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La nonviolenza e' in cammino. 1099
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1099
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 30 Oct 2005 00:11:31 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1099 del 30 ottobre 2005 Sommario di questo numero: 1. Celeste Zappala e Anne Roesler: Chi avra' il coraggio di guardarci negli occhi? 2. Arturo Paoli: Dopo il referendum 3. Paolo Bertagnolli: Dopo il referendum 4. Federico La Sala: Ieri dicevamo 5. Dario Mencagli: Ieri dicevamo 6. Emilio Molinari: Ieri dicevamo 7. Alessandro Portelli ricorda Rosa Parks 8. Annamaria Rivera: Corpi velati e svelati. Il potere dello sguardo 9. Donne in cammino, a Roma il 31 ottobre 10. Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa: Un invito il 5 novembre a Roma 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. CELESTE ZAPPALA E ANNE ROESLER: CHI AVRA' IL CORAGGIO DI GUARDARCI NEGLI OCCHI? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Celeste Zappala e Anne Roesler pronunciato durante la manifestazione contro la guerra del 26 ottobre 2005 a New York. Celeste Zappala, di Philadelphia, in Pennsylvania, e' la madre del sergente Sherwood Baker, ucciso in Iraq nell'aprile 2004. Anne Roesler, di Saratoga, in California, e' la madre di un soldato attualmente in servizio in Iraq. Entrambe fanno parte di "Military Families Speak Out", un'organizzazione che raggruppa oltre 2.500 famiglie di soldati che si oppongono alla guerra in Iraq, il cui sito e' www.mfso.org] La cifra dei soldati americani morit in Iraq sta oltrepassando i duemila. E' solo un numero? In Iraq, qualcun altro sta perdendo coscienza, esala l'ultimo respiro, e se ne va. E tutte le speranze cresciute con lui e le preghiere delle persone che lo amavano che lo hanno seguito sono finite. Da qualche parte, in America, dei parenti riceveranno una chiamata telefonica, in cui si chiedera' loro di venire a sedere con un padre troppo sconvolto per piangere, o di tenere dei bambini per un po', perche' la vedova e' inconsolabile. Verranno chiamati a testimoniare l'agonia di un'altra famiglia che ha perso un soldato in questa guerra senza fine. Da qualche parte, in una camera ardente, un piccolo gruppo si riunira' a scuotere la testa, a chiedersi fra lacrime amare perche' questo e' accaduto al loro amico. Un'altra famiglia guardera' la sedia vuota, alla tavolata delle feste, per il resto della vita. Noi apparteniamo alla famiglie che hanno un membro nell'esercito, e che capiscono i veri costi della guerra. Il figlio di Celeste, Sherwood, e' stato ucciso il 26 aprile 2004, mentre proteggeva l'"Iraq Survey Group", un gruppo incaricato di cercare le armi di distruzione di massa, anche se da lungo tempo tutti sapevano che non ce n'era alcuna. Dopo la sua morte, altri 1.280 statunitensi sono morti in Iraq assieme ad innumerevoli iracheni. Molti di piu' sono stati feriti nel corpo e nello spirito. Le giustificazioni fornite per la guerra sono risultate bugie. Ma la litania delle scuse viene ancora ripetuta dal Presidente: 11 settembre, Al Qaida, armi di distruzione di massa. La risposta del Presidente alla campana della morte che rintocca ogni giorno per gli americani e gli iracheni e' di continuare su questa strada, mentre sempre piu' americani si chiedono ogni giorno perche'. Per Anne, la guerra e' una minaccia continua. Suo figlio, Sergente nell'82a Divisione Airborne, ha passato piu' di 550 giorni in Iraq, fin dall'invasione, ed e' ormai al suo terzo turno in quel paese. Prima della partenza piu' recente ha detto: "Non so quale sia la nostra missione. Non lo so da parecchio tempo". Sin dall'aprile del 2003 sapeva che non c'erano armi di distruzione di massa. Sebbene fosse arrabbiato per essere stato mandato in guerra sulla base di menzogne, sperava che sarebbe almeno stato parte di qualcosa di positivo nella ricostruzione del paese. Era affascinato dal trovarsi in una delle culle della civilta', come l'Iraq. Ma le cose sono si sono rapidamente deteriorate: "Abbiamo suscitato un vespaio, e non c'e' modo di far rientrare le vespe nell'alveare". Mentre i mesi passavano, ed egli comprendeva la futilita' della presenza delle truppe in Iraq, non vedeva l'ora di tornare a casa: "Sono stanco di mettere bambini morti nei sacchi di plastica". Sfortunatamente, e' stato inviato di nuovo sul posto dopo soli sette mesi. Al suo ritorno, ha descritto a casa il caos crescente, il fatto di non sapere chi fosse il nemico. Era diventato una persona differente: la guerra e le atrocita' di cui era stato testimone gli avevano chiesto di pagare un grosso prezzo. Dopo solo pochi altri mesi, fu inviato in Iraq per la terza volta. Prima di andarsene ha detto: "Se pure riesco a tornare a casa anche questa volta, mi ci vorranno anni per farmene una ragione". Ed invero ci vorranno decenni al nostro paese e all'Iraq, per riprendersi da questa guerra. * Il Presidente ci dice che dobbiamo combattere i nemici all'estero, per prevenirli dal farci del male a casa nostra: ma chi sono questi nemici? Noi stiamo creando nemici in Iraq ogni giorno, perche' occupiamo il paese, e perche' gli iracheni continuano a morire. Continuare a mantenere l'esercito in Iraq e' mettere olio sul fuoco. Per duemila famiglie e' gia' troppo tardi. Saranno legate per sempre, con il dolore, al disastro che e' la guerra irachena. Salvare le vite di coloro che sono ancora in servizio o che stanno per essere inviati in Iraq e' la missione di tutte le famiglie dei militari che chiedono: quanti figli e quante figlie d'America dobbiamo ancora sacrificare per una guerra basata sulle menzogne? A quanti ancora permetteremo di tornare a casa mutilati e spezzati? Quante famiglie devono ancora sentire la notizia peggiore delle loro vite, prima che l'America dica: "No, non obbediremo piu'"? * Il figlio di Anne le chiede: "Al popolo americano importa qualcosa di noi?". Ai membri di "Military Families Speak Out" importa, ed e' per questo che parliamo in sostegno delle nostre truppe, in sostegno della verita', e della nostra responsabilita' come nazione quando chiediamo di mettere fine a questa guerra insensata. Il governo dice che non e' ancora il momento di uscirne. E quando sara'? Se il figlio di Anne sara' il duemillesimo e uno a morire, o il duemillesimo e due, o il duemilacentesimo, avranno coloro che dicono questo il coraggio di guardarla negli occhi, e di assicurarle che ne valeva la pena? 2. TESTIMONI. ARTURO PAOLI: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Domenico Barberio (per contatti: ciaramella76 at hotmail.com) per aver raccolto per il nostro foglio questa testimonianza di Arturo Paoli, incontrato a Gubbio ("Era molto impegnato, ha avuto una media di tre incontri al giorno, ed era pure molto stanco, ma i suoi 93 anni li porta benissimo, direi"). Domenico Barberio e' impegnato nell'esperienza del gruppo "Gubbio per la pace" promotore di molte iniziative di pace, solidarieta' e nonviolenza, e collabora alla rivista "L'altrapagina". Arturo Paoli, religioso, costruttore di pace, saggista, e' una delle figure piu' vive della solidarieta' operosa e della nonviolenza in cammino; su di lui dal sito www.giovaniemissione.it riprendiamo la seguente scheda: "Arturo Paoli e' nato a Lucca nel 1912. Si laurea in lettere classiche a Pisa ed e' ordinato sacerdote nel 1940. Tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza. Nel 1949 viene nominato assistente nazionale della Giac (Gioventu' Cattolica) mentre era alla presidenza Carlo Carretto. Assistente nazionale dell'Azione Cattolica negli anni '50, fu costretto alle dimissioni per le sue posizioni in contrasto con la gerarchia. Autore di numerose opere che potrebbero andare sotto il titolo di "spiritualita' della relazione", ha scritto fra gli anni '80 e i '90 la sua puntuale "Lettera dall'America Latina" ai lettori di "Nigrizia" (www.nigrizia.it). Nel 1954 riceve l'ordine di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli emigranti. Durante questi viaggi conosce i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld ed entra nella loro congregazione. Terminato il noviziato svolge il lavoro di magazziniere nel porto di Orano (Algeria) e poi nelle miniere di Monterangiu in Sardegna. Nel 1960 si reca in America Latina per avviare una nuova fondazione: qui vive con i boscaioli della foresta argentina. Quando il clima politico peronista si fa pesante, subisce una campagna denigratoria: il suo nome e' nell'elenco di quelli che devono essere soppressi. Nel 1974 si trasferisce in Venezuela; anche qui il suo lavoro e' di impegno pastorale e di promozione sociale. Nel 1983 comincia a soggiornare in Brasile, dove, dopo la dittatura militare, prende vita una chiesa che e' tra le piu' vive dell'America Latina. In Brasile ha fondato "Afa" (Associazione fraternita' alleanza), che e' una comunita' di laici impegnati in alcuni progetti di aiuto alle famiglie delle favelas: progetto Latte, Educazione, Salute, Donna, Informatizzazione. Nel 1999 lo Stato d'Israele gli conferisce la nomina a "Giusto tra le Nazioni" per aver aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944 all'epoca delle persecuzioni naziste. Il suo nome sara' scritto per sempre nel muro d'onore del Giardino dei Giusti dello Yad Vashem a Gerusalemme. Attualmente vive a Foz de Iguacu, nel barrio di Boa Esperanza. Da quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca", "Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere". Tra le opere di Arturo Paoli: Gesu' amore, 1960, Borla 1970; Dialogo della liberazione, 1969; La costruzione del Regno, Cittadella, Assisi 1971; Conversione, Cittadella, Assisi 1974; Il grido della terra,1976; Camminando si apre cammino, Gribaudi, Torino 1977; Cercando liberta', Gribaudi, Torino 1980; Tentando fraternita', Gribaudi, Torino 1981; Facendo verita', Gribaudi, Torino 1984; Le palme cantano speranza, Morcelliana, Brescia 1984; Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia 1989; Il silenzio, pienezza della parola, Cittadella, Assisi 1991, 1994, 2002; La radice dell'uomo, Morcelliana, Brescia; Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi 1994; Il sacerdote e la donna, Marsilio, Venezia 1996; Progetto Gesu': una societa' fraterna, Cittadella, Assisi 1997; Quel che muore, quel che nasce, Sperling & Kupfer, Milano 2001; Un incontro difficile, Cittadella, Assisi 2001; con Remo Cacitti e Bruno Maggioni, La poverta', In dialogo, 2001; La gioia di essere liberi, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2002; Della mistica discorde, La meridiana, Molfetta (Ba) 2002] Quelli che vengono definiti i colonnelli ovvero i grandi proprietari terrieri tengono questo paese ancora allo stato coloniale. Arrivati dall'Europa o dagli Stati Uniti hanno preso il terreno che volevano. Hanno in mano, non del tutto ma in grandissima parte, il potere politico e lo difendono anche con le armi, grazie a piccoli eserciti ai loro ordini. Ma non c'e' solo questo. Ci sono le bande armate nelle grandi citta' formate da tantissimi giovani. Tutto questo "armamento" cosi' diffuso, alla portata di tutti, ha prodotto delle conseguenze perverse: la gente ha capito che vincendo il si' doveva aversi per coerenza un'operazione di disarmo totale. I grandi potentati economici in Brasile hanno creato degli squilibri che possono continuare ad esistere grazie al ricatto delle armi mentre gran parte della popolazione pensa che per poter rovesciare questi squilibri ci sia bisogno solo delle armi. La minaccia del terrore domina ormai la realta' brasiliana, non solo le grandi citta' ma anche quelle piu' piccole come la nostra Foz de Iguacu al confine con Paraguay e Argentina, dove esiste un grande traffico di armi e droga. Il Brasile e' un paese che ha avuto un passato dittatoriale con qualche squarcio di democrazia e di liberta'. Non esiste quindi una sensibilita' politica anche se in questo momento governa a livello nazionale e in diverse citta' il Partito dei lavoratori. Porto l'esperienza di Foz: anche se a vincere non e' stato uno dei cosiddetti personaggi dominanti ma un politico onesto che puo' fare qualcosa per il progresso della citta', quello che non puo' impedire e' il contrabbando e le reazioni armate che vengono come conseguenza di questo contrabbando. La speranza viene dalle comunita' di base che ho visto con molta gioia rifiorire. Le comunita' di base hanno come finalita' quella di dare coscienza al popolo dei propri diritti e insegnare un cammino di nonviolenza. L'ispirazione fondamentale che sta alla base di queste convocazioni e' un motivo religioso, evangelico, biblico. Tutte le loro conversazioni, i loro incontri sono fondati su testi biblici. Hanno cercato di soffocarle ma non ci sono riusciti. Ultimamente a Belo Horizonte c'e' stata una di queste convocazioni e cinquanta vescovi hanno promesso di chiedere al resto della gerarchia ecclesiastica di favorire la difesa e la valorizzazione di queste comunita' di base. 3. RIFLESSIONE. PAOLO BERTAGNOLLI: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Paolo Bertagnolli (per contatti: paolo_bertagnolli at hotmail.com) per questo intervento. Paolo Bertagnolli, insegnante, laureato in sociologia a Trento, impegnato nel movimento di Pax Christi a Bolzano e in molte iniziative di pace, solidarieta' e nonviolenza, e' coautore del libro Lontani da me, che raccoglie le conclusioni del progetto interculturale "Star bene insieme, illogicita' del razzismo"] Sono stato tra cooro che hanno preso a cuore il referendum brasiliano per il disarmo e tra quelli che sono rimasti delusi per il risultato. Oggi, pero', parte della mia delusione e' scomparsa: non perche' non mi dispiaccia la mancata vittoria del si', ma perche' mi sono detto: quante volte e' stato necessario insistere su un tema perche' divenga generale; quante volte persone ben piu' valide di me hanno conosciuto il fallimento delle loro azioni, dei loro pensieri, ecc., ma hanno continuato ad insistere e, alla fine, hanno raggiunto l'obiettivo che si erano posti. Anche noi dobbiamo insistere e credere che nel prossimo paese, nel prossimo referendum, il buon senso prevarra'. Si' alla messa al bando del commercio delle armi. Che altre nazioni propongano il referendum; io mi impegnero' a sostenerlo sicuro che se ancora rimarro' deluso, alla fine la nonviolenza dovra' necessariamente prevalere. 4. RIFLESSIONE. FEDERICO LA SALA: IERI DICEVAMO [Ringraziamo Federico La Sala (per contatti: federicolasala at tin.it) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera, pervenutaci purtroppo in ritardo rispetto alla data di svolgimento del referendum del 23 ottobre. Federico La Sala, docente di filosofia e saggista, e' redattore del sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) per cui cura particolarmente la sezione della riflessione flosofica] C'e' anche il mio si', per il referendum in Brasile. Il Brasile da' una lezione all'Europa e alle sue radici. Su cosa e' stato edificato il nuovo mondo? Genocidi e stermini... Qualcuno ci disse che "chi di spada ferisce, di spada perisce", ma molti non hanno voluto ne' ascoltare ne' capire... 5. RIFLESSIONE. DARIO MENCAGLI: IERI DICEVAMO [Ringraziamo Dario Mencagli (per contatti: dario.mencagli at libero.it) per questo intervento, pervenutoci purtroppo in ritardo rispetto alla data di svolgimento del referendum del 23 ottobre. Dario Mencagli, di vasti e solidi studi di filosofia e teologia, di sociologia e scienze della comunicazione, con ricchissime esperienze di vita e di impegno sociale in Africa, in Asia, in America Latina, cooperante internazionale, educatore, impegnato nella solidarieta', apprezzatissimo docente e gia' pubblico amministratore di esemplare competenza, limpidezza e sensibilita', e' persona di straordinario rigore morale e intellettuale tanto nell'azione pubblica come nello stile di vita, e una delle figure piu' vive della pace, del dialogo interculturale e della nonviolenza. Tra i suoi scritti hanno avuto ampia circolazione e profonda ripercussione tra le persone che hanno la fortuna di essergli amiche le sue Lettera dalla Guinea-Bissau] Quando ho saputo del referendum brasiliano, ho sentito tante sensazioni contrapposte: sensazioni di pace, di guerra, di violenza, di nonviolenza, di armamenti e di disarmo. Mi sono tornate in mente anche due immagini, viste in Amazzonia nel (lontano?) 1978: un fortino in tronchi di legno, tipo il "forte Apache" dei film western, con una guarnigione di soldati, e un uomo a cavallo con pistole al cinturone e fucile infilato al lato della sella. Pensavo di sognare e invece era realta'. Il fortino era nella zona di Roraima, sulla strada Boa Vista-Manaus. Presidiava la strada contro gli attacchi degli Indiani (gli Indios di quella zona), che avevano reagito contro l'attraversamento delle loro terre. Il pistolero a cavallo era sulla strada tra Altamira e Maraba': probabilmente un "jagunco" (bandito). Il suo mestiere, nel secolo XX (e ancora nel secolo XXI): servire il grande proprietario terriero, spaventare (e anche ammazzare) i piccoli proprietari, perche' abbandonino o vendano la loro terra al grande. Il compito del fortino: occupare stabilmente la terra degli Indios. * Leggo che la maggioranza dei circa 40.000 morti ammazzati da colpi di pistola ogni anno in Brasile, sono uccisi per liti tra familiari e vicini, ubriachezza, vendette. Penso alle mine antiuomo: se vengono prodotte e vendute, c'e' sempre qualcuno, poi, che le mette in funzione. Se ci sono manovre militari, spostamenti massicci di soldati e armamenti, non si tratta di semplici manovre dimostrative: la conclusione, quasi sempre, e' un intervento militare di guerra. Quando gli essere umani andavano con la clava, indossando una pelle di leopardo, risolvevano le contese con la clava: aveva ragione chi menava piu' forte. Con la costituzione dei villaggi prima, e delle citta' poi, la giustizia privata e' stata vietata. Gli anziani e i giudici hanno preso ad amministrarla. Lentamente siamo quasi arrivati (con l'Onu e i suoi caschi blu) ad avere una giustizia sovranazionale, che evitasse la violenza (analoga a qualla privata) tra i singoli stati. In questi ultimi anni siamo tornati indietro. Il giorno nel quale non saranno piu' i singoli stati a risolvere con la violenza e la guerra i loro problemi, gli esseri umani avranno fatto un passo in avanti fondamentale nello sviluppo della loro umanita' e avranno salito un altro gradino nella loro scala evolutiva. Per i credenti sara' il segnale che si sta avvicinando quanto annunciato nella Bibbia dal profeta Isaia: "Trasformeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci". * Ai nostri giorni ci siamo modernizzati: non si usa piu' la clava, ma la pistola. Il referendum in Brasile e' un segnale di grande speranza. Riguarda l'uso di armi "leggere" da parte di privati. Il Brasile, per molte persone, e' un paese non ricco ne' potente ne' importante. E' una valutazione sbagliata: il Brasile ha risorse, esporta, ha legami con molti paesi del sud del mondo. Propone modelli di democrazia notevoli (come il "bilancio partecipativo" per i comuni). Chiamare il popolo a decidere sul da farsi per una questione cosi' importante, e' un esempio magnifico per il mondo. * La proibizione della vendita delle armi "leggere" mi fa pensare anche alla vendita delle armi "pesanti", alle mine antiuomo, alle armi atomiche. E' possibile arrivare anche alla proibizione di quelle? Con la fine della guerra fredda, l'umanita' ha sperato che non sarebbe stato piu' necessario spendere migliaia di miliardi in armamenti, e che quei soldi avrebbero potuto risolvere i problemi di fame e poverta' mondiali. Invece e' successo l'incredibile: adesso si spende piu' di allora per gli armamenti! Togliere dalla circolazione queste piccole, ma non meno micidiali, armi, mi auguro che diventi un segnale per tutti, persone e stati. Aggiustando le parole del profeta Isaia, potremmo dire che "le pistole verranno trasformate in zappette e rastrelletti"! Grazie e auguri, Brasile! Pra frente, Brasil! (come si dice in Brasile). 6. RIFLESSIONE. EMILIO MOLINARI: IERI DICEVAMO [Ringraziamo Emilio Molinari (per contatti: emilio.molinari at libero.it) per questo intervento, pervenutoci purtroppo in ritardo rispetto alla data di svolgimento del referendum del 23 ottobre. Emilio Molinari (Milano, 1939), gia' parlamentare europeo, e' presidente del comitato italiano per il Contratto mondiale sull'acqua] Ben volentieri vi mando queste righe di sostegno al referendum brasiliano per il disarmo. Credo con queste poche righe di interpretere non solo il mio pensiero, ma quello del movimento italiano di cui sono il presidente che e' il Contratto mondiale sull'acqua, per cio' che rappresenta e potra' rappresentare per il Brasile e per il mondo l'affermarsi istituzionalmente in un grande paese dell'America Latina una prospettiva di messa al bando delle armi. Tutto il nostro sostegno affinche' possa diventare concreta realta'. Il continente latinoamericano non cessa di meravigliarci, dopo la vittoria del referendum costituzionale dell'Uruguay contro la mercificazione dell'acqua, un referendum vittorioso in Brasile contro le armi... searebbe qualcosa che ci fa sperare che Un Otro Mundo es Possivel. 7. MEMORIA. ALESSANDRO PORTELLI RICORDA ROSA PARKS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2005. Alessandro Portelli, studioso della cultura americana e della cultura popolare, docente universitario, saggista, storico, militante della sinistra critica, per la pace e i diritti. Opere di Alessandro Portelli: segnaliamo particolarmente L'ordine e' gia' stato eseguito, Donzelli, Roma 1999. Rosa Parks, recentemente scomparsa, e' la donna che diede inizio al grande movimento nonviolento contro la segregazione razziale a Montgomery, Alabama, nel 1955; un suo profilo e' nel n. 1096 di questo foglio] Era il settembre del 1973, ero appena arrivato allo Highlander Center di New Market, Tennessee - una storica istituzione del movimento operaio negli anni '30 e del movimento per i diritti civili dagli anni '50 in poi. Entro nell'ufficio del direttore Mike Clark per salutare, e si affaccia una segretaria: "C'e' Rosa Parks al telefono". Fu come se mi avessero detto che aveva telefonato Carlo Marx: una figura mitica di fondatrice della mia stessa coscienza civile si manifestava viva e presente nel quotidiano - e in contatto con un'istituzione da sempre in odore di sovversione. Mike Clark e Myles Horton (il fondatore di Highlander) mi spiegarono poi che Rosa Parks era stata a Highlander e aveva partecipato a gruppi di lavoro e di formazione politica prima del suo storico rifiuto di obbedire alle norme della segregazione nei pubblici trasporti di Montgomery, Alabama. I media e la leggenda hanno alimentato la sua figura come quella di una anziana cucitrice che non cede il posto a un bianco perche' e' stanca e le fanno male i piedi; in realta', Rosa Parks era perfettamente cosciente del significato politico di quanto stava facendo, il suo gesto era stato preparato accuratamente (e non era neanche una vecchietta, all'epoca del suo gran rifiuto aveva quarantatre anni). Per un po' mi dispiacque avere perduto quell'immagine romantica; ma in cambio avevo acquisito tutta un'altra percezione, tutto un nuovo rispetto, di quel che era stato il movimento dei diritti civili, della sua lunga e consapevole gestazione, e del coraggio collettivo di cui questa donna straordinaria era espressione, della memoria storica e della visione strategica che avevano messo in moto il movimento e lo avevano continuato. C'era senza dubbio una componente di indignazione spontanea, di mobilitazione immediata, nel movimento dei diritti civili; ma quello che Rosa Parks ha dimostrato e' che esso fu frutto anche di una grande intelligenza politica diffusa. Rosa Parks non era stata la prima donna nera a rifiutare di alzarsi in un autobus di Birmingham: c'era stato gia' un caso, addirittura nel 1939. Nelle occasioni precedenti - effettivamente spontanee e non preparate - le autorita' erano riuscite a distorcere i fatti diffamando le protagoniste e sostenendo di averle arrestate per altre, piccole, trasgressioni all'ordine razziale dell'Alabama. Ma questi episodi spontanei avevano indicato una strategia possibile; e Rosa Parks era stata scelta per ripeterli proprio grazie alla la sua irreprensibile figura morale e civica, che rendeva impossibile mascherare il suo arresto con motivazioni altre che non la difesa dell'ordine razzista. Alle sue spalle c'era tutta una rete di relazioni che avevano preparato il suo gesto e la risposta da dare al suo arresto: c'era, naturalmente, la National Association for the Advancement of Colored People, che aveva condotto le battaglie legali contro la segregazione (compresa la vittoria alla corte suprema nel caso Brown vs Board of Education che nel 1954 aveva dichiarato incostituzionale la segregazione scolastica); ma c'erano anche figure come E. D. Nixon, sindacalista della Brotherhood of Sleeping Car Porters, gli addetti alle carrozze letto, la piu' grande organizzazione sindacale afroamericana. Solo in un secondo momento, a cose fatte, fu chiamato in causa un giovane ministro metodista, da poco arrivato a Montgomery, noto anche lui per la sua inattaccabile moralita' e la sua rispettabile moderazione: Martin Luther King, Jr. (piu' tardi, anche King ando' agli incontri di Highlander, e per questo lo bollarono come comunista). Insomma, il movimento dei diritti civili aveva acquistato visibilita' attraverso una serie di gesti e personaggi simbolici ma questi erano stati il risultato di un lungo, complicato, pericoloso lavoro di relazione, di preparazione politica, di memoria storica condivisa: senza una rete del genere il compatto boicottaggio dei trasporti pubblici che l'intera collettivita' afroamericana di Montgomery resse per piu' di un anno, non sarebbe stato possibile. Il potere simbolico di Rosa Parks stava proprio nel modo in cui combinava un impegno politico cosciente con un'immagine casalinga e quotidiana: una donna qualunque, e una donna eccezionale, insieme. Due parole vanno spese proprio a proposito del luogo scelto per aprire la sfida alla segregazione, a Montgomery, e per commentare la strategia adottata. I tram e gli autobus segregati sono da sempre uno dei luoghi piu' invisi del razzismo istituzionale, dai romanzi di fine '800 ai Freedom Rides degli anni '70: l'efficacia simbolica del gesto di Rosa Parks era accentuata da decenni di risentimenti e di rabbia accumulati nei mezzi di trasporto. Ma c'e' di piu': come hanno dimostrato le vicende dell'uragano Katrina a New Orleans, in un paese che ha fatto dell'automobile e del trasporto privato la sua icona rappresentativa, gli afroamericani sono gli utenti principali dei trasporti pubblici (e quelli che piu' soffrono della loro mancanza). Colpendo gli autobus, il movimento di Montgomery colpiva il potere locale proprio la' dove i neri erano i clienti principali, una fonte di reddito per le istituzioni - e cosi' inaugurava quella strategia di boicottaggi in cui gli afroamericani, spesso esclusi dai luoghi della produzione, usavano il loro potere di consumatori come strumento di pressione e di lotta. Qualche giorno fa, Condoleezza Rice ha accompagnato il ministro degli esteri inglese, Jack Straw, in visita a Birmingham, Alabama, dove nel 1963 quattro bambine (una era sua amica) furono uccise da una bomba razzista in una chiesa. Con accenti che, per una volta, sembravano quasi veri, la Rice ha ricordato (ma come se fossero cose solo del passato) la sua infanzia in Alabama, il razzismo e la segregazione in cui era cresciuta. Ma l'impegno politico di Rosa Parks non si era fermato ai quei giorni; anche senza assumere ruoli di leadership, e' continuato fino ad oggi perche' ancora oggi il razzismo alza la sua brutta testa. Il fatto che dobbiamo anche Condoleezza Rice a Rosa Parks e' un paradosso; ma costituisce una ragione di piu' per non permettere che si dichiari chiusa la storia rappresentata da Rosa Parks e che sia la Rice a impadronirsi della sua memoria e del suo coraggio. 8. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: CORPI VELATI E SVELATI. IL POTERE DELLO SGUARDO [Dal quotidiano "Liberazione" del 15 ottobre 2005 riprendiamo questa anticipazione di un brano dal nuovo libro di Annamaria Rivera, La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita', in questi giorni in libreria per Dedalo. Annamaria Rivera, antropologa, fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli, Dedalo, Bari 2005] Il costume di velare totalmente o parzialmente il capo e/o il volto non e' di per se' un segno di differenziazione di genere. Il turbante dei sikh, il velo dei tuareg, il passamontagna degli zapatisti, per citare solo alcuni fra i tanti esempi possibili, sono segni specificamente maschili che conferiscono agli uomini che li indossano, a seconda dei casi, dignita', potere, autorevolezza, mascolinita', status sociale. Il velo, pertanto, puo' essere letto correttamente solo a partire dai contesti sociali e culturali specifici e dai suoi significati locali... Il velo femminile era costume diffuso fra gli assiri, i persiani, i greci, i romani come segno di distinzione sociale che denotava la donna d'alto rango, la sposa legittima, la madre. E anche il famoso versetto del Corano (53, 32) che lo prescrive riguardava, secondo alcuni esegeti, esclusivamente le mogli di Muhammad e mirava ad istituire una distinzione di rango: coprendosi il capo e il viso, esse non avrebbero rischiato d'essere scambiate per schiave e dunque d'essere oggetto d'interesse da parte maschile... Guardandoci dal rischio della generalizzazione arbitraria, diciamo che alcune societa' del Mediterraneo si sono caratterizzate per un modello basato sulla rigida separazione delle sfere del maschile e del femminile..., sul valore-cardine dell'onore maschile, su una morale sessuale ossessionata dalla verginita' e dal controllo di un eros femminile temuto come "selvaggio" e potenzialmente pericoloso... E' innegabile che il dominio sulla funzione riproduttiva femminile ha costituito, in particolare, l'assillo delle tre grandi religioni monoteiste nelle quali, in misura e in forme diverse, si sono rispecchiate la struttura e la cultura patriarcali. Non v'e' bisogno di ricordare che nella prima Epistola ai Corinzi san Paolo associa esplicitamente l'obbligo del velo all'inferiorita' della donna, che percio' "deve portare sul capo il marchio della sua dipendenza". Un marchio che nei paesi a maggioranza cattolica, mediterranei in ispecie, le donne, delle classi subalterne in particolare, avrebbero portato almeno fino agli anni Cinquanta nella forma di grandi fazzoletti da testa di colore scuro; finche', negli anni Sessanta, il fazzoletto non si trasformo' in un foulard di seta, leggero e colorato, che divenne un elemento alla moda in tutto l'Occidente. Andando indietro con la memoria alle immagini dell'epoca, viene in mente una fitta galleria di famose attrici, primedonne, signore del jet-set internazionale, tutte con il capo coperto da piu' o meno vivaci triangoli di tessuto, talvolta indossati col "doppio giro" cosi' da nascondere non solo i capelli ma anche le orecchie e il collo: esattamente alla maniera delle ragazze francesi con il velo. * Se nelle religioni del Libro e in molte societa' a prescrivere alle donne le regole del pudore - dunque del modo consono di abbigliarsi - e' l'autorita' maschile, e' contestabile che in societa' secolarizzate come le nostre si sia affermata una completa liberta' di scelta. Oggi, ad imporre stili e mode, di conseguenza a decidere quale debba essere il "comune senso del pudore" e perfino a dettare le trasgressioni consentite sono l'industria della moda e il mercato, e la pubblicita' al loro servizio. Paradossalmente, proprio la vicenda francese di una legge proibizionista giustificata in nome della difesa della laicita' dimostra che la liberta' di scelta e' ben lontana dall'essere conquistata... Oggi... il paradigma mercantile del corpo femminile ordina, come osserva Alain Badiou (2004), che la femminilita' sia esposta, e rende obbligatoria la circolazione delle donne su larga scala, invece che, come un tempo, secondo il modello dello scambio ristretto. Il corpo, segnatamente quello femminile, deve conformarsi ad un canone per lo piu' edonistico-competitivo: e' un corpo svelato, esibito, sottratto al decadimento (si pensi al crescente ricorso alla chirurgia estetica), un corpo che deve dire piu' che alludere... Probabilmente, in Francia il foulard e' perturbante proprio perche' e' una diversita' non prevista finora neppure dal repertorio dei canoni etico-estetici "trasgressivi" del mercato globale, e che irrompe negli ambiti della modernita': finche' e' rimasto relegato nello spazio domestico, com'era nel caso delle immigrate della cosiddetta prima generazione, in quanto socialmente invisibile esso non e' mai divenuto oggetto di contesa pubblica... * Un pensiero egemonico, ereditato dal colonialismo e rinnovato dalla globalizzazione neoliberista, associa strettamente l'idea di emancipazione, come si e' detto, ma anche e soprattutto quella di modernita' ai valori etico-estetici e agli stili di vita dell'Occidente... Quest'idea egemonica sembra condizionare anche le prese di posizione di una parte rilevante del femminismo francese e italiano, quella che si e' decisamente schierata a favore della legge proibizionista. Conviene ricordare che il tema della riappropriazione del corpo da parte dei soggetti femminili ha avuto un posto centrale nella riflessione teorica e nella pratica politica del femminismo degli anni Settanta: una centralita' che si e' riflessa nelle battaglie politiche relative al controllo della sessualita' e della procreazione, non ultima quella sull'aborto. Ma piu' recentemente, allorche' si e' accelerato il processo di netta secolarizzazione-mercificazione dei corpi, soprattutto femminili, la critica femminista sembra essersi distratta. Il corpo mercificato, venduto, griffato, sottomesso ai canoni del mercato e della pubblicita', marchiato dai segni ostentatori del capitale (Badiou 2004) sembra faccia meno scandalo del corpo velato, contrassegnato da un simbolo identitario, eventualmente religioso, talvolta patriarcale: una femminista "storica" francese e' arrivata a sostenere che il foulard e' piu' deplorevole della prostituzione, essendo quest'ultima nient'altro che una manifestazione della liberta' di disporre del proprio corpo. * A proposito dell'ossessione maschile-occidentale di spogliare i corpi femminili, e' opportuno osservare... come e quanto questa si sia rispecchiata e tradotta nell'immaginario coloniale: l'ansia di svelare i corpi delle altre era in gran parte motivata dall'inconscio desiderio di curare la ferita narcisistica inflitta dal velo musulmano. Come osserva acutamente il filosofo Yves Vargas (2004), la proclamata volonta' di liberare le donne dei colonizzati dal giogo dell'oppressione musulmana in realta' nascondeva la fantasia di porle al servizio del desiderio dei colonizzatori... Lo svelamento, il denudamento del corpo dell'altro/a e' uno dei dispositivi attraverso i quali si realizza la sua umiliazione, il suo annichilimento, la sua de-umanizzazione... Frantz Fanon racconta della cerimonia che si svolse ad Algeri il 13 maggio del 1958, quando, nella Piazza del Governo, delle donne musulmane montarono su un palco per bruciare pubblicamente i loro veli. Il potere coloniale intendeva dimostrare cosi' di voler emancipare le indigene recando loro la civilta', in realta' applicava la strategia del divide et impera. Molte di quelle donne sarebbero poi tornate a indossare il velo e si sarebbero unite, insieme ad altre, alla Resistenza. Una volta catturate, strappando loro il velo i colonizzatori si sarebbero riscattati dalla frustrazione e dalla paura che provavano per quelle donne velate che si sottraevano allo sguardo e potevano guardare senza essere guardate: talvolta, prima d'essere giustiziate, le resistenti venivano messe in fila, denudate e fotografate... * Cosi' come l'imagerie coloniale rivela il sogno di spogliare - cioe' profanare - una donna araba universale, costruita secondo gli stereotipi dell'orientalismo (misteriosa, sensuale, eppure in tutti i sensi impenetrabile), allo stesso modo l'immaginario sadico degli aguzzini di Abu Ghraib si compiace della profanazione di un uomo arabo fantasmatico, costruito secondo i classici stereotipi razzisti che gli attribuiscono un eccesso di potenza sessuale, di maschilismo, di misoginia. Quanto alle aguzzine, figlie di un femminismo impazzito o, per meglio dire, di un'idea di emancipazione come competizione, mimesi e interiorizzazione del maschile, esse devono aver vissuto le torture inflitte agli arabi addirittura come una forma di rivalsa e di vendetta di genere. Riprendendo Baudrillard... potremmo concludere che il problema e' sempre quello della trasparenza: l'ossessione di strappare il velo alle donne ha il suo corrispettivo in quella d'incappucciare gli uomini per farli sembrare piu' nudi e piu' osceni; ed entrambe sono "il sintomo estremo di una potenza che non sa piu' che farsene di se stessa". 9. INCONTRI. DONNE IN CAMMINO, A ROMA IL 31 OTTOBRE [Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo la notizia di questa bella iniziativa delle Donne in nero (per informazioni e contatti: e-mail: roma at donneinnero.it, sito: www.donneinnero.it)] Lunedi' 31 ottobre 2005, con inizio alle ore 20, alla sala grande del Teatro Vascello, in via Carini 78, a Roma, si svolgera' una iniziativa delle Donne in nero di Roma a sostegno dell'alfabetizzazione e del diritto all'istruzione delle donne nel mondo: "Storie di donne in cammino", raccontate, colorate, vissute, interpretate, scritte, cantate, danzate, dedicate alle tante scuole nascoste delle donne, oltre il silenzio delle guerre, oltre il frastuono delle armi, oltre il buio della violazione dei diritti. 50 metri di carta rigorosamente riciclata, pennelli e colori della pace, artigianato della solidarieta' delle Donne in nero insieme alla Fondazione Pangea, all'Associazione Zajedno, l'Ics e altre ancora; campagne, appelli, foto individuali e di gruppo per la campagna "Controlarms" contro il commercio delle armi; assaggini conditi con l'olio dell'associazione Libera e un buon bicchiere di vino. Racconti di storie di donne, questo abbiamo chiesto alle nostre amiche Luisa Morgantini, Elettra Deiana e Silvana Pisa, a Maria Monti con le sue canzoni, a Maria Silvia con la sua danza, ad Ana, arrivata in Italia attaccata sotto un treno. Entrata a sottoscrizione per sostenere l'alfabetizzazione, il diritto allo studio e i percorsi di pace della donne in Afghanistan, nel Kurdistan turco, in Palestina, nei Balcani. Da un'idea di Nadia Cervoni, Silvana Mariniello, Caterina Merlino, Micaela Serino. Con il patrocinio della vicepresidenza della Provincia di Roma. Per informazioni e contatti: Donne in nero, sito: www.donneinnero.it, e-mail: roma at donneinnero.it 10. INCONTRI. MARIA LUISA BOCCIA E GRAZIA ZUFFA: UN INVITO IL 5 NOVEMBRE A ROMA [Da varie interlocutrici riceviamo e volentieri diffondiamo quersto invito a proseguire la riflessione dopo il referendum italiano del giugno scorso sulla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002. Grazia Zuffa, psicologa, senatrice per due legislature, nel 1990 presento' un disegno di legge sulle tecnologie della riproduzione artificiale; si occupa da anni di teoria e politica femminista, con particolar riguardo ai temi della sessualita' e della procreazione; direttrice del mensile "Fuoriluogo", autrice di molti saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo della maternita', 1993; Franca Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre provetta, Angeli, Milano 1994; con Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998] Nell'incontro del 21 maggio che abbiamo intitolato "Non solo referendum", molte hanno concordato sull'esigenza di costruire un percorso dopo il voto. A tutte noi il confronto elettorale, e la semplificazione dei temi che ha imposto, stavano stretti. Gia' in quell'occasione si e' avvertito il divario tra il dibattito nella scena politico-mediatica e la riflessione che richiedono questioni quali: la ricerca scientifica e le tecnologie, il conflitto simbolico sul venire al mondo e le figure genitoriali, la funzione della legge e la distinzione tra etica e diritto. La secca sconfitta nel referendum aggiunge nuovi motivi di approfondimento e discussione tra noi. Molte e diverse possono esserne state le ragioni. Vi sono quelle attinenti al merito delle tecnologie che, pure estranee all'esperienza della gran parte di donne e uomini, hanno pero' un'inquietante impatto sull'immaginario. Tra queste, alcune ci coinvolgono piu' da vicino: la difficolta' di nominare il desiderio femminile di maternita'; cosa ne e' dei corpi, cosa ne e' della relazione tra uomo e donna. Ve ne sono altre attinenti alla politica. Nonostante il nostro discorso avesse alle spalle un lavoro di riflessione, nonostante l'impegno di molte a farlo vivere nella campagna referendaria, dobbiamo prendere atto che troppo poco questo ha segnato quel dibattito, ne' e' riuscito ad influire sul voto. Ha prevalso la contrapposizione tra Vita e Scienza, tra la laicita' e l'etica dei valori. Dopo il voto la sconfitta e' stata invece nostra: ed e' tornato il ritornello sul silenzio delle donne, delle femministe innanzitutto. C'e', e non da oggi, un'evidente strumentalita' e approssimazione nel come si da' conto delle idee e pratiche femministe. Ma la difficolta' piu' seria e' la mancanza di una sfera pubblica in grado di accogliere e far circolare un discorso e un agire politico altro da quello costruito sull'intreccio sempre piu' stretto ed autoreferenziale tra il sistema politico ed i media. A distanza di oltre un decennio dall'emergere della crisi della politica, e di fronte al suo acuirsi, dovremmo non solo riprenderne l'analisi, ma cercare nuove forme di comunicazione tra noi e una diversa incisivita'. In questi mesi alcuni dei nodi allora emersi si sono ripresentati. Primo tra tutti quello di un rilancio, con modalita' inedite, della sovrapposizione di religione, morale, legge. Dalla fecondazione, ai Pacs, alla pillola RU486 e all'ultima offensiva sull'aborto. E' sempre piu' compromessa la laicita' dello Stato dalla scelta di alcune istituzioni della Chiesa di assumere un ruolo politico diretto, andando ben oltre il piano del richiamo ai valori morali fino a pronunciarsi sulla validita' e legittimita' costituzionale delle norme. Ma non c'e' solo l'iniziativa della Chiesa. La novita' piu' consistente e' sul versante della politica, sempre meno in grado di esprimere una qualita' alta della politica stessa e sempre piu' esposta all'attrazione dei "valori" fino all'esplicita messa in questione della laicita' dello Stato. Ma soprattutto dovremmo interrogarci sulle spinte che attraversano la societa', che vengono riassunte e semplificate come il ritorno del sacro: sintomo di un profondo disagio di civilta', ma anche di una ricerca attiva di senso, tanto piu' sentita quanto piu' si immiserisce la sfera dell'agire collettivo e dell'impegno civile. Vi invitiamo ad incontrarci per mettere a confronto le nostre riflessioni sul dopo referendum sabato 5 novembre dalle ore 11 alle ore 15 presso la Casa internazionale delle donne a Roma, in via della Lungara 19. Collabora all'organizzazione dell'incontro l'associazione "Generi e generazioni". 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1099 del 30 ottobre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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