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La nonviolenza e' in cammino. 1100
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1100
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 31 Oct 2005 00:33:14 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1100 del 31 ottobre 2005 Sommario di questo numero: 1. Dopo il referendum 2. Emir Sader: Dopo il referendum 3. Ida Dominijanni colloquia con Luisa Muraro 4. Brunetto Salvarani: Una lettera alle donne e agli uomini che Dio ama, in occasione della quarta giornata del dialogo ecumenico cristiano-islamico 5. Irene Alison: Una rosa contro il nazismo 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. DOPO IL REFERENDUM E' bene, e' necessario, che continui la riflessione sul referendum brasiliano del 23 ottobre e che continuino le iniziative a sostegno sia della Campagna per il disarmo, iniziativa vieppiu' necessaria - e necessaria ovunque, sia dello Statuto del disarmo, la legge che oggi piu' che mai e' necessario che sia applicata nel migliore dei modi. Le sorelle e i fratelli brasiliani che hanno animato la campgna per il si' al referendum per proibire il commercio delle armi ci chiedono oggi di continuare nell'impegno. E un segnale assai positivo viene dal Consiglio Comunale di Trento, che il 26 ottobre ha approvato l'ordine del giorno a sostegno della campagna per il disarmo presentato da Flavio Santini, lo stesso documento gia' approvato all'unanimita' dal Consiglio Provinciale di Viterbo e da varie altre istituzioni in varie parti d'Italia. Ed ovviamente al sostegno all'impegno per il disarmo in Brasile va unito l'impegno nostro per il disarmo qui: innanzitutto sostenendo le campagne gia' in corso, per le quali punto di riferimento principale e' la Rete italiana per il disarmo (per contatti: www.disarmo.org). * L'infausto esito del referendum brasiliano ha suscitato tante riflessioni, tante interpretazioni, che segnalano una pluralita' di aspetti e questioni; qui vorremmo da parte nostra rimarcare un solo concetto, gia' da molte altre persone espresso, che a noi pare essere cio' che piu' conta: il fatto che nel referendum abbiano prevalso i no alla proposta di proibire il commercio delle armi, ha come prima, decisiva, ineludibile, orrenda conseguenza la seguente: che migliaia, decine di migliaia di persone continueranno a morire uccise da armi da fuoco. Migliaia, decine di migliaia di vite umane che potevamo aver salvato se solo da tutto il mondo ciascuno di noi avesse dato una mano con sufficiente convinzione e tenacia. Tutte le piu' sottili disquisizioni sociologiche e psicologiche, politologiche e antropologiche, e chi piu' ne ha piu' ne metta, sono nulla rispetto a questo dato di fatto, a questa terribile realta'. * La lotta per il disarmo, la lotta per salvare le vite degli esseri umani dalle armi assassine, continua. 2. VOCI DAL BRASILE. EMIR SADER: DOPO IL REFERENDUM [Da padre Ermanno Allegri (per contatti: ermanno at adital.com.br) riceviamo e diffondiamo il seguente intervento di Emir Sader. Ermanno Allegri e' direttore di "Adital", Agenzia d'informazione "Frei Tito" per l'America Latina, tel. 8532579804, fax: 8534725434, cellulare: 8599692314, sito: www.adital.com.br; "sacerdote bolzanino da trent'anni in Brasile, gia' segretario nazionale della Commissione Pastorale della Terra e ora direttore di un'agenzia continentale (Adital, sito: www.adital.com.br), nata come strumento per portare all'attenzone della grande informazione latinoamericana i temi delle comunita' di base e l'impegno contro la poverta'. Allegri e' stato chiamato a contribuire al coordinamento delle azioni di sensibilizzazione in vista del referendum del 23 ottobre in Brasile per la messa al bando del commercio delle armi da fuoco che in tutta l'America Latina costituisce un rilevante fattore di violenza" (Francesco Comina). Emir Sader e' giornalista e analista sociale e politico brasiliano] E' paradossale la risposta alla catastrofica situazione della sicurezza pubblica in Brasile, di cui Sao Paulo e Rio de Janeiro sono gli esempi piu' evidenti: lo scontento per l'insicurezza generalizzata ha fatto si' che la maggioranza di quelli che hanno votato nel referendum del 23 ottobre abbiano preferito non cambiare niente, lasciare tutto cosi' com'e', senza nemmeno chiedersi se la limitazione della vendita di armi potesse diminuire gli indici di criminalita'. E' un luogo comune dire che i processi penali sono vinti dal miglior avvocato, non dalla verita' sulla colpevolezza o innocenza dell'accusato. Analogamente i processi elettorali, sempre piu' sottoposti al marketing, fanno vincere la miglior campagna, non necessariamente il miglior candidato, il miglior partito o il miglior programma. I brasiliani sono stati convinti che conviene mantenere le cose come stanno. E, se saranno coerenti (speriamo di no), compreranno armi in massa per uccidere il lattaio imprudente del poema di Carlos Drummond de Andrade, che si arrischia ad entrare di prima mattina nel giardino della casa per consegnare il latte. Ha trionfato, in primo luogo, lo "schieramento della pallottola" (quelli che mettono in pratica il motto omicida secondo cui "l'unico bandito buono e' il bandito morto", quelli che "i diritti umani difendono solo i delinquenti"...); ha trionfato la gente legata agli squadroni della morte, alle politiche sistematiche di decimazione della popolazione povera, specialmente quella nera e mulatta, col finanziamento degli imprenditori della periferia delle grandi metropoli. Hanno trionfato quelli che ancora pensano che "la questione sociale e' una questione di polizia" (e di competenza dei gruppi paramilitari); hanno trionfato quelli che la pensano come l'Udr (l'Unione democratica ruralista, organizzazione di destra dei latifondisti), come Jorge Bornhausen (deputato conosciuto per le sue dichiarazioni razziste), come l'Editrice Abril... Hanno trionfato i malviventi, che potranno contare su un maggior numero di armi comprate legalmente da rubare ai loro acquirenti per assaltarli con esse (le statistiche dimostrano che il 75% dei crimini in Brasile sono commessi con armi comprate legalmente e poi rubate ai loro proprietari; e' da prevedere che con l'aumento della vendita di armi, vi sara' una disponibilita' di armi ancora maggiore per questi malviventi). * Si potranno tacciare di ingenuita' o di innocuita' quelli che hanno votato per la proibizione del commercio delle armi, ma certo non di voler legittimare lo stato di cose presente. Certamente i movimenti sociali, i sindacati, i movimenti per i diritti umani, la grande maggioranza dei militanti sociali e politici legati alle cause umanitarie hanno votato per il si'. Dovrebbero considerare con la massima attenzione la campagna e i risultati del referendum quelli che non credevano che ci fosse in Brasile una enorme ondata conservatrice e reazionaria, razzista e repressiva; quelli che infilano la testa, come struzzi, negli scontri interni alla sinistra, spendendo la' tutta la loro energia, e si dimenticano che esiste la destra, l'imperialismo, i gruppi armati paramilitari, l'industria delle armi, e cosi' via; quelli che vogliono ridurre tutto allo scontro intestino di tendenze o di gruppi dentro la stessa sinistra. Tutti costoro hanno cooperato a che si producesse questo risultato, a questa vittoria della destra, con la loro visione completamente errata del paese, dei rapporti di forza tra destra e sinistra - in Brasile, nell'America Latina e nel mondo - e delle priorita'... Per questo sono soliti rimanere al margine della storia, incapaci di costruire alternative e incidere nel processo storico (come invece sono state capaci di fare le grandi leadership della sinistra... che uniscono, invece di dividere, che sanno discernere i veri avversari e gli scontri decisivi, che sanno mettere l'ideologia al servizio della politica e non viceversa). Alcuni sono arrivati al punto da opporsi alla limitazione della vendita di armi, affermando che "cio' impedirebbe al popolo di armarsi"... Altri, con i loro infallibili occhi di lince (e con una visione degna dei tempi della guerra fredda), hanno intravisto nel referendum "una ennesima manovra del governo per distrarre l'opinione pubblica", e si sono assentati dalla campagna. E' incredibile la mancanza di solidarieta' di gente che si considera di sinistra, ma non si identifica con la posizione del Movimento dei Sem Terra, vittime privilegiate della Udr e dei suoi sgherri (armati mediante acquisti nel commercio legale, come loro stessi hanno confessato). E' incredibile la mancanza di solidarieta' con i poveri, che sono vittime quotidiane dei massacri nella periferia delle grandi metropoli. * Ma non illudiamoci: l'autoritarismo socialmente radicato ha ottenuto una grande vittoria. C'e' stata la campagna del si' condotta male, la modalita' del voto che puo' aver ingenerato confusione, l'impegno inferiore al necessario da parte dei partiti, dei movimenti sociali, dei militanti, degli studenti, degli intellettuali critici; ma preso atto di tutto questo, e' necessario che traiamo le necessarie lezioni dalla gravita' del risultato del referendum. E' necessario che i partiti di sinistra, i movimenti sociali, i movimenti per i diritti umani, le chiese impegnate per al dignita' umana, i militanti di sinistra, gli intellettuali democratici, le organizzazioni studentesche, riflettano profondamente sul grado di isolamento delle idee e delle forze di sinistra che il risultato di questo referendum esprime. L'impulso democratico che c'er nella fase finale della lotta contro la dittatura sembra essersi esaurito. Oggi quello che si nasconde in grande parte delle menti e' definito dall'espressione rabbiosa che, in una crisi di sincerita', Jorge Bornhausen si e' lasciato sfuggire: e' l'odio di classe (chiamata "razza") che apprezza o che chiude gli occhi davanti alle barbarie che la polizia e i gruppi di sterminio realizzano. La sinistra, le forze democratiche, le persone con valori umanistici sono state sconfitte, e il quadro che viene fuori dal referendum e' molto pericoloso. Il fallimento delle politiche attuali di sicurezza pubblica e l'assenza di alternative nel campo democratico sono un alimentatore di questo autoritarismo razzista. Il fallimento del governo Lula nell'incarnare valori alternativi e' un'altra fonte di disillusione, che induce la gente a cercare spiegazioni e rifugio nelle visioni naturaliste della violenza, che fanno ricadere sui poveri il peso piu' gravoso di esser descritti come supposti agenti della violenza, mentre in realta' solo le sue vittime principali. L'isolamento sociale della sinistra e' molto grande, i grandi mass-media privati (il vero partito delle classi dominanti) formano e deformano l'opinione pubblica a loro piacimento. I programmi sensazionalistici alla tv, con il pretesto di chiedere giustizia per casi di violenza, in realta' ispirano sentimenti di vendetta che moltiplicano la cultura della violenza. Lo stesso fatto che gruppi di sinistra, che si pretendono "classisti", non hanno accolto nel loro impegno questioni democratiche come la regolamentazione statale del commercio delle armi, rivela come esista un enorme campo su cui occorre ancora lavorare, anche all'interno della sinistra. * L'esito negativo del referendum non cambia in termini concreti la situazione del paese: chi comprava armi continuera' a comprarle, chi le rubava per commettere crimini continuera' a farlo, forse aumentera' un po' il commercio di armi. Ma la maggior novita' e' la coscienza (della destra, ma spero anche della sinistra) dell'enorme potenziale di autoritarismo razzista presente nella mente di tanta gente che puo' essere sfruttato dalla destra, e deve essere uno dei grandi temi di dibattito, confronto e presa di coscienza da parte della sinistra. 3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI COLLOQUIA CON LUISA MURARO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Luisa Muraro lascia l'universita' e pronuncia oggi nella facolta' di filosofia dell'ateneo di Verona quella che in gergo accademico si chiama lectio magistralis, ma che la pratica di Diotima, la comunite' filosofica femminile da lei e altre fondata in quello stesso ateneo nell'84, rendera' un'occasione di discussione politica. Non per caso la lezione si tiene all'interno del "grande seminario" di Diotima di quest'anno, un ciclo intitolato "L'ombra della madre", e non per caso consistera' in una retractatio, una ri-trattazione, de L'ordine simbolico della madre, un notissimo libro pubblicato da Muraro nel '91 che e' stato e resta cruciale per il pensiero della differenza sessuale. "Piu' che nella mia opera - ha scritto di se' una volta Luisa - ho sempre confidato nel contributo di chi la legge. Piu' dell'argomento, per me ha sempre contato l'ordine simbolico che e' e che fa la scrittura". Ne L'ordine simbolico della madre di questo precisamente si trattava: dell'ordine simbolico che la lingua materna - ovvero la capacita' di tenere insieme corpo e parole, esperienza e linguaggio che impariamo nella relazione primaria con la madre - sa fare. Un ordine rivoluzionario, giacche' la relazione figlia-madre e' cancellata nell'ordine patriarcale; e imparare a praticarla nella vita adulta, sostituendo all'avversione la gratitudine per la madre e per le altre donne che ne continuano l'opera, apre lo spazio per la dicibilita' dell'esperienza femminile, altrimenti sottoposta all'adeguamento alla norma e al potere maschile. Questo in estrema sintesi il nocciolo del libro, che dunque metteva al centro del discorso non il materno inteso come qualita' etica o psicologica, ma la relazione con la madre come forma simbolica, generatrice di forme sociali improntate alla mediazione linguistica piu' che alla legge. * - Ida Dominijanni: L'ordine simbolico della madre e' stato un libro importante ma controverso. Molte controversie, io penso, derivano dal fatto che questo nocciolo formale e' stato invece scambiato per un nocciolo sostanziale; come se la proposta del libro consistesse nella riproposizione del modello materno e delle sue qualita', invece che nella costruzione di una genealogia femminile che e' forte proprio in quanto sa contrattare con la madre e le altre donne in presenza di disparita' e conflitti... - Luisa Muraro: Il libro tenta di far interagire con i discorsi filosofici un vissuto di donna, quello della sua relazione con la madre, non previsto nella tradizione filosofica, anzi tacitato ed escluso. Francesca Solari (la regista di Addio Lugano bella) parlera' di un'opera "terapeutica", in quanto mette in comunicazione quello che la nostra cultura separa. Come dici tu, ad alcune e' piaciuto molto e ad altre e' dispiaciuto molto. C'entra sicuramente l'equivoco che segnali, a valle, ma a monte c'entra un'altra cosa, io credo, che il libro fa una scommessa, senza vincerla, e chiede a chi lo legge di entrare nel gioco. Quello che ha contato dal primo momento, per me, era la societa' femminile che si stava formando: questo libro era rivolto specialmente alle donne perche' prendessero su di se' il mio tentativo nel suo insieme, compresa la parte non riuscita, compresa la parte a me stessa oscura. Molte lo hanno fatto e continuano a farlo (il libro si legge ancora, si traduce e circola), ma altre, specialmente fra le pensatrici di professione, no. Io ne ho dedotto che non volessero partecipare al gioco, forse perche' non ci vedevano il loro guadagno, forse perche' non avevano capito (come supponi tu), forse perche' avevano capito e non erano d'accordo... Ci sono tante ragioni per cui la moglie di Lot volge la testa indietro. * - Ida Dominijanni: Altre sostengono che il libro propone un ordine della madre simmetrico, parallelo e perfino mimetico, nella sua verticalita', rispetto a quello del padre. Personalmente sono convinta di no: leggendo L'ordine simbolico della madre in sequenza con Maglia o uncinetto, penso che si tratti piuttosto, per dirlo con una formula, di un ordine della metonimia, cioe' della contiguita' fra corpo e linguaggio, esperienza e dicibilita', che taglia, non imita, l'ordine metaforico dell'astrazione proprio della legge del padre. Ma se e' cosi', perche' l'interpretazione "simmetrica" ha avuto tanto spazio? - Luisa Muraro: Hai messo il dito nella piaga, la questione della asimmetria tra i sessi. Definita con le parole di una psicanalista che ha scritto poco e che ammiro molto, Sigrid Guenzel, l'asimmetria la da' il fatto che per la bambina il primo oggetto d'amore e' dello stesso sesso, non cosi' per il bambino. Nelle culture in cui la relazione gerarchica e complementare tra donna e uomo e' diventata insostenibile, nella nostra cultura dunque, la tendenza dominante e' di cancellare quella asimmetria. Si e' arrivati a farne un sinonimo di disuguaglianza e discriminazione antifemminile. Verso questo esito di concellazione convergono il diritto, la scienza, il femminismo di stato e anche una parte del femminismo autonomo. Quando ho scritto L'ordine simbolico della madre avevo un senso molto marcato della asimmetria tra i sessi, ma non l'ha tematizzata. Oggi, ovviamente, lo farei. Ma non cambierei la posizione che traspare nel libro: io continuo ad associare strettamente quella che sono al privilegio di essere nata dello stesso sesso della madre. * - Ida Dominijanni: Nel libro il padre quasi non c'e', e qui per me comincia qualche problema. Perche' non c'e'? Per ragioni biografiche, per tua scelta o per tua rimozione? Oppure il libro rispecchia una rimozione collettiva, una certa onnipotenza della relazione fra donne che pure abbiamo attraversato? Secondo me, pero', un ordine simbolico della madre in cui non c'e' posto per il padre, e per l'amore per il padre che e' anch'esso un dato dell'esperienza femminile, e' un ordine simbolico mancante, un ordine che non ordina la relazione con l'altro e con la legge dell'altro. - Luisa Muraro: Il padre quasi non c'e' perche' io non ho trovato in me una figura paterna alla pari con quella materna, per forza simbolica: credo di appartenere a quella categoria di donne e uomini che sviluppano una certa creativita' ignorando la figura paterna, e mi piace pensare che Einstein, che faceva le boccacce a sessant'anni passati, sia uno di questi. Quando nel libro compare, il padre e' l'uomo che si affianca a una donna e alla sua maternita', e che lei indica ai suoi figli: questo e' vostro padre. E' troppo poco? Si', riconosco che manca tutta la parte di rapporto diretto tra quell'uomo e i figli e della donna, che grazie a lei sono diventati anche i figli di lui, con tutte le differenze che entrano in gioco, in primis quella sessuale che tu richiami: e' vero, c'e' un amore femminile del padre. Ma tutto quello che si puo' dire oltre a questo, per me, rientra nell'ordine patriarcale. In altre parole, io non trovo nessuna ragione per difendere la necessita' di padre, della legge del padre, pur ammettendo che un uomo, gli uomini possano invece avere questa necessita'. Sono d'accordo con te che un simbolico materno che esclude ogni altro amore, ogni amore dell'altro, sarebbe gravemente difettoso, ma non penso che questo "altro" debba essere il padre. Non dimentichiamo che, sotto la legge del padre, le donne non avevano senso per se stesse, ma solo in funzione di dare figli a lui, come dice bene sant'Agostino e come si e' continuato a dire con i cognomi patrilineari. Fuori da questa funzione, le donne o perdevano valore o perdevano la loro differenza per essere assimilate a uomini. Tuttavia, io non sono contro la paternita', anzi. Sono contro le teorie della sua necessita', ma sono favorevole per piu' motivi alla possibilita' della figura paterna. Ai motivi gia' detti (essere di aiuto alla donna che diventa madre), aggiungo quello che porti tu, l'amore femminile del padre (ma noi sappiamo che, se una donna si gioca l'amore del padre contro la madre, e' perduta), e quello, per me principale, che la paternita' responsabilizza e gratifica gli uomini che si affiancano alle donne nella cura della vita, da' loro modo di risignificare la propria differenza dalla madre e di confermare la loro virilita' in termini meno distanti dal materno. * - Ida Dominijanni: Ne L'ordine simbolico della madre, come in altri tuoi lavori, e' cruciale la figura dell'isterica. L'isterica, tu scrivi, "interpreta la differenza sessuale": l'isteria e' il sintomo di un attaccamento alla matrice della vita che nell'ordine patriarcale non trova modo di esprimersi e si traduce in rivolta contro la madre, ma che invece puo' e deve tradursi in gratitudine. Il lavoro sull'isteria e' stato importantissimo per il femminismo. Potremmo dire che le nostre pratiche, e in particolare il lavoro che abbiamo fatto sulla relazione con la madre e quindi sulla relazione di disparita' fra donne, ha funzionato come terapia sociale dell'isteria femminile? Gli psicoanalisti dicono che oggi il sintomo isterico e' in via di sparizione, mentre si diffonde quello anoressico... - Luisa Muraro: Si', forse il sintomo isterico e' sparito perche' la cultura lo ha recepito. Mi viene in mente che, nel seminario sul "rovescio" della psicanalisi, Lacan attribuisce all'isterica il merito di aver inventato un nuovo tipo di legame sociale, quello tra analista e analizzante, che rompe con la logica del dominio (sono parole mie). Dell'isteria parlo in un librino, La posizione isterica e la necessita' della mediazione (Palermo 1993) che cito per ricordare colei che lo ha curato, Mimma Ferrante, un'architetta che morira' uccisa da un rapinatore (o chi per esso) nel suo cantiere vicino alla Zisa di Palermo. Quanto alla tua prima domanda, io direi che il femminismo e' stato per l'isteria femminile come un teatro che dava senso ai sintomi senza la presenza congelante di uno sguardo medico, sostituito invece da un ascolto e da un'interlocuzione femminile plurale. Possiamo chiamarla terapia sociale? No, e' semplicemente la politica: le terapie cambiano le persone in funzione della realta', la politica fa il viceversa. E a chi mi correggesse: tu ti riferisci alla politica delle donne, risponderei che la politica e' la politica delle donne. Possiamo dire allora che, nell'ordine simbolico della madre, ogni patologia mentale abbia un suo risvolto politico risolutivo? Mi piacerebbe pensarlo, ma non so, molto dipende da quello che sara' della figura della madre da qui in avanti, in una cultura non piu' patriarcale. * - Ida Dominijanni: Che cosa sara'? L'ordine simbolico della madre si puo' considerare, da questo punto di vista, un testo di passaggio: il discorso muoveva ancora da una critica del patriarcato, ma indicava nella relazione con la madre un altro inizio, logico e politico: il principio di un altro ordine del discorso e l'apertura di un altro ordine sociale. Pochi anni dopo (nel 1996, con il "Sottosopra" intitolato E' accaduto non per caso) abbiamo cominciato a ragionare in termini di fine del patriarcato. Che cosa comporta la fine del patriarcato nel modo di pensare la madre? - Luisa Muraro: Non lo so. Un giorno, sul treno, silenziosa al mio posto, ho seguito una giovane madre, che parlando al telefonino dirigeva le operazioni di un marito-padre a proposito di una loro bambina rimasta a casa dall'asilo perche' malata. Sono rimasta impressionata dalla durezza imperiosa di lei, un generale sul campo di battaglia non avrebbe retto il confronto. D'altra parte, le mie amiche pedagogiste mi parlano di donne che stanno perdendo ogni competenza materna per mettersi nelle mani di pediatri e psicologi. La figura della madre mi appare come schiacciata tra questi due mostri, la negazione di ogni possibilita' di padre, da una parte, lo specialismo che elimina ogni competenza simbolica delle persone in carne ed ossa, dall'altra. Entrambi i mostri sono gia' all'opera, pensiamo alla poverta' simbolica delle associazioni dei padri, pensiamo a tutta la vicenda della legge 40. Eppure, da qualche parte, la strada e' gia' aperta, da sempre. Mi spiego: il passaggio di cui tu parli, non dobbiamo immaginarlo dal passato al futuro, ma dal presente morto, quello dei mostri, al presente vivo, quello che rende possibile il guadagno di essere. Per usare una formula che tu conosci, la rivoluzione e' simbolica. * - Ida Dominijanni: L'ultimo libro di Diotima si intitola La magica forza del negativo e a mio avviso e' un libro importante. Alcuni contributi, penso a quello di Diana Sartori, mettano in luce i limiti di un approccio tutto positivo all'ordine della madre, che espunge o rimuove il negativo che pure vi opera. In altri termini: la pratica della relazione fra donne e dell'autorita' femminile ci ha emancipate dalla politica della rivendicazione e del risentimento, ci ha insegnato a fare leva sul positivo di origine femminile che la madre significa, ci ha dato autorita'. Ma sia la relazione con la madre reale, sia le relazioni fra donne restano contrassegnate anche da un limite di negativita' che non si elimina, non va in pareggio, e che se non viene a sua volta "trattato" minaccia di andare a male. In verita', a me che vengo dal femminismo dell'autocoscienza pare che il negativo del rapporto con la madre e con l'altra donna non abbia mai cessato di esserci presente - ma forse e' vero che la proposta dell'ordine della madre l'aveva per una certa fase messo in ombra, o dato per risolto. - Luisa Muraro: Chi viene dalla pratica dell'autocoscienza, come te, sa che il negativo e' sempre stato presente e parlante-parlato nel nostro percorso. L'impressione che ad un certo punto esso sia stato messo tra parentesi o dato per risolto, proviene, secondo me, dalla tendenza ad illuderci, ogni volta che sia possibile. Lo stesso titolo del libro di Diotima che tu citi, obbedisce a questa tendenza, tant'e' che qualcuna in Diotima ha protestato per quella "magica forza". Aveva ragione, suppongo, ma possiamo noi sottrarci al bisogno di illuderci? Leopardi, per me un pensatore di riferimento, risponde che no. Io aggiungo che in quella parola, illusione, c'e' la radice del latino ludus, gioco, e che possiamo tentare di fare come le bambine e i bambini che giocano senza ingannarsi. L'idealizzazione e' un inganno, questo va detto. Quando una madre prende in braccio la sua creatura sofferente e le dice: va tutto bene, va tutto bene, questa e' illusione senza essere inganno. Anche l'ultimo film di Benigni, La tigre e la neve, ha le caratteristiche di un'illusione che non inganna... Questo che vado dicendo domanda un orizzonte di pensiero che non e' quello del pensiero critico dominante nella filosofia dei nostri giorni. * - Ida Dominijanni: I tuoi scritti sono sempre anche un corpo a corpo con la filosofia. Fare filosofia a partire dalla differenza sessuale e' stata per molte di noi, anche grazie a te, la via per reimpostare il rapporto con una disciplina che prima ci metteva in scacco. Il tuo rapporto con la filosofia oggi lo senti risolto? E quello con l'accademia? Fa ridere - o piangere, dipende - che una filosofa come te cosi' importante per l'opinione pubblica femminista italiana e internazionale concluda la sua carriera da ricercatrice... - Luisa Muraro: Non ho un rapporto speciale con la filosofia, alla filosofia mi hanno portato le circostanze, il mio rapporto speciale e' con la scrittura, ma non ho mai pensato a scrivere poesie o romanzi. La difficolta' della filosofia sarebbe che si comincia da niente, il suo vantaggio e' che usa la lingua comune, non ha un linguaggio specialistico. Se ci pensi bene, le due cose si completano magnificamente. Il meglio del mio lavoro filosofico, poco o tanto che valga, viene da questo niente che si popola di parole comuni. A me piace portare parole comuni in luoghi che queste non hanno mai frequentato. Quanto alla carriera, dopo qualche tentativo penoso, ho scoperto che ci sono parecchie donne che rinunciano a farla. Cosi' ci ho rinunciato anch'io, che credevo di doverla fare. Per il resto, intendo le soddisfazioni e gli incoraggiamenti, la carriera l'ho fatta nel movimento delle donne. * - Ida Dominijanni: Secondo te il pensiero della differenza sessuale ha segnato e in che modo il pensiero politico di oggi? O si ripresenta, aggiornato, il rischio che tu segnalavi nell'Ordine simbolico della madre, che i filosofi si ispirino all'opera della madre, ma presentandola come una copia della propria? - Luisa Muraro: Il pensiero corre per il mondo su strade che sono molte, poco controllabili e a volte inimmaginabili, internet non ha fatto che imitarlo, alla sua maniera. Oggi il pensiero politico delle donne (che il cosiddetto pensiero della differenza ha cercato di imparare ed insegnare, fondamentalmente) sta permeando quello maschile con idee come il partire da se', la differenza, la relazione, il conflitto relazionale, il dono e la riconoscenza, la fiducia e l'affidarsi, l'autorita' invece del potere, la rivoluzione simbolica, la possibilita' di altro... Cito le idee che riconosco, ma altre ci sono, per esempio nel filone dell'ecofemminismo e in quello della teologia femminista. Nessuna e' padrona di queste idee, perche' le idee non hanno padroni, sono di coloro che le condividono, lo dico in polemica con l'ordine (o disordine) capitalistico che oggi piu' che mai pretende di farne delle proprieta' private, ma anche con la tendenza che abbiamo noi "intellettuali" a credere di avere inventato quello che invece ci e' stato comunicato. Il pericolo che tu segnali e' un'altra faccenda, nasce da un certo rapporto cannibalico dell'uomo con la donna-madre, mi riferisco agli uomini che si dedicano all'arte, alla scienza... Le biografie di simili personaggi sono piene di esempi di questo cannibalismo, che puo' estendersi alle figlie e ai figli. I filosofi non fanno eccezione. Secondo me il punto non e' che ci siano dei riconoscimenti (io ne ricevo, devo dire) ma che si stabiliscano relazioni di scambio tra donne e uomini, e che si dissolva anche per questa via la pseudomistica della creativita' personale. Il lavoro del pensiero e' duro e selettivo, non c'e' dubbio, e comprende anche una parte che possiamo chiamare ispirazione o disposizione innata, ma proprio questa parte e' piu' direttamente riconducibile alla relazione materna e, come tale, traducibile in riconoscenza verso il mondo delle donne. * - Ida Dominijanni: Infine. Luisa Muraro e' propriamente una maestra - talvolta perfino con i modi sgradevoli di una maestra. Non ti manchera' l'insegnamento? Secondo me continuerai a praticarlo, in qualche forma. O no? - Luisa Muraro: Hai indovinato, a me piace insegnare ed e' vero che, insieme a qualche qualita', ho parecchi lati sgradevoli della maestra, all'universita' le/gli studenti li sopportavano ma ora dovro' correggerli, perche' Lorenzo, un mio carissimo amico di otto anni al quale vorrei insegnare un sacco di cose, non sopporta i lati sgradevoli delle maestre. Vorrei anche insegnare a scrivere, non a Lorenzo che ha le sue brave maestre, ma a persone adulte; la base del mio insegnamento sara' la sintassi, "tagliata" dalla retorica. * Una postilla "La mia vita di studiosa e' stata laboriosa quanto caotica, i miei rapporti con il mondo accademico non sono mai stati buoni e non sempre per colpa del mondo accademico", scrive di se' Luisa Muraro in una breve autobiografia destinata al sito di Diotima. Nata nel 1940, studia filosofia della scienza e filosofia della religione, linguistica, ma il primo libro importante, La signora del gioco ('76) e' una ricerca di storia sulla caccia alle streghe. Dell''81 Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sull'inimicizia fra metafora e metonimia, dell'85 Guglielma e Maifreda. Storia di un'eresia femminista, che inaugura gli studi sulla mistica femminile (Lingua materna, scienza divina, 1995; Le amiche di Dio, 2001, Il Dio delle donne, 2003). Tappe biografiche fondamentali, il Sessantotto, "che mi salvo' dalla depressione", la collaborazione con Elvio Fachinelli nella rivista "L'Erba voglio", e piu' di tutto l'incontro con il femminismo nei primi anni "70 e la relazione, mai interrotta, con Lia Cigarini. Con quello che ne e' nato: la Libreria delle donne di Milano (e il libro a piu' mani Non credere di avere dei diritti), la rivista "Via Dogana". Diotima nasce invece nell'83 e da allora ha pubblicato sette libri quasi tutti con contributi di Muraro, dal primo, Il pensiero della differenza sessuale, all'ultimo, La magica forza del negativo. 4. INIZIATIVE. BRUNETTO SALVARANI: UNA LETTERA ALLE DONNE E AGLI UOMINI CHE DIO AMA, IN OCCASIONE DELLA QUARTA GIORNATA ECUMENICA DEL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO [Dal comitato organizzatore delle iniziative per la quarta Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico (per contatti: redazione at ildialogo.org) riceviamo e diffondiamo. Brunetto Salvarani (per contatti: brunetto at carpinet.biz), teologo ed educatore, da tempo si occupa di dialogo ecumenico e interreligioso, avendo fondato nel 1985 la rivista di studi ebraico-cristiani "Qol"; ha diretto dal 1987 al 1995 il Centro studi religiosi della Fondazione San Carlo di Modena; saggista, scrittore e giornalista pubblicista, collabora con varie testate, dirige "Cem-Mondialita'", fa parte del Comitato "Bibbia cultura scuola", che si propone di favorire la presenza del testo sacro alla tradizione ebraico-cristiana nel curriculum delle nostre istituzioni scolastiche; e' direttore della "Fondazione ex campo Fossoli", vicepresidente dell'Associazione italiana degli "Amici di Neve' Shalom - Waahat as-Salaam", il "villaggio della pace" fondato in Israele da padre Bruno Hussar; e' tra i promotori dell'appello per la giornata del dialogo cristiano-islamico. Ha pubblicato vari libri presso gli editori Morcelliana, Emi, Tempi di Fraternita', Marietti, Paoline] Care amiche e cari amici, come ormai sapete, nel novembre 2001, a poche settimane dai tragici attentati terroristici dell'11 settembre, un gruppo di cristiani di diverse confessioni, responsabili di ordini missionari, monaci e monache, islamologi, intellettuali e educatori aderirono ad un appello ecumenico affinche' quanto era purtroppo accaduto non mettesse in discussione le iniziative di partnership fra cristiani e musulmani in corso. Con un obiettivo concreto, e controcorrente nei confronti del clima socioculturale dominante nell'Europa di quei mesi: la proclamazione di una giornata da dedicare al dialogo interreligioso, e soprattutto al dialogo cristiano-islamico. Senza negare le oggettive difficolta' al riguardo, decisamente in aumento. L'esito fu consolante: un centinaio di iniziative lungo tutta la penisola, l'operazione "moschee aperte", piu' di mille adesioni personali e collettive raccolte, e soprattutto la sensazione che la strada intrapresa fosse inevitabile quanto attesa. Oggi potremmo dire con gioia che da allora si e' creata gia' una piccola tradizione, forte della spontaneita' di chi sceglie di aderirvi, della passione generosa di chi gratuitamente vi collabora, delle ragioni che spingono a proseguire. Ecco perche' anche quest'anno abbiamo deciso di riproporre l'esperienza, indicendo un'altra giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, la quarta della serie, che si terra' il 28 ottobre 2005, proseguendo in qualche caso nei giorni successivi: di nuovo in coincidenza dell'ultimo venerdi' di Ramadan dell'anno islamico 1426 (per informazioni: www.ildialogo.org), a imitazione dell'invito di Giovanni Paolo II per il 14 dicembre 2001, nel pieno della guerra in Afghanistan. * Certo, ancora una volta non sarebbe realistico nascondermi e nasconderci che l'obiettivo e', oggi ancor piu' di ieri, messo in discussione da attentati sempre piu' crudeli che si ripetono settimana dopo settimana, con l'obiettivo lampante di scoraggiare quanti - e sono tanti, nonostante tutto - non si lasciano piegare alla logica perversa dello scontro di civilta', della guerra preventiva e infinita, delle chiusure identitarie e fondamentalistiche. La paura e' crescente, senza dubbio: ma farsi intimidire e mettere nel cassetto per tempi migliori la pur difficile pratica dell'incontro equivarrebbe di fatto a dar ragione ai terroristi, a chi usa le bombe al posto dell'accoglienza e del confronto, e a chi strumentalizza le parole religiose e lo stesso nome di Dio profanando le une e l'altro. Ecco perche', proprio in una situazione come quella di queste settimane, nella giornata del 28 ottobre sara' necessario gridare dai tetti che occorre piu' coraggio e piu' dialogo, non meno coraggio e meno dialogo. Da qui, lo slogan che la caratterizzera' quest'anno: Vincere la paura per costruire la pace. Un altro elemento che si contrappone al dialogo mi sembra sia oggi il fatto che di religioni si parli molto, e forse troppo, tanto che c'e' chi registra una (deprecabile) bulimia del sacro in atto. Nonostante la secolarizzazione dominante. In parecchi casi, peraltro, la sensazione e' che non si prenda le mosse dai dati di realta', e che da piu' parti si approfitti strumentalmente dell'autorita' morale del cattolicesimo in una stagione di basso profilo per le istituzioni (salvo eccezioni, naturalmente). Che esistano, certo, questioni aperte quanto problematiche su molti versanti, mentre gli strumenti utilizzati per capirci qualcosa appaiono sovente irrimediabilmente fuori uso, fino a dover constatare il ritorno di fiamma di categorie (da credenti versus non credenti a cattolici versus laici) non piu' in grado di render conto dell'estrema complessita' della situazione. Dei cambiamenti eccezionali tuttora in atto. Delle prospettive di ulteriore accelerazione verso un novum oggi difficilmente prevedibile, ancorche' ipotizzabile. Con un paio di rischi gia' in atto, a mio parere particolarmente delicati. Da una parte, per dirla lapidariamente, il pericolo e' che il cattolicesimo venga ridotto al rango di religione civile, di fatto stampella del potere costituito, fino a smarrire il suo carattere di differenza, di scandalo, di riserva escatologica. Dall'altra, stiamo rischiando che il cattolicesimo sia omologato all'occidente e alla sua cultura, alla sommatoria di Europa e Nordamerica, proprio in una fase storica in cui i numeri e le prospettive ci dicono che invece Dio - il Dio della Bibbia, perlomeno - sta cambiando indirizzo. Tutto cio' - diciamocelo con franchezza - non aiuta certo i processi di dialogo. * Mi pare normale, percio', che in un simile contesto questa nostra iniziativa, che pure prevede gia' da ora decine di appuntamenti in tutte le principali citta' del nostro paese e in molti centri piu' piccoli, non riesca a "bucare" il mondo dell'informazione (salvo benemerite eccezioni, che confermano la regola). E' qui contraddetta, infatti, la regola aurea dell'uomo che morde il cane: in una fase che viene sempre piu' percepita come un'anteprima di uno scontro finale tra occidente cristiano e islam, dovrebbe pure far notizia il fatto che, spontaneamente e senza particolari benedizioni dall'alto, una tradizione del genere abbia gia' messo radici, dimostrando il bisogno diffuso di dialogare. Che, in questi giorni, molte moschee e centri islamici vengano aperti a chiunque per la cerimonia della rottura del digiuno. Che la gente scenda in piazza, anche senza la prospettiva di finire sulla televisione locale. Che si facciano dibattiti e incontri tra cristiani e musulmani. Che centinaia di persone continuino a sottoscrivere l'appello al dialogo, nonostante la nostra struttura organizzativa sia quanto mai povera e priva di mezzi. Penso, probabilmente con qualche ingenuita', che tutto cio' dovrebbe incuriosire. Il cammino e' quanto mai in salita. Mi confortano, dal punto di vista di un cristiano cattolico come me, la prassi d'amore di Gesu' verso gli eretici e gli stranieri e la memoria del Concilio Vaticano II (nella Nostra Aetate, di cui proprio il 28 ottobre ricorreranno i quarant'anni dalla promulgazione, elemento simbolico che rafforza il nostro impegno, si parla della stima con cui i cristiani dovrebbero guardare i musulmani), il ricordo commosso dell'instancabile magistero di papa Wojtyla al riguardo, quella straordinaria opportunita' che potrebbe rivelarsi la Charta Oecumenica e ancora le parole di Benedetto XVI a Colonia, il 20 agosto scorso, rivolte ai leader musulmani locali: "Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c'e' spazio per l'apatia e il disimpegno ed ancor meno per la parzialita' e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura ne' al pessimismo. Dobbiamo piuttosto coltivare l'ottimismo e la speranza. Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non puo' ridursi ad una scelta stagionale. Esso e' infatti una necessita' vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro". * Il dialogo cristiano-islamico va dunque considerato come segno, per quanto contraddittorio, di speranza per il futuro. Perche' sarebbe sbagliato e ingeneroso se il pesante clima politico odierno e l'intransigenza generalizzata quanto pervasiva ci facessero dimenticare che tra cristianesimo e islam non si danno solo diffidenze o conflitti potenziali, ma pure (gia' oggi) esperienze d'apertura e fiducia reciproca: le buone pratiche in tal senso, fortunatamente, non mancano. Non sara' percio' inutile elencare alcuni dei gesti e degli atteggiamenti che potrebbero favorire un'educazione diffusa al dialogo, una formazione ad esso, ben sapendo che si trattera' in ogni caso di un processo di non breve durata: - lo studio dell'insegnamento ufficiale delle chiese nell'ambito del dialogo; - il contatto effettivo con l'altro, a partire dalle iniziative gia' in corso (pensiamo, ad esempio, ai consolidati programmi del Segretariato per le attivita' ecumentiche, dei focolarini e della Comunita' di Sant'Egidio con gli appuntamenti di "Uomini e religioni", alle iniziative delle chiese evangeliche ed ortodosse, ma anche a progetti piu' recenti e ben avviati, dagli Incontri cristiano-islamici delle Acli a Modena ai Cantieri del dialogo di Verona, e cosi' via); - la visita ad ambienti, istituzioni o centri del mondo musulmano in Italia; - la cura particolare, l'attenzione e l'accompagnamento dei matrimoni interreligiosi; - la formazione specifica del mondo giovanile, favorendo la crescita di sensibilita' e di professionalita' nel campo del dialogo interreligioso; - la creazione di corsi sul dialogo nei seminari e negli studi teologici. Come si vede, il campo e' vasto, e c'e' solo l'imbarazzo della scelta. Non dimenticando, infine, che i benefici del dialogo inteso come vita condivisa ed esperienza vissuta non si limitano al potenziale arricchimento reciproco. * Solo vivendo assieme, conoscendosi, guardandosi negli occhi, si possono superare i pregiudizi, le caricature, gli stereotipi reciproci, uscire dai salamelecchi e sperimentare la parresia: solo cosi', ripeto, si potra' vincere la paura e costruire la pace. Perche' ha ragione, infatti, il gesuita Thomas Michel a sostenere, dall'alto della propria lunga esperienza in partibus infidelium: "Il dialogo fornisce ai credenti un'opportunita' per esaminare assieme quell'universale tendenza umana all'esclusivismo, allo sciovinismo, all'odio e alla violenza che possono infettare il comportamento e l'identita' religiosa. Nel dialogo diviene altresi' chiaro quanto i credenti di tutte le fedi siano piu' vicini l'uno all'altro, di quanto non lo siano con coloro che promuovono l'ideologia di mercato dominante, fatta di competizione nella ricchezza, di consumismo e di materialismo". A quanti, il 28 ottobre, donne e uomini di buona volonta', parteciperanno alle varie iniziative pubbliche, a quanti digiuneranno e devolveranno il denaro risparmiato a opere di solidarieta', ai monasteri, alle chiese locali, alle parrocchie e ai centri islamici che pregheranno per la pace tra le fedi, grazie di cuore e buon cammino. Personalmente, tra le intenzioni della mia preghiera e del mio digiuno inseriro' anche stavolta, come l'anno scorso, la prossimita' profonda alle comunita' ebraiche d'Italia, di Israele e di tutta la diaspora, perche' chi s'impegna nel dialogo interreligioso e' chiamato a farlo a tutto campo: e quest'anno ancora di piu', per la gia' ricordata ricorrenza contemporanea del quarantennale della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Che sia per tutte e tutti una Giornata per vincere la paura, e per costruire la pace. Con la speranza e la gioia vera che contraddistinguono sempre ogni figlia e ogni figlio di Dio, un cordiale abbraccio di pace - shalom - salaam. 5. CINEMA. IRENE ALISON: UNA ROSA CONTRO IL NAZISMO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2005. Irene Alison scrive di temi culturali sul quotidiano "Il manifesto". Su Sophie Scholl e sulla Rosa Bianca: tra il 1942 ed il 1943 un gruppo di studenti ed un professore di Monaco realizzarono e diffusero una serie di sei volantini clandestini antinazisti. I primi quattro volantini si aprivano col titolo "Fogli volanti della Rosa bianca" ed erano diffusi in poche centinaia di copie; gli ultimi due intitolati "Fogli volanti del movimento di Resistenza in Germania" ciclostilati in qualche migliaia di copie. Scoperti, furono condannati a morte e decapitati gli studenti Hans Scholl, Sophie Scholl, Christoph Probst, Willi Graf, Alexander Schmorell ed il professor Kurt Huber. Opere sulla Rosa Bianca: Inge Scholl, La Rosa Bianca, La Nuova Italia, Firenze, 1966, rist. 1978 (scritto dalla sorella di Hans e Sophie Scholl, il volume - la cui traduzione italiana e' parziale - contiene anche i testi dei volantini diffusi clandestinamente dalla Rosa Bianca); Klaus Vielhaber, Hubert Hanisch, Anneliese Knoop-Graf (a cura di), Violenza e coscienza. Willi Graf e la Rosa Bianca, La nuova Europa, Firenze 1978; Paolo Ghezzi, La Rosa Bianca. Un gruppo di resistenza al nazismo in nome della liberta', Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1993; Romano Guardini, La Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1994; Paolo Ghezzi, Sophie Scholl e la Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 2003. Alcune piu' dettagliate notizie biografiche sui principali appartenenti al movimento di resistenza della "Rosa bianca" sono nel n. 909 di questo foglio (altri materiali ancora nei nn. 910 e 913)] 21 anni per crescere negli ideali "insani" di liberta' e di giustizia, e otto secondi e mezzo per morire - dopo sei giorni di interrogatorio e processo-farsa - decapitata dalla ghigliottina dei nazisti. Sophie Scholl (cui e' dedicato il film di Marc Rothemund, "La rosa bianca. Sophie Scholl", nelle sale cinematografiche italiane da venerdi'), unica donna tra gli studenti "disobbedienti" della Rosa bianca, e' l'eroina di una Resistenza ostinata e sommersa nella Germania del Fuehrer, corpo di giovane donna che non si piega alle leggi della svastica, e sorriso testardo che sfida il potere. Dei sei ultimi giorni della sua vita - dal 17 al 22 febbraio 1943 - il film e' il minuzioso diario, che accompagna Sophie - arrestata mentre con il fratello Hans distribuisce volantini pacifisti e antinazisti all'universita' di Monaco - verso la fine. Lei, occhi accesi e guance in fiamme di Julia Jentsch (premio per la miglior attrice alla Berlinale 2005, dove il film ha ricevuto anche l'Orso d'argento) e' una piccola macchia rossa in una Germania buia, respiro vitale di una generazione che, oltre ad applaudire in piazza i fantocci del Reich che chiedono alle studentesse di regalare alla patria figli da mandare al fronte, sa anche lottare contro i padri: ispettori, gerarchi e giudici deliranti e ciechi dietro ai loro scranni, le loro grottesche uniformi, le loro illusioni di vittoria. Alla vigilia della fine (il film e' ambientato nei giorni della disfatta nazista a Stalingrado, non molto tempo prima di quella inarrestabile Caduta raccontata dal film di Oliver Hirschbiegel) qualcuno si azzarda ancora a sognare e a parlare "di cose che non esistono" (cosi' dice a Sophie il suo accusatore) come rispetto per gli uomini, pace, liberta' di esprimere le proprie idee. "Non una santa ma una giovane donna che ha dimostrato un grande coraggio civile", la descrive il regista Marc Rothemund, che , insieme allo sceneggiatore Fred Breinersdorfer, ha composto - grazie allo studio dei verbali degli interrogatori della Gestapo (resi pubblici nel '90) e delle lettere e diari di Sophie - il ritratto di un'eroina che sa piangere, mentire per salvarsi e poi andare a morire dicendo "sono fiera di quello che ho fatto, rifarei tutto". Tutto per raccontare una storia - quella della Resistenza antinazista tedesca - accantonata e sommersa. "Gli altri paesi hanno sofferto troppo a causa della Germania per trovare lo spazio per ricordare la Resistenza tedesca - dice Rothemund - e , in Germania, e' dovuto passare molto tempo dopo la seconda guerra mondiale perche' si risvegliasse l'interesse per l'analisi di quel momento storico. Lo stesso governo ha fatto resistenza contro la realizzazione di film ambientati in quel periodo, nel timore che rivangassero un passato sul quale si voleva stendere il velo della riconciliazione. Basti pensare che nell''81, quando Verhoeven giro' La rosa bianca, le sentenze del Tribunale del popolo che avevano condannato Sophie e gli altri avevano ancora valore legale. Solo nell''85 sono state annullate. Anche per questo noi abbiamo oggi la responsabilita' di mantenere viva la memoria". Una memoria gia' illuminata, oltre che da Verhoeven, anche da Percy Adlon ne I cinque ultimi giorni (1982), che pero', secondo Rothemund - nato nel '68 - ha delle sfumature diverse per l'ultima generazione di registi: "I nostri nonni - spiega - hanno avuto la coscienza cosi' sporca da non riuscire a raccontare la storia ai propri figli. Noi, la generazione dei nipoti, siamo gli ultimi ad avere la possibilita' di rivolgere delle domande ai testimoni dell'epoca, e abbiamo il dovere di capire e ricordare cio' che e' accaduto. Quello che ci differenzia dal cinema dei nostri padri e' il tentativo di approfondire, nell'analisi del passato, una dimensione emozionale piu' che direttamente politica, perche' e' attraverso l'emozione che oggi si possono risvegliare le coscienze". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1100 del 31 ottobre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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