[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1130
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1130
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 30 Nov 2005 21:52:08 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1130 del 30 novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Nicoletta Crocella: Non e' successo niente, solo una donna uccisa 2. Lea Melandri: I troppi silenzi dietro l'aborto 3. Eduardo Galeano: Oggetti proibiti 4. Giulio Vittorangeli: I privilegi, la cecita' 5. Antonella Anedda presenta "La letteratura e l'inquietudine dell'assoluto" di Jean-Pierre Jossua 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. NICOLETTA CROCELLA: NON E' SUCCESSO NIENTE, SOLO UNA DONNA UCCISA [Ringraziamo Nicoletta Crocella (per contatti: stellecadenti at tiscali.it) per questo intervento. Nicoletta Crocella, poetessa, artista, operatrice culturale, e' impegnata nell'associazione "Stelle cadenti" e nella casa editrice omonima. Tra i suoi libri segnaliamo particolarmente Attraverso il silenzio, Stelle Cadenti, Bassano in Teverina (Vt) 2000; Icone, Stelle Cadenti, Bassano in Teverina (Vt) 2002] 25 novembre: giornata contro la violenza sulle donne. Non e' successo niente, pressoche' nessuno ne ha parlato, soltanto un accenno in televisione a tarda sera, e poi sempre in tarda serata, un accenno a commento dell'aggressione alla giovane bolognese. Ebbene si', la violenza sulle donne non fa notizia, non interessa e non scuote le persone; l'omicidio di una ragazza perseguitata da anni dal suo attuale assassino ottiene qualche commento accorato, ma nella percezione comune non e' un segno eclatante del problema. La violenza sulle donne viene sottovalutata, per questo puo' succedere che le minacce di un maniaco non vengano prese nella giusta considerazione e non gli venga impedito di nuocere; per questo le urla della ragazza di Bologna non sono state raccolte: se fosse stata una lite con il marito o il fidanzato, vuoi intrometterti? Fermare la macchina da cui hai assistito alle sue invocazioni? Per andare ad interferire, rischiare magari di farti male per qualche cosa che non sai con chiarezza che cosa e'? Perche' la violenza non fa orrore di per se', non va impedita comunque, non va fermata quando si manifesta neppure in forme eclatanti, ma va sempre circostanziata, diminuita, compresa... L'emarginazione del violento, che sfoga sulla ragazza di turno le sue frustrazioni, la volonta' della donna di essere libera, di andare dappertutto, di parlare, decidere di se', che provoca insicurezza e reazione in quel fragile essere pieno di muscoli e senza amore e cervello che ci vive accanto... Cosi' ci troviamo ancora ad urlare sulla violenza agita fisicamente, macroscopica, eclatante, e rischiamo di non denunciarne il nodo di base: l'idea che la donna esiste e si muove non in funzione di se', ma in funzione dell'uomo, della societa', della famiglia, e che quindi comportamenti che si discostano dalla richiesta possono giustificare una reazione. Certo, nessun uomo decente della nostra societa' ammettera' mai che anche lui si aspetta che la donna sia il suo sostegno, se non in un contesto di reciprocita', ma c'e' una percezione profonda per cui il sottrarsi della donna in qualsiasi forma e' una colpa. Ne e' prova il fatto che la prima causa di mortalita' tra le donne dai 15 ai 45 anni nei paesi occidentali non sono le malattie, gli incidenti stradali, le guerre, ma la violenza subita in casa, da un compagno, un marito, un fidanzato deluso o abbandonato, da un uomo geloso ed incapace di reggere l'impossibilita' di piegare a se', ai propri desideri la donna con cui vive. Sapendola egoista e non disponibile ad essere sempre oblativa, accogliente, dolce, materna, la societa' degli uomini, e delle donne conniventi, si inventa i mille modi per regolare e contenere il femminile che e' sentito come potente e sfuggente, cosi' la fecondazione assistita diviene una cosa di uomini e dottori, e l'aborto legale deve contenere nelle procedure e nelle metodologie abbastanza sofferenza, colpevolizzazione, da renderlo sicuramente doloroso e traumatizzante. E chi difende l'attuale legge 194 si preoccupa di sottolineare sempre che l'aborto e' un trauma, una tragedia per la donna che lo decide, e quindi non e' necessario aggiungervi altre difficolta'. Si sostiene che i consultori, stanchi eredi di un momento alto dell'agire politico delle donne, servono per non lasciare sola la donna nella sua decisione. E per non lasciarla sola, tutti affermando di non voler mettere in discussione la legge, ma di attuarla, offrono la loro ricetta, che consiste nell'inserire, accanto a figure professionali che gia' esaminano con le donne motivazioni e possibilita', la presenza obbligatoria di volontari di vario genere, "movimento per la vita", ovviamente, e perche' no un prete, un imam, e chi altri? La scelta della donna non sembra poter essere orientata dai suoi bisogni e dalla sua volonta', ma deve essere guidata dalla sua religione, dalla volonta' di un gruppo che dichiaratamente e' contro ogni liberta' di scelta. E poi, si sottolinea, abbiamo bisogno di bambini, queste devono smetterla di essere cosi' egoiste, devono fare piu' figli. Siamo tornate indietro, voci gia' sentite e rifiutate, gia' smascherate, che ritornano pervicacemente e senza vergogna a dichiarare cio' che continuano a pensare: le donne non esistono per se', non possono relazionarsi serenamente con la volonta' e la possibilita' in una dato momento della loro vita di essere o non essere madri, ma devono sottostare a regolamenti, limiti e pressioni. Se pero' si tratta di salvare qualche embrione congelato, allora si puo' pensare di utilizzare anche le donne single, senza un guardiano, purche' facciano il figlio che se no potrebbe non nascere... Il sacro embrione diviene cosi' la misura della norma e della sua trasgressione, sempre decisa ed agita da altri... 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: I TROPPI SILENZI DIETRO L'ABORTO [Dal sito del quotidiano "Liberazione" (www.liberazione.it) riprendiamo questo intervento di Lea Melandri del 28 novembre 2005. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Dell'aborto e delle questioni legate alla maternita' - legge 194, pillola abortiva, consultori e movimento per la vita, adozione degli embrioni - parlano oggi all'impazzata le massime autorita' della Chiesa, dello Stato, della medicina, della giurisprudenza, della cultura e dell'informazione. Tacciono le dirette interessate, le donne che si sono gia' trovate o che potrebbero trovarsi nella condizione di dover rinunciare a una maternita' e quelle che, pur non avendo mai abortito o non avendo piu' questo problema, ritengono comunque di dover sostenere la scelta delle proprie simili. Piu' le voci si alzano, da destra e da sinistra, in nome di Dio o della laicita' calpestata, per rispetto di una "natura" immodificabile o della liberta' delle donne di disporre del proprio corpo, piu' si allarga la zona d'ombra e di silenzio in cui va a cadere un'esperienza di vita e di relazione tra gli esseri umani che non a caso suscita un interesse cosi' esteso, un cosi' impellente bisogno di definire limiti, concessioni e divieti. Nel momento in cui il loro corpo, e le traversie che l'accompagnano, diventa "pubblico", le donne spariscono dalla scena, come se si fosse concluso un millenario esilio nell'unica ricomposizione prevista dalle polarizzazioni della storia, tra maschile e femminile, cultura e natura, privato e pubblico, ecc., e cioe' l'assorbimento del diverso, dell'anomalo, del minaccioso, dentro l'orizzonte del sesso che ha imposto il suo dominio, e quindi il suo modello di civilta'. * Ma come capita quando si e' troppo assuefatti al rumore, e' il silenzio che finisce per sorprenderci e per farsi ascoltare. E allora viene immediata la domanda: perche' le donne tacciono? Perche', anche quando parlano, e' cosi' impercettibile la consapevolezza che dovrebbe distinguerle dallo sguardo oggettivante con cui la scienza, la politica, la cultura in generale, hanno guardato alla loro vita, natura senza storia, umanita' minore da sottomettere o da proteggere? Perche' appaiono cosi' lontane, perse nel mito di una stagione senza ritorno, le appassionate discussioni che portarono all'approvazione della legge 194, le testimonianze di esperienze vissute, rese nei luoghi meno protetti dalla riservatezza, come le assemblee e le manifestazioni? Ma, soprattutto, per quale inspiegabile ottenebramento, o rimozione, si parla dell'aborto come se le donne si mettessero incinte da sole, e per leggerezza o sadismo decidessero poi di sgravarsi di quel peso? Che si chieda a gran voce la loro ribellione, come ha fatto qualche illustre ginecologo, che si pretenda il rispetto della loro sofferta decisione, che si sostenga il diritto all'autodeterminazione in fatto di maternita', si tratta pur sempre di proclami che parlano di un soggetto considerato di per se stesso debole, bisognoso di tutela e di rappresentanza, e, soprattutto, di un soggetto che porta in solitudine quel potere e quella condanna che e' la capacita' biologica di fare figli. * Maternita' e aborto sono, senza ombra di dubbio, legate a un modello di sessualita' penetrativa e generativa, contrassegnata, all'interno del dominio storico dell'uomo, da un carico di violenza materiale e psicologica che non accenna a diminuire neppure in presenza di culture altamente civilizzate. Come scrisse Carla Lonzi, in uno dei brevi saggi di Rivolta femminile del 1971, "la donna gode di una sessualita' esterna alla vagina, dunque tale da poter essere affermata senza rischiare il concepimento. L'uomo sa che il suo orgasmo nella vagina la donna lo accoglie piu' o meno coinvolta emotivamente e fisiologicamente, sa che in conseguenza di questo la donna puo' restare incinta... ugualmente l'uomo fa l'amore come un rito della virilita' e alla donna accade di restare feconda nel momento stesso in cui le viene sottratto il suo specifico godimento sessuale". Non ci sono anticoncezionali ne' politiche famigliari che riescano a impedire a un atto d'amore di trasformarsi nella realta' drammatica di una gravidanza non voluta. Se va salvaguardata la scelta della donna di poterla interrompere senza incorrere in sanzioni penali, non bisogna tuttavia dimenticare la limitatissima liberta' che sembra ancora esserci nel rapporto piu' intimo tra i sessi, sia che essa derivi da antica soggezione, ignoranza del proprio piacere, esitazione a esigerlo da parte femminile, oppure da violenza sessuale manifesta da parte dell'uomo. Limitarsi ad affermare il primato della donna nella procreazione, il diritto a decidere su una vicenda che trasforma non solo il suo corpo, ma la sua vita intera, tanto piu' quanto piu' "naturale" si continua a ritenere la cura materna dei figli (oltre che di mariti, genitori, suoceri, ecc.), vuol dire mettere al centro della scena pubblica, dello Stato e delle sue leggi, i due protagonisti dell'origine, la madre e il figlio, e sfocare fino a farlo sparire in una nuova rimozione quel rapporto uomo-donna che i movimenti femministi del Novecento hanno portato faticosamente alla coscienza storica. Ma significa anche, purtroppo, offrire un'occasione facile alla misoginia di ogni tipo, e alle paure infantili piu' profonde di ogni individuo, per affermare il diritto del bambino a nascere, sulla base di quel gioco di identificazioni che agiscono quasi sempre inconsapevolmente e in modo diverso nella vita di ognuno. * La svolta che le forze conservatrici, incoraggiate e sostenute, non solo nel nostro paese, dal rinnovato interessamento della Chiesa per questioni che spetterebbero allo Stato, persegue in modo esplicito la volonta' di affermarsi sul terreno che la cultura laica ha esitato a far proprio, nonostante sia stata in tempi non lontani attraversata da movimenti che ne hanno fatto il centro delle loro pratiche politiche. Tra i "valori" su cui le destre, cattoliche e ateisticamente devote, intendono impostare la loro campagna elettorale, campeggia, come gia' si puo' vedere, il corpo femminile, il suo "naturale" destino di continuazione della specie, di negazione di se' per il bene dell'altro, di cerniera immobile tra la famiglia e la societa', di urna domestica depositaria di tutte le virtu' che vengono sistematicamente disattese dalla vita pubblica. Se ci fa orrore e ci riempie di indignazione che i piu' accesi sostenitori della guerra e della superiorita' dell'Occidente siano anche gli zelanti San Cristoforo ansiosi di traghettare neonati fuori dalle infide acque materne, dobbiamo anche chiederci se, opposto e speculare a questo atteggiamento, non sia la difesa a oltranza della donna "vittima", l'insistenza sulla figura materna e sull'aborto come "questione femminile", anziche' portare l'attenzione, come sarebbe logico, alla forma che ha preso storicamente il rapporto tra i sessi. 3. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: OGGETTI PROIBITI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 novembre 2005. Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay); giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese; ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano] La sera del 2 novembre 2005, Helena Villagra ed io abbiamo dovuto fare scalo all'aeroporto di Miami. Venivamo dall'Honduras, El Salvador e il Messico. All'uscita dall'aeroporto di Citta' del Messico, le nostre quattro valigie sono state accuratamente perquisite, di fronte ai nostri occhi, da mani coi guanti che le hanno frugate in ogni angolo e le hanno poi spedite a Montevideo. Fin qui passi, ma la cosa non finiva li'. Subito dopo ci attendeva la coincidenza con l'altro volo a Miami. Siamo stati la' per circa quaranta minuti, che, nell'insieme, ci sono voluti per percorrere la via crucis delle code, dei questionari, delle domande, delle impronte digitali, delle foto e dello strip-tease precedente all'imbarco. Ore dopo, alla fine del viaggio, abbiamo scoperto che due delle nostre valigie erano state profanate. Di una era sparito il lucchetto. Nell'altra era stata rotta la chiusura di sicurezza. Dentro, grazie a Bush, abbiamo trovato una spiegazione. La profanazione era avvenuta a Miami. "Oggetti proibiti": ecco di cosa si trattava. Dentro ad ogni valigia c'era un avviso della Amministrazione della Sicurezza del Trasporto degli Stati Uniti, che ci diceva: "La vostra valigia e' stata scelta per un'ispezione. Nel corso dell'ispezione la valigia e il suo contenuto possono essere stati perquisiti alla ricerca di oggetti proibiti", e aveva la gentilezza di ringraziare: "Vi siamo molto grati per la vostra comprensione e collaborazione". Helena ha la fortunata o disgraziata abitudine di vedere la realta' prima che accada. La vede nel sonno. L'ha vista addormentata, un po' prima che le nostre valigie subissero questo attacco da parte della curiosita' ufficiale. Ci ha visto in un aeroporto, in fila, obbligati a far passare i nostri cuscini attraverso una macchina. La macchina leggeva, nei cuscini, i sogni che avevamo sognato. Era una macchina preposta a identificare i sogni pericolosi per l'ordine pubblico. * Che cosa hanno trovato gli agenti della sicurezza che hanno aperto le nostre valigie? Ho paura che non siano sembrate sospettose per quel che portavano, bensi' per quel che non portavano. Le valigie non contenevano armi di distruzione di massa. Per questo meritavano di essere invase, come l'Iraq. Per giunta, li' dentro non c'era nemmeno un oggetto di quelli che non solo non sono proibiti, ma che sono raccomandabili, e persino imprescindibili, nella borsa di una donna e nel bagaglio di un uomo. C'erano molti libri, ma fra loro non figurava la raccolta completa dei discorsi del presidente del pianeta, che fin dai suoi primi discorsi in Texas si e' distinto per la sua prosa raffinata, il suo fervore mistico, la sua trasparente onesta' e il suo involontario senso dell'umorismo. Gli agenti non hanno trovato fra le nostre carte nessun contratto di lavoro dello stile di quelli dell'impresa WalMart, modello universale del successo, che proibisce i sindacati e altre scocciature nemiche della produttivita' operaia. Non hanno trovato nessun documento dei saggi esperti internazionali capaci di dimostrare che perfino la pioggia dev'essere privatizzata, come accadde in Bolivia finche' il popolo non la de-privatizzo'. Non avevamo dietro nessun contratto di libero commercio, di quelli che detta il paese onnipotente che non si e' mai sognato di praticare, ne' pratica, una cosa del genere. Non avevamo dietro nemmeno picanas elettriche ne' altri strumenti di tortura necessari per gli interrogatori che quel paese ha praticato e continua a praticare per promuovere la liberta' d'espressione. Nelle nostre valigie non c'erano vassoi di MacDonald's ne' di Burger King, ne' di nessun'altra impresa dedita alla nobile missione di lottare contro la fame moltiplicando gli obesi. Non c'era nemmeno un'automobile, fatto che deve aver stupito in un paese dove perfino i bebe' hanno la patente e, dalla nascita, possono intossicare l'atmosfera senza che la parola Kyoto suoni minimamente alle loro orecchie. Era anche significativa l'assenza di semi transgenici, di quelli che stanno trasformando i contadini del mondo in felici funzionari dell'impresa Monsanto. E non meno significativa era l'assenza della stampa transgenica, i cui transgenici giornalisti chiamano catastrofi naturali i quotidiani atti di terrorismo della societa' dei consumi. * Noi eravamo appena stati inseguiti dagli uragani. Eravamo stati in alcuni dei paesi piu' colpiti da queste follie, cicloni, siccita', inondazioni, sempre piu' frequenti e piu' feroci. Che cos'hanno di naturale queste catastrofi ammazzapoveri? E' forse cosi' perversa la natura? Pazza di per se'? Perversa o pazza? Non e' che stiamo confondendo il boia con la vittima? E' la natura che avvelena l'aria, intossica l'acqua, distrugge i boschi e fa diventar matto il clima? In Honduras abbiamo visitato le rovine di Copan. Fu uno dei regni Maya misteriosamente scomparsi sei secoli prima della conquista spagnola. O non cosi' misteriosamente: gli studiosi tendono a ritenere, con sempre maggior fondamento, che fu per colpa dei disastri ecologici. Almeno nel caso di Copan e' chiaro che i boschi si erano ridotti a deserti che producevano pietre al posto del mais. Questa storia non si sta forse ripetendo? Solo in Honduras, lo sterminio avanza a un ritmo di settantacinquemila alberi al giorno, secondo quanto denuncia il sacerdote Andres Tamayo, che vive al servizio del cielo e della terra. Nelle Americhe, e in molti altri luoghi del mondo, i boschi naturali, verdi feste della diversita', vengono brutalmente ridotti al nulla, o a pascolo per il bestiame, o diventano falsi boschi industriali che rinsecchiscono la terra. Non possiamo guardarci allo specchio dei tempi che furono? Non sara' che la memoria e' un oggetto proibito? Secondo gli esperti il disastro del ciclone Stan nel Chiapas avrebbe potuto ridursi della meta', se quella regione fosse stata ancora difesa dai suoi boschi. A Cancun, dove Wilma non ha lasciato niente in piedi e ha svuotato di sabbia le spiagge, gli immensi complessi alberghieri dell'industria turistica avevano distrutto le dune e le zone litoranee dove crescono le mangrovie che proteggevano quelle coste. * E gli altri uragani? Quei vortici inarrestabili che trascinano con se' popolazioni disperate da Sud verso Nord, sono forse catastrofi naturali? A Tegucigalpa, a San Salvador, a Oaxaca, abbiamo visto lunghe file di donne scalze, cariche di bambini, venute da villaggi lontani, davanti alle agenzie di spedizione. Aspettavano il denaro inviato, dagli Stati Uniti, dal marito, dal fratello o dal figlio. Le disgrazie si travestono da fatalita' del destino e dicono di essere naturali. E' naturale che un paese condanni i suoi figli piu' poveri a mettere in gioco la propria vita e a rincorrere la speranza al prezzo dell'umiliazione e dello sradicamento? In tutta l'America Latina, i filantropi del Fondo Monetario e della Banca Mondiale hanno moltiplicato le esportazioni... di carne umana. Emigranti o espulsi? Molti di coloro che se ne sono andati, i cosiddetti boatpeople, cadono per strada, a causa della sete o delle pallottole, o ritornano mutilati nei loro villaggi d'origine. Coloro che sopravvivono e arrivano alla terra promessa, si sfiancano lavorando in qualche modo e in quel che trovano, giorno e notte, perche' laggiu', nel paese che li ha espulsi, sopravvivano le loro famiglie private della terra e del cibo. Una dura odissea. Anche loro sono oggetti proibiti. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: I PRIVILEGI, LA CECITA' [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Noi che ogni giorno osserviamo l'insopportabile, diretto e sfrontato, intervento del Vaticano nella politica italiana, con forme se non di fondamentalismo certo di oscurantismo, di chi pensa di detenere la verita' rivelata e cerca di imporla a tutto l'universo; e non vediamo chi possa porre un limite all'invadenza ecclesiastica. Noi che ogni giorno assistiamo sgomenti allo stravolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza; ultima in ordine di tempo la votazione sulla devolution; e non vediamo chi possa porre un limite a questo perenne stravolgimento. Noi che ancora inorridiamo davanti ai quotidiani, tragici sbarchi degli immigrati, con il loro carico di morti ad un passo dalle nostre coste; mentre sullo sfondo restano gli assurdi "centri di permanenza temporanea"; e non vediamo chi possa porre un limite a queste inutili crudelta'. Noi che siamo contro la guerra, contro il proliferare degli attentati, contro le stragi quotidiane in Iraq, i corpi bruciati dal fosforo, le carceri segrete, le torture, ecc.; e non vediamo chi possa porre un fine a questa guerra infinita. Noi, in realta', ci stiamo assuefacendo a questi orrori; tanto che non sollevano scandali o rivolta delle nostre coscienze. Noi ci assolviamo dicendo che la colpa e' dei politici (con le dovute proporzioni), di governo e di opposizione. In realta', come ha scritto Raffaele K. Salinari: "Se la politica non reagisce come vorremmo e' decisamente colpa nostra e non solo dei politici, essi reagiscono solo all'opinione pubblica organizzata, ma l'evidenza che ancora a sinistra ci siano divisioni sul come giudicare questi fatti drammatici o addirittura sul come giustificarli, significa che l'impero ci attraversa tutti e che, in fondo in fondo, anche la sinistra radicale teme di perdere certi privilegi occidentali. Pensiamoci bene allora prima di condannare o assolvere perche' stiamo facendo il processo a noi stessi". Per tutto questo le cose sono piu' complicate di come sembrano a prima vista, ed il nostro compito ben piu' arduo di come viene presentato da facili slogan. E' evidente che la prassi della guerra preventiva, da una parte, e i processi di globalizzazione, dall'altra, domandano una seria ricerca per coniugare in questo contesto il tema della pace, della nonviolenza e la prassi della solidarieta' internazionale. Perche' dobbiamo dirci con franchezza che non disponiamo, oggi come oggi, di una teoria adeguata ai tempi e che li sappia interpretare. Certo, mille economisti ci possono svelare questo o quel meccanismo; altrettanti politologi e giuristi sapranno fare altrettanto per quanto di loro competenza: ma una volta che avessimo letto tutto quel che c'e' da leggere sul legame guerra e globalizzazione, ne avremmo davvero capito ogni segreto? Tutto cio' richiede un aggiornamento delle categorie con le quali abbiamo letto il passato e che prende il via dal riconoscimento che dopo Auschwitz e Hiroshima, nonviolenza, pace e solidarieta' internazionale sono necessita' inscindibili, e nessuna giustificazione puo' essere messa avanti per guerre e oppressione di popoli e persone. Per tutto questo ci sta a cuore la critica del capitalismo, la possibilita' di difendersi e di difendere, di liberarsi e di liberare dallo sfruttamento e dall'oppressione. Per questo la nostra solidarieta' non e' elemosina, ma ricerca di giustizia. Per questo davanti a un mondo che cambia in peggio sotto i nostri occhi, noi continuiamo a guardarlo sempre con gli occhi degli oppressi, di coloro che questo mondo vogliono cambiarlo in meglio. Noi continuiamo a praticare la solidarieta' internazionale che coinvolge i sentimenti, il cuore, la ragione; che assume la realta' delle persone, della storia; svelando ingiustizie, violenze, disumanita'; che sollecita al cambiamento delle persone, delle relazioni, della realta' storica, coinvolge ed esprime parole e gesti perche' questo avvenga dentro la storia. 5. LIBRI. ANTONELLA ANEDDA PRESENTA "LA LETTERATURA E L'INQUIETUDINE DELL'ASSOLUTO" DI JEAN-PIERRE JOSSUA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 novembre 2005. Antonella Anedda, nata a Roma, laureata in storia dell'arte moderna, insegna lingua francese all'Universita' di Arezzo; poetessa, narratrice, saggista, traduttrice, collabora con varie riviste. Opere di Antonella Anedda: Residenze invernali, Crocetti, 1992; Cosa sono gli anni, Fazi, 1997; Nomi distanti, Empiria, 1998; La luce delle cose. Immagini e parole nella notte, Feltrinelli, 2000; Notti di pace occidentale, Donzelli, 1999; Tre stazioni, Lieto Colle, 2003; Il catalogo della gioia, Donzelli, 2003. Dalla medesima fonte riportiamo anche la seguente scheda su Jean-Pierre Jossua: "Nato da una famiglia di origine ebraica Jean-Pierre Jossua entro' nell'ordine domenicano a ventidue anni. Da trentacinque anni analizza da teologo la letteratura moderna e in particolare poeti agnostici come Nerval, Reverdy, Jaccottet, Bonnefoy. Rettore dell'universita' domenicana Le Saulchoir, tiene attualmente corsi di estetica al 'Centro Sevres'. Tra i suoi numerosi volumi, i quattro della monumentale Pour une histoire religieuse de l'experience litteraire (Parigi,1985-98), inoltre La litterature et l'inquietude de l'absolu (Parigi, 2001, appena tradotto da Diabasis con il titolo La letteratura e l'inquietudine dell'assoluto), e il libro dedicato a Philippe Jaccottet, dal titolo Figures presentes, figures absentes. Pour lire Philippe Jaccottet (Parigi, 2002). Inoltre, sono da ricordare i cinque volumi del Diario teologico (1976-2001) e l'autobiografia Une vie (Parigi, 2001). Una parte importante del lavoro di Jossua - il cui filo comune e' la ricerca delle analogie tra i vincoli che incontrano tanto i poeti quanto i teologi nel nominare il mistero e l'esperienza spirituale - e' anche quella dedicata allo studio del vocabolario della transcendenza" Dalla medesima fonte riprendiamo anche la seguente scheda su Cristina Campo, alla cui figura ed opera questo articolo dedica una particolare attenzione (anche muovendo dal recente libro di Margherita Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Edizioni Studium, Roma 2005): "Il suo vero nome era Vittoria Guerrini, nacque a Bologna nel 1923 da una famiglia al tempo stesso agiata e colta. Una affezione cardiaca le impedi' di frequentare la scuola, ma ebbe una buona istruzione privata e studio' l'inglese e il tedesco sui testi dei poeti, che comincio' a tradurre gia' tra il 1943 e il '44. Figura schiva e umbratile, fu al centro di numerose relazioni con alcuni tra i protagonisti dell'ambiente culturale fiorentino: fondamentale fu l'incontro con Leone Traverso, che la introdusse allo studio di uno degli autori da lei preferiti, Hugo von Hofmannsthal; mentre e' all'amicizia con Gianfranco Draghi che dovette la scoperta di Simone Weil. In vita Cristina Campo - che mori' nel 1977 - pubblico' in vita solo due libri: Fiaba e mistero (1962) e Il flauto e il tappeto (1962). Quasi tutta la sua opera venne curata, postuma, dall'amica Margherita Pieracci Harwell. Tra i suoi titoli, Lettere a un amico lontano, Scheiwiller, 1989, Gli Imperdonabili, 1987, La tigre assenza, 1991, Lettere a Mita, 1999, tutti pubblicati da Adelphi, come pure lo studio che le ha dedicato Cristina De Stefano con il titolo Belinda e il mostro, 2002"] Mostrare la ricerca di assoluto in poeti e scrittori prevalentemente agnostici fino a formulare l'ipotesi di una "teologia letteraria": e' questa la sfida che Jean-Pierre Jossua, studioso domenicano di famiglia ebraica, aveva gia' annunciato nella monumentale Pour une histoire religieuse de l'experience litteraire e ora ribadisce nel libro La letteratura e l'inquietudine dell'assoluto, recentemente pubblicato da Diabasis per la cura di Antonio Spadaro e la traduzione di Maria Zanichelli. L'ammissione di inquietudine permette liberta': la forza di interrogare libri e autori nella maggior parte dei casi non credenti, senza mai cedere alla tentazione di assimilarli o tanto meno di convertirli. Jossua riflette ma non intellettualizza. La sua concezione di cultura risponde all'esigenza di coltivare se stessi in quanto esseri umani, la sua predilezione va a una fede non pacificata, ma anzi alimentata dai dubbi, la sua diffidenza verso la categoria del sacro lo porta a non amare quegli autori come l'ultimo Claudel che sottomettono l'esperienza creatrice a un'ideologia religiosa. Davvero religiosa e' invece, ai suoi occhi, ogni esperienza in cui la scrittura (la poesia piuttosto che la prosa) si pone come ostensione del finito, come esposizione - secondo la definizione di Paul Celan - e non come imposizione. * Dialogo tra due mondi distanti Dubbio, limite, attesa, perdita sono allora i temi che percorrono l'intero libro attraverso le figure di Miguel de Unamuno, Katherine Mansfield, Peter Handke, Cristina Campo, Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani e Philippe Jaccottet. Autori diversissimi tra loro ma uniti da una stessa inquietudine, da una tensione che tuttavia prescinde nella maggior parte dei casi dal tradizionale linguaggio della fede. Consapevole dei rischi che per un cristiano comportano le parole di una letteratura profana, Jossua articola il proprio pensiero con rigore ma senza mai perdere di vista la terra delle cose. Il suo obiettivo e' provare a ridefinire il rapporto tra credenti e non credenti, cercando di far parlare due mondi distanti, diversi, ma potenzialmente capaci di ascolto reciproco. Per questo smantella i luoghi comuni sia della critica letteraria che della teologia, alla ricerca invece di quei luoghi in comune, soprattutto nella poesia, dove l'altezza sia data dalla semplicita' e la religiosita' da una realta' profana "ma come illuminata dall'interno". Il titolo di uno dei capitoli: "sacra conversazione tra poeti" commenta perfettamente quello che Jossua intende dire, sia attraverso una citazione di Bonnefoy che attraverso il linguaggio dell'iconologia: si puo' parlare di sacro perche' esiste la conversazione, perche' anche attraverso il silenzio - come nel dialogo muto tra le mani in Lorenzo Lotto o nel paesaggio in Giovanni Bellini - esiste una realta' comune in cui presenze diverse comunicano a dispetto del tempo in uno spazio creato dal loro stesso esserci, guardarsi, riconoscersi. Cosi' La vita di don Chisciotte di Miguel de Unamuno e' lo specchio di un'interiorita' commossa, mobile, comune, di una fede che e' prima di tutto fiducia, "facolta' di ammirare e di fidarsi", di riconoscere nel volto dell'altro lo spazio da percorrere per rintracciare la propria verita' piu' profonda. * L'amore per le cose mortali Cio' che interessa Jossua, come sottolinea Antonio Spadaro nell'introduzione al libro, e' proprio "l'irraggiungibilita' dell'infinito attraverso il dispiegarsi del finito". Sono infatti i limiti, i confini, le barriere che con le loro incerte possibilita' di varchi, l'intermittenza delle luci, lo struggimento delle attese rendono la realta' non un ostacolo ma una promessa. In Don Chisciotte, del resto modello, per ammissione di Dostoevskij, del Principe Myskin protagonista dell'Idiota, Jossua, vede la gratuita' di chi ama senza calcolo, la generosita' e la follia di chi, per usare le parole di Unamuno, "non spegne il lume per risparmiare il lucignolo" e si spinge la' dove non vede, non comprende, obbedendo alla parte piu' autentica, anche se meno comoda, di se stesso. Jossua non esita invece a mostrare il suo distacco da una "religione emotiva, estetica, venata da una sorta di sensualita' soprannaturale". Ama e propone attraverso Baudelaire e Bonnefoy "l'amore per le cose mortali", vedendo frammenti di verita' nel congedo, nello smarrimento, nell'inquietudine appunto che segna il nostro essere finiti, nel nostro essere sempre per ora solo sul ciglio di una porta. Una posizione coraggiosa che vieta non solo ogni sentimentalismo, ma qualsiasi tentativo di sacralizzare, ieraticizzare, allontanare la vita, fosse pure in nome della bellezza. E' questo tipo di abbassamento poetico e religioso che Jossua individua nella poesia (e nella fede) dell'ultima Cristina Campo. Se infatti apprezza alcune liriche giovanili meno compiute ma piu' forti, si ritrae invece da poesie come Missa romana, a suo parere tanto esplicitamente cattoliche da indebolire sia la religiosita' sia la forza poetica dei testi. * Della bellezza come rischio Ridondanza e raffinatezza, esaltazione per la liturgia e la bellezza formale, predilezione per un Dio persecutore e apocalittico fanno dell'ultima Campo l'esempio da non seguire di un cristianesimo che insiste sull'astensione e la proibizione, di un'ansia di perfezione che puo' diventare amarezza, di una difesa della tradizione che s'irrigidisce in polemica, dell'ossessione per un'assenza che diventa distruzione. Con rimpianto, Jossua nota come citare la mistica e San Giovanni della Croce non impedisca all'ultima Campo di allontanarsi da quella materia sonora che e' invece la realta', l'umanita' della poesia. L'autrice che apprezza e' la lettrice consapevole del pericolo della bellezza come rischio, come "spada a doppio taglio", la scrittrice appassionata che scrive a William Carlos Williams per sottoporgli le sue traduzioni, la studiosa radicata nell'attenzione e vicina al pensiero di Simone Weil, tradotta e condivisa con il filosofo veneziano Andrea Emo. E' l'immagine che affiora dal volume curato da Margherita Pieracci Harwell dal titolo: Cristina Campo e i suoi amici (Edizioni Studium, 2005). In questo libro fatto di echi e lettere, di memorie e dialoghi tessuti con uguale intensita' tra vivi e morti forse si puo' rintracciare la parte piu' autentica e inquieta dell'opera di Cristina Campo, sicuramente quella piu' libera da condizionamenti ma anche piu' drammaticamente tesa a restituire nella propria opera, soprattutto critica, il respiro dell'opera altrui. Descrivendo il suo primo incontro con Cristina Campo, Margherita Pieracci Harwell mette in luce, da lettrice, "l'urgenza di sapere come a un altro essere umano sia o sia stato possibile... in senso spirituale, vivere". Una domanda che si rispecchia nella frase di uno degli "amici" (e maestri), non necessariamente viventi della Campo, quell'Hugo von Hofmannsthal che insieme ad altri era destinato a comporre, per l'appunto, un "libro degli amici". Se infatti il senso della poesia e' lettura del mondo ma anche del destino, quello dell'amicizia e' conoscenza di se' nell'altro. Alla radice di entrambe, come nota Pieracci Harwell, "e' il mistero che appartiene al sacro", quel mondo altro che per la Campo poteva essere suggerito solo da un linguaggio "alto" che, secondo la testimonianza della studiosa, Cristina Campo usava anche per parlare con giornalai, camerieri di caffe', tassisti e "che loro intendevano perfettamente, perche' era alto alla maniera di quello petrarchesco...". A questa esigenza si collega la domanda sul vivere "in senso spirituale" che attraversa tutto il volume, non solo come tema fondamentale ma come traduzione di traduzioni, possibilita' per una lettrice, ma soprattutto per un'amica, di serbare, attraverso i ricordi, i brandelli di frasi, le citazioni condivise e amate, i volti e i luoghi, quella realta' spettrale che e' la vita di una persona cara. * Della compassione Nonostante le affinita' tra Jossua e la Campo siano tangibili anche stilisticamente (frasi come "incontrare un altro e' trovare la porta di se stessi" potrebbero essere state pronunciate da entrambi) quello che resta estraneo allo studioso e' la volonta' della Campo di mettere la propria opera e la propria religiosita' sotto "il segno quasi esclusivo del destino". Un disagio che rende severo il suo giudizio (religioso e critico) su quella "conversione" che per la Harwell e' invece esito naturale di un cammino che dalla frequentazione dei poeti porta a quella dei santi. Piu' vicine alla concezione di Jossua sono invece altre due autrici italiane protagoniste con la Campo del capitolo intitolato, dai versi di Gerard de Nerval, "I sospiri della santa e le grida della fata": Margherita Guidacci e Maria Luisa Spaziani, rispettivamente tese verso "un assoluto di saggezza" e "di poesia", e apprezzate per la loro capacita' di "collocare la poesia dalla parte dell'attenzione al quotidiano". Ancora piu' esemplari sono la vita e l'opera di Katherine Mansfield alla quale e' dedicato uno dei capitoli centrali del libro. Nei Diari della scrittrice spezzati dal dubbio e dalla difficolta', sempre in bilico tra disperazione e fiducia, Jossua rintraccia quella scrittura capace di attraversare la perdita e di accogliere il dolore, di una persona non credente ma comunque tesa "a non essere inferiore al proprio io piu' profondo". Etica del lavoro, ricerca di una verita' senza enfasi, morte continuamente vissuta attraverso la malattia e riassorbita nella vita solo alla luce di brevi tregue di contemplazione e di amore. Come il tanto amato Cechov, anche l'opera di Katherine Mansfield parte dal riconoscimento della realta' "dolceamara" dell'esistere: una ironia quieta, senza fiele, nata dal non chiudere gli occhi davanti all'altrui e soprattutto al proprio male, la propria colpa, la propria limitatezza e che si trasforma in compassione per la sofferenza delle creature. * Nella debolezza la nostra verita' A questa poetica dell'errore e dell'errare si connette l'autore che insieme a Yves Bonnefoy e a Gustave Roud resta uno dei piu' amati, forse il prediletto da Jossua: Philippe Jaccottet, che sigilla il capitolo finale del libro e alla cui opera lo studioso aveva dedicato il volume Figures presentes, figures absentes. Pour lire Philippe Jaccottet (Paris, 2002) e uno dei saggi del libro La passione dell'infinito nella letteratura (2005), a cura di Riccardo Emmolo e Antonio Sichera. Jaccottet e' per Jossua l'interprete di un'autentica "poetica dell'Inafferrabile", di un'inquietudine paradigmatica che parte dal dubbio e si radica solo nella luce della propria fragilita' e della propria ignoranza. La lettura di Jaccottet procede attraverso una serie di citazioni tratte sia dalle liriche (per le traduzioni italiane, cfr. Il barbagianni e l'ignorante, titolo dell'antologia curata e tradotta da Fabio Pusterla, Milano1999, Alla luce d'inverno, Milano 1997, Arie, Milano 2000) che da numerosi testi in prosa come La Semaison, Elements d'un songe, Une transaction secrete. Poeta agnostico, attentissimo a non dire ma anche a non alludere, rispettoso dell'enigma, ma anche dell'esattezza, cauto verso tutta la terminologia del sacro ma deciso a seguirne le tracce, i cenni, e i segni sulla terra, Jaccottet riesce a registrare le intermittenze, i lucori, le ombre e le assenze che valicano i luoghi. Lontano da ogni arroganza, "nutrito di ombra", l'io di questa poesia e' laterale, addossato, fragile, "disattento a se stesso" secondo la lezione ancora una volta di Simone Weil, nome che del resto attraversa tutti i carnets della Semaison, per essere attento al mondo. Cosi' "chiesa" e' un muro sbrecciato o una casa invasa dall'edera e abbandonata, "eterna" e' la polvere di un gregge che torna a casa la sera, "illimitato" un paesaggio dove sembra cancellarsi il confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. La stessa poesia (come in una lirica a cesura delle prose del primo taccuino della Semaison) ritrova il ritmo dei Salmi per farlo rintoccare su immagini di pioggia, nebbia, ombre, abbassa e non alza il suo tono davanti all'inatteso: "Io parlo nutrito d'ombra / e ruminando magre pasture di tenebre / povero, debole, addossato alle rovine della pioggia / mi stringo a cio' di cui non posso dubitare, / il dubbio...". L'infinito e' allora la finitezza di questa voce e di questo sguardo, la debolezza l'unico riconoscimento della nostra verita', il canto una possibilita' del silenzio. * Verso spazi senza potere ne' vittoria Se c'e' un logos divino, se di questo discorso la terra trattiene qualche traccia imprecisa e semicancellata, forse la poesia e', nella sua insoddisfazione, nella sua incompletezza, nella sua stessa marginalita', uno dei pochi linguaggi in grado di ascoltare e faticosamente decifrare una lingua piu' vasta, piu' profonda, ancora lontana e straniera. Certo, la fede puo' separare, ma il mondo creato puo' diventare per tutti un varco, una possibile apertura e comprensione: "... solo intende il cuore / che non cerca potere, ne' vittoria", recitano altri versi di Jaccottet. Il cuore che intende e' capace di accogliere, di raccogliere cenni dispersi che forse potranno parlare ad altri, sorprendendoli, se non trasformandoli. Chi ascolta, ed e' questo che preme a Jossua nella sua duplice veste di credente e innamorato della poesia, riesce a tendere l'orecchio verso uno spazio dove non c'e' posto ne' per il potere, ne' per la vittoria. Chi legge trova, non la poesia con la maiuscola, ma le poesie, queste "piccole lanterne nelle quali arde il riflesso di un'altra luce". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1130 del 30 novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1130
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1130
- Indice: