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La nonviolenza e' in cammino. 1101
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1101
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 1 Nov 2005 00:04:28 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1101 del primo novembre 2005 Sommario di questo numero: 1. Jean-Marie Muller: Momenti e metodi dell'azione nonviolenta (parte prima) 2. Domenico Jervolino presenta "Percorsi del riconoscimento" di Paul Ricoeur 3. Letture: Tania Maria de Melo Moura, A pratica pedagogica dos alfabetizadores de jovens e adultos 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. JEAN-MARIE MULLER: MOMENTI E METODI DELL'AZIONE NONVIOLENTA (PARTE PRIMA) [Riproponiamo ancora una volta la prima parte del testo di un opuscolo edito dal Movimento nonviolento che a sua volta riproduceva anastaticamente un capitolo di una piu' ampia opera. L'opuscolo e': Jean-Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, s. i. l. 1981; il libro e' Jean-Marie Muller, Strategia dell'azione nonviolenta, Marsilio, Venezia-Padova 1975 (il capitolo e' il settimo, alle pp. 73-99). Noi riproduciamo qui il testo di Muller senza le note dell'autore e senza la presentazione del traduttore Matteo Soccio (uno dei maggiori studiosi ed amici della nonviolenza in Italia), rinviando per la lettura del testo integrale all'acquisto dell'opuscolo, disponibile presso il Movimento nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005. Ovviamente, ed i nostri lettori abituali lo sanno, essendo la nonviolenza un campo di ricerche, di riflessioni ed esperienze di straordinaria ampiezza ed apertura, le tesi di Muller costituiscono uno degli approcci possibili, altri autori propongono definizioni e percezioni della nonviolenza anche assai differenziate e su taluni punti fin confliggenti rispetto alle formulazioni proposte da Muller] In questo capitolo vorremmo precisare quali sono i diversi momenti di una campagna di azione nonviolenta tipo, e quali sono le modalita' di ognuno di questi momenti. Anche se non abbiamo intenzione di dare delle ricette che basterebbe applicare alla lettera in ogni situazione per raggiungere il successo, non ci sembra inutile riunire gli insegnamenti tratti dalle azioni compiute in passato e classificarli secondo un ordine che risponde a una certa logica. Non si rende sterile l'immaginazione se le offriamo uno schema in cui essa, come ci ha dimostrato l'esperienza, abbia le maggiori possibilita' di esercitarsi utilmente. Se anche queste indicazioni non ci garantissero il successo dell'azione, esse almeno dovrebbero evitarci numerosi errori che ci assicurerebbero il fallimento. * 1. Analisi della situazione E' essenziale che prima di decidere l'azione si abbia una conoscenza esatta della situazione in cui s'inserisce quell'ingiustizia che si vuole denunciare e combattere. Se i responsabili dell'azione dimostrassero di non essere sufficientemente a conoscenza dei fatti, cio' discrediterebbe gravemente il movimento. Inoltre, e' molto importante esprimere sui fatti un giudizio razionale e coerente che miri alla maggiore obiettivita' possibile. Sappiamo quanto grande sia la tentazione d'ingigantire i fatti e di esagerarne la gravita', nella presentazione che ne viene data, fino al punto di rendere ridicola la posizione dell'avversario. Credere pero' che questo stratagemma possa avere una qualche efficacia e' un'illusione. Al contrario, sara' allora facile all'avversario far valere, servendosi di argomenti convincenti, l'aspetto esagerato delle accuse mosse contro di lui, e dare cosi' l'apparenza di potersi giustificare totalmente. Invece la conoscenza rigorosa dei fatti e la loro esatta presentazione costituiscono una carta vincente per la posizione dei responsabili del movimento. La possibilita' di giustificare ogni volta, con prove alla mano, le affermazioni addotte e' un elemento di prim'ordine nel rapporto di forze che si va creando tra gli avversari. Si tratta percio' di fare un'inchiesta e di preparare un dossier sui fatti per essere sicuri della fondatezza di tutte le informazioni ricevute sui motivi delle lamentele sollevate e tener conto solo di quelle che hanno potuto essere verificate. In questo lavoro, non e' sufficiente limitarsi ai fatti: e' importante capirli al fine di sapere come e perche' l'ingiustizia si e' manifestata e si e' mantenuta. Conviene in particolare conoscere quali sono le forze sociali, politiche ed economiche implicate nella situazione, quali sono gli atteggiamenti pratici delle parti in gioco e quali le giustificazioni teoriche che ne vengono date. E' importante analizzare la struttura di potere che predomina nelle relazioni tra le diverse parti allo scopo di individuare chi detiene il potere di decisione. Inoltre, e' opportuno sapere cosa dice la legge a proposito delle controversie che oppongono le parti in causa. A questo proposito non si potra' fare a meno di consultare un giurista competente. Quest'analisi deve permetterci di fare con cognizione di causa una scelta politica con cui si potra' decidere quali saranno i nostri alleati e quali i nostri avversari nel conflitto in corso. * 2. Scelta dell'obiettivo In base all'analisi della situazione, si dovra' scegliere l'obiettivo da raggiungere attraverso l'azione. La scelta dell'obiettivo e' essenziale poiche' da essa soltanto puo' dipendere la riuscita o l'insuccesso del movimento. Converra' scegliere un obiettivo preciso, limitato e possibile. Nella scelta di questo obiettivo bisognera' tenere conto dei diritti dell'avversario e fare in modo - per quanto e' possibile - che egli non debba perdere la faccia nell'accettare le rivendicazioni che gli sono state fatte. L'obiettivo deve essere determinato in modo tale da iscriversi in una prospettiva futura che permetta se non proprio una reale riconciliazione - questa, secondo ogni verosimiglianza, non potra' raggiungersi che piu' tardi -, per lo meno una coesistenza pacifica tra le due parti. L'obiettivo deve apparire allora come un contributo positivo per l'avvenire di tutta la comunita'. Le rivendicazioni del movimento devono essere realistiche e suscettibili di essere accettate dall'avversario. Conviene percio' distinguere cio' che sarebbe auspicabile da cio' che e' possibile. Il successo di un'azione e' raggiunto solo quando si sia ottenuto cio' che si e' rivendicato; chiedere l'impossibile significa inevitabilmente andare incontro al fallimento. Una sola campagna di azioni non bastera' a sopprimere un'ingiustizia profondamente radicata nelle strutture e nelle mentalita'. Saranno necessarie in seguito altre campagne con obiettivi via via piu' ambiziosi. E' importante, nel momento iniziale, che la campagna d'azione non si trovi ridotta a una campagna di proteste a causa di un obiettivo sproporzionato rispetto ai mezzi di cui dispone il movimento. E' essenziale per questo movimento vincere il confronto, soprattutto per poter dare piena coscienza della loro forza e piena fiducia a quelli che fino a quel momento sono stati le vittime rassegnate dell'ingiustizia. E' opportuno quindi stabilire cio' che deve essere preteso in modo che non si debba fare alcuna concessione nel corso dei futuri negoziati. La strategia della nonviolenza non e' una strategia di mutue concessioni. Il piu' delle volte, si pretende piu' di quanto si vuole, per essere certi di raggiungere cio' che si vuole. In questo caso invece ci si sforza di fissare sin dall'inizio cio' che deve e puo' essere richiesto, e si resta fermi su questa posizione per tutta la durata della lotta, senza fare concessioni. Nella lotta nonviolenta, sottolinea Gandhi, "il minimo e' anche il massimo, e siccome e' un minimo irriducibile, non si puo' parlare di ritirata. Il solo movimento possibile e' un avanzamento". Qui pertanto, non si tratta di esigere l'impossibile per ottenere il possibile ma si tratta di esigere il possibile e di attenersi ad esso senza mai transigere, a meno che non si debbano riconoscere e soddisfare certe eventuali rivendicazioni dell'avversario che, durante il conflitto, fossero comprese come giuste. * 3. Primi negoziati Conviene entrare al piu' presto possibile in contatto diretto con l'avversario, prima di portare la controversia sulla pubblica piazza, allo scopo di tentare tutto cio' che e' possibile per risolvere il conflitto senza dover ricorrere alla prova di forza. Si tratta allora di far conoscere ai rappresentanti della parte avversa le conclusioni a cui l'analisi della situazione ha condotto e di far valere le rivendicazioni del movimento precisando l'obiettivo che questo ha deciso di raggiungere. Sin da questo momento e' importante dar prova della piu' rigorosa cortesia nei confronti dell'avversario. In particolare e' opportuno evitare di far pesare sui propri interlocutori minacce destinate a "incutere paura". Conviene invece sforzarsi di far capire che il cambiamento della situazione cosi' com'e' ricercato e', tutto sommato, meno minaccioso per l'avversario del mantenimento dello status quo. Il clima che si istaurera' durante questi primi negoziati determinera' in buona parte il clima di tutto il conflitto. E' percio' essenziale impegnarsi a crearlo in modo tale che disponga l'avversario non ad inasprire gli antagonismi, ma a ridurli. Questi primi negoziati devono permettere alle due parti di conoscersi meglio. Conviene a questo proposito osservare attentamente le reazioni dei propri interlocutori e gli argomenti che adducono in risposta alle accuse mosse. Nel momento stesso in cui si da' prova della piu' stretta cortesia e' importante anche dare prova della massima fermezza e della massima determinazione. Le manifestazioni di "comprensione", le assicurazioni "di studiare seriamente il dossier" e magari le promesse di fare "tutto cio' che e' possibile", che possono essere formulate dall'avversario nel corso di questi negoziati e' opportuno siano accolte senza processi alle intenzioni. Nessuna necessita' strategica obbliga a sospettare di malafede queste manifestazioni di "buona volonta'". La fermezza e il rifiuto di transigere non guadagnano affatto in forza puntando sulla sistematica diffidenza nei confronti dell'avversario. Ma deve essere chiaro che il movimento non si accontenta in nessun momento di promesse, ma che aspetta invece delle decisioni. Esso accettera' di sospendere la sua azione solo quando sara' raggiunto un accordo definitivo che metta fine al conflitto. Cosi', nel corso dei negoziati tra i neri e i bianchi, durante il boicottaggio degli autobus di Montgomery, "alcuni membri del comitato bianco ci suggerirono di ritornare a servirci degli autobus e di rimandare la discussione per un possibile accordo a dopo le feste natalizie, assicurando che la comunita' avrebbe accolto con maggior simpatia le nostre richieste, se la protesta fosse stata intanto sospesa. La nostra risposta fu ancora una volta negativa. Tutti i nostri sforzi, infatti, sarebbero stati vani, se avessimo sospeso la protesta in seguito ad una vaga promessa di futuri accordi" (M. L. King). E' raro che un accordo possa concludersi gia' con i primi negoziati. Questi, quando si trovano ad un punto morto, devono essere sospesi ma non rotti definitivamente, perche' e' proprio fine dell'azione diretta la ripresa dei negoziati. Conviene pertanto, nei limiti del possibile, mantenere continui contatti con l'avversario per tutta la durata dei conflitto. Secondo un principio fondamentale della strategia, il tempo dei negoziati deve essere pure il tempo della preparazione alla prova di forza. I negoziati devono essere leali, e d'altronde e' interesse del movimento che essi riescano. Ma si tratta anche di prevedere l'avvenire e di prepararsi. * 4. Appello all'opinione pubblica In seguito al fallimento dei primi negoziati, bisognera' sforzarsi di fare esplodere l'ingiustizia di fronte all'opinione pubblica con tutti i mezzi di informazione di cui puo' disporre il movimento. Si tratta di ricercare il massimo di "pubblicita'" nel senso tecnico della parola, e cioe' di raggiungere il pubblico per fargli conoscere le ragioni e gli obiettivi dei movimento. E' molto importante mantenere l'iniziativa dell'informazione e di vigilare affinche' il senso dell'azione non venga ne' deformato ne' falsificato. Certo la pubblicita' nasconde tranelli da cui bisognera' guardarsi, ma non per questo essa, in quanto strumento di comunicazione con il pubblico, e' meno indispensabile. Facciamo notare che si tratta di mettere l'opinione pubblica di fronte alle proprie responsabilita', ma non si tratta di colpevolizzare. Si tratta di farle prendere coscienza dell'ingiustizia e non invece di attribuirle cattiva coscienza di fronte ad essa. La cattiva coscienza paralizza piu' di quanto non mobiliti. Bisognera' cercare di creare un "fatto di cronaca" e redigere a tal fine comunicati nei quali verranno esposte le ragioni e gli obiettivi dei movimento. Si trattera' quindi di informare i partiti, i movimenti, le organizzazioni e le personalita' suscettibili di dare il loro sostegno all'azione progettata. Si potra' organizzare una distribuzione di volantini e potra' essere molto efficace "far parlare i muri" per mezzo di scritte e di manifesti che espongono in poche parole i dati della situazione e le soluzioni previste per porvi rimedio. Sara' opportuno, per dare forza a questa affermazione, organizzare delle manifestazioni che sono un confronto diretto con il pubblico, allo scopo di informarlo e di farlo reagire di fronte agli argomenti sostenuti dai manifestanti. Queste manifestazioni dovrebbero, inoltre, permettere a quelli che sono disposti a partecipare all'azione, di contarsi, di conoscersi e di organizzarsi. E' essenziale che quelli che sono vittime dirette dell'ingiustizia denunciata possano partecipare a queste manifestazioni. Questa dovrebbe essere per loro l'occasione di prendere coscienza della propria forza, di vincere la paura e di sviluppare la volonta' di resistenza. Questo confronto del pubblico con le posizioni sostenute dal movimento deve permettere di correggere cio' che deve essere corretto e di individuare meglio gli argomenti sui quali e' piu' opportuno insistere. Percio' e' importante osservare attentamente e registrare le reazioni degli spettatori. Queste sono delle preziose indicazioni che devono permettere di capire meglio i rapporti di forza esistenti tra il movimento e la popolazione, e di orientare meglio l'evoluzione del conflitto. Nel corso di tutte queste manifestazioni pubbliche, la scelta degli slogan deve essere compiuta anticipatamente dai responsabili del movimento. Gli slogan non devono essere numerosi. I partecipanti devono sottomettersi rigorosamente alla scelta che sara' stata effettuata e in nessun caso dovranno introdurre nella manifestazione altri slogan di loro scelta. Nella scelta degli slogan e' un'esigenza strategica quella di cercare la parola giusta che nomini e qualifichi le situazioni che si cerca di correggere. L'impatto della parola deriva dalla sua giustezza e non dalla sua violenza. A questo proposito Danilo Dolci rievoca un fatto tanto minuscolo quanto significativo. Con un gruppo eterogeneo di giovani, egli aveva promosso una marcia da Milano a Roma, per manifestare soprattutto la loro opposizione alla guerra nel Vietnam. Nel raccontare questa marcia, Dolci scrive: "Poiche' alcuni gruppetti di ragazzi a tratti scandiscono "Johnson torna alle tue vacche" molti contadini dei borghi che attraversiamo, soprattutto in Emilia, non sembrano affatto persuasi; sono come offesi: "le vacche non sono forse importanti?", mormorano. I ragazzi cominciano a comprendere chilometro dopo chilometro la distinzione tra sfogo rabbioso e capacita' di penetrare nelle popolazioni affinche' ciascuno si muova ad assumere una posizione cosciente ed esplicita di fronte alla guerra". Cosi', quando giungeranno a Roma, gli slogan scelti si riveleranno piu' incisivi e piu' efficaci. Conviene sottolineare l'importanza, nel corso di queste manifestazioni pubbliche, dell'atteggiamento esteriore dei manifestanti che e' un mezzo essenziale di espressione e di comunicazione. "Al di la' delle parole scritte e pronunciate, il corpo umano e' impiegato per testimoniare in modo drammatico i fatti e le verita' legati al problema in questione" (Hildegard Gos-Mayr). Soltanto un atteggiamento calmo e disciplinato da parte dei manifestanti potra' dare alla manifestazione un carattere di nobilta' e di dignita' che le dara' una maggiore forza. Al contrario, un atteggiamento rilassato e disordinato dei manifestanti non potrebbe non incidere negativamente sugli spettatori. Queste prime manifestazioni pubbliche devono essere innanzitutto strumenti di persuasione capaci di far valere la giustezza della causa sostenuta, ma esse costituiscono gia' dei mezzi di pressione che preparano la messa in opera dei mezzi di costrizione. Senza pretendere di essere esaurienti, citiamo alcuni metodi di manifestazione pubblica: - Comunicati. La presa di posizione pubblica di diverse personalita' attraverso un comunicato rilasciato alla stampa puo' fornire una preziosa garanzia a questa o a quella rivendicazione. Tuttavia un tale metodo e' efficace solo se il testo dei comunicato e' sufficientemente forte e preciso in modo che il fatto di sottoscriverlo sia gia' di per se stesso un impegno. Purtroppo cio' non e' il caso della maggior parte dei comunicati a cui siamo abituati, soprattutto in Francia. Troppi intellettuali e artisti "di sinistra" - in pratica sempre gli stessi - si accontentano di firmare regolarmente comunicati che protestano per principio contro questo o quell'attentato alla democrazia, senza che cio' abbia in genere la minima incidenza sul fatto in questione. Precisiamo tuttavia che non si deve rimproverare a questa elite di fare questo, ma le si deve rimproverare di far soltanto questo. - Petizioni. Promuovere una petizione significa raccogliere il maggior numero di firme in fondo a un testo che denunci una certa ingiustizia e richieda una certa soluzione appropriata. Questo testo verra' successivamente spedito, o consegnato direttamente da una delegazione, a quelli che hanno il potere di decidere in merito al problema posto. Questa procedura puo' rivelarsi efficace nel caso in cui sia possibile raccogliere un numero rilevante di firme. Tuttavia la facilita' con cui si firma un testo rischia di ridurre la portata di una tale iniziativa. Facciamo notare a questo punto che le due prime azioni politiche di Gandhi furono appunto la redazione e l'invio di due petizioni. Infatti, nel 1894 quando Gandhi, su proposta dei compatrioti residenti nel Sud-Africa, accetto' di rinviare il suo ritorno in India per condurre sul posto la lotta contro il razzismo che gravava sulla comunita' indiana, la prima decisione che egli prende e' di redigere una petizione, rivolta all'Assemblea legislativa del Natal, per chiedere di respingere il progetto di legge che privava gli indiani del diritto di voto. "I giornali - ricorda Gandhi nella sua autobiografia - la riportarono con commenti favorevoli, impressiono' anche l'assemblea, fu discussa alla Camera. (...) Pero' la legge fu approvata". Questa prima petizione fu dunque un insuccesso. Ma essa permise agli indiani, fino allora rassegnati e passivi, di mobilitarsi in difesa dei loro diritti. "Questa petizione - scrive Gandhi - fu la prima ad essere mai stata spedita dagli Indiani ai legislatori sudafricani. Era il primo tentativo da parte degli indiani di usare una tale procedura e un'ondata di entusiasmo attraverso' tutta la comunita'". Allora Gandhi non si scoraggio' e decise di far giungere al governo inglese "una petizione fiume". Bisogna tuttavia sottolineare che Gandhi decise "di non accettare una sola firma se il firmatario non avesse prima capito a pieno il significato esatto della petizione". In quindici giorni furono raccolte diecimila firme: un successo considerevole. La petizione fu spedita a Lord Ripon, allora segretario di Stato alle Colonie. Inoltre, "ne erano state stampate un migliaio di copie per farle circolare e per distribuirle; era la prima volta che si informava la popolazione indiana di quali fossero le sue condizioni nel Natal. Inviai copie a tutti i pubblicisti di mia conoscenza. "The Times of India", in un articolo di fondo sulla petizione, difendeva a spada tratta le richieste indiane. Furono inviate copie anche ai periodici e pubblicisti di diversi partiti in Inghilterra: il "Times" di Londra si dichiaro' favorevole alle nostre rivendicazioni e cominciammo a sperare che alla legge fosse posto il veto". Infatti il governo di Londra, impressionato dalla campagna di Gandhi, oppose il veto al progetto di legge ritenendo che esso stabiliva una discriminazione razziale nei confronti di una minoranza dell'Impero. Gandhi otteneva cosi' il suo primo successo. Tuttavia questo non fu che parziale, perche', alla fine, i bianchi del Natal seppero aggirare l'ostacolo che Londra aveva messo sulla loro strada: essi formularono la loro legge in termini che non potevano piu' essere qualificati come razzisti. Questo progetto di legge, cosi' emendato, ma che portava agli stessi risultati pratici, fu approvato e votato. Gandhi doveva riprendere la lotta ma era sicuro, questa volta, di poter contare sulla determinazione dei suoi compatrioti che avevano preso coscienza della loro forza e vinto la loro paura. - Sfilata. Si parla di sfilata quando i manifestanti formano un corteo e percorrono a piedi la citta' da un punto all'altro. Cartelli e slogans informano gli spettatori sulle ragioni obiettive della manifestazione. La sfilata e' il metodo piu' classico della manifestazione pubblica. Cosi', quando viene annunciato che il tal partito, il tal sindacato o il tale movimento invita la popolazione a partecipare ad una manifestazione, si tratta generalmente di una sfilata. Facciamo solo presente che, dal punto di vista della strategia della nonviolenza, l'organizzazione di una sfilata deve soddisfare le esigenze caratteristiche dell'azione nonviolenta. Si puo' ragionevolmente pensare che queste esigenze non saranno soddisfatte se non sara' in precedenza deciso che debbano esserlo, e se non vengano prese precauzioni particolari perche' lo siano effettivamente. Pensiamo in particolare alla scelta degli slogan e all'atteggiamento dei manifestanti nei confronti delle forze di polizia. - Marcia. Si parlera' di marcia quando i manifestanti percorrono a piedi lunghe distanze da una citta' all'altra attraverso uno o piu' paesi. Il fine e' di sensibilizzare la popolazione delle regioni attraversate sull'ingiustizia che si vuole denunciare. Cartelli e striscioni con qualche semplice scritta e volantini che diano maggiori spiegazioni devono permettere agli spettatori di essere informati sulle ragioni e sugli obiettivi della marcia. In ciascuna citta'-tappa si possono organizzare delle riunioni pubbliche per informare gli abitanti e per provocare un dibattito pubblico sul problema in questione. Sara' utile stabilire dei contatti con le personalita' e i movimenti capaci di prendere posizione in favore dei manifestanti e di promuovere a loro volta delle manifestazioni. Delegazioni possono chiedere di essere ricevute dalle autorita' locali per far valere nei loro confronti il punto di vista dei manifestanti. La marcia puo' avere il fine preciso di richiamare l'attenzione dei pubblico su un'azione che avverra' al termine di essa. Un esempio particolare e' dato dalla famosa "marcia del sale" intrapresa da Gandhi allo scopo di preparare il popolo indiano a violare la legge con la quale il governo faceva pagare ad ogni indiano una forte tassa per ogni acquisto di sale. Dopo aver percorso a piedi 380 chilometri attraverso l'India prendendo la parola in ogni villaggio attraversato per invitare la popolazione alla resistenza contro la legge ingiusta, giunse in riva al mare e compi' il gesto simbolico di raccogliere un po' di sale. Da quel momento Gandhi diventava ribelle dell'impero britannico. Per effetto della marcia, tutta l'India aveva gli occhi puntati su di lui ed era pronta a ribellarsi. Nel 1971 venne promossa, dal leader nonviolento spagnolo Gonzalo Arias e da numerosi suoi compatrioti, una "marcia sul carcere", da Ginevra a Madrid, allo scopo di esprimere la propria solidarieta' con l'obiettore Jose' Beunza detenuto allora a Valenzia, e di far pressione sul governo perche' venisse riconosciuto uno statuto legale a lui e agli altri obiettori. La marcia, a cui partecipavano pure manifestanti di diversi paesi, dovette interrompersi al posto di frontiera di Bourg-Madame dove gli spagnoli furono arrestati e gli altri marciatori respinti verso la Francia. Ma la stampa riferi' abbondantemente dell'avvenimento e il fine dell'azione, che era innanzitutto quello di informare l'opinione pubblica sulla situazione degli obiettori spagnoli, fu raggiunto. - Sciopero della fame limitato. Quando lo sciopero della fame si iscrive nella strategia dell'azione nonviolenta ripugna chiamarlo con il suo nome: si preferisce allora parlare di digiuno. Ma pensiamo che cio' sia un errore. Ci sembra importante distinguere il digiuno intrapreso per motivi di ordine religioso o terapeutico dallo sciopero della fame intrapreso per motivi di ordine politico. Di conseguenza, il digiuno e' un'azione privata, mentre lo sciopero della fame e' un'azione pubblica. Lo sciopero della fame limitato a qualche giorno, tra i 3 e i 20 giorni, mira a denunciare pubblicamente un'ingiustizia e ad informare l'opinione pubblica su di essa. Si tratta di un'azione di protesta che di per se stessa non potra' generalmente pretendere di sopprimere l'ingiustizia. Ma essa puo' avere un effetto considerevole sull'opinione pubblica e cio' in particolare se la personalita' di chi la compie e' importante. Facciamo pero' notare che il moltiplicarsi sconsiderato degli scioperi della fame rischia di stancare l'opinione pubblica e di screditare questo mezzo. Percio' e' opportuno ricorrervi con molta cautela. Al termine di queste manifestazioni, converra' ripresentare all'avversario delle proposte precise in vista di un regolamento negoziato dei conflitto. E' possibile che la pressione esercitata dall'opinione pubblica sia abbastanza forte da costringere l'avversario a non portare avanti uno scontro di cui puo' temere che torni a suo svantaggio. In un regime democratico (certo, tutto e' relativo, e si potrebbe avanzare che nessun regime e' veramente democratico, ma diversi confronti che si impongono permettono di dire che certi lo sono e certi non lo sono affatto), la "forza dell'opinione pubblica" e' reale e puo' far maturare certi problemi fino a che le soluzioni desiderabili diventino possibili. Ci sembra pero' che molti liberali, a cui ripugna per temperamento il ricorso all'azione diretta, tendano a sopravvalutare questa forza. Quando si tratta di opporsi a una decisione del governo, non basta il piu' delle volte che l'opinione pubblica si esprima perche' la pressione esercitata su di esso sia abbastanza forte per costringerlo a cedere. Sara' allora necessario ricorrere all'azione diretta, o almeno lasciar capire chiaramente che si e' decisi a farlo. * 5. Invio di un ultimatum Di fronte al fallimento degli ultimi tentativi di negoziato, diventa necessario fissare all'avversario un ultimo termine al di la' del quale saranno date disposizioni di ricorrere all'azione diretta. L'ultimatum, che ricorda le ragioni e gli obiettivi dei movimento, i tentativi precedenti di negoziare e i loro fallimenti, puo' essere considerato come l'ultimo passo in vista di un accordo negoziato. Effettivamente, la prova di forza incomincia con l'ultimatum. Questo in effetti e' piu' un mezzo di costrizione che un mezzo di persuasione. E' d'altronde verosimile che l'avversario si rifiuti di cedere di fronte a cio' che bisogna pur chiamare una minaccia e che egli considerera' un "inammissibile ricatto". Egli rifiutera' l'ultimatum sostenendo di non temere la prova di forza. Inoltre, l'ultimatum e' un appello all'opinione pubblica per invitarla a mobilitarsi in vista dell'azione. Conviene percio' rendere pubblico il testo dell'ultimatum e, a questo scopo, farlo pervenire alla stampa, ai movimenti e alle personalita' suscettibili di solidarizzare con quelli che sono decisi ad agire. Nel racconto della lotta condotta nel Sudafrica, Gandhi spiega a lungo in quali condizioni, nel 1908, egli spedi' un ultimatum al generale Smuts. L'azione che stava conducendo allora era diretta contro l'Atto asiatico, detto anche l'"Atto Nero", che rendeva obbligatorio a tutti gli indiani di iscriversi nei registri del governo. Questa legge stabiliva che "quasi in ogni momento o luogo, gli indiani potevano essere invitati ad esibire il certificato di registrazione; gli esperti di polizia potevano entrare nelle case degli Indiani per esaminare i permessi". Gandhi giudico' questa legge contraria alla dignita' degli indiani e invito' i suoi compatrioti a combatterla fino a che non fosse abolita. Dopo una prima prova di forza, durante la quale gli indiani si erano rifiutati di farsi registrare, Gandhi accetto' il compromesso un po' paradossale propostogli dal generale Smuts a nome del governo. Questo permetteva di abolire l'Atto asiatico se gli indiani si fossero impegnati a iscriversi volontariamente. Gandhi ci tenne a iscriversi per primo e chiese ai suoi compatrioti di fare altrettanto in conformita' agli impegni presi. Gandhi aveva pero' commesso l'errore di accettare un accordo sospendendo l'azione diretta davanti ad una semplice promessa: infatti il generale Smuts non mantenne il suo impegno e rifiuto' ostinatamente di abolire l'"Atto Nero". A quel punto Gandhi si trovo' costretto a riprendere l'offensiva rilanciando l'azione diretta. Egli si decise allora a spedire un ultimatum al generale Smuts. "Infine - riferisce nel suo racconto - fu spedito un ultimatum al governo. Non adoperammo la parola "ultimatum", ma fu cosi' che il generale Smuts chiamo' la lettera che gli spedimmo in cui veniva espressa la determinazione della comunita'". Il testo dell'ultimatum ricordava l'accordo raggiunto precedentemente e precisava: "La comunita' ha spedito numerosi comunicati al generale Smuts e preso tutte le iniziative legali possibili per ottenere giustizia, ma esse finora non hanno portato ad alcun risultato. Siamo spiacenti di dover affermare che se l'Atto asiatico non verra' abolito in conformita' all'accordo, e se la decisione del governo a riguardo non sara' comunicata agli indiani entro una data stabilita (la data fu fissata per il 16 agosto), i certificati ritirati dagli indiani verranno bruciati e gli stessi ne sopporteranno le conseguenze umilmente ma con fierezza". Gandhi e i suoi esitarono molto prima di spedire questo ultimatum: "Ci furono molte discussioni - egli racconta - quando fu spedito l'ultimatum. La richiesta di una risposta entro un termine stabilito non sarebbe stata considerata insolente? Non avrebbero avuto l'effetto di irrigidire il governo e di portarlo a respingere i nostri termini che altrimenti avrebbe potuto accettare?". Ma alla fine tutti gli indiani della comunita' africana decisero di spedire l'ultimatum: "Dovemmo - continua Gandhi - correre il rischio di essere accusati di mancanza di cortesia, e pure quello di vedere il governo rifiutare, per risentimento, cio' che altrimenti avrebbe potuto accordare. (...) Dovemmo adottare un atteggiamento diretto senza esitazione. (...) Il linguaggio dell'ultimatum si inseriva in una progressione naturale e appropriata". Per il giorno in cui doveva scadere l'ultimatum, Gandhi organizzo' una manifestazione per bruciare i certificati nel caso in cui il governo si fosse ostinato a rinnegare l'impegno che aveva assunto. Smuts respinse l'ultimatum con disprezzo: "Quelli - egli disse allora - che hanno rivolto una simile minaccia al governo non si rendono conto della sua potenza. Mi dispiace che qualche agitatore stia tentando di eccitare dei poveri indiani, che si troveranno sul lastrico se soccomberanno ai loro incitamenti". Quando la manifestazione stava per incominciare, Gandhi ricevette un telegramma nel quale era detto che "il governo si doleva della decisione della comunita' indiana, ma non poteva cambiare la propria linea di condotta". La manifestazione incomincio' e Gandhi insistette sulle gravi conseguenze che potevano derivare dal fatto di bruciare il proprio certificato e chiese ai presenti di calcolare i rischi che stavano per assumersi. Ma i partecipanti furono unanimi nel decidere di passare ai fatti e piu' di duemila certificati furono bruciati. Infine, dopo molte altre peripezie, l'"Atto Nero" venne annullato. (Parte prima - Continua) 2. LIBRI. DOMENICO JERVOLINO PRESENTA "PERCORSI DEL RICONOSCIMENTO" DI PAUL RICOEUR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 ottobre 2005. Domenico Jervolino (per contatti: djervol at tin.it), nato a Sorrento nel 1946, discepolo di Pietro Piovani, studioso ed amico di Paul Ricoeur e Hans Georg Gadamer, due fra i maggiori filosofi del Novecento, insegna ermeneutica e filosofia del linguaggio all'Universita' di Napoli Federico II. Fa parte degli organismi dirigenti dell'Associazione internazionale per la Filosofia della Liberazione (Afyl) e della International Gramsci Society (Igs). E' stato recentemente eletto membro della Consulta filosofica italiana (organismo rappresantivo della comunita' scientifica nel campo degli studi filosofici). Nell'ambito dell'impegno politico e nelle istituzioni e' stato consigliere regionale della Campania dal 1979 al 1987 e membro della presidenza del Consiglio regionale. E' stato anche nel corso degli anni tra i promotori del movimento dei Cristiani per il socialismo, dirigente delle Acli e della Cisl Universita', membro della direzione nazionale della Lega delle Autonomie Locali e della segreteria nazionale di Democrazia Proletaria di cui e' stato a lungo responsabile nazionale cultura e scuola. In Rifondazione Comunista e' attualmente membro del Comitato politico nazionale e responsabile nazionale Universita'. Assessore all'educazione del Comune di Napoli dal marzo 2000 al marzo 2001. E' autore, nel campo degli studi filosofici, dei volumi: Il cogito e l'ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur, Procaccini, Napoli 1984, Marietti, Genova 1993 (tradotto in inglese presso Kluwer nel 1990); Pierre Thevenaz e la filosofia senza assoluto, Athena, Napoli 1984; Logica del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Piovani, Morano, Napoli 1994; Ricoeur. L'amore difficile, Studium, Roma 1995; Le parole della prassi. Saggi di ermeneutica, Citta' del sole, Napoli 1996 (in una collana dell'Istituto italiano per gli studi filosofici); Paul Ricoeur. Une hermeneutique de la condition humaine, Ellypses, Paris 2002; Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003. Ha curato e introdotto l'antologia ricoeuriana Filosofia e linguaggio, Guerini, Milano 1994, e una scelta di scritti di Ricoeur sulla traduzione: La traduzione. Una scelta etica, Morcelliana, Brescia 2001. Ha curato, inoltre, i volumi: Filosofia e liberazione, Capone, Lecce 1992 (con G. Cantillo); e Fenomenologia e filosofia del linguaggio, Loffredo, Napoli 1996 (con R. Pititto); L'eredita' filosofica di Jan Patocka, Cuen, Napoli 2000. Ha partecipato ai principali volumi collettivi pubblicati su Ricoeur negli ultimi anni in Francia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti e continua, attualmente, i suoi studi, lavorando in particolare sull'opera di Jan Patocka e sugli sviluppi della fenomenologia di lingua francese nonche' sul raporto ermeneutica-traduzione. Complessivamente i suoi saggi e articoli di filosofia sono circa ottanta in italiano o tradotti in sette lingue straniere. Nel campo della saggistica politica e' autore dei volumi: Questione cattolica e politica di classe, Rosenberg & Sellier, Torino 1969; Neoconservatorismo e sinistra alternativa, Athena, Napoli 1985; e di una vasta produzione pubblicistica. Collabora a numerose riviste italiane e straniere, tra cui "Concordia" di Aachen, "Actuel Marx" di Parigi, "Filosofia e teologia" e "Studium" di Roma, "Segni e comprensione" di Lecce; dirige la rivista "Alternative" di Roma. E' condirettore della rivista "Il tetto" di Napoli, di cui fa parte da circa trent'anni. Paul Ricoeur, filosofo francese, nato nel 1913 e deceduto nel maggio 2005; amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario, uno dei pensatori piu' influenti del Novecento, persona buona. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo questa breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913. Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956 Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente [quando questa scheda fu redatta - ndr] e' direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo i suoi libri Karl Jaspers et la philosophie de l'existence (con Mikel Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Le temps present; Filosofia della volonta' I. Il volontario e l'involontario, Marietti; Storia e verita', Marco; Finitudine e colpa I. L'uomo fallibile, Il Mulino; Finitudine e colpa II. La simbolica del male, Il Mulino; Della interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il Melangolo; Entretiens Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e racconto I, Jaca Book; Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Jaca Book; Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca Book; Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana; A l'ecole de la fenomenologie, Vrin; Se' come un altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du politique, Seuil; Lectures 2. La contree des philosophes, Seuil; Lectures 3. Aux frontieres de la philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite. Autobiographie intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui con Francois Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre: Kierkegaard. La filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o alternativa, Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni, Edizioni cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo particolarmente due recenti monografie: Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999; Domenico Jervolino, Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003] Il problema affrontato dall'ultimo libro di Paul Ricoeur, intitolato Percorsi del riconoscimento (Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, pp. 295, euro 25) non e' stato oggetto specifico di nessuna tra le grandi opere della storia della filosofia, anche se la questione e' in grado di mobilitare tutte le risorse di pensiero di cui la filosofia dispone. Essa, infatti, che ha trattato ampiamente il conoscere, non si e' misurata finora - almeno in modo programmatico - col ri-conoscere. Nella sua introduzione Fabio Polidori osserva come un ipotetico lettore, che ignorasse la lunga vita e la personalita' dell'autore scomparso nel maggio scorso a piu' di novant'anni, potrebbe prendere questa per l'opera giovanile di uno studioso che si avventuri in campi inesplorati e metta in cantiere problemi aperti a sviluppi inattesi. E' una osservazione che sarebbe piaciuta molto a Ricoeur, permettendogli di sentirsi "riconosciuto": quel che contava - soleva dire - non era tanto cio' che sarebbe stato di lui dopo la morte, quanto il fatto di restare vivo fino a quel giorno. Questo suo ultimo testo si presta, tra l'altro, a essere considerato un invito al filosofare: non una introduzione in senso scolastico, ma proprio un invito, come furono nell'antichita' il Protrepticon di Aristotele o l'Hortensius di Cicerone, che desto' nel giovane Agostino l'amore per la sapienza. Misurandosi con i problemi legati al ri-conoscere, Ricoeur entra in un campo di grande ricchezza semantica (che comporta una qualche difficolta' di traduzione): alla parola francese reconnaissance, infatti, corrispondono in italiano due parole diverse, anche se di comune radice: riconosc-imento/riconosc-enza, mentre se si passa dal sostantivo al verbo, la differenza fra le due lingue scompare. All'arco dei significati del verbo reconnaitre e' dedicata la preliminare indagine lessicale con la quale si apre il libro. Non a caso, perche' l'indagine lessicografica prelude alla ricerca filosofica, attingendo nei suoi primi passi al "tesoro della lingua", ma non pregiudica l'autonomia dell'interrogazione filosofica. Non diversamente si era mosso l'autore in Soi-meme comme un autre, nelle considerazioni linguistiche che spiegavano il titolo. Cosi' Ricoeur assolve al suo debito alla svolta linguistica del pensiero novecentesco, ma non si chiude nel linguaggio come in una gabbia. * Una tra le sue lezioni di metodo sta nel considerare il linguaggio, essenzialmente, come apertura verso il reale, verso gli altri e verso se stessi: una apertura che presenta sentieri da percorrere col rischio di perdersi, implicando il continuo confronto con cio' che puo' sviarci e opporsi al nostro andare. Percorsi, appunto, e non teoria, non possesso definitivo del senso. E' un cammino che segue il progredire del triplice lavoro consistente nell'identificare le cose, nel riconoscere se stessi nel rapporto con gli altri, e nella dialettica del riconoscimento reciproco, dove il senso attivo del verbo si converte in quello passivo dell'essere riconosciuto, esponendosi alla minaccia del misconoscimento. Nel compiere questo tragitto Ricoeur convoca, per linee essenziali, i grandi autori della storia del pensiero, dai padri fondatori sino ai maestri della fenomenologia contemporanea, passando per quelle che egli chiama (secondo un ordine piu' logico che cronologico) le tre vette della filosofia del riconoscimento; la vetta kantiana del riconoscimento-ricognizione degli oggetti, la vetta bergsoniana del riconoscimento delle immagini (in Materia e memoria dove vien affrontato il problema attualissimo del rapporto pensiero-cervello), la vetta hegeliana dell'Anerkennung, il riconoscimento reciproco dei soggetti a partire dalla lotta (con la celebre dialettica del padrone e dello schiavo). Nelle pagine di questo ultimo libro di Ricoeur vengono rivisitati i grandi temi del suo pensiero piu' recente, che lo hanno accompagnato in realta' lungo tutta la vita: l'agire e l'agente, l'uomo capace, la memoria e la promessa. Ma la parte del libro che suscita una eco maggiore e' quella in cui emerge con chiarezza la posta in gioco etico-politica dell'intera ricerca: il tema del riconoscimento reciproco affronta la sfida hobbesiana relativa alla concezione moderna della politica fondata sulla valutazione secondo cui l'uomo puo' sfuggire alla sua natura (quella di farsi lupo rispetto ai suoi simili) solo a condizione di sottomettersi al potere assoluto dello Stato. Ricoeur, consapevole dell'ineluttabilita' del conflitto, ciononostante non e' disponibile a lasciare alla violenza, alla guerra e al dominio dell'uomo sull'uomo l'ultima parola. E con un uso sapiente delle sue letture lega il tema fenomenologico-hegeliano del riconoscimento a quello del dono, invocando tanto i classici contemporanei quanto il giovane Hegel, e insieme a questi gli autori francesi che, a partire da Mauss, hanno scritto sul dono, arrivando fino agli sviluppi della Scuola di Francoforte con Honneth e alla recente riflessione sociologica di autori come Boltanski, Thevenot, Henaff. La logica del dono implica, oltre alla dinamica dello scambio, la gratuita' e la generosita', mentre la sua valenza simbolica mette in luce un elemento di festivita' dell'esistenza. * Si profila cosi', sullo sfondo, la possibilita' di un fondamento nonviolento del legame sociale e di uno "stato di pace" quale orizzonte problematico, difficile ma non impossibile. E' un tema, questo, che trova il suo sviluppo piu' coerente nelle riflessioni che il filosofo francese ha dedicato al rapporto tra la traduzione e il riconoscimento, facendo emergere il vincolo che lega ogni nostra ricerca di senso e di identita' all'incontro con l'altro, e allo stesso tempo riproponendo la dissimmetria irriducibile fra l'io e l'altro che contraddistingue qualsiasi nostro rapporto. Nello scarto fra reciprocita' e dissimmetria l'essere insostituibile che ciascuno di noi e' viene preservato dal rischio di perdersi nell'unita' fusionale, garantendo che l'intimita' non sia mai disgiunta dal rispetto. 3. LETTURE. TANIA MARIA DE MELO MOURA: A PRATICA PEDAGOGICA DOS ALFABETIZADORES DE JOVENS E ADULTOS Tania Maria de Melo Moura, A pratica pedagogica dos alfabetizadores de jovens e adultos: Contribuicoes de Freire, Ferreiro e Vygotsky, Edufal, Maceio-Alagoas 2004 (terza edizione). Una bella monografia della studiosa brasiliana docente all'Universita' federale di Alagoas che indaga e ricostruisce acutamente le modalita' educative che piu' adeguatamente favoriscono e interpretano i processi di alfabetizzazione, con specifico riferimento alle riflessioni e alle esperienze di figure illustri come Paulo Freire, Emilia Ferreiro e Lev Semenovic Vygotskij. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1101 del primo novembre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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