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Vittoria al mondo. Si' all'umanita'. 10
- Subject: Vittoria al mondo. Si' all'umanita'. 10
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 28 Oct 2005 12:18:03 +0200
============================== VITTORIA AL MONDO. SI' ALL'UMANITA' ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" di riflessione sull'esito del referendum brasiliano del 23 ottobre per proibire il commercio delle armi, per salvare la vita delle persone. Per non dimenticare, per proseguire. * Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it * Numero 10 del 28 ottobre 2005 In questo numero: 1. "Io dico, seguitando" 2. "Instituto Sou da Paz": Uccidere non e' un diritto 3. Gina Abbate: Dopo il referendum 4. Hermann Barbiere: Dopo il referendum 5. Paolo Coluccia: Dopo il referendum 6. Carlo Gubitosa: Dopo il referendum 7. Elena Liotta: Dopo il referendum 8. Adriano Moratto: Dopo il referendum 9. Oskar Peterlini: Dopo il referendum 10. Bruna Peyrot: Dopo il referendum 11. Edi Rabini: Dopo il referendum 12. Alessandro Fioroni: Una sconfitta 13. Maurizio Matteuzzi: Una sconfitta 1. EDITORIALE. "IO DICO, SEGUITANDO" "Io dico, seguitando..." (Dante, inf., X, 1). Il referendum brasiliano del 23 ottobre 2005, anche se ha avuto come esito la sconfitta della grande speranza di abolire il commercio delle armi da fuoco in quel grande paese, ha tuttavia costituito un'occasione straordinaria di presa di coscienza e di mobilitazione. Ed e' stato un esempio per il mondo intero. Si', si puo' e si deve chiamare i popoli del mondo all'impegno per far cessare questo scandalo degli scandali: che si producano e si mettano a disposizione degli esseri umani strumenti il cui unico fine e' quello di uccidere gli esseri umani. Si', il disarmo e' la grande necessita', la prima urgenza, che l'umanita' intera ha di fronte: perche' nell'epoca aperta da Auschwitz e da Hiroshima, o l'umanita' abolira' le armi, o le armi distruggeranno l'umanita'. Il referendum brasiliano, anche se conclusosi con una sconfitta, e' stato un fatto storico di rilevanza mondiale. I signori della morte, l'internazionale degli assassini, vorrebbero che finisse nel dimenticatoio al piu' presto. E invece no. Vogliamo, dobbiamo continuare a riflettere su questa esperienza. Quel referendum ha rotto un tabu' ed ha indicato una via: i popoli ora sanno che possono usare lo strumento democratico del voto per abolire le armi omicide. Quel referendum e' stato un primo passo. Altri ne seguiranno. La nonviolenza e' in cammino. 2. VOCI DAL BRASILE. "INSTITUTO SOU DA PAZ": UCCIDERE NON E' UN DIRITTO [Dal sito dell'"Instituto Sou da Paz" (www.soudapaz.org.br), in cui peraltro nei giorni scorsi compariva solo questa schermata poiche' aveva subito un attacco da parte di hackers che lo avevano messo fuori uso, riprendiamo il seguente intervento. L'"Instituto Sou da Paz" e' stata una delle strutture brasiliane piu' impegnate a sostegno del si' al referendum] Non riteniamo che le armi siano sinonimo di sicurezza. Non riteniamo che col possesso di un'arma risolveremo i problemi che la polizia, che pure dispone dei finanziamenti provenienti dalle nostre tasse, ancora non e' riuscita a risolvere. Non crediamo in un mondo in cui ciascuno sia per se' e tutti siano contro tutti. Non siamo sciocchi al punto di credere che i manutengoli della dittatura, gli assassini del Carandiru e mezza dozzina di colonnelli siano veramente in apprensione e impegnati per difendere i nostri diritti. Non crediamo affatto che le industrie armiere, la Taurus e la Cbc, siano un bene per il paese, e che siano impegnate per far diminuire la violenza. * Non e' un diritto uccidere gli altri. Non e' un diritto ingannare il popolo. Non e' un diritto arricchirsi con la morte. Non e' un diritto produrre merci il cui mercato e' gestito dalla criminalita'. Non si ha il diritto di travestirsi da difensori della liberta' quando si e' sempre stati sostenitori del totalitarismo. Non si ha il diritto di chiamare diritto un privilegio a cui ha accesso meno del 2% della popolazione. Non si ha il diritto di definire "trascurabili eccezioni" le migliaia di vite perdute di giovani di periferia assassinati in conflitti insorti per futili motivi e finiti in tragedia per la presenza di armi da fuoco. * Non vogliamo che un'arma, da chiunque acquistata, vada a finire nelle mani di criminali, e successivamente i suoi proiettili vadano a finire nelle nostre teste. Non vogliamo che si diano altri soldi all'industria della morte, che piu' cresce la violenza e piu' ci lucra sopra. * In nome della vita, noi continueremo nel nostro impegno. In nome della liberta' e della pace, noi continueremo nel nostro impegno. Noi continueremo a impegnarci per il disarmo, poiche' sappiamo che finche' circoleranno le armi alcune migliaia di vite non potranno essere salvate; e che l'ideologia del terrore e della paura favorisce soltanto l'aumento del terrore e della paura. Noi continueremo a impegnarci per il disarmo, poiche' piu' armi ci sono e piu' morti ci saranno; ed e' orribile che si ricavino profitti da tutto cio'. Noi continueremo a impegnarci per il disarmo, perche' se non cominciamo mai, mai riusciremo a costruire un paese migliore. Noi continueremo a impegnarci per il disarmo, poiche' a ogni arma in meno corrisponderanno varie morti in meno. Noi continueremo a impegnarci per il disarmo, perche' non sopportiamo piu' tanta ipocrisia, tanto opportunismo e tante menzogne da parte degli espliciti propugnatori del terrore. Noi continueremo a impegnarci per il disarmo, perche' la difesa della vita umana ne vale la pena. 3. RIFLESSIONE. GINA ABBATE: DOPO IL REFERENDUM [Attraverso Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) riceviamo e diffondiamo questo intervento di Gina Abbate. Gina Abbate fa parte del consiglio nazionale di Pax Christi e del Coordinamento per la pace di Bolzano] La passione dell'impegno rimane. ... Vari settori potevano e possono impegnarsi di piu', e piu' concretamente, per la causa del disarmo. Noi comunque continueremo a sostenerla anche attraverso i nostri amici, Ermanno e Lino Allegri, Pierluigi Sartorel. Ci sono ottimi motivi per continuare a incoraggiare e sostenere la campagna per il disarmo, oltre il referendum. Come Pax Christi e come Coordinamento per la pace di Bolzano continueremo ad essere coinvolti nell'impegno. 4. RIFLESSIONE. HERMANN BARBIERE: DOPO IL REFERENDUM [Attraverso Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) riceviamo e diffondiamo questo intervento di Hermann Barbiere, coordinatore di "Organisation fuer eine Welt" (in sigla: Oew)] Tristissima la cosa. E' vero. Allora indignamoci pure... Pero' forse e' anche necessario dare delle svolte alle riflessioni. Forse e' necessario ritornare a riflettere sull'insegnamento di Thich Nat Han sul nemico e sulla cultura del nemico, o su cio' che dice Gandhi a proposito di "essere" pace e cambiamento. O anche su quello che abbiamo imparato da Lennart Parknaes sul confine fra l'io e il tu e sulla relazione tra allarme e azione... E permettiamoci di esprimere il dubbio che, se le cose vanno male, magari e' perche' si cerca di risolvere i problemi con l'aiuto del pensiero che li ha creati... Potremmo guardare da queste ottiche lo scarso impegno dei movimenti di base e della sinistra (magari corrotta), e la rassegnazione e la paura. E la violenza sempre piu` violenta di bambini sempre piu' bambini. E forse potremmo avere delle cautissime ipotesi di tentativi di approccio a risposte inconsuete, anche sul perche' la societa' civile organizzata non fa sentire la sua voce. E su quale sia il fattore che conta sulla via delle pace. 5. RIFLESSIONE. PAOLO COLUCCIA: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Paolo Coluccia (per contatti: e-mail: paconet at libero.it, sito: http://digilander.libero.it/paolocoluccia) per questo intervento. Paolo Coluccia, dottore in pedagogia, saggista e ricercatore socio-economico indipendente, ad una formazione psicopedagogica e filosofica associa una buona conoscenza della legislazione sociale e del lavoro. Si e' interessato di Sistemi di scambio locale non monetario e di Banche del tempo, intravisti come spazi sociali d'interazione e di comunicazione sociale, su cui ha scritto vari libri, come La Banca del tempo (Bollati Boringhieri, Torino 2001, Introduzione di Serge Latouche); La cultura della reciprocita' (Edizioni Arianna, Casalecchio 2002), Il tempo... non e' denaro! (Bfs, Pisa 2003), e vari saggi e articoli apparsi su riviste e siti internet, in particolare Monete locali per il bene comune. Lo spirito del Sel, nel volume collettivo Processo alla globalizzazione, curato da Teddy Goldsmith, con prefazione di Serge Latouche, Edizioni Arianna, Casalecchio 2002. Il suo ultimo lavoro e' la traduzione in lingua italiana, con un'introduzione ed una postfazione, del Rapporto al Ministro per l'economia solidale francese scritto da Patrick Viveret nel 2001/2002: Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del Pil alle nuove forme di economia sociale, edizioni TerrediMezzo-Altreconomia, Milano 2005. L'elenco completo delle sue pubblicazioni e' sul suo sito internet. Presente a convegni nazionali e internazionali, e' stato in particolare relatore nel laboratorio "Riappropriarsi del denaro" durante il Colloque internationale sur l'apres-developpement "Disfare lo sviluppo, rifare il mondo", Unesco, Paris 2002, e ha introdotto il seminario sulle "Reti di economia solidale" durante l'European Social Forum di Firenze nel novembre del 2002. Ha, inoltre, partecipato come relatore alle giornate conclusive del forum elettronico "Per una ripartizione egualitaria del tempo", organizzato dall'Instituto Andaluz de la Muyer, Junta de Andalucia (Espana), Granada, 12 e 13 dicembre 2002. Dal 2003 fa parte del "Centro interdipartimentale di studi e ricerche sull'utopia" dell'Universita' di Lecce, che e' composto da filosofi, storici e ricercatori in scienze umane e sociali, e del "Movimento per la societa' di giustizia e per la speranza", nato nello stesso Centro, animato dal prof. Arrigo Colombo, docente emerito della stessa Universita'. Collabora come saggista e traduttore con "M@GM@. Rivista elettronica di scienze umane e sociali" (www.analisiqualitativa.com), con direzione a Catania, e come articolista con la rivista "Il Consapevole", del gruppo Macroedizioni (Forli'). E' in corrispondenza con l'Istituto di terapia cognitiva di Santiago del Cile (fondato da H. Maturana), il cui attuale direttore e' Alfredo Ruiz, del quale ha tradotto in italiano numerosi saggi e conferenze, pubblicati nella casa editrice virtuale Lilliput-on-line] "Meno male! Ce la siamo vista proprio brutta!". Un sospiro di sollievo, questo, per i produttori e per i mercanti d'armi da fuoco e di munizioni l'altra notte. "Per fortuna hanno vinto i nostri sostenitori, quelli del no al referendum brasiliano del 23 ottobre 2005. Che disgrazia sarebbe stata per il Pil delle nostre nazioni materialmente 'sviluppate'. Che disgrazia per le casse dell'erario, per la produzione delle fabbriche, per il reddito di tanti lavoratori se le armi da fuoco fossero state messe al bando in Brasile. Se avessero vinto i si', chissa' quante altre nazioni avrebbero seguito l'esempio, con un effetto domino, forse dominate da emozioni ed ideali, da utopiche visioni pacifiste, incuranti dei propri interessi economici, anche se sporchi e macchiati di sangue di gente innocente". Questo avranno pensato i produttori e i mercanti di armi da fuoco e di munizioni nella notte del 24 ottobre appena trascorso, subito dopo la chiusura delle urne del referendum per l'abolizione delle armi da fuoco indetto dal governo Lula in Brasile, all'arrivo dei primi risultati. Finalmente un sospiro di sollievo, per loro: l'incubo era finito! "Ce l'abbiamo fatta - avranno esclamato in tutto il mondo -, ce l'hanno fatta i nostri bravi sostenitori brasiliani, quelli che contano, quelli che sanno pensare ed agire, ce l'hanno fatta a respingere l'ennesima velleita' pacifista della nonviolenza, dell'utopica visione di giustizia, di pace e di fratellanza. A che ci serve la pace e la nonviolenza se poi non si riesce a vendere i prodotti delle nostre fabbriche di morte!". Questo avranno pensato, tra un brivido e l'altro, i produttori e i mercanti di morte. * E nel mondo qualche giornale, qualche timido telegiornale e qualche brav'uomo politico alle prime ore del mattino si e' apprestato ad annunciare la buona novella, lo scampato pericolo: il dolce commercio puo' continuare, deve continuare. Il no ha vinto in Brasile. E per noi in Europa questo no vale doppio, considerato che ormai da qualche tempo non perdiamo l'occasione per perorare la causa di togliere l'embargo di armi a nazioni e governi che reputavamo pericolosi. Come per la Cina (cfr. "Il sole - 24 ore" del 7 dicembre 2004, n. 337, p. 5, titolo di testa: "Armi a Pechino, via l'embargo - L'Italia e' favorevole all'abolizione dell'embargo sulle esportazioni di armi verso la Cina"). Salvo poi a sentire durante il sessantesimo anniversario della fondazione della Fao che "una societa' che spende centinaia di miliardi in armamenti e consente che ogni anno muoiano di fame cinque milioni di bambini e' una societa' malata di egoismo e di indifferenza". Non faccio i nomi di chi ha dichiarato questo per delicatezza e per rispetto istituzionale. Sono i concetti espressi quelli che contano, non le persone che li esprimono. Continua il nostro quotidiano economico nazionale: "Anche la Francia insiste - Ieri la Francia, insieme a Italia e Germania, ha insistito sulla necessita' di abolire l'embargo - Ma Bruxelles frena [l'embargo era stato imposto dall'Unione Europea dopo la violenta repressione della protesta di piazza Tienammen - ndr]. Pechino da tempo chiede che il provvedimento sia tolto". Grande mercato quello cinese: loro ci esportano i manufatti, noi le armi e le munizioni. Quasi non ne avessero gia' troppe. Tanto, prima o poi, cominceranno anche loro come in Brasile a fare il tiro a segno con i bambini di strada. E avranno bisogno di armi, visto che sono gia' un miliardo e trecento milioni. Che affari, signori, se non ci fosse la pianificazione delle nascite in quel paese! Come si possono pensare certe cattiverie, anche se poi accadono veramente in Brasile, in America latina, in Africa e in Asia. E poi, non dimentichiamoci che c'e' anche l'India, e poi l'Africa, il continente dei signori della guerra, sempre piu' affamati di armi e munizioni a buon mercato: tutti buoni acquirenti, tutti buoni clienti. E questo scriteriato e idealista governo brasiliano, tra tutti i problemi che ha, t'indice proprio un referendum per abolire in uno dei piu' bei paesi del mondo le armi da fuoco e le munizioni! "Sconfitta per Lula nel referendum" ha gridato con un rantolo di bieca soddisfazione, dopo un lungo e angosciante silenzio, il nostro piu' importante quotidiano economico nazionale. "Il no infatti ha stravinto, con il 63,94 % dei voti, contro il 36,06% favorevole alla proibizione" ("Il sole - 24 ore", 25 ottobre 2005). * Caspita, pero', hanno votato cento milioni di persone, l'87% degli aventi diritto al voto. Che lezione di democrazia per la nostra piccola Italia, dove negli ultimi anni tutti fanno campagna elettorale per non partecipare alle votazioni referendarie (e la gente ci casca, e non ci va davvero a votare...). "La popolazione brasiliana ha quindi scelto in larga maggioranza di continuare a comprare liberamente armi da fuoco per uso personale", continua entusiasta il nostro bravo quotidiano economico nazionale: liberamente, dice, quasi si comprassero vestiti, prosciutto, pomodori, automobili, ciclomotori... Gia', dimenticavo, da ingenuo imperterrito, che nell'economia di mercato, negli affari, il colore dei soldi e' sempre lo stesso. E le merci... merci sono, sia che servano per la vita, sia che servano per la morte. Come ho fatto a dimenticarmi della dottrina economica piu' classica dei nostri padri economisti piu' classici e neoclassici, i cui seguaci ormai avviluppano ogni genere di istituzione pubblica e privata? La nostra piccola Italia ne e' l'esempio emblematico e incontrastato. Il mercato e' la vera e unica panacea di ogni male, l'unico strumento che puo' sollevare le sorti di ogni nazione, sviluppata o non. Il Pil e' la vera ricchezza di ogni nazione: e allora, perche' non commerciare piu' armi? Perche' minare un settore produttivo cosi' florido nel mondo occidentale? Ed io, povero me, che ho tradotto e pubblicato in Italia il Rapporto al Ministro per l'economia solidale francese scritto da Patrick Viveret nel 2001 dal titolo "Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del Pil alle nuove forme di economia sociale" (Terre di Mezzo, Milano 2005)... che ingenuo sono stato. O forse no? O forse ancora trovo dentro di me (insieme con tanti altri milioni di persone) la speranza che si possa pensare diversamente sui grandi problemi del mondo e dell'umanita', come la nonviolenza, la giustizia, il rispetto, la solidarieta'? Quali enormi contraddizioni imperversano nella nostra povera esistenza. Eppure non ci costerebbe nulla porre dei distinguo, per capire che le armi non sono merci alla pari del pane, che le munizioni non sono merci come i pomodori, che la produzione ed il commercio di armi non generano fabbriche e posti di lavoro come l'edilizia e la metalmeccanica, come il tessile e l'agricoltura. * Con un nodo in gola chiudo quest'articolo con una frase di Cornelius Castoriadis: "Dovremmo volere una societa' in cui i valori economici non siano piu' centrali (o unici), dove l'economia sia rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo, una societa' in cui si rinunci dunque a questa corsa folle verso un consumo sempre crescente. Tutto cio' e' necessario non soltanto per evitare la definitiva distruzione dell'ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per liberarci della miseria psichica e morale propria degli uomini contemporanei". Vorrei che a questa sconfitta di una nobile causa come il referendum brasiliano, seguisse una nuova presa di coscienza sui grandi temi dell'umanita', per avviarsi verso una nuova "coscientizzazione" (per riportare l'espressione di Paulo Freire ne La pedagogia degli oppressi) sui problemi che affliggono la parte piu' debole dell'umanita', quella parte migliore di umanita' che subisce torti e calamita' naturali e non, quella parte di umanita' che comunque avanza, tra mille difficolta' e contraddizioni, lungo il progetto utopico di una societa' di giustizia, fondata sui principi della pace, della nonviolenza, della fraternita', dei diritti e del rispetto, che da sempre sorregge e guida i popoli e le nazioni. 6. RIFLESSIONE. CARLO GUBITOSA: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Carlo Gubitosa (per contatti: c.gubitosa at peacelink.it) per questo intervento. Carlo Gubitosa e' segretario di "Peacelink" (la principale rete telematica pacifista italiana, sito: www.peacelink.it), collabora con varie testate ed e' uno dei piu' noti operatori dell'informazione di area pacifista e nonviolenta. Tra le opere di Carlo Gubitosa: (con Enrico Marcandalli e Alessandro Marescotti), Telematica per la pace, Apogeo, Milano 1996; Oltre internet, Emi, Bologna 1997; L'informazione alternativa, Emi, Bologna 2002; Genova, nome per nome, Berti, Piacenza 2003] La sconfitta nel referendum brasiliano ha dimostrato ancora una volta che una rivoluzione nonviolenta per il disarmo non puo' che essere omnicratica, sollecitata e richiesta da tutti anziche' da una ristretta elite di "illuminati" che e' riuscita a sfuggire alle insidie della disinformazione, della propaganda, dell'anticultura e delle manipolazioni dei mercanti di armi che invece riescono a sedurre e convincere le masse. Hitler e' stato eletto democraticamente, cosi' come anche George Bush e tanti altri rappresentanti di poteri che restano e rimangono ingiusti a dispetto dei numeri che sembrerebbero legittimarli. Anche questo e' uno dei motivi per cui il potere va ridiscusso non solo nella sua sostanza, ma anche nella sua forma, per andare al di la' della democrazia, dove ci aspetta il sogno dell'omnicrazia, il "potere di tutti", che Aldo Capitini ci ha lasciato in eredita'. I fatti del referendum brasiliano ci hanno reso chiaro che la strada della pace e' molto lunga e faticosa, e passa difficilmente attraverso scorciatoie referendarie, anche quando queste scorciatoie portano messaggi bellissimi e suggestivi come ha cercato di fare chi ha lottato fino all'ultimo per bandire dal Brasile la violenza delle armi. Questa esperienza, che molti useranno strumentalmente per dimostrare la presunta sconfitta dell'ideale nonviolento di fronte alla "realpolitik", rafforza in me la convinzione che in questo particolare momento della storia le mezze misure non bastano piu', e l'unica soluzione alla violenza che affligge il mondo passa per la nonmenzogna e nonviolenza attiva, diretta, omnicratica, quotidiana e praticata. Il problema delle armi e delle guerre va affrontato ogni giorno nelle scuole, nelle fabbriche, sui binari che portano treni di morte e che gli amici della nonviolenza dovrebbero rendere sempre piu' difficili da attraversare. Non sono piu' sufficienti consultazioni sporadiche, sprazzi di partecipazione saltuaria delimitati dalle istituzioni tradizionali che esprimono poteri violenti, elezioni primarie che pretendono di risolvere nello spazio di un week-end i problemi di rappresentanza e legittimita' di una intera classe politica, e tanti altri palliativi che cercano di frenare quel "potere di tutti" che ormai bussa alle porte dei potenti con una forza sempre maggiore. E' finito il tempo dei compromessi, del cerchiobottismo, dei voti con il naso tappato e della ricerca del meno peggio. Ci attende il percorso lungo e faticoso, ma al tempo stesso magnifico e avvincente, di una lotta nonviolenta radicale e coerente che spinge i sogni di chi vuole bandire le armi dal mondo ben al di la' di un voto referendario. 7. RIFLESSIONE. ELENA LIOTTA: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Elena Liotta (per contatti: e_liotta at yahoo.it) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera personale. Elena Liotta, nata a Buenos Aires il 25 settembre 1950, risiede a Orvieto, in Umbria; e' psicoterapeuta e psicologa analista, membro dell'Ordine degli Psicologi dell'Umbria, membro dell'Aipa (Associazione Italiana di Psicologia Analitica), dell'Iaap (International Association Analytical Psychology), dell'Apa (American Psychological Association), socia fondatrice del Pari Center for New Learning; oltre all'attivita' psicoterapica, svolta prevalentemente con pazienti adulti, in setting individuale, di coppia e di gruppo, ha svolto e svolge altre attivita' culturali e organizzative sempre nel campo della psicologia e della psicoanalisi; tra le sue esperienze didattiche: professoressa di Psicologia presso la "American University of Rome"; docente in corsi di formazione, e coordinatrice-organizzatrice di corsi di formazione a carattere psicologico, per servizi pubblici e istituzioni pubbliche e private; didatta presso l'Aipa, societa' analitica accreditata come scuola di specializzazione post-laurea, per la formazione in psicoterapia e per la formazione di psicologi analisti; tra le altre esperienze parallele alla professione psicoterapica e didattica: attualmente svolge il ruolo di Coordinatrice psicopedagogica e consulente dei servizi sociali per il Comune di Orvieto, e di Coordinatrice tecnico-organizzativa di ambito territoriale per la Regione Umbria nell'Ambito n. 12 di Orvieto (dodici Comuni), per la ex- Legge 285, sul sostegno all'infanzia e adolescenza e alle famiglie, occupandosi anche della formazione e monitoraggio dei nuovi servizi; e' stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto; dopo la prima laurea ha anche lavorato per alcuni anni in campo editoriale, redazionale e bibliografico-biblioteconomico (per "L'Espresso", "Reporter", Treccani, Istituti di ricerca e biblioteche). Autrice anche di molti saggi apparsi in riviste specializzate e in volumi collettanei, tra le opere di Elena Liotta segnaliamo particolarmente Educare al Se', Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2001; Le solitudini nella societa' globale, La Piccola Editrice, Celleno (VT) 2003; con L. Dottarelli e L. Sebastiani, Le ragioni della speranza in tempi di caos, La Piccola Editrice, Celleno (VT) 2004; Su Anima e Terra. Il valore psichico del luogo, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2005] Avendo aderito all'iniziativa di sostegno al referendum sull'abolizione delle armi - e sottolineando l'importanza della formazione personale alla nonviolenza, a partire dall'educazione dell'infanzia, cioe' il lavoro sulla mente e sul cuore di chi le armi impugna - non mi sentivo pessimista. Sono una che ancora riesce ad aspettarsi le belle sorprese, anche quando la situazione sembra difficile. In fondo Lula da una parte, Vendola da un'altra, altri eventi che fanno sperare perche' appunto inaspettati, sono fatti reali che accadono e che lasciano tracce. Aderendo non mi sono proprio domandata se avrebbe vinto o perso l'iniziativa brasiliana. Il fatto stesso di leggerne, di parlarne, di dirlo in giro e accorgermi che nessuno lo sapeva, di stare con la mente sulla questione (mentre in televisione quotidianamente vediamo inquadrato il sangue dei morti ammazzati, per gelosia, per rabbia, per vendetta, mentre sotto casa mia, che vivo in campagna, gli spari dei cacciatori ci svegliano quasi ogni mattina, mentre, come dicevo a una conferenza a Misano Adriatico, la cultura della violenza e della morte viene spacciata per intrattenimento): tutto questo e' gia' una piccola vittoria. Il lavoro da fare e' tanto, soprattutto nell'educare, pratica lenta, faticosa, poco brillante, poco protagonista, in poche parole poco attuale. Quella della nonviolenza e' oggi la controcultura piu' ovvia, insieme a quella della decrescita. E' andare in direzione contraria all'onda gigantesca che ci si oppone. E' ovvio che ci sia resistenza. Ma quei piu' di 30 milioni di brasiliani che hanno votato si', caspita! Sono davvero tanti e mi rendono serena. Nel mio breve contributo ponevoevo anche la questione di cosa sarebbe accaduto in Italia, proponendo un simile referendum: perche' non lo facciamo? Io non sono un'intellettuale, sono una che cura le persone, che trasmette concretamente saperi e pratiche di vita, tutte sperimentate prima. Il passaggio al concreto, a pratiche rette e misurate, quelle possibili, e' inderogabile su troppi versanti ormai. Non c'e' bisogno di scomodare i padri e le madri della nonviolenza per ricordare che bisogna partire anche da se', dalla propria vita, per testimoniare le idee che ci guidano. Quindi, la strada c'e', e' aperta, ci si sta contando - come si diceva una volta - anche di fronte all'avversario e alle sue forze, ai suoi modi e stili comunicativi. L'analisi si puo' contestualizzare nella nostra realta' piu' vicina sulla quale possiamo, potremo - forse - fare di piu'. O almeno contarci anche qui, smascherare le menzogne, rafforzarci nella nostra direzione. Se non ci arriveremo a qualche meta, lo faranno forse i nostri figli, o i loro figli... 8. RIFLESSIONE. ADRIANO MORATTO: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Adriano Moratto (per contatti: mir.brescia at libero.it) per questo intervento. Adriano Moratto e' impegnato nel Centro per la nonviolenza di Brescia, nella Rete di Lilliput, in molte iniziative di pace e di solidarieta', ed e' una delle figure piu' note e autorevoli dell'impegno nonviolento in Italia] 64% no, 36% si': ci siamo svegliati. Abbiamo sognato, abbiamo fatto un bel sogno, anzi, abbiamo proposto un bel sogno. Ci siamo aperti alla speranza. Ma abbiamo perso il referendum. Vero, ma non mi sento sconfitto. Le mie ragioni non mi sembrano vinte. Una strada si e' chiusa, ora abbiamo altri percorsi da valutare. Negli anni '60 era in voga una canzone che piu' o meno diceva: "Il denaro ed il potere sono trappole mortali che per tanto tempo han funzionato, ma noi che stiamo correndo, avanzeremo di piu'". Cantavamo questo ritornello a squarciagola, quando ci scontravamo con le difficolta', gli interessi, le miserie sempre presenti nelle scelte di vita. Non e' andata come speravamo, ma se il 51% avesse detto si', sarebbe stato finito il nostro lavoro? L'insicurezza, la paura, la sfiducia nello Stato, tante sono le ragioni che fanno credere alla necessita' di un'arma. Al di la' degli interessi degli armieri, pure presenti e facilmente riconoscibili. Non voglio essere ottimista ad ogni costo. Il 36% dei votanti e' un buon punto di partenza (in Iraq con una percentuale simile sarebbe stata approvata la nuova Costituzione). In un paese come il Brasile, in cui anche i ragazzini circolano con le pistole, in cui nel 2004 ci sono stati 36.000 morti ammazzati da arma da fuoco, 33 milioni di brasiliani hanno detto che bisogna cambiare, bisogna uscire dalla spirale della violenza, della giustizia fai-da-te, dalla logica degli squadroni della morte. Come ho gia' detto, tutto il lavoro fatto in Brasile puo' diventare utile anche da noi. Trovare e diffondere i dati, i costi sociali ed economici dell'uso delle armi da fuoco in Italia. Quanti morti, quanti feriti, quale danno anche csociale, civile e finanche economico per la collettivita'? L'Fbi ci dice che possedere un'arma da fuoco aumenta di cento volte il rischio di essere uccisi durante una rapina (anche la pena di morte favorisce l'incremento degli omicidi). Le statistiche negli Usa registrano una percentuale di suicidi cinque volte superiore, tra i possessori di un'arma. Il Ministero di Grazia e Giustizia negli Usa afferma che dal 1976 al 2000 solo il 15% delle vittime di armi da fuoco era stato ucciso da uno sconosciuto. Insomma, portarsi un'arma in casa e' scegliere di diventare (e far diventare chi vive con noi) un bersaglio. Tutto questo la sconfitta nel referendum non lo puo' negare. Bisogna continuare a lavorare, dire piu' forte le nostre ragioni. Dobbiamo continuare a sognare che, anche in questo, un altro mondo e' possibile. 9. RIFLESSIONE. OSKAR PETERLINI: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo il senatore Oskar Peterlini (per contatti: o.peterlini at senato.it) per averci messo a disposizione questo intervento ricavato da una sua lettera a padre Ermanno Allegri. Oskar Peterlini (Bolzano, 1950), dirigente commerciale, senatore della Repubblica, e' segretario della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, membro della XI Commissione senatoriale permanente (lavoro e previdenza sociale), segretario del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa] Ringrazio padre Ermanno Allegri per il grande impegno sociale e civile e con lui tutti quelli che si sono impegnati in questa lotta per la pace. Non lasciamoci demoralizzare. Continueremo a lavorare, ognuno al proprio posto, per una civilta' piu' umana, piu' civile e per una cultura della vita e della pace. 10. RIFLESSIONE. BRUNA PEYROT: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br)) per questo intervento. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004] Nel Brasile di Lula il referendum sul divieto al commercio di armi e' stato vinto dal no in percentuale doppia del si'. Il si' ha vinto nelle aree piu' povere, mentre nei tre collegi elettorali maggiori (Sao Paulo, Minas Gerais e Rio de Janeiro) la percentuale dei no ha stravinto. Il si' e' stato sostenuto dal Pt (Partido dos trabalhadores), dalla chiesa cattolica e da molte chiese evangeliche, dai sindacati e dal governo che ha sostenuto in modo esplicito la campagna elettorale, senza contare gli infiniti organismi di base, dalle radio comunitarie ai centri di animazione delle favelas. Non credo che i sostenitori del si' debbano essere tristi o delusi perche', a mio avviso, non ha solo trionfato "il partito degli assassini" e molte sono le ragioni per cui chi ha voluto proclamare il desiderio di un mondo senza armi debba almeno un poco essere confortato. * In primo luogo, il sostegno internazionale al referendum per l'abolizione del commercio di armi in Brasile e' stato grandissimo, come se i paesi europei soprattutto, in cui mai e' stata proposta una consultazione simile (e, fra l'altro, i maggiori produttori di armi), si identificassero nell'unico luogo al mondo in cui si voleva osare cio' che non si era osato nel proprio territorio. Questo mi fa riflettere sul fatto che una campagna per l'abolizione del commercio di strumenti di morte non puo' che essere mondiale, non la si puo' vincere in un solo paese e, infine, dovrebbe saper articolare forme di lotta che boicottino alla radice il problema, cioe' la produzione di armi. Il Brasile con il suo referendum ha suscitato grandi speranze perche' si creasse una specie di "zona liberata" dal flagello della morte violenta come soluzione di un conflitto. Se avesse vinto in un paese in cui il 64% degli omicidi sono commessi con armi da fuoco e il 20% all'arma bianca, allora ci sarebbe stata la speranza anche per altri di vivere una quotidianita' ispirata alla pace e alla nonviolenza. Credo, tuttavia, che la solidarieta' sul referendum brasiliano sia stata una grande pagina di storia e di politica internazionale che ha aperto nuovi cammini. Sempre di piu' le battaglie si vincono "globalmente" e quindi sono piu' lente a raggiungere esiti positivi e definitivi. La loro articolazione richiede organizzazione, linguaggi, sedi e appelli, "Manifesti" come dice Boaventura de Sousa Santos, con obiettivi minimi comuni. Sia la difesa della riserva amazzonica sia il commercio di armi sono gia' su questo cammino. * In secondo luogo credo che non dobbiamo liquidare chi ha votato no come sostenitore della violenza. I mass-media, televisione e giornali in Brasile sono partiti tardi a fare informazione, ma, al di la' degli interessi molto chiari che volevano il no, cioe' trafficanti di armi illegali dal Paraguay, riciclatori di denaro sporco, agenzie di polizia privata ecc., insomma tutto il Brasile illegale e privilegiato; anche fascie sociali medio-basse hanno anche votato no, e non solo per ragioni di insicurezza. Soprattutto un punto ha colto la loro attenzione ed e' su questo che desidero puntare la nostra: e' stato detto che si sarebbe perso un diritto costituzionale, relativo alla vendita di uno strumento di difesa. Diversi di coloro che hanno votato no si sono fermati alla parola "diritto". Questa invocazione tocca un nervo scoperto del Brasile, giovane democrazia ancora alla ricerca di se stessa. Per questo la propaganda del no ha sfondato anche in settori e in ambienti (anche dell'educazione) aperti e sensibili. Diritto alla vita e diritto individuale alla difesa personale si sono scontrati e, a mio avviso, hanno rappresentato e rappresentano uno dei dilemmi piu' drammatici del Brasile, ma non solo. L'integralita' dell'uno o dell'altro, portati appunto al loro estremo, inducono a paradossi. Il diritto alla vita cosi' fortemente sostenuto da ampi settori del cattolicesimo e' lo stesso che non accetta la legge sull'aborto. Il diritto a ogni diritto e' quello che invece arriva a fare accettare anche quello all'aborto. Mi sembra, a volte, nei toni non pubblici, ma nello spazio piu' riservato di convegni e incontri, che riecheggino anche qui in Brasile le contrapposizioni italiane al tempo del referendum sull'aborto che ben ricorda Anna Bravo ("Genesis" III/1 2004): e' stato giocato spesso solo come diritto, mentre l'elaborazione del lutto che suscitava era costantemente rimossa. Quello che desidero segnalare e' che spesso domande semplici, come quella del si' o no alle armi, suscitano complessita' nelle quali dobbiamo entrare senza paura. * Questo referendum e' stato un grande momento di crescita della coscienza democratica internazionale che invita a continuare la sua costruzione, perche' no?, proponendo la stessa cosa in tantissimi altri paesi. 11. RIFLESSIONE. EDI RABINI: DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Edi Rabini (per contatti: edorabin at tin.it) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera personale. Edi Rabini, che e' stato grande amico e stretto collaboratore di Alex Langer, e' impegnato nella Fondazione Alexander Langer (per contatti: e-mail: langer.foundation at tin.it, sito: www.alexanderlanger.org), di cui e' infaticabile e generosissimo anmatore] ... Ermanno Allegri ci ha raccontato in modo analitico e pacato da dove viene questa sconfitta. E del molto lavoro che rimane da fare a loro, per far crescere una piu' solida coscienza civile, e a noi, che anche qui avremmo perso probabilmente nel clima di allarme e di ordine che si va creando. Questa sconfitta ci unisce quindi piu' che mai agli amici brasiliani, da minoranza a minoranza, per un percorso difficile che il referendum non ha interrotto. 12. SULLA STAMPA ITALIANA. ALESSANDRO FIORONI: UNA SCONFITTA [Dal quotidiano "Liberazione" del 25 ottobre 2005. Alessandro Fioroni scrive su "Liberazione" e su www.migranews.it). Non possiamo esimerci dal segnalare come "Liberazione" non abbia minimamente colto l'importanza del referendum e non abbia contribuito a sostenere le sorelle e i fratelli brasiliani: lungo tutta la campagna referendaria sulle pagine del giornale e' apparso ben poco: se il giornale avesse sostenuto il si' al disarmo avrebbe potuto dare un contributo decisivo per mobilitare il movimento per la pace italiano e per indurre gli altri mass-media italiani ad occuparsi della questione: e questo avrebbe avuto una ricaduta rilevante in Brasile. Ma "Liberazione" non lo ha fatto] Nonostante il presidente Lula da Silva e sua moglie Marisa Leticia avessero dato il buon esempio, recandosi a votare per il si' nel referendum sul disarmo civile di domenica scorsa, la maggioranza della popolazione brasiliana ha sonoramente bocciato l'opzione che prevedeva la proibizione del commercio delle armi. Nel seggio della citta' industriale di Sao Bernardo do Campo il presidente del Brasile ha espresso chiaramente le sue opinioni affermando che: "se una persona qualunque possiede armi da fuoco non creera' sicurezza, quindi ho votato si'". Ma l'impulso e l'indicazione data dalla massima carica istituzionale non ha sortito l'effetto sperato. Il referendum sostenuto da organizzazioni della societa' civile, dalla chiesa cattolica e da alcuni partiti politici, e' naufragato senza possibilita' di appello. Il senso della sconfitta sta tutto nei dati del Tribunale superiore elettorale. Complessivamente il no si e' attestato al 63,88% mentre il si' al 36,12% dei voti validi. I non votanti hanno raggiunto una percentuale del 21,71%. Il no ha vinto in tutte le regioni del Paese, in particolare nella regione Sud dove ha raggiunto il 79% circa di voti mentre nella regione Nord si attesta sul 70%. Nel Nordeste i favorevoli al commercio di armi hanno totalizzato il 57% dei suffragi, nel centrovest hanno ottenuto il 68% e nel sudest il 60%. In tutte le capitali degli stati federali si sono registrati i risultati piu' importanti; a Porto Alegre (Capitale del Rio Grande do Sul) e a Boavista (Roraima) si e' avuto il maggiore distacco tra coloro a favore del commercio di armi e chi invece era a favore del disarmo: in entrambe le capitali infatti il no ha superato l'80% dei voti, con il si' attestato a percentuali di circa il 10%. In tutti gli stati (tra cui Rio de Janeiro, Santa Catarin, Goias, Espirito Santo, Amapa') a conteggio ormai concluso l'esito non ha potuto piu' essere smentito. Gia' nella serata di domenica, quando il risultato sembrava ormai delinearsi, si sono avuti i primi commenti ed e' iniziato il dibattito che sicuramente non rimarra' senza strascichi. * Sia il presidente del fronte del no, deputato Fraga (Pfl) che il segretario del comitato per il si', il deputato Jungman (Pps) attribuiscono il risultato del referendum al fatto che la consultazione e' stata trasformata in un plebiscito sulle condizioni di sicurezza vigenti in Brasile. Questo e' infatti l'elemento piu' importante emerso non solo dall'esito del referendum ma anche da tutta l'accesa campagna referendaria. La popolazione brasiliana ha scelto in larga maggioranza di poter continuare a comprare liberamente armi da fuoco, nonostante la mobilitazione del governo, della Chiesa e di molte organizzazioni sociali. Il senso di minaccia che aleggia sugli individui per la violenza urbana e la sfiducia nelle istituzioni, e specialmente nella polizia, hanno contato di piu' degli appelli alla ragione e al disarmo di molte personalita' note, da Ronaldo al cantautore Chico Buarque de Hollanda. A questo proposito e' significativo il commento espresso da Rubem Cesar Fernandes, della ong "Viva Rio", uno dei coordinatori del fronte per il disarmo: "Stiamo stati ingenui, mettendo in campo gli artisti. Quelli del no si sono avvalsi di esperti della comunicazione come Chico Santa Rita, consulente di Collor". * Ma al di la' delle strategie di comunicazione ha contato fortemente il clima si scontro sociale in Brasile, la violenza e' provocata dalle enormi disparita' fra ricchi e poveri, una dicotomia semplice ed immediata. Nelle baraccopoli dei grandi aggregati urbani come nei quartieri di lusso protetti da alte mura e pattugliate da guardie private, le armi sono viste da un lato come un mezzo di "promozione sociale" e dall'altro come unica via alla difesa della propria condizione. Il fatto che nessuno si fidi della polizia, peraltro corrottissima, puo' anche essere visto come disaffezione nei confronti dello stato, nonostante l'elezione di Lula e il vento di cambiamento respirato in Brasile finora. A far vincere il si' non hanno contribuito neanche i dati relativi al numero di morti per arma da fuoco rilevati lo scorso anno, ben 36.000 sono le persone cadute nel 2004. Eppure in concomitanza del referendum si e' conclusa la campagna per la consegna delle armi da fuoco personali iniziata l'anno passato. I risultati infatti sono stati incoraggianti, 467.000 tra armi e munizioni sono state raccolte dalle autorita' e sembra leggermente calare il numero dei morti. Allo stesso tempo rimane in vigore lo Statuto del disarmo, approvato nel 2003, che prevede pene piu' severe per il possesso illegale, difficolta' maggiori per l'acquisto e un registro per tutte le armi utilizzate dalle forze dell'ordine. * La contraddizione insita in tutto cio' puo' anche essere ravvisata negli stessi promotori del referendum. "E' accaduto che la stessa sinistra si e' fortemente disinteressata; e' accaduto che le stesse articolazioni della societa' civile si sono occupate d'altro. Il governo si e' bloccato sulla difensiva cercando di ripararsi dalle accuse di corruzione e tutta la politica e' stata occupata da questo dibattito. Il referendum e' rimasto assente, non faceva parte del dibattito politico. E cio' a tutto vantaggio della destra e delle industrie che producono armi", e' stato questo il commento di Ermanno Allegri, sacerdote della Commissione Pastorale della Terra, il quale non ha risparmiato critiche neanche alla chiesa cattolica affermando: "A parte le pastorali sociali e alcune iniziative delle comunita' di base, e' stato fatto pochissimo: qualche veglia di preghiera e non molto di piu'". 13. SULLA STAMPA ITALIANA. MAURIZIO MATTEUZZI: UNA SCONFITTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 ottobre 2005. Maurizio Matteuzzi, giornalista e saggista, e' un profondo conoscitore della realta' latinoamericana. Non possiamo esimerci dal segnalare come "Il manifesto" non abbia minimamente colto l'importanza del referendum e non abbia minimamente contribuito a sostenere le sorelle e i fratelli brasiliani: lungo tutta la campagna referendaria sulle pagine del giornale sono apparsi forse non piu' che una lettera e un articolo: se il giornale avesse sostenuto il si' al disarmo avrebbe potuto dare un contributo decisivo per mobilitare il movimento per la pace italiano e per indurre gli altri mass-media italiani ad occuparsi della questione: e questo avrebbe avuto una ricaduta rilevante in Brasile. Ma "Il manifesto" non lo ha fatto] 64% no, 34% si'. I primi a congratularsi per il trionfo delle armi, nel referendum di domenica in Brasile, sono stati gli americani della National Rifle Association... "E' stata la vittoria della liberta'". Liberta' di sparare, liberta' di uccidere e soprattutto di essere uccisi. Un morto per arma da fuoco ogni 15 minuti, 36.000 morti l'anno scorso. Un altro dei tanti record del Brasile. L'esito tragico del referendum e' molto piu' che simbolico perche' il problema della sicurezza pubblica in Brasile e' drammatico. Nessuno poteva aspettarsi che con il bando delle armi da fuoco la guerra civile quotidiana in quel paese dagli osceni contrasi sociali sarebbe finita per incanto. Ma il tracollo del politically correct (e di un sintomo elementare di civilta') va molto al di la' del simbolico. Lula, dopo la vittoria nelle elezioni presidenziali del 2002, aveva detto che per una volta "la speranza aveva vinto la paura". Domenica, tre anni dopo, e' stata ancora una volta la paura a vincere sulla speranza. Non solo sulle armi da fuoco. * Il referendum di domenica in Brasile che proponeva la proibizione della vendita e del commercio delle armi si e' risolto in un disastro per il si'. Il 64% degli elettori brasiliani (che erano 122 milioni, voto obbligatorio) hanno detto seccamente no, contro il 36% di si'. Qualsiasi cittadino che abbia compiuto 25 anni e abbia passato qualche allegro controllo potra' continuare a comprare armi e munizioni. E a sparare. Il Brasile ha un record mostruoso: una persona uccisa da armi da fuoco ogni 15 minuti, l'anno scorso 36.000 persone uccise a colpi d'arma da fuoco, in Brasile pare che le armi in mano ai privati siano non meno di 17 milioni, di cui 9 milioni non registrate. E molti delle vittime e degli assassini erano giovani, secondo un rapporto dell'Onu. Non e' servita a niente la campagna per il si' del governo di Lula, della chiesa cattolica e delle Nazioni Unite, e neppure degli adorati attori delle telenovelas e delle stelle della musica popular brasileira che si sono spesi negli spot televisivi gratuiti in favore del bando. Anzi, secondo molti, l'impegno del governo e delle stelle per il si' alla fine e' stato contriproducente. Perche' il no e' stato anche un voto di sfiducia totale nella capacita' del governo di affrontare il problema della sicurezza, che in Brasile e' drammatico, e il si' ha finito per apparire una posizione delle elites politically correct mentre il popolo - che la campagna favorevole alle armi ha saputo sapientemente usare -, quello che vive nell'inferno quotidiano delle favelas, si esprimeva in favore dell'uso delle armi "per potersi difendere dai banditi e dalla polizia". * Il trionfo del no e' anche un segnale inequivocabile dei dubbi, o meglio della certezza, sull'efficienza e soprattutto sull'onesta' della varie polizie nel compito di difendere i cittadini. Solo in settembre il si' era oltre il 70% nei sondaggi e il no poco sopra il 20%. Poi la campagna si e' spostata dal semplice quesito sulla vendita delle armi alla complessiva politica sulla sicurezza pubblica del paese, o meglio, come ha detto Roberto Busato, presidente dell'Ordine degli avvocati del Brasile, "sulla sua non-politica". In effetti, nonostante gli impegni presi in campagna elettorale, il governo di Lula e' riuscito a fare poco o nulla per migliorare una situazione di guerra quotidiana che e' andata anzi peggiorando in questi ultimi anni. "Il popolo e' tornato alle urne per dire a Lula, per la prima volta dopo le elezioni del 2002, che il suo voto in rapporto alla sicurezza pubblica e' zero". Lula ha dovuto far buon viso a pessimo gioco: domenica notte ha detto che lui continua personalmente a essere contrario all'uso individuale delle armi, ma che la vittoria del no "non porra' alcun problema" e il governo la rispettera'. La "campagna del popolo" ha sconfitto la "campagna delle elites", anche se puo' apparire curioso il fatto che i sondaggi rivelassero l'ovvieta' che piu' si alzava il livello sociale e di reddito piu' cresceva la massa dei no. In realta' il popolo e' stato ancora una volta usato, e usato male. I propagandisti del no l'hanno buttata non solo sulla paura ma anche sull'insindacabile diritto individuale di avere un'arma, e di usarla. In questo senso i responsabili della campagna del si' parlano con qualche ragione di un "dibattito all'americana" e denunciano il poderoso lavorio delle lobbies non solo brasiliane. Fra i primi a congratularsi per il trionfo delle armi sono stati quelli della National Rifle Association: "una vittoria della liberta'". Intanto, e anche questo spiega il disastro di domenica che e' molto piu' che simbolico, la popolarita' di Lula continua a scendere nei sondaggi. ============================== VITTORIA AL MONDO. SI' ALL'UMANITA' ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" di riflessione sull'esito del referendum brasiliano del 23 ottobre per proibire il commercio delle armi, per salvare la vita delle persone. Per non dimenticare, per proseguire. * Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it * Numero 10 del 28 ottobre 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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