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La nonviolenza e' in cammino. 1148
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1148
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 18 Dec 2005 00:15:26 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1148 del 18 dicembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Luciano Benini: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 2. Uno storico punto di riferimento 3. Vincenzo Scalia: La mafia ai tempi del postfordismo 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. LUCIANO BENINI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Luciano Benini (per contatti: luciano.benini at tin.it) per questo intervento. Luciano Benini, gia' presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir-Ifor), da sempre impegnato in molte attivita' e iniziative di pace e di solidarieta', e' una delle persone piu' prestigiose dei movimenti nonviolenti in Italia] Se ti svegli dal torpore e ti senti pacifista solo quando scoppia una guerra, "Azione nonviolenta" non e' per te. Se pensi che la nonviolenza va bene, ma di fronte a certe dittature e a certe ingiustizie ci vuole ben altro, 'Azione nonviolenta' non e' per te. Se pensi che per la pace non puoi fare nulla perche' e' una questione troppo grande e tu non conti nulla, "Azione nonviolenta" non e' per te. Se ti senti nonviolento quando la nonviolenza costa poco, "Azione nonviolenta" non e' per te. Da quasi 50 anni "Azione nonviolenta" legge e rilegge i fatti e la storia dal versante della nonviolenza, e da quel versante cerca di proporre le soluzioni alternative alla guerra, alla violenza, alle scelte distruttive. Perche' la pace si costruisce tutti i giorni, nella tua famiglia, nel tuo posto di lavoro, nella tua citta'. Si costruisce con l'educazione alla pace e alla soluzione nonviolenta dei conflitti. Si costruisce prevenendo. Si costrusice condividendo. Si costruisce opponendo il bene al male. Forse, "Azione nonviolenta" e' proprio per te. 2. STRUMENTI DI LAVORO. UNO STORICO PUNTO DI RIFERIMENTO "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. RIFLESSIONE. VINCENZO SCALIA: LA MAFIA AI TEMPI DEL POSTFORDISMO [Dal sempre utilissimo sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente articolo in corso di pubblicazione sulla rivista "Dei delitti e delle pene". Proprio in considerazione del fatto che questo saggio ci e' parso per piu' versi pregevole (ed e' per questo che lo proponiamo ai lettori del nostro notiziario), e nel suo insieme formula riflessioni e percorsi di ricerca che ci sembrano di indubbia fecondita' ermeneutica e largamente condivisibili, ci corre l'obbligo di esprimere il nostro disaccordo su tre specifici punti: a) alcuni tratti di astrazione e semplificazione eccessiva (ovviamente in una certa misura inevitabili in testi intesi alla prospezione di coordinate di ricostruzione di tendenze generali, all'adeguazione di strumenti interpretativi e metodologici, ed alla proposizione e verifica di risorse linguistiche e concettuali all'impresa coerenti - certo queste ultime desumendo da una attuale koine'); b) una effettuale sottovalutazione - purtroppo frequentissima nei lavori di impianto scientifico, analitico o tassonomico - della concreta fenomenologia della violenza mafiosa e dei suoi effetti devastanti non solo genericamente sulla societa' e su tutti gli ambiti e gli assetti della produzione e della riproduzione sociale, gestionali, istituzionali e culturali (in senso forte), ma soprattutto sulla concreta vita - sulle effettuali e nude vite - delle persone che tale specifica violenza subiscono; c) infine una caduta di stile nella chiusa del testo, laddove l'autore en passant scrive "Cosa Nostra continua a costituire un elemento costitutivo dell'ordine sociale dominante, quindi uno degli avversari contro cui le nuove soggettivita' sociali e politiche devono combattere": quel nesso "quindi", e quel richiamo esclusivo alle "nuove soggettivita'" (per non dire dello sgradevole verbo "combattere" riferito a molteplici e non meglio precisati "avversari" tutti mescolati in un unico inammissibile calderone, che evoca costi' un'ideologia combattentistica foriera di molti equivoci e profonde ambiguita': meglio sarebbe stato un piu' sobrio "lottare"), ci sembra possano prestarsi all'equivoco di riprodurre un approccio e una posizione del tutto inaccettabili dal nostro peculiare punto di vista: la mafia e' certo un elemento di un sistema di potere e di una formazione sociale, ma essa va contrastata non genericamente e banalmente per questo, ma perche' e' precisamente un potere criminale, un potere che esercita la violenza, una violenza diretta e feroce (anche la televisione commerciale e l'automobilismo privato sono parte del "sistema sociale dominante", e di nocivita' evidente, ma sono cosa ben diversa dal potere mafioso, che va contrastato per motivi ed in forme non banalizzabili, non omologabili ad altri aspetti del sistema sociale dominante); quanto a chi deve condurre la lotta contro la mafia, tale impegno deve essere comune sia a tutte le persone che vogliano affermare il diritto proprio e di tutti alla vita e alla dignita', sia a tutte le organizzazioni e le istituzioni intese alla civile convivenza; peraltro quanto alla fumosa retorica (oggi detta "altermondialista", ieri e ier l'altro diversamente etichettata, ma dai romantici in qua piu' o meno della stessa musica a un dipresso si tratta) che attribuisce virtu' salvifiche alle "nuove soggettivita' sociali e politiche", la personale opinione del vecchio barbogio che scrive queste righe e' che essa abbia gia' fatto fin troppi danni, e che anche e soprattutto all'interno dei movimenti che in modo limpido e coerente (limpido e coerente: gli arrampicatori, gli squadristi e i totalitari non sono mai stati nostri compagni di lotta) effettualmente si oppongono al "disordine costituito" e che propugnano la dignita', la solidarieta' e la liberazione dell'umanita' dall'oppressione e dall'alienazione, continua ad esser necessario condurre un'azione intellettuale e morale e politica di coscientizzazione e critica, di chiarificazione, di illimpidimento, come quella che ad esempio svolge da sempre - tra altri meriti ancora - il Centro Impastato; e dal nostro specifico punto di vista, come ama dire il nostro buon amico Giobbe Santabarbara, "l'alternativa e' la nonviolenza come movimento storico delle e degli oppressi sempre piu' autocosciente e solidale, misericordioso e riconoscente; l'alternativa e' la nonviolenza come scelta di rigorizzazione epistemologica e assiologica, metodologica ed operativa, relazionale e trasformativa nella direzione del concreto inveramento della dignita' di tutte e tutti; l'alternativa e' la nonviolenza giuriscostituente, principio e prassi di organizzazione sociale intesa a salvare e promuovere le vite umane e la loro dignita' in un rinnovato rapporto di rispetto non solo infraspecifico ma anche con la natura e il mondo". E della lungaggine chiediamo venia (p. s.). Vincenzo Scalia, criminologo, insegna all'Universita' di Macerata ed e' coordinatore dell'associazione "Antigone" per l'Emilia-Romagna, suoi scritti sono apparsi su varie autorevoli riviste. tra le opere di Vincenzo Scalia: Migranti, devianti e cittadini, Franco Angeli, Milano 2005] 1. Introduzione "Lo dovresti vedere. Sembra un 'gonzaghino' (allievo della scuola gesuita della Palermo-bene). Passeggia ogni pomeriggio in via Liberta'. E' vestito elegante, non e' per niente 'tascio' (pacchiano), parla un italiano perfetto, senza inflessione dialettale, non usa nemmeno una parola di palermitano, dicono anche che e' laureato. Ogni volta che passa, tutti i negozianti si affrettano ad uscire dalla strada e lo salutano, e lui ricambia con un sorriso. E' intelligentissimo, e non perdona nessuno, si dice che abbia fatto qualche 'lavoretto'... e non ha nemmeno trent'anni, ma dovresti vedere come hanno paura di lui quelli di cinquant'anni. E gira senza guardaspalle al seguito..." (Commerciante palermitano del centro). Cento anni di rappresentazioni del mafioso, poco piu' di trenta di esperienza diretta, vanno in frantumi con questa descrizione. Il mafioso pacchiano, arrogante, che a New York continua a mangiare la pasta con le sarde, come ce lo hanno descritto Scorsese e Coppola, non esiste piu'. Figuriamoci il mafioso agro-pastorale incarnato da Michele Greco e Toto' Riina, che parla l'italiano traducendo dal siciliano e si veste ancora da guardia campestre. Dalla meta' degli anni novanta, quando la riprovazione generale sollecito' gli arresti di Riina, Bagarella e Brusca, non si sente piu' parlare di mafia, salvo qualche sporadica notizia relativa alla mancata cattura del presunto "boss dei boss", Bernardo Provenzano. Se da un lato questa tendenza puo' essere attribuibile all'attenzione rivolta dai media ad altre "emergenze" (immigrazione, terrorismo), o al fatto che la maggioranza attuale annoveri tra le sue file la presenza di alcuni personaggi chiacchierati o addirittura sotto processo per le loro presunte aderenze mafiose, dall'altro lato e' anche il frutto di una valutazione errata, arretrata, del fenomeno mafioso. Tale lettura si regge sulla convinzione che la mafia sia la stessa organizzazione verticistica degli anni ottanta, cosi' come e' stata descritta dai pentiti e disvelata dagli inquirenti. Ne consegue la convinzione che sia bastato decapitare la vecchia Cupola per risolvere il fenomeno mafioso, a cui mancherebbe come ultimo tassello la cattura del nuovo presunto capo, Bernardo Provenzano. Procedendo di questo passo si rischia di trascurare il profondo radicamento di Cosa Nostra tra le pieghe della societa', e di ridurre la questione mafiosa a uno scontro al vertice tra poteri legittimi (lo Stato) e illegittimi (la criminalita' organizzata). Inoltre, anche la mafia, in quanto fenomeno sociale inserito nella rete delle relazioni di potere politico ed economico, e' andata incontro a trasformazioni profonde, che ne hanno ristrutturato gli assetti organizzativi, gli interessi e la configurazione culturale e relazionale. Se e' vero che la mafia, da organizzazione sorta per regolamentare la produzione e i rapporti sociali all'interno del latifondo (U. Santino, 2000), si e' poi adeguata alle trasformazioni del sistema produttivo, bisogna supporre che le trasformazioni produttive e sociali che definiamo come postfordismo abbiano prodotto dei mutamenti qualitativi rilevanti anche all'interno di Cosa Nostra. In questo intervento cerchero' di fornire degli spunti interpretativi che permettono di aprire la strada a una nuova lettura del fenomeno mafioso, fondata sul pensiero critico contemporaneo. A partire da alcuni recenti fatti di cronaca, cerchero' di delineare un percorso di possibili mutamenti in senso postfordista di Cosa Nostra, sotto i quattro aspetti dei mercati all'interno dei quali opera, della rete dei valori a cui fa riferimento, della sua struttura organizzativa e dei processi comunicativi. La categoria "postfordismo", introdotta per la prima volta negli anni ottanta dalla scuola regolazionista francese (A. Gorz, 1993), conosce da anni un uso diffuso nelle scienze sociali (A. Zanini, U. Fadini, 2001). Di solito si mostra adeguata a inquadrare i mutamenti strutturali che hanno avuto luogo all'interno della sfera produttiva e distributiva: passaggio da un'accumulazione rigida a una flessibile fortemente influenzata dalle dinamiche dei mercati finanziari (D. Harvey, 1989); prevalenza della produzione di beni immateriali e della logistica sui beni materiali; organizzazione della produzione sul modello del just in time al posto della vecchia catena di montaggio (T. Ohno, 1994); tramonto della grande fabbrica e affermazione di un'organizzazione produttiva basata su piccole e medie aziende diffuse sul territorio, o "fabbrica diffusa" (A. Bonomi, 1998); ritorno al lavoro autonomo, che pur orbitante attorno alle grandi multinazionali, comporta comunque una contrazione della manodopera legata da un rapporto di lavoro dipendente (S. Bologna, 1998). Tali mutamenti strutturali hanno modificato in profondita' i rapporti sociali, producendo una societa' fortemente frammentata, orientata all'individualismo (Z. Bauman, 2002), attenta ai processi comunicativi in misura maggiore rispetto al passato (O. Marchisio, 2000). Infine, il postfordismo ha inciso significativamente nelle relazioni tra societa', economia e stato (K. Ohmae, 1996). In quanto vera e propria rivoluzione produttiva, avvenuta sotto l'egida del neoliberalismo, il postfordismo non si caratterizza soltanto per la riduzione delle prerogative statuali all'interno dell'economia. Ha anche ridimensionato i partiti come principale strumento della rappresentanza collettiva, rilanciando una politica fondata sui personalismi a livello locale, sul leaderismo a livello nazionale, in un contesto di competizione elettorale all'interno del quale i contorni ideologici si fanno sempre piu( sfumati. Sulla scia dello sforzo gia' compiuto da altri studiosi (D. Melossi, 1999), che hanno posto attenzione alle trasformazioni dei fenomeni criminali in relazione al postfordismo, tentero' di mettere in relazione quest'ultimo con la mafia. Se il fenomeno mafioso, come crediamo, si connota per essere una realta' osmotica con l'economia, la societa' e la politica ufficiali, con le quali condivide le trasformazioni piu' significative, di conseguenza, come cerchero' di dimostrare nel corso di questo lavoro, si puo' parlare di "mafia postfordista". Utilizzero' la categoria sopra esposta per delineare alcune delle tendenze piu' significative in merito alle trasformazioni di Cosa Nostra, che incominciano a partire dalla fine degli anni settanta, ma proseguono, piu' tumultuosamente, dall'inizio degli anni novanta in poi (U. Santino, 1992; 2002). Sul versante economico, la mafia siciliana, alla stregua delle grandi multinazionali, sceglie di specializzarsi nelle funzioni direzionali e nei settori piu' qualificati, delocalizzando o abbandonando quei settori produttivi, in particolare quelli dei mercati illegali, che comportano alti rischi. Questa scelta risente in misura non secondaria di una strategia comunicativa, che Cosa Nostra sceglie di adottare per la prima volta nella sua storia in seguito all'attenzione e alla riprovazione che l'opinione pubblica le ha riservato a partire dall'omicidio del generale Dalla Chiesa (1982), ma soprattutto dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio (1992). Questa strategia, verso l'interno, si traduce in una maggiore oculatezza nel reclutamento e nella formazione dei propri membri, ai quali vanno richieste competenze altamente qualificate anche sul piano culturale. Verso l'esterno, si manifesta nella scelta di non dare vita a omicidi eclatanti o ad altre azioni particolarmente efferate. Della trasformazione in senso postfordista ne risentono anche i rapporti con la politica e con lo Stato. Cosa Nostra non predilige piu' alcuni partiti o uno schieramento in particolare. La personalizzazione e la deideologizzazione delle contese elettorali consentono all'organizzazione di scegliere tra un ventaglio di candidati trasversale agli schieramenti. Inoltre, la riduzione dell'importanza del ruolo dello Stato nell'economia crea per la mafia siciliana maggiori opportunita' per mettere ulteriormente a frutto le proprie ramificazioni internazionali, proponendosi cosi' come un soggetto attivo di primo piano nella globalizzazione dei mercati. La finalita' di questo lavoro non e' quella di dare una spiegazione definita delle trasformazioni del fenomeno mafioso. Lo scopo piuttosto consiste nel delineare, a partire da fatti recenti, alcune ipotesi sulle trasformazioni tendenziali dello stesso fenomeno, per creare una nuova cornice interpretativa che ne consenta una lettura aggiornata e una comprensione maggiore. La mia esposizione prende le mosse utilizzando come riferimenti teorici i lavori di due autori in particolare. Il primo e' Umberto Santino, il cui "paradigma della complessita'" (U. Santino, 1995, p. 129 s.), che definisce la mafia come "un insieme di organizzazioni criminali, di cui la piu' importante ma non l'unica e' Cosa Nostra, che agiscono all'interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'acquisizione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale", rappresenta un valido punto di partenza per una lettura piu' articolata del fenomeno mafioso, rifuggendo i riduzionismi che inquadrano di volta in volta Cosa Nostra alla stregua di un'impresa, sia della protezione privata (D. Gambetta, 1992) o meramente criminale (R. Catanzaro, 1987). In particolare, risulta convincente l'insistenza da parte di Santino sull'aspetto culturale e relazionale, che risulta centrale nei processi produttivi della societa' contemporanea. Il secondo autore e' Vincenzo Ruggiero, che negli ultimi anni ha insistito sulla strutturazione di gerarchie risalenti alla divisione del lavoro all'interno dell'organizzazione criminale (V. Ruggiero, 1996). L'impianto analitico di Ruggiero mostra una certa forza nella misura in cui ci consente di mettere in relazione la mafia con le trasformazioni produttive, che influiscono anche sul piano delle relazioni e dei legami sociali. * 2. Dalla borghesia mafiosa alla mafia orizzontale: le trasformazioni del modo di produzione e della politica mafiosa Il fenomeno mafioso, sin dagli albori (L. Franchetti, S. Sonnino, 1974), si qualifica come un sistema locale di regolamentazione dei rapporti di produzione capitalista. La mafia fa leva su un sistema articolato di relazioni sociali, a partire dal quale vengono garantiti il reclutamento della manodopera, un livello di produttivita' proporzionato alle esigenze del mercato, una commercializzazione a prezzi concorrenziali. Il modo di produzione mafioso e' organizzato gerarchicamente, partendo dai braccianti per ascendere ai caporali, fino ad arrivare ai campieri e infine ai grandi affittuari, che gestiscono il latifondo per conto dei nobili. Questi ultimi due soggetti agiscono in collegamento diretto, a volte in sovrapposizione, con politici, professionisti, banchieri, imprenditori, che dal latifondo traggono una rendita di posizione. Mario Mineo (1995) definira' questo composito blocco di potere come "borghesia capitalistico-mafiosa". La mafia si caratterizza fin dall'inizio come un fenomeno sociale interno al modo di produzione capitalistico. A partire da questo elemento si puo' spiegare la scelta da parte della classe dirigente siciliana di sposare la causa della formazione dello Stato unitario. La liquidazione del regno borbonico consente a nobilta' e agrari di ritagliarsi un ruolo di potere all'interno della nuova formazione politica. Nel corso della fase monarchica dello Stato italiano la borghesia capitalistico-mafiosa gestisce il potere in periferia e assicura lo sviluppo dell'agricoltura intensiva del latifondo e lo sfruttamento delle miniere di zolfo. E' all'interno di questa cornice che si delineano all'interno della societa' siciliana quei sommovimenti che poi sfoceranno nei Fasci siciliani di fine secolo (F. Renda, 1977) e daranno slancio alla nascita di un movimento contadino e operaio articolato, che Cosa Nostra non tardera' a reprimere, da sola e con la collaborazione delle autorita' statali (U. Santino, 2000). La sconfitta definitiva di questi movimenti sociali produrra' la prima grande emorragia, che sfocera' nella massiccia emigrazione dalla Sicilia al di la' dell'oceano, in particolare negli Stati Uniti d'America. Il fascismo, se da un lato spegnera' gli ultimi sussulti di soggettivita' contadina, dall'altro lato intratterra' un rapporto ambiguo con le classi dirigenti siciliane. All'inizio si porra' in conflitto con un sistema di potere che mette in discussione la pretesa del regime di controllare direttamente e totalmente il territorio. In seguito si verifichera' un'adesione diffusa al regime da parte della borghesia e della nobilta' siciliana, inclusi alcuni membri di Cosa Nostra (M. Pantaleone, 1969). L'autonomia regionale, acquisita dalla Sicilia nel secondo dopoguerra, permette alla borghesia mafiosa di compiere il salto di qualita'. Di fronte alla nascita della Repubblica e alla crescita dei movimenti operaio e contadino, la borghesia mafiosa si propone come un soggetto attivo della politica nazionale. Al di la' del ruolo rivestito nella conquista dell'isola da parte alleata (F. Gaja, 1990), tuttora in discussione, tra il 1943 e il 1947 Cosa Nostra agisce non soltanto nelle vesti della sua classica funzione repressiva dei movimenti emancipatori che prendono piede in ambito locale, ma anche strutturandosi come uno dei soggetti cardine dell'anticomunismo. La strage di Portella della Ginestra (U. Santino, 1997; G. Casarrubea, 1997, 2001), nella quale documenti recenti hanno testimoniato la presenza di figure dei servizi segreti italiani e internazionali, suggella il compimento di questo salto di qualita'. Le aspettative di riscatto sociale insite nel nuovo ordine politico vengono neutralizzate attraverso una politica che alterna la repressione violenta a pratiche clientelari diffuse. La nuova fase del dominio mafioso provoca una nuova ondata migratoria, rivolta verso il Nord Italia e l'Europa settentrionale. La leva dell'intervento statale per rilanciare l'economia assicura alla borghesia mafiosa la possibilita' di crearsi nuovi spazi di potere a livello locale e nazionale. La classe dirigente siciliana si ambienta perfettamente all'interno del contesto dirigista e normante del sistema produttivo fordista-keynesiano: i trasferimenti di reddito dal centro servono a creare una classe media di origine impiegatizia, nonche' un esteso apparato burocratico funzionale alla riproduzione dei rapporti di potere permeati dall'egemonia mafiosa. Il denaro accumulato nel latifondo viene investito soprattutto nell'edilizia e nel suo indotto industriale, oltre che nel piccolo commercio. A fianco delle attivita' lecite, ricevono attenzione anche i mercati illeciti, soprattutto la droga, le armi, le sigarette di contrabbando. Attraverso questi canali, la borghesia mafiosa riesce ad assicurarsi un consenso sociale diffuso, soprattutto grazie alla possibilita' di assicurare, grazie alle sue plurime ramificazioni in campo economico, una posizione relativamente stabile all'interno del mercato del lavoro a una massa di popolazione dotata di qualificazione medio-bassa. Dagli impiegati regionali agli addetti al commercio al dettaglio, passando per gli operai edili, il modo di produzione mafioso, nel suo singolare intreccio di produttivita' e parassitismo (U. Santino, 1995), crea un bacino occupazionale duraturo, di massa, serializzato. Dagli anni settanta in poi, sulla scia della crisi del fordismo nelle aree industrializzate del Paese, il sistema di potere mafioso apre un nuovo versante, per differenziare ulteriormente le sue attivita' economiche. Grazie alle deroghe sulla legislazione bancaria di cui gode la Sicilia, cominciano a proliferare nell'isola banche, societa' finanziarie, di consulenza, che in massima parte riciclano i capitali risultanti dai proventi delle attivita' mafiose. La mafia finanziaria, sull'onda dell'esaurimento dei margini di profitto nei mercati dell'edilizia e dell'industria pubblica, si candida con successo a un ruolo di intermediazione delle transazioni finanziarie che nascono a partire dall'esigenza di riciclare i capitali accumulati nelle attivita' illegali, organizzando una rete sovranazionale che, sulla scia della globalizzazione dei mercati, conosce uno sviluppo tumultuoso. Esempi di questo tipo sono il caso di Vito Palazzolo, il mafioso siciliano da anni residente in Sudafrica e titolare di un impero economico imperniato sulle attivita' finanziarie, e alcuni gruppi mafiosi con base in Sudamerica, come i fratelli Caruana e Cuntrera, che dal traffico di stupefacenti passano a gestire una serie di attivita' basate sul turismo e la finanza. Sin dai tempi di Michele Sindona, Cosa Nostra si mostra in grado di mettere a frutto le sue ramificazioni transnazionali, la risorsa relazionale dei legami col mondo politico, il suo accresciuto peso economico, per votarsi a svolgere funzioni direzionali altamente specializzate. Un altro mutamento produttivo qualitativamente rilevante si riferisce al versante degli appalti pubblici. Le recenti vicende relative ai fondi di Agenda 2000 e le disavventure giudiziarie che mettono in discussione il governatore della Sicilia Cuffaro descrivono una mafia meno interessata alla realizzazione di dighe, autostrade, zone industriali, alloggi popolari. La nuova frontiera dell'appalto mafioso e' rappresentata dal ponte sullo Stretto, dai trasporti pubblici (metropolitane di Palermo e Catania in primis), dai complessi turistici e alberghieri, dal cablaggio delle principali citta' siciliane, dalla cultura. Opere che, oltre ad allinearsi con l'economia dell'informazione, della conoscenza, del movimento, hanno anche l'effetto di realizzare una forte presa sull'immaginario collettivo. Un'analoga tendenza si avverte in ambito commerciale. Negli ultimi anni, a Palermo, si e' assistito alla chiusura di catene commerciali storiche e alla crisi dei luoghi di approvvigionamento tradizionali (primo tra tutti la Vucciria), di pari passo allo sbarco di griffe di fama mondiale e all'espansione di centri commerciali e ipermercati, tuttora prepotentemente incoraggiata dalle amministrazioni locali. Il controllo del territorio esercitato da parte di Cosa Nostra lascia supporre che la conversione degli interessi produttivi mafiosi giochi una parte capitale nel riallineamento degli equilibri della distribuzione commerciale in Sicilia. Il passaggio ad attivita' manageriali da un lato, la concorrenza di organizzazioni nazionali e internazionali dall'altro (vedi la 'Ndrangheta o le mafie dell'Est), fa si' che la mafia siciliana si ritragga dai mercati illegali piu' tradizionali, come il traffico di stupefacenti e di sigarette, per puntare sul traffico dei rifiuti tossici e investire, come sta venendo alla luce dai processi Fininvest, anche nel campo dell'informazione e della conoscenza, sia investendo direttamente, sia gestendo i terminali periferici della new economy. Anche all'interno della sfera politica si registrano alcuni mutamenti significativi. In primo luogo, con la crisi della prima Repubblica e con la globalizzazione dei mercati, si esaurisce il peso della spesa pubblica e dell'intervento statale nell'economia. Il clientelismo di massa registra una crisi irreversibile, legata al tracollo dei principali partiti che lo gestivano e lo sviluppavano, nonche' all'introduzione del sistema elettorale maggioritario, imperniato sulla rappresentanza individuale. In secondo luogo, la crescita di una sensibilita' antimafia diffusa a livello di societa' civile, l'implementazione di alcune significative politiche pubbliche antimafia dagli anni ottanta in poi (A. La Spina, 2005), ostacolano la perpetuazione dell'intreccio tra mafia e politica negli stessi termini. Le recenti vicende giudiziarie fanno trapelare che l'influenza mafiosa sulla politica si manifesterebbe in maniera meno organica a uno schieramento politico, preferendo porsi sotto forme di trasversalita' rispetto a diversi candidati. Lo scopo sarebbe quello di muoversi in maniera piu' agile e attrezzata ad affrontare i frequenti cambiamenti di maggioranza causati da un sistema politico bipolare. Inoltre, le tendenze al decentramento comportano il consolidamento dell'attenzione di Cosa Nostra verso lo spazio politico locale. Le conseguenze di questi mutamenti si avvertono anche sul piano dell'organizzazione e su quello della cultura mafiosa. Da una borghesia capitalistico-mafiosa, vertice di un sistema produttivo che prendeva le mosse dalla relazione tra centro e periferia per orientare i flussi di denaro pubblico e dei proventi delle attivita' illegali verso il settore secondario e terziario arretrato, si passa a una "mafia orizzontale", che fa leva sul consistente controllo dei capitali per operare, attraverso prestanome, imprenditori conniventi, estorti o sottoposti al ricatto dell'usura, professionisti, all'interno dei nuovi settori di mercato. La mafia orizzontale, pur continuando a perseguire lo sfruttamento parassitario della ricchezza sociale a mezzo della violenza, e' ormai pienamente integrata nell'economia ufficiale, rendendosi meno individuabile e contrastabile. Ne consegue un diverso utilizzo del territorio, un adattamento dei codici culturali alle nuove esigenze, una diversa configurazione organizzativa. * 3. Territorio e cultura: continuita' e trasformazioni della mafia postfordista Il territorio ha costituito da sempre la risorsa cruciale per l'affermazione e lo sviluppo del sistema di potere mafioso. La mafia agraria, come quella industriale, concepivano il territorio come la risorsa principale da sfruttare per organizzare e realizzare i loro guadagni. Nell'epoca del latifondo lo sfruttamento delle potenzialita' produttive della terra si coniuga al controllo delle risorse idriche, delle vie di comunicazione, dei mercati. La mafia industriale fonda la sua affermazione sulla capacita' di convertire, nelle aree urbane, i fondi agricoli in aree edificabili, che consente di realizzare profitti consistenti su scempi urbanistici e ambientali come il "sacco di Palermo". La societa' locale dell'epoca approva e legittima la speculazione edilizia non solo sulla base delle potenzialita' occupazionali insite nel volano edilizio, ma anche a partire dalla convinzione che il prezzo del progresso consista nel sommergere i rigogliosi agrumeti della Conca d'oro con anonimi e pletorici falansteri di cemento armato. Il controllo politico e militare del territorio da parte di Cosa Nostra s'intreccia quindi con la produzione e la circolazione di discorsi condivisi collettivamente, che scaturiscono dalla ricettivita' delle trasformazioni culturali da parte dei mafiosi, manipolate e rimodellate secondo le esigenze di dominio e veicolate attraverso il controllo dei canali comunicativi e relazionali (A. Blok, 1986). In altre parole, la mafia si forma all'interno del contesto socio-culturale siciliano, di cui condivide i valori dell'amicizia, della famiglia, del rispetto, dell'onore. Questi valori vengono utilizzati ai fini della costruzione del dominio mafioso, sia attraverso la creazione di reti familiari e amicali che fanno capo a esponenti della mafia, sia per regolamentare le controversie e i conflitti che sorgono all'interno della societa' locale. Inoltre, la famiglia, l'amicizia, il rispetto e l'onore fungono anche da veri e propri entitlement per regolamentare la distribuzione delle risorse, oltre che da strumenti preventivi di eventuali violazioni dell'ordine sociale. Il controllo del territorio, prima che dal piano fisico e politico, passa attraverso il dominio simbolico e relazionale, facendo si' che in anticipo sulla societa' postfordista la societa' siciliana venga "messa al lavoro" dalla mafia. Il passaggio dalla mafia industriale a quella finanziaria produce un'ulteriore modificazione del rapporto tra dominio mafioso, territorio e sistema culturale. Come in tutte le economie postfordiste, la mafia si deterritorializza. La messa al lavoro del territorio cessa di essere funzionale allo sfruttamento delle risorse locali ai fini del profitto. Da un lato, lo sfruttamento intensivo della rendita fondiaria e' andato incontro a un naturale esaurimento, dall'altro la diversificazione delle attivita' imprenditoriali nelle direzioni dell'economia della conoscenza tolgono al territorio la connotazione di bacino produttivo. I codici culturali condivisi, fondati sul quadrinomio famiglia-onore-amicizia-rispetto, si riadattano in direzione del reclutamento di personale specializzato destinato a ricoprire mansioni superiori all'interno dell'organizzazione. In altre parole, la mafia utilizza il territorio locale per localizzarvi le funzioni direzionali piu' importanti, come l'organizzazione e la progettazione delle sue attivita', nonche' per mantenersi quegli spazi di potere politico che le permettono di pesare al di fuori del contesto siciliano. La necessita' di dotarsi di un patrimonio comunicativo piu' consono alla societa' contemporanea fa si' che, come ci mostra l'esempio citato in apertura, a differenza delle generazioni precedenti il nuovo mafioso si doti di una formazione culturale superiore e assuma codici comunicativi che attingono piu' all'immaginario globale che a quello della societa' siciliana degli anni cinquanta o della New York degli anni trenta. Al Capone e don Calo' Vizzini cedono il posto volentieri al manager efficiente, specializzato e suadente, per assicurare la sopravvivenza e il rinnovamento di Cosa Nostra. L'attenzione della mafia verso l'aspetto comunicativo e' dimostrata dalla diversa utilizzazione dello strumento ultimo del dominio mafioso, vale a dire l'omicidio. In realta', a differenza di altre organizzazioni criminali, Cosa Nostra ha sempre dosato con oculatezza la violenza, limitandone l'uso alla ridefinizione degli equilibri di potere interni (U. Santino, G. Chinnici, 1989) o alla rinegoziazione dei suoi rapporti con le istituzioni, come nel caso degli omicidi eccellenti. Il consenso sociale e culturale di cui godeva all'esterno, la coesione e la stabilita' interna, facevano si' che l'uso della violenza fosse "programmato", quindi limitato a brevi periodi: la prima guerra di mafia, apertasi negli anni sessanta, la seconda guerra di mafia, di inizio anni ottanta, esemplificano questa scelta "politica". L'avvento dell'era della comunicazione costringe Cosa Nostra a un mutamento di rotta. Sin dall'omicidio del generale Dalla Chiesa la mafia ascende prepotentemente alla ribalta mediatica. Proliferano film, serial televisivi, libri, dibattiti pubblici dedicati alla questione mafiosa, conditi da un'improvvisa fioritura di mafiologi, che Leonardo Sciascia, pur con riferimenti sbagliati, non tardera' a definire "professionisti dell'antimafia". Le stragi del 1992 di Capaci e via D'Amelio, amplificate dai mezzi di comunicazione, moltiplicano la riprovazione nei confronti di Cosa Nostra, insediata sul terreno del consenso sociale, che ne aveva assicurato lo sviluppo nei decenni precedenti. Per attrezzarsi a rispondere a questa sfida si producono importanti ristrutturazioni all'interno della mafia. Sotto il primo aspetto, come ipotizzano alcuni autori (S. Lodato, 1999), si verifica la sconfitta della cosiddetta "ala militarista" e la cattura dei suoi esponenti piu' importanti come Riina, Bagarella, Brusca, che avrebbero voluto le stragi del 1992. Sotto il secondo aspetto, si avvia una vera e propria organizzazione di marketing finalizzata al rilancio dell'organizzazione. Gli omicidi si riducono drasticamente, le stragi e i delitti eccellenti cessano. Un mutamento qualitativo da sottolineare avviene anche nell'utilizzo di una delle tecniche mafiose piu' diffuse, vale a dire la "lupara bianca". Nel passato le vittime di questo tipo di soppressione fisica scomparivano inspiegabilmente, e i loro parenti si recavano dopo pochi giorni a denunciare la scomparsa alle forze dell'ordine. Le tendenze piu' recenti, secondo quanto afferma un testimone privilegiato, vanno in tutt'altra direzione: "I parenti aspettano alcuni giorni, cominciano ad informarsi in giro. Finche' un giorno, a casa loro, si presentano alcune persone che spiegano come stanno le cose: 'Suo marito e' con noi, non lo sappiamo quando puo' tornare... State tranquilli e non fate niente, che e' meglio per tutti...'". Fino ai primi anni ottanta Cosa Nostra non si curava molto dell'attenzione dell'opinione pubblica verso le sue attivita' delittuose, forte anche dell'indifferenza di molti settori della stampa locale, che negavano o ridimensionavano l'esistenza di una organizzazione criminale sul territorio. La mediatizzazione del fenomeno mafioso ha prodotto un mutamento sostanziale nelle strategie comunicative dell'organizzazione. Le manifestazioni di violenza, brutalita', sopraffazione producono un messaggio negativo, che suscitano nel ricevente reazioni di riprovazione. La pace, il silenzio, oltre a scaturire da un riassetto consolidato degli equilibri interni, sono soprattutto il frutto della scelta di rifuggire l'attenzione mediatica e di creare un clima pacificato, rilassato, che consente con successo la ripresa degli affari, il recupero delle posizioni di potere, e prepara la strada al riposizionamento e all'espansione nei nuovi mercati. Il mutato rapporto col territorio, la diversificazione delle attivita' economiche, le diverse strategie comunicative hanno luogo di pari passo ai mutamenti degli assetti organizzativi interni. * 4. La nuova organizzazione mafiosa o l'outsourcing delle economie sporche Vincenzo Ruggiero, nel suo Economie sporche, traccia un parallelo tra le economie ufficiali e quelle che ruotano attorno alle attivita' illegali, o che adoperano mezzi illegali in settori ufficiali. Anche nelle "economie sporche" esistono diversi livelli di stratificazione rispetto alle competenze, ai saperi, alle risorse, al potere contrattuale. Le gerarchie inferiori delle organizzazioni criminali si trovano conseguentemente piu' esposte ai rischi della precarieta' economica, della disoccupazione, della repressione delle forze dell'ordine. Il modello di Ruggiero, pur non indagando a fondo l'intreccio tra economie "pulite" e sporche, ci serve come utile punto di riferimento per esporre le tendenze attuali degli equilibri organizzativi interni alla mafia, e alle sue implicazioni politiche. La mafia industriale si struttura secondo il modello descritto dai pentiti, in particolare da Tommaso Buscetta (Aa. Vv., 1991). In particolare, sembra riprodurre, in Sicilia e negli Stati Uniti d'America, la configurazione organizzativa delle imprese dell'epoca fordista. Strutturalmente legata al territorio al fine di affermare il proprio dominio, Cosa Nostra deve controllarlo capillarmente. Di conseguenza si dota di un assetto verticistico, centralizzato, rigido, al fine di assicurare un presidio militare, accrescere il potere contrattuale all'esterno, regolamentare le controversie interne. L'uomo d'onore, unita' di base dell'organizzazione, e' inquadrato all'interno di decine, mandamenti e famiglie, modellate sulla conformazione territoriale sulla quale sono deputate a esercitare il governo attraverso una forte disposizione gerarchica delle funzioni. La Commissione, a Palermo, e la Cupola, in Sicilia, svolgono le mansioni di veri e propri organi esecutivi delle attivita' dell'organizzazione. Il presidio militare del territorio s'intreccia con l'esigenza di controllarne e dirigerne direttamente le attivita' produttive, nonche' col fine di pesare sugli equilibri politici nazionali. Il traffico di stupefacenti, il contrabbando di sigarette, l'edilizia, il commercio all'ingrosso sono direttamente pianificati e gestiti da Cosa Nostra, che si avvale della sua organizzazione capillare. Agli inizi degli anni novanta la diversificazione degli interessi economici s'incrocia con la caduta del muro di Berlino. La mafia perde la sua importanza politica a livello internazionale, dal momento che il fattore K e' cessato per sempre. Contemporaneamente si affacciano sulla scena le organizzazioni criminali dell'Europa dell'Est, mentre in Italia si fanno strada prepotentemente la 'Ndrangheta e la Sacra Corona Unita, che si avvantaggiano delle nuove rotte dell'economia illegale (M. Massari, 1997; Santino, 2002). Sul piano sociale Cosa Nostra deve fare i conti con la crescita dei movimenti antimafia e dell'attenzione mediatica, mentre i conflitti interni producono una proliferazione dei cosiddetti "pentiti". I tempi sono maturi per un riassetto organizzativo, con implicazioni sia all'interno che all'esterno. L'esigenza di ricompattare le schiere, dopo che le rivelazioni dei pentiti hanno squarciato il velo sulla struttura interna dell'organizzazione, si coniuga con quella di dotarsi di una struttura "leggera", piu' consona a interessi economici non piu' imperniati sullo sfruttamento del territorio, nonche' alla necessita' di disporre di affiliati dotati di un piu' alto livello di cultura e attenti alle strategie comunicative. La nuova Cosa Nostra si compone di un numero minore di affiliati, piu' in grado di mescolarsi alla societa' ufficiale ma altrettanto efficienti e spietati. Gli effetti di questa ristrutturazione si avvertono anche all'esterno. Cosa Nostra tiene per se' le mansioni direzionali, delegando all'esterno la gestione dei suoi affari. Nel caso delle attivita' piu' tradizionali, come il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette, si assiste a un vero e proprio outsourcing, affidato a gruppi criminali minori. In altri, come l'usura, il commercio, le attivita' produttive, la mafia si affida ai prestanome o alle societa' miste, composte di imprenditori "puliti" e di parenti senza precedenti penali, allo scopo di aggirare la legislazione antimafia sulle licenze, proseguendo per un percorso intrapreso all'inizio degli anni sessanta. Un'ulteriore possibilita' e' rappresentata dalla costruzione di societa' finanziarie gestite da personaggi puliti che riciclano i flussi di denaro sporco e attraggono capitali freschi, che poi percorrono i tragitti delle transazioni finanziarie lecite. Infine la mafia si avvale della sua rete relazionale e del suo peso politico, ancora forte, a livello locale, per orientare le scelte in materia di appalti e di politica economica, poi gestiti da un circuito di professionisti, consulenti, politici, committenti non direttamente collegati a Cosa Nostra. Attraverso questi nuovi assetti organizzativi, che stanno cominciando ad affiorare nelle piu' recenti indagini, la criminalita' organizzata siciliana continua a garantirsi una rendita di posizione a livello nazionale e globale, riducendo i costi e i rischi che comportava un'organizzazione capillare, eccessivamente visibile, con troppi affiliati. * 5. Conclusioni Questo articolo ha voluto essere, oltre che un tentativo di illustrare e analizzare le trasformazioni della mafia, anche la proposta di un nuovo percorso di studi sul fenomeno mafioso, che tengano conto delle interazioni di questo con i processi di trasformazione sociale e produttiva. In quanto fenomeno sociale integrato nella realta' di cui fa parte, la mafia non puo' essere considerata come un'anomalia, un'emergenza, o come la conseguenza di una mancanza di legalita', come e' stato fatto in questi anni. Cosa Nostra e' un soggetto attivo delle relazioni di potere della societa' italiana, e sopravvive perche' riesce ad adeguarsi ai mutamenti. Di conseguenza non si puo' pensare che sia bastato arrestare alcuni dei suoi esponenti piu' pericolosi per porre fine alla sua forza o ridimensionarla. Dall'altro lato, non si puo' nemmeno collocare il fenomeno mafioso al di fuori delle dinamiche socio-culturali e politiche. Questo atteggiamento porta alla giustificazione di emergenze tanto sterili sul piano pratico (vedi l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario e altro) quanto strumentali sul piano politico. Nell'epoca della globalizzazione parlare di mafia si deve e si puo'. Si deve perche' Cosa Nostra continua a costituire un elemento costitutivo dell'ordine sociale dominante, quindi uno degli avversari contro cui le nuove soggettivita' sociali e politiche devono combattere. Si puo' perche' la vicenda della mafia e' scandita dalle trasformazioni capitalistiche moderne. Non c'e' bisogno di andare lontano, bisogna infittire la rete, soprattutto verso Sud... * Riferimenti bibliografici - AA. VV. (1991), Mafia. L'atto di accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma. - Bauman Zygmunt (2002), La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano. - Blok Anton (1986), La mafia di un villaggio siciliano. 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LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1148 del 18 dicembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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