizzati su base ideologica, e del sindacato organizzato su un piano esclusivamente operaio di lotta contro i padroni. E' sintomatico che, pur apprezzando gli sforzi di Borghi e degli altri compagni entrati nell'Usi, egli nel primo dopoguerra preferisse aderire alla Cgdl. Negli ultimi anni, in Sud America, il problema si ripropose. Egli dovette sostenere polemiche con anarcosindacalisti locali, che vedevano nella Foru (Uruguay) e nella Fora (Argentina) la soluzione del problema di quella che chiamavano la "militanza rivoluzionaria". C'erano molti in Argentina che non ammettevano neppure i gruppi. Dicevano che il sindacato anarchico era sufficiente. * - Gianpiero Landi: In quest'ultimo periodo forse, al di la' delle concezioni teoriche sulla funzione dei sindacati, vi era anche una percezione della trasformazione che il sindacalismo e la classe operaia avevano subito nel corso dei decenni. - Luce Fabbri: Naturalmente. C'era quello e c'era anche un'altra cosa: la convinzione profonda della necessita' della tolleranza reciproca fra le diverse tendenze rivoluzionarie. Io credo che non fosse arrivato a un superamento completo del classismo, ma era su quella strada. Quando e' morto era ancora giovane. * - Gianpiero Landi: Nell'ultimo periodo della sua vita Fabbri ha dato molto rilievo al concetto della libera sperimentazione, inteso come coesistenza di piu' tendenze che confrontano sul piano dei fatti le loro creazioni e che di volta in volta possono anche collaborare insieme a imprese comuni, in uno spirito di tolleranza. Mi sembra che questa concezione egli non intendesse applicarla solo all'interno del movimento anarchico, ma anche nei rapporti tra le varie forze antifasciste. - Luce Fabbri: Egli era decisamente pluralista. Nel campo della lotta, e anche della ricostruzione post-rivoluzionaria, non pensava a una soluzione unica dei problemi. Anche se fino all'ultimo si ritenne un comunista anarchico, non pensava che quella dovesse essere la soluzione unica, perche' evidentemente se si presenta come soluzione unica deve essere una soluzione di tipo autoritario. Egli pensava ad esempio che la piccola proprieta' agraria che non implica sfruttamento, soprattutto in regioni in cui essa risponde alle caratteristiche del suolo, come in montagna, non dovesse essere toccata; si poteva naturalmente fare opera di persuasione per un'eventuale collettivizzazione, ma finche' non ci fosse uno sfruttamento di manodopera sottomessa, si doveva rispettare. L'uniformita' gli ha sempre fatto paura. Pur sostenendo il pluralismo delle tendenze, riteneva importante mantenere distinzioni precise, senza confusioni. Non ha mai amato le riviste e i giornali eclettici nel movimento, e le pubblicazioni da lui fondate erano anzi nettamente indirizzate. Quando gli proponevano di pubblicare articoli di tendenze diverse rispondeva: "Bisogna creare un altro giornale. Questo e' stato fatto per sostenere questa linea". Se pubblicava qualcosa di altre tendenze la faceva seguire sempre da un commento, da una discussione. Riguardo i rapporti con le altre forze antifasciste, ritengo che meriti di essere ricordata la risposta che egli diede all'inchiesta promossa da "Giustizia e Liberta'" sulla tattica futura delle diverse tendenze, dopo che il fascismo fosse stato sconfitto. Egli sostenne che l'atteggiamento del movimento anarchico sarebbe dipeso a suo avviso soprattutto dalla liberta' d'azione e di sperimentazione che le tendenze maggioritarie avrebbero concesso alle minoritarie. Nel campo antifascista l'anarchismo era evidentemente una tendenza minoritaria in quel momento. * Di fronte a "Giustizia e Liberta'" - Gianpiero Landi: Tuo padre segui' con attenzione e una certa simpatia, per quanto critica, la nascita, con "Giustizia e Liberta'", di un movimento che si richiamava al socialismo di Rosselli. Potresti precisare il suo atteggiamento nei confronti di "Giustizia e Liberta'"? - Luce Fabbri: "Giustizia e Liberta'" e' sorta in un momento molto difficile, su un terreno molto vicino a noi. Noi eravamo gia' in America, ma erano i primi tempi, e si viveva ancora nell'atmosfera francese. L'esilio creava una fraternita' speciale, e' una questione biografica, non ideologica. Ha creato anche dei dissensi, come sempre succede, a volte molto violenti. Ma a Parigi, ricordo, c'era una comprensione reciproca tra le diverse tendenze antifasciste, o meglio tra le diverse persone. E' evidente che la tendenza di "Giuszia e Liberta'" era quella che piu' si avvicinava a noi. Erano socialisti, e al tempo stesso molto preoccupati della sussistenza della liberta' in seno alla rivoluzione. Mio padre naturalmente avvertiva che bisognava stare attenti a non considerare "Giustizia e Liberta'" come un movimento libertario, in quanto essa continuava a muoversi sul piano delle istituzioni tradizionali parlamentari, con idee molto nuove, pero' sempre nell'ambito di uno schema democratico tradizionale. Era questo che suscitava in lui certe diffidenze per il futuro ma aveva molta simpatia per le persone, per la loro buona fede e anche vedeva con molto piacere l'avvicinamento di questa tendenza, che era socialista, a posizioni di tipo quasi libertario, soprattutto in un momento in cui il dogmatismo comunista si faceva sentire in modo piuttosto forte ed esercitava un certo fascino perche' sembrava piu' efficace nella lotta antifascista. Era un modo di uscire dalla strettoia di un assolutismo che suscita l'assolutismo contrario. Quello che preoccupava mio padre era cio' che "Giustizia e Liberta'" avrebbe realmente fatto all'indomani di un movimento antifascista trionfante se fosse stata maggioritaria di fronte alle altre tendenze, e avesse avuto il potere, o una parte del potere nelle mani. * Violenza, furto, banditismo - Gianpiero Landi: Tuo padre ha sofferto molto per l'esperienza dell'esilio? In Sud America e' riuscito a inserirsi nell'ambiente dei compagni? - Luce Fabbri: L'esilio gli e' pesato moltissimo. Lui era attaccatissimo all'Italia, agli amici, alla sua biblioteca, e veramente doverli lasciare e' stato un sacrificio terribile. A Montevideo aveva intorno a se' un gruppo di compagni soprattutto italiani, ed ebbe relazioni molto cordiali con numerosi altri. L'Uruguay era un paese accoglientissimo. Attraversava in quel momento condizioni difficili dal punto di vista economico, c'era una crisi molto forte. Noi avemmo subito appoggio morale e aiuto materiale da parte di compagni ed amici, da parte anche di persone che non erano proprie del nostro campo. Le nostre idee nell'Uruguay erano molto popolari, molto appoggiate. Avevano attorno a se' tutta un'aureola tradizionale, perche' erano state il punto di partenza del movimento operaio. Avere delle idee significava essere anarchici. "Anch'io da giovane avevo delle idee", ci dicevano, e voleva dire "sono stato anarchico". S'e' trovato pero' in dissenso teorico, con molti compagni latino-americani, sulla questione sindacale, cui ho gia' accennato. Poi c'e' stato un motivo di tristezza supplementare per il fatto che dal gruppo anarchico italiano di Buenos Aires era partito un fenomeno di banditismo legato al nome di Severino Di Giovanni, che fu molto amaro, per lui anzi amarissimo. Voglio appunto approfittare dell'occasione per fare alcune precisazioni. E' uscito un libro di Osvaldo Bayer su Di Giovanni. Si tratta di un buon libro, ma presenta mio padre come difensore di Di Giovanni, sulla base di una lettera che mio padre effettivamente scrisse, ma non tiene conto poi di tutto il resto, che evidentemente Bayer ha ignorato. Mio padre si oppose al fenomeno del banditismo in modo molto energico fin dal primo momento. Scrisse quella lettera in difesa di Di Giovanni, e partecipo' nello stesso senso a un giuri' posteriore, perche' Di Giovanni stesso era stato accusato di essere un agente della polizia, con un'evidente falsita'. Evidentemente era la passione del momento che aveva portato i compagni della "Protesta", il quotidiano anarchico di Buenos Aires, a esagerare. Volevano dire che Di Giovanni faceva il gioco della polizia. Questo era vero, perche' metteva in cattiva luce il movimento e rendeva piu' popolari, o meno impopolari, le persecuzioni contro gli anarchici, ma cio' non significava che egli fosse un agente. In conseguenza di quest'accusa ci fu l'assassinio di Lopez Arango, il direttore della "Protesta", posteriore alla lettera di mio padre. Il fatto suscito' in mio padre una indignazione tale che egli scrisse un articolo in cui lo definiva un episodio di tipo fascista. L'articolo provoco' minacce serie di Di Giovanni contro di lui. Mando' a dire che stesse bene attento, perche' egli era pronto a passare il fiume, cioe' ad andare da Buenos Aires a Montevideo. Credo quindi che non si possa sostenere che mio padre abbia difeso Di Giovanni, e meno ancora il fenomeno come tale. L'ha difeso sul terreno su cui pensava che fosse da difendere, cioe' sul terreno della verita' di fronte a un'accusa infamante che Di Giovanni evidentemente non meritava. Ma considerava addirittura disastroso per il movimento quel fenomeno. * - Gianpiero Landi: A tuo avviso era soltanto una divergenza di opportunita' politica, oppure vi erano anche motivazioni etiche? - Luce Fabbri: Non era una questione di opportunita'. Lui aveva scritto un opuscolo, "Infiltrazioni borghesi nell'anarchismo", in cui sosteneva che il furto e' un'infiltrazione borghese, un fenomeno di parassitismo di tipo borghese nell'anarchismo. Aveva in realta' una ripugnanza di carattere morale per quel tipo speciale di sfruttamento che e' il vivere senza lavorare appropriandosi del frutto del lavoro degli altri. In realta' si tratta di un fenomeno dello stesso tipo del capitalismo. E non solo: riconosceva che potevano esserci della generosita', del disinteresse e della purezza, come indubbiamente c'erano, in alcuni che approvavano e mettevano in pratica quel metodo, ma che esso rovinava gli altri; aveva un effetto pedagogicamente negativo sul movimento e soprattutto sui giovani che potevano entusiasmarsi per quella tattica. Inoltre un fenomeno di quel tipo attrae i delinquenti comuni che praticano il furto per interesse, e che vedono nel dichiararsi anarchici o rivoluzionari una giustificazione, un modo di continuare la stessa vita pero' in un'aureola particolare, di essere aiutati come vittime politiche quando cadono nelle mani della polizia. * - Gianpiero Landi: Come collochi tuo padre nell'anarchismo? Ritieni che abbia portato dei contributi teorici al pensiero libertario? - Luce Fabbri: Egli si considerava un divulgatore, e se si puo' dire cosi', un completatore e sistematizzatore del pensiero di Malatesta: un sistematizzatore, perche' Malatesta non era sistematico, scriveva sempre sotto lo stimolo della necessita' del momento. Mio padre piu' volte ha cercato di portarlo su un piano di elaborazione teorica sistematica, e Malatesta si e' sempre schermito dicendogli: "per quello ci sei tu". Insieme formavano un tandem molto efficiente. Mio padre diceva di essere solo quello. Io non ne sono completamente convinta. Ritengo che egli abbia portato un contributo teorico, su un piano direi umanistico, di maggior contatto con le fonti anche letterarie. Malatesta non citava quasi mai; mio padre ha avuto sempre la tendenza a ricollegare. Nel 1926, durante il fascismo, quando ci furono vari sequestri successivi e praticamente "Pensiero e Volonta'" non poteva uscire, compilo' da solo un numero interamente pieno di citazioni di classici (Machiavelli, Foscolo, Dante ecc.) che naturalmente non potevano essere sequestrati, ed erano tutti inni alla liberta'. Lui sentiva molto quell'aspetto, il collegamento con tutta la storia della cultura. Questo fa si' che il pensiero malatestiano acquisti in lui un tono personale. Poi direi che in quei due o tre anni che e' sopravvissuto a Malatesta, ha pensato molto sul problema della violenza, sulle radici morali dell'anarchismo. Era arrivato alla conclusione che l'amore e' piu' anarchico della stessa idea di giustizia. Negli ultimi anni lavorava intorno a questo problema, ci pensava molto. Mi diceva che bisogna estendere alla societa' quel fattore che c'e' nella famiglia, dove spontaneamente il debole ha dei diritti perche' e' debole. E' protetto dagli altri che sono piu' forti. I genitori si preoccupano dei bambini perche' questi non si possono difendere da soli. Questo amore reciproco da' un tipo di organizzazione naturale che rende possibile l'esistenza di tutti. E' di li' che bisogna partire. Vorrei dire un'altra cosa su mio padre. Credo che sia molto importante la sua campagna contro la guerra nel 1914-'15. Parlando di lui, credo sia una cosa significativa e caratteristica la sua disperazione di fronte alla possibilita' prima dello scoppio di una guerra in generale, e poi dell'entrata dell'Italia in guerra. Egli ha preveduto gli effetti della guerra, le sofferenze umane e gli sbocchi involutivi sul piano politico, e ha cercato di fare tutto quello che poteva per contribuire ad evitarla, in modo veramente disperato. Pensava che fosse una lotta in cui valeva la pena di bruciarsi tutti perche' ci fosse risparmiata quella prova terribile. Mi pare che sia uno dei punti piu' importanti nella vita di mio padre, perlomeno un punto di vista biografico, perche' lo scoppio della guerra ha costituito per lui una scossa profonda. * Sotto la minaccia totalitaria - Gianpiero Landi: Nel tuo opuscolo "Sotto la minaccia totalitaria", dopo una chiarificazione dei termini del linguaggio politico che avevano perso nel corso delle vicende dell'ultimo secolo gran parte del loro significato, e dopo aver definito esattamente e storicamente che cosa significano liberalismo, socialismo, democrazia e anarchia, tu arrivi a sostenere che l'anarchismo e' l'erede della parte migliore del liberalismo e del socialismo. Esiste una continuita', a tuo avviso, tra questo tuo giudizio e il pensiero di tuo padre? Condividi ancora quella tua opinione? - Luce Fabbri: Direi di si' in tutti e due i casi. Io sento questa posizione come una continuazione del pensiero di mio padre. Eravamo d'accordo in quel campo. Lui mi ha educato sugli scrittori liberali, mi ha messo nelle mani i loro libri, mi ha interpretato la rivoluzione francese in senso liberale. In seno al processo rivoluzionario del secolo scorso c'e' una tradizione giacobina e una liberale. Mio padre si riattaccava piuttosto alla tradizione liberale. Non vorrei che il termine inducesse a un equivoco. Nell'opuscolo definivo liberalismo "la dottrina che si preoccupa della difesa della personalita' individuale e considerando lo Stato come un male (il liberalismo classico lo considerava come un male necessario) cerca di limitarne le attribuzioni, di diminuirne il potere". In Italia oggi, come quando scrissi l'opuscolo, liberalismo e' termine ambiguo. Nell'opinione pubblica e' diventato sinonimo di conservazione sociale, di difesa della proprieta' privata e del capitalismo. Questo significato e' abusivo. Il termine liberalismo non lo implica, e non lo ha implicato in passato. Diciamo che quelli che hanno ereditato il termine lo hanno ereditato male. Per fortuna in italiano abbiamo il termine "liberismo" per riferirsi alla libera impresa, o per meglio dire, all'impresa privata, che non e' affatto libera. Quindi posso dire che quello a cui mi riferisco e' un liberalismo che non ha niente a che vedere con il liberismo. * - Gianpiero Landi: Anche il socialismo liberale che si ispira a Rosselli ha la pretesa di occupare lo stesso spazio, di essere la sintesi delle stesse due correnti di pensiero. Quali sono allora i rapporti tra socialismo liberale e anarchismo? - Luce Fabbri: Secondo me l'anarchismo, come l'intendo io, come l'intendeva anche mio padre, e mi pare anche Malatesta, vede il problema in modo piu' chiaro. L'anarchismo e' uscito dagli schemi tradizionali delle istituzioni democratiche sorte nel secolo scorso, a partire dalla rivoluzione francese, per mettere la questione su un terreno diverso, sgombro da tante eredita'. Il socialismo liberale si ferma a meta', non porta il processo alle sue estreme e piu' coerenti conseguenze. Io trovo che il socialismo liberale, cosi' come si e' posto storicamente, e' troppo legato al gioco delle istituzioni tradizionali. Il suo fine mi sembra piu' nebuloso. Ritengo possibile, probabile, che i metodi adottati possano portare i socialisti liberali fuori strada. Anche questo puo' marcare una differenza: la coerenza mezzi-fini che contraddistingue l'anarchismo. Non escludo pero', e non lo escludeva mio padre, che ci possa essere una convergenza tra i due movimenti; questo dipendera', piu' che dal movimento libertario, dal maggiore o minore distacco dei socialisti liberali dalle strutture tradizionali. * I ministri anarchici - Gianpiero Landi: Durante la rivoluzione spagnola taluni comportamenti della Cnt-Fai, in particolare l'ingresso di ministri anarchici nel governo, provocarono aspre critiche nel movimento anarchico di tutti i paesi. Tu hai assunto all'epoca, e anche successivamente, un atteggiamento di sostanziale comprensione nei confronti di quei compagni spagnoli. Qual e' precisamente la tua posizione? - Luce Fabbri: Si e' trattato appunto di comprensione, non approvazione. Evidentemente io ritengo che l'ingresso nel governo non e' stato un atto anarchico; e' stato uno di quegli atti di compromesso che si compiono sotto l'impero delle circostanze. E' stato commesso in buona fede, con l'impressione di non poter fare altrimenti. E' difficile per noi dire se sarebbe stato possibile o no fare altrimenti e non credo che noi che stavamo fuori, che non soffrivamo l'urgenza terribile del dilemma, e che non abbiamo fatto probabilmente tutto quello che si poteva fare per aiutare dall'esterno, abbiamo il diritto di condannare. Possiamo pero' osservare il fatto per trarne insegnamenti, e notare che e' stata un'esperienza che ci da' ragione, in quanto gli anarchici al governo hanno sperimentato direttamente, a spese loro, la non creativita' del potere. Pur essendo personalmente integri e dotati di buona volonta', i "ministri anarchici" non sono stati in grado di fare qualche cosa in senso rivoluzionario. Federica Montseny probabilmente ha realizzato qualcosa al ministero della Sanita', nel campo degli ospedali, dell'igiene, ecc., ma non sul terreno della creazione rivoluzionaria, della creazione di un mondo nuovo. Gli altri poi, in ministeri politicamente meno neutri, non hanno fatto assolutamente niente. Garcia Oliver ha fatto delle leggi, dei decreti, che sono restati lettera morta. In tutta la Catalogna e l'Aragona con le collettivita' e' sorto un mondo nuovo, pero' dal governo non e' stato possibile realizzare niente. Tutto si e' ridotto a questo: occupare un posto che poteva occupare un altro che avrebbe potuto fare del male. Nel dar un giudizio, va tenuto conto del fatto che la decisione molto sofferta di entrare nel governo e di sciogliere il comitato delle Milizie, e' avvenuta in un secondo tempo, quando la guerra civile si era trasformata in guerra internazionale, e i lavoratori spagnoli da soli non potevano piu' vincere. La guerra uccide la rivoluzione. Cosi' e' successo per tutte le rivoluzioni del passato. La guerra e' sempre un fatto antilibertario, di per se stessa, perche' crea la necessita' di un'organizzazione in un certo senso totalitaria. Un clima di liberta' non e' un clima di guerra. * - Gianpiero Landi: Tu sei stata la prima a introdurre nel movimento anarchico di lingua italiana lo studio del fenomeno tecnoburocratico. Gia' in alcuni articoli di "Studi Sociali", e poi in tutti i tuoi opuscoli, esponi la convinzione che il mondo si trovi di fronte a una trasformazione decisiva: la fine del capitalismo tradizionale, e per certi aspetti della stessa democrazia tradizionale, e l'avvento di una nuova classe al potere, formata da tecnici e burocrati, con numerose varianti nei vari paesi. Un tipo di analisi che nel movimento anarchico in Italia verra' ripreso e sviluppato solamente a partire dagli anni '60 da gruppi inizialmente molto ridotti, arricchendosi col tempo di contributi sempre piu' articolati e complessi. Come arrivasti a quelle conclusioni? - Luce Fabbri: Anzitutto mediante tutta una serie di letture: l'opera che piu' mi ha impressionata e' "La rivoluzione dei tecnici" di Burnham; nel Nord America c'erano riviste molto interessanti; poi la corrente francese del "Movimento dell'Abbondanza" (Rodrigues, Valois, ecc.), che oggi appare in molti aspetti obsoleta, perche' l'abbondanza non e' stata affatto raggiunta, ma quando e' nata ha suscitato una quantita' di analisi collaterali sulle trasformazioni in atto; sempre in Francia, lo stesso movimento cattolico di Mounier, il personalismo, ha condotto analisi su questi problemi; infine, piu' tardi, e' apparsa "La nuova classe" di Gilas. Io leggevo queste cose. Poi vi era l'osservazione della realta', indipendentemente dagli studi. La crisi capitalista e' stata analizzata in modo diffuso. Ci sono state discussioni tra economisti, sui giornali. Nell'Uruguay a un certo momento si senti' molto forte la necessita' di studiare questi problemi. Si costitui' un piccolo gruppo, il Gea (Gruppo de Estudio y Accion Economico-Social) creato appunto per studiare i vari problemi in modo capillare e soprattutto locale. In Uruguay c'era un tentativo di statalizzazione molto accentuato, e cosa piu' interessante, era stato condotto in modo abbastanza decentralizzato. Volevamo studiare i trasporti, la produzione, ecc. sul piano locale, per trovare soluzioni locali. Pensavamo che in ogni localita', in ogni paese, bisognava fare un lavoro di quel genere, per poi riunire e confrontare le esperienze, elaborando pero' anche tattiche differenti nell'azione e nella creazione perche' ogni paese ha le sue proprie esigenze. Le grandi teorie, valide per tutti i paesi e per tutti i momenti, sono pericolose, rischiano di cadere nell'autoritarismo, se non si studiano le condizioni del momento e del luogo. * - Gianpiero Landi: Ritieni ancora valida l'analisi tecnoburocratica? Pensi che costituisca una chiave di lettura attuale per quello che sta succedendo adesso nel mondo? - Luce Fabbri: Io credo di si', in quanto non era una chiave interpretativa legata troppo al momento. Credo che ci siano stati alcuni errori da parte mia. Io ho creduto per alcuni anni, ad esempio, a una soluzione prossima del problema dell'alimentazione ad opera della tecnica. Era un'idea completamente sbagliata, e gli avvenimenti successivi lo hanno rivelato. Ma questo non toglie nulla alla validita' del concetto di fondo. * Tecnoburocrazia e totalitarismo - Gianpiero Landi: Nei tuoi opuscoli stabilivi un legame tra tecnoburocrazia e totalitarismo. Dalla lettura sembra che per la democrazia non ci sia un futuro, e che la scelta sia sostanzialmente tra un socialismo libero o libertario, e il totalitarismo. Ritieni ancora valida anche questa parte dell'analisi, oppure pensi che sia possibile una via non totalitaria alla tecnoburocrazia? - Luce Fabbri: Io non so se ho mai pensato che la tecnoburocrazia fosse fatalmente totalitaria. Rilevavo che c'era in atto una progressiva convergenza tra gli Stati di tipo capitalista e gli Stati che si definivano socialisti, verso un tipo di organizzazione totalitaria. Pero' non credo di aver mai pensato che quello fosse lo sbocco fatale dell'evoluzione in corso, e che non ci fosse la possibilita' di una democrazia tecnoburocratica. Allora ritenevo che la democrazia fosse debole di fronte al progressivo potere dello Stato. Non che le istituzioni democratiche fatalmente degenerassero in totalitarismo, ma esse non avevano in se stesse la forza per resistere, e anche quando resistevano si rivelavano insufficienti. Era il caso, per esempio, della Spagna, dove la repubblica sarebbe stata completamente impotente se non ci fossero stati i sindacati operai; la struttura democratica spagnola contro il colpo di Franco non avrebbe resistito dieci giorni. Oggi vedo maggiori possibilita' di sopravvivenza di una democrazia di tipo borghese, per come si sono svolti i fatti. In quegli anni si vedeva la fine del capitalismo come molto piu' prossima. Ora c'e' il fenomeno del neo-capitalismo, che ha riportato sul tappeto alcune questioni che sembravano superate. In ogni modo anche allora io pensavo che valesse la pena di battersi contro il totalitarismo per la conservazione delle liberta' fondamentali. Pero' io pensavo che le istituzioni democratiche non erano un baluardo sufficiente. Erano un baluardo debole. Puo' darsi che adesso le possibilita' di sopravvivenza del mondo tradizionale siano un pochino aumentate. Le vecchie istituzioni hanno ripreso un po' di respiro. Non credo che sia nel senso di una sopravvivenza definitiva, assolutamente. Pero' esse hanno dimostrato piu' vitalita' di quanto si riconosceva loro. Sarebbe una questione da studiare e da approfondire. In ogni modo mi pare che il problema per noi non sia molto cambiato. Abbiamo sempre di fronte il fatto che le classi in senso tradizionale non si sostengono piu', che il proletariato come classe sta perdendo contorno, nel mondo contemporaneo la figura tradizionale dell'operaio sta quasi scomparendo, e quindi tutto, anche il vocabolario della lotta sociale sta perdendo attualita'. * - Gianpiero Landi: In questi ultimi anni abbiamo assistito al fenomeno del ritorno al governo di partiti conservatori in diversi paesi occidentali compresi gli Stati Uniti con la vittoria di Reagan. Si tratta di partiti che si caratterizzano per una lotta contro il Welfare State, o Stato del benessere. C'e' in atto una tendenza a contrastare l'allargamento delle attribuzioni dello Stato nei campi della produzione, dell'assistenza, dei servizi sociali, ecc. A tuo avviso questo fenomeno puo' essere considerato come una forma di resistenza da parte del capitalismo tradizionale nei confronti della tecnoburocrazia? - Luce Fabbri: Puo' essere una trasformazione della tecnoburocrazia. Una presa di posizione diversa da parte della tecnoburocrazia. Non credo che si tratti tanto di una ripresa del capitalismo tradizionale, quanto di un ritorno a posizioni tradizionali tipiche del capitalismo da parte della nuova classe dominante. Il fordismo, ossia in parole povere, l'idea di allargare il mercato arricchendo gli operai, ha portato a una politica di assistenza da parte dello Stato, e ha provocato lo stesso sviluppo dello Stato, che lo porta ad essere quasi una classe sociale in se stesso, ad adempiere nuove funzioni in seno alla societa', ad attribuirsi nuovi poteri. Questa politica ha urtato contro ostacoli, ha dovuto affrontare una crisi interna, a cui ora risponde con un ritorno a posizioni tradizionali. Mi sembra comunque che la linea di tendenza rimanga la stessa. * - Gianpiero Landi: L'ultimo articolo tuo apparso su "Volonta'", nel n. 6 del 1978, si intitola "Natura anarchica del linguaggio e sua funzione liberatrice". Ultimamente tu hai dedicato molto interesse alla problematica del linguaggio. In questo campo esistono molte concezioni e diverse scuole. Tra gli studiosi del linguaggio a chi ti ricolleghi in particolare? - Luce Fabbri: Devo premettere che il mio lavoro professionale si e' svolto nell'ambito della storia e della critica letteraria. Non nel campo della linguistica, e neppure della filosofia della lingua. Quindi non sono una specialista, e quello che dico sul linguaggio non ha la pretesa di essere una teoria linguistica, di entrare nel merito delle discussioni delle diverse tendenze. A me il linguaggio interessa moltissimo, perche' ci vedo la radice stessa della liberta' dell'uomo, direi quasi dell'essenza dell'uomo come uomo. L'essere umano e' definito dal suo linguaggio, che non e' solo un veicolo, ma e' la sua sostanza stessa. Non c'e' differenza tra il pensiero e la parola. Non c'e' un pensiero senza parole. Un'idea che non si sa esprimere e' un'idea che non si ha chiaramente nella testa. C'e' un rapporto d'identita', si puo' dire. Quindi il nostro interesse per la personalita' umana e' in fondo un interesse per questo aspetto, che e' l'aspetto che permette di vederci, di sentirci reciprocamente. Mi sembra che il linguaggio sia importante per noi anarchici. Noi l'accettiamo in modo scontato, come si accetta l'acqua che beviamo o l'aria che respiriamo. Ritengo invece che sia importante pensarci sopra. Il linguaggio e' insieme una struttura organica e una manifestazione spontanea; e' insieme creazione individuale e creazione collettiva; e' insieme norma e liberta'. E' la creazione piu' anarchica che ci sia nel campo delle realizzazioni dell'uomo, e nello stesso tempo si identifica con quello che l'uomo ha di piu' umano. E' la definizione stessa di umanita'. Per me questo e' molto importante da un punto di vista nostro, in quanto mi pare che le nostre idee vadano alla radice stessa dell'umanita' come tale. L'umanita' e' capace di creare in modo organico, vitale, continuativo, un ambito nel quale l'individuo e' libero: libero nella misura in cui sa superare il condizionamento di tutti gli innumerevoli contributi che attraverso il linguaggio formano la sua personalita'. Se si nega la liberta' di linguaggio si nega l'uomo. (Parte seconda - Segue) 5. LETTURE. FONDAZIONE VENEZIA PER LA RICERCA SULLA PACE: OLTRE LA GUERRA. ANNUARIO GEOPOLITICO DELLA PACE 2005 Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Oltre la guerra. Annuario geopolitico della pace 2005, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005, pp. 286, euro 18. Giunto alla quinta edizione, l'annuario promosso dalla Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, e curato da Luca Kocci con il contributo di molte collaborazioni, propone materiali di documentazione e di approfondimento di notevole interesse. 6. LETTURE. REPORTERS SANS FRONTIERES: IL LIBRO NERO DELLA GUERRA IN IRAQ Reporters sans frontieres, Il libro nero della guerra in iraq, Newton Compton, Roma 2005, pp. 256, euro 9,90. Pubblicato in Francia in edizione originale sul finire del 2004, questo volume a cura della nota organizzazione non governativa di giornalisti impegnati per la difesa della liberta' d'informazione (per contatti: www.rsf.org) e' un'utile raccolta di documenti sulla guerra in Iraq e i crimini di cui essa consiste (e la guerra e' in se' il primo e piu' grande crimine): con documenti e rapporti a cura di Human Rights Watch, Reporters sans frontieres, Amnesty International, Bertrand Ramcharan (alto commissario ad interim delle Nazioni Unite per i diritti umani), e due interventi in apertura e conclusione di Robert Menard e Olivier Weber. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1158 del 28 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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