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La domenica della nonviolenza. 36
- Subject: La domenica della nonviolenza. 36
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 28 Aug 2005 12:09:48 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 36 del 28 agosto 2005 In questo numero: 1. Margarete Durst: Mondo e mondi nella riflessione di Hannah Arendt 2. Marcello Cini: Idee per una vita sostenibile 1. RIFLESSIONE. MARGARETE DURST: MONDO E MONDI NELLA RIFLESSIONE DI HANNAH ARENDT [Dalla rivista on-line di critica filosofica "Kainos", n. 3/2003 (sito: www.kainos.it) riprendiamo il seguente saggio di Margarete Durst. Margarete Durst e' docente universitaria e saggista; tra i suoi temi di ricerca degli ultimi anni: affettivita' e cognizione: paradigma dialogico e comunicazione empatica; genealogie e generazioni nelle filosofie della differenza di area femminista; e' autrice di numerosi saggi pubblicati in volume e in rivista. Ha scritto del suo lavoro: "I miei studi si polarizzano su due indirizzi tra loro convergenti: uno teoretico-epistemologico e uno storiografico, entrambi caratterizzati da una spiccata apertura al rapporto interdisciplinare tra filosofia e scienze umane, in particolare psicologia/psicoanalisi. Per quanto riguarda la prima direttrice mi sono concentrata soprattutto sull'interazione tra le forme della razionalita' e quelle dell'affettivita', con particolare riferimento ai concetti di narcisismo e di empatia, che sono alla base della comunicazione tacita e degli assetti motivazionali profondi. Lungo la seconda direttrice ho affrontato alcuni aspetti problematici della filosofia itialiana del Novecento, inerenti in particolare all'attualismo gentiliano e ai suoi sviluppi in alcuni seguaci di Gentile, in particolare in Guido Calogero. Il mio interesse per l'interazione tra le forme della razionalita' e dell'affettivita' e per l'incidenza che essa ha sul piano cognitivo, motivazionale e relazionale, mi ha portato ad analizzare - avvalendomi dei miei studi di area psicologico-psicoanalitica - gli aspetti dell'ideazione creativa, dell'euristica scientifica e dell'orientamento etico-valoriale. Sugli stessi temi mi sono inoltre confrontata con gli apporti teorici provenienti dall'area femminista, anche indagando il piu' ampio territorio dell'attivita' filosofica al femminile sotto il profilo sia epistemologico che storiografico". Tra le opere di Margarete Durst: Dialettica e Bi-logica. L'epistemologia di Ignacio Matte Blanco, Marzorati, Milano 1988; Gentile e la filosofia nell'Enciclopedia italiana. L'idea e la regola, Pellicani, Roma, 1998; Guido Calogerero. Dialogo, educazione, democrazia, Seam, Roma 2002. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Che il mondo costituisca una categoria portante del pensiero di Arendt risulta innanzitutto dagli scritti dell'autrice, in cui il termine assume una rilevanza problematica estremamente significativa, dalla prima opera, la tesi di dottorato su Il concetto d'amore in Agostino (1), all'ultima, La vita della mente (2), edita postuma. Nel primo lavoro si attribuisce al filosofo, uno dei piu' citati da Arendt, un dislocamento dell'amore dal mondo a Dio e, di conseguenza, un disinvestimento d'interesse dalla terra, abitata dalla pluralita' degli uomini, alla citta' celeste: la nuova Gerusalemme. Nel secondo testo - avviato tanti anni dopo, con alle spalle, oltre a un lungo e complesso itinerario di ricerca attraverso aree disciplinari diverse (sempre limitrofe a quella filosofica), un'intensa attivita' di pubblicista su questioni di forte attualita', accompagnata in alcuni casi da un personale impegno pratico - il mondo, nel puntellare le due parti compiute dedicate al pensiero e alla volonta', si configura in maniera assai piu' articolata, rivelando una forte tensione alla differenziazione. Young Bruehl ha sintetizzato questo percorso nel bel titolo della sua biografia di Arendt, Per amore del mondo (3), che mi sembra colga la continuita' di una riflessione tanto sfaccettata quale quella arendtiana nel nucleo problematico del testo giovanile. Nucleo centrato su quella che, anni dopo, la stessa Arendt ha chiamato la "passione di pensare", cioe' sulla sete di significato, di senso, che non si soddisfa delle risposte parcellizzate e di settore, e che l'autrice indirizza al mondo quale dimora della pluralita' umana. * Va osservato che Remo Bodei nel suo libro su Agostino, Ordo amoris (4), nel sottolineare la dimensione di universalita' che, nella prospettiva agostiniana, acquista l'amore umano per contagio da quello divino, collega un simile ampliamento di orizzonte non al distacco dal mondo, come fa Arendt, bensi' a una ricomprensione innovativa dello stesso, tale da rendercelo trasfigurato. Temi, questi ultimi, che ritroviamo nei testi arendtiani ma collegati al potere che hanno l'arte, la storia e la narrazione di edificare e di salvare il mondo attingendo alla forza innovativa della natalita'. L'arte in particolare, pur essendo al pari della storia e della narrazione "cosa di pensiero" (5), pertanto aleatoria e fragile, mostra una "permanenza" che le permette di rendere "trasparente la stabilita' del mondo" (6), e questa capacita' e' indice di un aggancio estremamente intenso alle potenzialita' creative offerte ad ogni uomo e donna da una dote tanto preziosa quanto fragile quale e' la nascita. La natalita' e' appunto la forza creativa che si trae dalla nascita, cioe' dal fatto elementare che si viene messi al mondo da altri e che tale immissione, nell'introdurre nel mondo un cambiamento irreversibile, offre ad ogni essere umano un potenziale innovativo che sta a ciascuno/a di noi sfruttare allorche' ci si trova a misurarsi con il mondo ricevuto in eredita' da altri (7). Nel rapporto tutto immanente che l'uomo ha con il mondo si profila dunque una forma di emergenza, si puo' dire di trascendenza assumendo il termine, come fa anche la nostra autrice, nel senso, tipico della tradizione esistenzialista, di apertura ad un'alterita' sempre mondana che dispone alla progettualita' e all'esercizio della liberta' attraverso la scelta. Dove decidersi ed agire significa esercitare la capacita' di pensare, cioe' di sapere cosa si sta facendo. * Il mondo, come per intero la condizione umana, e' dunque segnato dalla contingenza ed esposto al rischio dell'annullamento e della perdita proprio perche' esiste, perche' e' una realta' fattuale e non gode di alcuna assolutezza. L'impatto della vita umana con il mondo risulta per tale verso strutturale e il concetto di mondo acquista per tale via un fondamentale tratto umanistico, senza che per questo l'essere umano venga investito di funzioni prometeiche o demiurgiche. Infatti il mondo e' qualcosa che non si puo' pensare di forgiare a proprio piacimento perche' lo si riceve in eredita' con la nascita e come ogni eredita' richiede un'accoglienza e un riconoscimento, cioe' una ricezione, le cui componenti passive non possono essere ignorate, pena il misconoscimento della stessa condizione umana. Come ogni ricezione anche questa non e', pero', mai del tutto passiva, anche nel caso che non s'intenda fare fruttificare tale eredita' investendola in un progetto d'azione per la salvaguardia e il rinnovamento del mondo ricevuto in consegna. Per altro verso anche il mondo si trova a dover accogliere e riconoscere il nuovo che ogni essere umano, nascendo, introduce in esso, e che puo' diversamente esprimersi a seconda delle modalita' in cui si viene accolti e riconosciuti. Questa spiccata coloritura umanistica nell'assimilare il mondo alla comunita' umana non pretende ignorare la componente naturale, quindi animale, della vita umana, ma sottolinea come uomini e donne si caratterizzano quali esseri biologici che "abitano la terra" forgiando strumenti, elaborando tecniche, ideando progetti operativi e mettendoli in pratica, in sintesi: trasformando il mondo in una dimora dove poter vivere in base alla loro idea di vita nel mondo. Da qui anche lo scarto tra mondo dato e mondo immaginato suscettibile di tradursi in conflitto tra diverse idee di mondo e tra diversi mondi dati. * In questo approccio arendtiano al mondo, oltre che all'eco del pensiero heideggeriano (su cui mi soffermero' piu' avanti), avverto delle risonanze agostiniane legate soprattutto alla complessita' del nesso tra mondo dato e mondo immaginato. Mondo, in questo secondo caso, del pensiero e del cuore (o dell'anima intesa come sede degli affetti) perche' ideato e desiderato, sempre pero' a partire da una situazione data che si pensa e vuole "diversa". Rispetto ad Agostino rimane comunque la differenza che i mondi di cui parla Arendt sono comunque terreni, "mondi di questo mondo", edificati, immaginati, salvati da esseri umani in grado di agire e pensare in quanto le loro vite hanno un inizio e una fine, e potranno quindi durare, al di la' della morte, esclusivamente nel ricordo delle generazioni future. Laura Boella, esaminando il rapporto di Arendt con Agostino, insiste molto, e a ragione, su questo iato (8), ma ritengo che tale legame vada ulteriormente indagato perche' - posto che per la filosofa, negatrice di ogni dualismo, il mondo e' interamente dell'apparenza - il potere di pensare un mondo diverso implica una capacita' trasfigurativa nei confronti del mondo quale appare che postula un'esperienza di mondanita' "altra". In altri termini, il carattere della mondanita' che e' costitutivo della condizione umana, come si dimostra ne La condizione umana. Vita activa (tappa fondamentale del discorso arendtiano sul mondo), risulta controverso per lo scarto, gia' messo in luce, tra la datita' del mondo e i mondi possibili che prospettano situazioni di vita diverse: non esperite ma esperibili, non pensate ma pensabili. D'altronde chi, come Arendt, ritiene che per dire di conoscere la giustizia e il bene bisogna essersi imbattuti in almeno una persona giusta e buona, e che per dire di amare l'umanita' occorre amare almeno una persona (9), non e' possibile scindere pensiero ed esperienza, tanto piu' quando in questione e' il mondo, cioe' una precondizione sia dell'uno che dell'altra. * Ci troviamo cosi' di fronte al paradosso di un mondo che e' e non e' per intero il mondo che appare, e tale paradosso emerge dal contesto stesso della condizione umana, i cui caratteri costitutivi si richiamano l'un l'altro e trovano senso nel rapporto reciproco, investendo gli uomini e le donne che abitano la terra di una problematicita' non risolvibile sul piano meramente logico. L'individualita' plurale costitutiva di ogni essere umano si riflette cosi' nell'unita'-molteplicita' del mondo, di cui e' segno immediato il polimorfismo della terra (ispiratore di pagine divenute famose de La vita della mente) (10), la varieta' delle situazioni storiche, degli assetti sociali, dei modi della produzione, delle tradizioni culturali e delle tipologie dell'azione e del discorso. Il mondo quale terra abitata dagli uomini e' dunque prolifico di pluralita' e, da qui, di diversita'; quella diversita' che da' al mondo la chance di rinnovarsi e di durare, salvandosi dal dissolvimento cui lo esporrebbe tanto la mera ripetizione quanto l'innovazione ad oltranza. La pluralita', in tal senso, salvaguarda il mondo dalla distruzione perche' e' comunque indicativa di una relazione che mette al riparo dalla caduta nell'identico, nell'unicita' dell'uguale, in cui Arendt intravede sempre lo spettro del totalitarismo. L'annullamento della distanza, che con la vicinanza e' garanzia di ogni relazione, espone infatti l'essere umano - per costituzione individuo al plurale - al pericolo della perdita di mondo (11), che avanza nelle societa' contemporanee tramite l'omologazione indotta dai comportamenti improntati al "si" conformistico (si dice, si fa, si pensa). Proprio in quanto interrelata, la pluralita' impegna invece ad articolare i rapporti e ad esercitare la pratica della disgiunzione e dell'associazione per intessere trame connettive tra i vari mondi dell'universale mondo umano, in grado di contrastare tanto le spinte centrifughe di tipo dissipativo, che piu' espongono alla frammentazione, quanto le spinte centripete che sfociano in assimilazioni agglutinanti delle diversita'. * Diversita' di mondi, dunque, che hanno bisogno, per essere riconosciuti come mondi umani, di rimanere agganciati al mondo quale dimora dell'universale comunita' umana. L'individualita'-plurale marca pertanto anche il mondo, estromettendolo da qualsivoglia prospettiva ontologica e metafisica in cui si adombri un'entita' per se' sussistente. Il mondo umano non e', inoltre, parto di un Pensiero, Logos, Spirito, Idea o Ragione che dir si voglia, ma ha le sue radici nella disposizione ad essere affetti, a provare, a sentire, in una relazione d'alterita' pre-intenzionale di matrice corporea che ci accomuna all'animalita', propria della vita come "zoe", manifestandosi in noi in vita come "bios", intenzionalmente orientata (12). Da qui il distacco, al di la' delle molteplici affinita', tra la concezione del mondo di Arendt e quella di Heidegger. Distacco in cui gioca un ruolo anche la riflessione condotta dalla prima sui testi dedicati da Merleau-Ponty alla percezione, che sono alla base di una filosofia della corporeita' ancora da svolgere ma indubbiamente centrata sul rapporto uomo-mondo. Diversa e' la valorizzazione del prelogico operata, sulla scia di Dilthey e della sua filosofia della vita, da Heidegger, in quanto e' connessa all'interazione tra precomprensione e comprensione che risulta meno centrata sulla relazione uomo-mondo di quanto non appaia la valorizzazione arendtiana della corporeita' sensibile-affettiva. E' comunque indubbio che anche Heidegger riconosce al mondo una funzione di perno della condizione umana, inoltre egli si rifa', al pari di Arendt, alla tradizione filosofica kantiana che tende a riferire il termine fondamentalmente alla sintesi e alla rappresentazione della totalita' delle cose finite. Determinante rimane, pero', per lui lo sfondo di riferimento all'ente in quanto tale che costituisce il tutto come l'oltre, che e' al di la' di ogni visione mondana. Anche l'immagine heideggeriana di mondo quale "dispiegarsi della contrada", che differendo dal mondo come orizzonte dei fenomeni apre lo spazio dell'incontro, non riguarda l'incontro interumano, che piu' interessa ad Arendt, bensi' quello con l'ente che trascende l'esperienza fenomenologica del mondo legata alla rappresentazione; esperienza che per la nostra autrice e' intrascendibile. L'antica allieva di Heidegger pensa al mondo in termini segnatamente umanistici, comunitari e politici e questo suo modo d'intendere il mondo, in cui si avvertono echi agostiniani, e' associabile alla concezione espressa da Kant nell'Antropologia dal punto di vista pragmatico, opera che proprio per il fatto di non rientrare nell'ambito del trascendentale a priori, e di essere pertanto poco concettuale e sistematica, e' stata sottovalutata dalla tradizione filosofica novecentesca. Sempre a Kant, va inoltre collegata la sua idea che il rapporto con il mondo postula l'arte del pensiero, ed in specie quella capacita' di assumere diversi punti di vista che distingue chi sa pensare in maniera allargata. Tale capacita' costituisce in politica una virtu' epistemica ed e' quindi indispensabile a orientare la volonta' verso azioni in grado di modificare l'ordine dato delle cose. * Va inoltre notato come la tripartizione dell'ente elaborata da Heidegger in base all'analisi delle principali tappe della storia del concetto di mondo, scandita sul materiale (la pietra) senza mondo (weltlos), l'animale povero di mondo (weltarm), e l'uomo formatore di un mondo (weltbildend) (13), riecheggia in tanti testi arendtiani, in particolare ne La condizione umana e ne La vita della mente, deprivata dello spessore ontico che le riconosce il filosofo. Ho trovato conforto alla tesi che nel mutuare gran parte della terminologia heideggeriana, Arendt costruisca un discorso proprio sul mondo, nel recente saggio l'Interpretazione neoparmenidea del concetto di mondo in Heidegger cui faccio qui riferimento (14). Infatti, nel rimarcare come il criterio discriminante di tale tripartizione ruoti intorno alla categoria di vita e alla diversita' tra la dimensione del senza vita e quella della vitalita' del vivente sia irrazionale che razionale, l'autore sottolinea il ruolo fondante che "l'ente in quanto ente" ha nei confronti del mondo; dove invece per Arendt non ha senso parlare di "ente in quanto ente", estraneo all'orizzonte delle rappresentazioni fenomeniche. Il discorso heideggeriano sia sul mondo come accessibilita' dell'ente, che sull'avere mondo come il riferirsi, o il tenersi in rapporto, all'ente che si rende accessibile, presuppone un "ente in totale" assente dalla riflessione arendtiana, sempre centrata sulla pluralita' degli enti, cioe' degli esseri umani la cui dimora e' la terra. D'altronde, se per accettare che il mondo e' l'"essere patente dell'ente di volta in volta effettivamente aperto (offenbar), ossia dell'ente che puo' diventare palese in un'evidenza che accade con l'ente stesso" (15), declinassimo al plurale l'ente, snatureremmo l'approccio di Heidegger al mondo, basato sull'asserto che "nell'evidenza dell'ente in quanto tale in totale si fonda l'accessibilita' dell'ente in quanto tale" (16). * Mentre Heidegger (che per Arendt resta sempre prototipo del filosofo puro) parla del mondo in relazione ad una struttura ontologica determinata dalla differenza tra essere ed ente, il che motiva quel differenziarsi nell'unita' che egli chiama esserci in cui si mantiene l'unita' del tutto, Arendt non menziona il tutto, in quanto attribuisce alla totalita' un significato critico in senso negativo. Dove per Heidegger e' l'ente nella sua totalita' - l'ente nel suo insieme (das Seiende im Ganzen) - all'origine dell'esserci, in quanto da li' muove quell'oltrepassamento del tutto che produce un mondo, per Arendt ogni origine e' legata all'esserci, cioe' all'individualita' plurale; che significa alla pluralita' degli esseri umani uniti da vincoli di similitudine e di differenza innestati nella portata di evento che ha il fatto della nascita. Fatto che assurge ad evento per la ri-configurazione del mondo che esso comporta da parte, innanzitutto, della comunita' umana, che nel riconoscerlo se ne fa carico, quindi del/la nuovo/a venuto/a che se ne riappropria, allorche' con il discorso e l'azione mette al mondo se stesso manifestandosi come un nuovo "chi". Con questo termine Arendt indica l'emergenza dell'individualita' plurale che ha saputo trarre forza dalla vita ricevuta da altri, per affermarsi sulla scena mondana (17). Per tale via "il chi" prospetta, a quanti lo ascoltano e assistono alla sua azione, una capacita' d'intervento sul mondo che trasforma quegli spettatori in testimoni di un evento, cioe' di un fatto che modifica l'ordine dato delle cose, tanto da indurli a rendersene partecipi con azione e discorso propri. Si puo' allora parlare di una vivificazione, o di una rimessa in circolo, delle caratteristiche salienti della condizione umana indotta per un contagio di umanita' mutuato per via sensibile e affettiva, quindi innanzitutto corporea. Chiunque subisce tale contagio e' stimolato ad esprimersi davanti agli altri e a rivelare, "sulla scena del mondo", l'identita' che ha saputo far fruttificare dalla ramificazione di relazioni umane, avuta in sorte. Si profilano in tal modo molteplici immagini, rappresentazioni e idee diverse di mondo: quella interiorizzata dal "chi", quella che questi manifesta a se' e agli altri scoprendo aspetti della propria identita' inaspettati, quella che risulta dai processi di memorizzazione degli spettatori resisi testimoni, quella consegnata dalla narrazione alla storia, quella innestata sull'elaborazione artistica dell'evento. Ognuna di queste "visioni" di mondo puo', a sua volta, stimolare un'attivita' immaginativa e ideativa in quanti/e ne subiscono l'impatto, cosi' da far scattare un corto circuito nella disaffezione da mondo, cui rende avvezzi l'anonimia delle societa' omologate. * Il mondo ha dunque a che fare anche con la meraviglia e lo stupore che animano il pensiero e volgono alla filosofia, tant'e' che sia l'una che l'altro ci dischiudono mondi in cui si desidera immettersi e addentrarsi per scoprirne sempre nuovi aspetti. L'amore di mondo che circola nei testi di Arendt e' pertanto multiforme, ma non traligna mai in brama di possesso ne' in gelosia patologica, perche' muove dal paradosso vitale dell'individualita' plurale che esclude la riduzione all'uno della comunita' umana. Non c'e' in Arendt alcun idea di umanita' e di mondo come un tutto assoluto, un'interezza totale, come non c'e' l'idea di un entita' sopramondana cui, in qualche modo, si riallacci l'esistenza del mondo. La contingenza fa del mondo una cosa fragile, che di conseguenza richiede cura, ma il mondo sa convertire tale fragilita' in forza quanto piu' non ha pretese totalizzanti e assolutistiche, o non declina le proprie responsabilita' nei confronti della sua stessa tutela - che significa tutela della condizione umana - appellandosi alla perdita di un supposto fondamento originario. In linea con questa impostazione, si puo' convenire con Heidegger quando dice che e' l'esserci dell'uomo a formare il mondo e che la formazione del mondo (die Weltbildung) accade nell'uomo tramite la struttura relazionale (das Gefuege der Beziehung) propria dell'als (in quanto), successiva all'evidenza dell'ente (18). Sempre pero' se si mantiene fermo che non l'ente, o l'uomo al singolare, abita la terra, ma la pluralita' degli uomini: enti finiti che vivono nel "fra", nello "Zwischen-sein", nell'"in-between", cioe' in un luogo mai pienamente localizzabile, cui si attaglia l'"in quanto" heideggeriano che sottolinea il peso della situazione e, nel contempo, la crucialita', per la costituzione di un mondo, dell'atto della scelta. Cosi' si puo' convenire con Heidegger quando collega il costit uirsi del mondo alla progettualita' umana e all'atto, umano, di frantumazione di un tutto indifferenziato, che nella riflessione di Arendt corrisponde al totalitarismo. Da rimarcare e' anche la convergenza di Arendt con l'idea heideggeriana che il mondo costituisca l'insieme delle possibilita' in cui l'essere umano esiste, per cui un mondo rappresenta un modello di possibili relazioni, un sistema, una struttura referenziale. Tutte queste convergenze ed assonanze non incidono, pero', su quella distinzione pregiudiziale determinata dal riferimento o meno all'ente in quanto tale, che, in un caso, allontanandoci dalla terra, fa dell'esserci una deiezione e, nell'altro, radica gli esseri umani nella terra anche quando la trasvolano librandosi nel cosmo. Non a caso per Heidegger il rapporto determinante della terra e' con la natura, non con il mondo, e con una "natura come tale", diversa da quella - "svelata" - che appare all'essere umano. La terra infatti e' la natura che l'esserci incontra all'interno del mondo, mentre la natura "come tale" non e' intramondana (19), benche sia sempre presupposta come presente sullo sfondo di quella mondana. Il rapporto tra terra e mondo finisce cosi' per regolarsi in base all'andamento di quello della terra con la "natura in quanto tale", inclinando di volta in volta o verso l'opposizione, o verso l'apertura conflittuale, o verso il sostegno reciproco. In ogni caso c'e' una disgiunzione tra terra e mondo che per Arendt e' lesiva della condizione umana. * L'idea di mondo di Arendt affonda dunque le sue radici nella condizione umana che ci fa tutti individui al plurale, in quanto esseri che vengono messi al mondo con la nascita e che prima di lasciare il mondo con la morte abitano il mondo, cercando di renderlo una dimora adeguata ai loro bisogni e ai loro desideri, per consegnarlo quindi ai nuovi venuti che essi hanno il compito di educare cosi' da permettergli di "rimetterlo in sesto" a modo loro (20). Infatti, la tradizione non puo' pretendere di esercitare un ruolo di dominio perche', inframezzata com'e' da tante fratture, non funge piu' da cerniera tra una generazione e l'altra; per cui "i nuovi" (cosi' Arendt, mutuando l'uso dal latino, chiama i giovani che entrano nell'eta' adulta), attingendo a frammenti significativi di passato, possono trasformare il presente avviando nuovi inizi. Lo scarto tra mondo dato e mondo immaginato influenza dunque anche il rapporto con la tradizione e il legame tra le diverse generazioni, valorizzandone le componenti di discontinuita'. Analogamente a quanto accade in Kant, l'idea arendtiana di mondo scaturisce dal fenomenico e lo oltrepassa sempre per riferirsi ad esso, per cui si puo' dire che trascende il mondo dato solo in quanto la sua stessa idealita' le conferisce un'autonomia rispetto alle effettive situazioni mondane. Autonomia che e' propria del pensiero che fa sorgere la domanda: dove si sta quando si pensa?, visto che ci si astrae dal corpo, dal tempo e dallo spazio, che pure sono coordinate strutturali della condizione umana. Ma anche l'anomalo mondo del pensiero, per quanto possa librarsi al di la' del tempo e dello spazio, e' parte del mondo umano perche' tale congiunzione e' inscritta nella condizione umana la cui intrinseca paradossalita' ci induce sempre di nuovo a ri-pensare il mondo. * Da quanto detto consegue che, per parlare di mondo nel senso arendtiano del termine, deve essere tutelata la condizione umana nella sua interezza, quindi ognuna delle sue caratteristiche salienti: nascita, terra, morte, pensiero, azione e discorso. Queste caratteristiche attengono ad ogni individuo al plurale e un mondo che si arroga il diritto di mortificarle, anche in un solo essere umano, non puo' chiamarsi mondo perche' infrange le radici stesse della convivenza umana (21). Mondi che innalzano delle barriere contro uomini e donne per estrometterli dalla comune appartenenza umana sono solo dei sistemi di vita mortiferi, cui occorre contrapporre l'immagine di un mondo diverso, in grado di far proliferare piu' mondi, intesi quali differenti sistemi di vita accomunati dalla tutela della condizione umana. L'immagine di un simile mondo non scaturisce dal nulla, ne' germina da sola, pur quando sembra emergere dalla fantasia solitaria di un singolo isolato dai rapporti sociali. In tutta una trama di frammenti di mondi dissolti nel lungo corso della storia si riflette un'immagine dell'universale mondo umano che ha il potere di stupire, affascinandolo, chiunque si trovi a vederne anche un piccolo tassello. * Anche l'iter della biografia di Rahel Varnhagen, scritta da Arendt in eta' giovanile e edita molti anni dopo, puo' esemplificare il complesso percorso con cui la nostra autrice articola la sua concezione di mondo, caratterizzandola in senso via via piu' politico, cioe' comunitario e pubblico ma, nel contempo, sottolineandone la fragilita' e l'esposizione alla rovina. Alla luce del fatto del totalitarismo, Arendt opera infatti una storicizzazione del caso Rahel che la porta a collegare il destino di questa donna alla sua incapacita' di giudicare il mondo considerandolo da diversi punti di vista; segno questo di una mancanza di visione politica i cui effetti tragici assumeranno portata universale nel XX secolo. L'introspezione romantica tipica delle donne dei salotti mondani e' in tal senso corresponsabile, per la sua tendenza ad estraniare dal politico, della perdita o mancanza di mondo di cui la stessa Rahel e' vittima. Infatti, tentando di contrastare l'esistenza impostale dalla sua ebraicita' con le strategie tipiche della societa' del tempo (in cui il riconoscimento di una donna passava attraverso il matrimonio) ella si vota all'insuccesso. Come osserva S. Benhabib, dandosi all'uomo giusto Rahel sperava di ottenere il "mondo" che le era negato come ebrea e come donna, ma "dove" stava il mondo e da "chi" era composto? (22). Per rispondere a tale domanda Rahel avrebbe dovuto esercitare quella capacita' di pensare con mente allargata che dispone al giudizio e al giudizio politico. In questo modo avrebbe potuto cogliere lo scarto tra il mondo umano e l'illusorio mondo dei salotti mondani prima di patirlo sulla propria pelle; avrebbe cioe' capito che solo il fragile spazio di apparenze che tiene unita l'universale comunita' umana puo' dirsi propriamente mondo. * In controtendenza con la tradizione filosofica in cui si era formata, Arendt assume il paradosso del mondo come uno stimolo per il pensiero e coglie anche nell'affanno con cui uomini e donne cercano di affermarsi nel mondo, con il seme di un autentico bisogno di appartenenza, il segno di un amore di mondo che ha bisogno di esprimersi nel mondo stesso, altrimenti finisce con l'alienarsi in mondi fittizi o con l'incapsularsi nell'io; leggiamo infatti: "l'alienazione del mondo moderno - la sua duplice fuga dalla terra all'universo e dal mondo all'io" (23). Questa prospettiva conduce la nostra autrice ad assumere un atteggiamento critico verso alcuni comportamenti e preferenze del mondo moderno ed in specie delle societa' contemporanee, quali per un verso quella al narcisismo (fenomenologia psichica di cui non coglie, accomunata in questo alla scuola di Francoforte, con l'eccezione di Marcuse, il lato vitale e creativo) (24) e, per altro verso, quella al sapere tecnologico altamente specialistico. Cio' puo' insinuare nella riflessione arendtiana sul mondo, spesso modulata sui toni di un umanesimo forte e talvolta audace, delle tonalita' malinconiche e nostalgiche (25). Ma, a mio avviso, si tratta di coloriture che controbilanciano la visione di un uomo "weltbildend", edificatore di un mondo, e che riconducono l'eroismo dei personaggi omerici alla vita quotidiana, i cui protagonisti sono gli uomini e le donne anonimi. * Arendt infatti guarda il mondo sia con occhio disincantato sia con occhio rapito dallo stupore, e sfruttando questo sguardo duplice, opera una continua rimessa a fuoco del mondo; si pone cosi' al riparo dal pericolo, per inseguire visioni ideologizzate di mondo, di non vedere i fatti che accadono sotto gli occhi di tutti. Quei fatti - per il buon senso innegabili ma che l'intellettuale puo' illudersi o far finta di non vedere - che ci costringono a rivedere i nostri sistemi teorici e ci ancorano al mondo: dimora dell'universale comunita' umana. * Note 1. H. Arendt, Der Liebesbegriff bei Augustin. Versuch einer philosophischen Intepretation, Springer, Berlin 1929; tr. it. di L. Boella, Il concetto d'amore in Agostino, Milano, 1992 (cfr., tra gli studi recenti, L. Savarino, "Quaestio mihi factus sum". Una lettura heideggeriana di "Il concetto d'amore in Agostino", in Hannah Arendt, a cura di S. Forti, di seguito cit., pp. 249-269). Cfr. per ogni riferimento bibliografico S. Forti, Bibliografia degli scritti su Hannah Arendt, in S. Forti, a cura di, Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 286-306. 2. H. Arendt, The Life of the Mind, ed. by M. McCarthy, Harcourt, Brace and Jovanovich, New York-London 1978, tr. it. di A. dal Lago, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987. 3. E. Young-Bruehl, H. Arendt: For Love of the World, Yale University Press, New Haven-London 1982, tr. it. di D. Mezzacapa, H. Arendt 1906-1975. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1990. 4. R. Bodei, Ordo Amoris, Conflitti terreni e felicita' terrestre, Il Mulino, Bologna 1991. 5. Il pensiero e' "la sorgente delle opere d'arte", H. Arendt, The Human Condition, University of Chicago Press, Chicago 1958 (ed. tedesca: Vita activa oder von tatigen Leben, a cura di H. Arendt, Kohlhammer, Stuttgart 1960); tr. it. di S. Finzi, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, II ed. 1988, IV ed. 1997 (da cui cito), p. 6. Ivi, pp. 120- 121. 7. Cfr. M. Durst, La forza della fragilita'. La nascita in Hannah Arendt, in "Fenomenologia e societa'", n. 3/2001, a. XXIV, pp. 32-50 (con riferimenti bibliografici); Ead., Birth and Natality in Hannah Arendt, in "Phenomenological Inquiry", vol. XXV, 2001, pp. 72-84. 8. L. Boella, Introduzione a H. Arendt, Il concetto d'amore in Agostino, cit. Cfr. anche L. Boella, Pensare politicamente, agire politicamente, Feltrinelli, Milano 1995. 9. "Prima di formulare interrogazioni quali 'Che cos'e' la felicita'', 'Che cos'e' la giustizia', 'Che cos'e' la conoscenza', e cosi' via, occorre avere veduto persone felici o infelici, occorre aver assistito ad azioni giuste o ingiuste, aver sperimentato il desiderio di sapere col suo esaudimento o la sua frustrazione. E, inoltre, e' necessario che l'esperienza diretta sia ripetuta nella mente dopo aver lasciato la scena in cui ebbe luogo" (H. Arendt, La vita della mente, cit., parte I, Pensare, cap. II, Le attivita' della mente in un mondo di apparenze, p. 170). 10. H. Arendt, La vita della mente, cit. (si avverte qui l'influenza del modo in cui Heidegger lega la terra alla plurivocalita' della natura assunta quale greca physis). 11. Cfr. H. Arendt, La condizione umana, cit., p. 25. 12. E' la tesi espressa da J. Kristeva (Hannah Arendt, Fayard, Paris1999, I vol. della trilogia Le genie feminin. La vie, la folie, les mots. Hannah Arendt, Melanie Klein, Colette). F. Collins (L'homme est-il devenu superflu? Hannah Arendt, Odile Jacob, Paris 1999. p. 135) pur sottolineando come la vita "zoe" trovi significato solo nella vita come "bios" (in quanto una vita meramente naturale e' per l'uomo priva di senso e pone le basi del naturalismo storico all'origine del totalitarismo), riconosce che il fatto della nascita nella sua naturalita' costituisce il "dono" dell'inizio, per cui si puo' parlare di un rapporto di implicazione reciproca tra le dimensioni della vita. 13. Si fa riferimento al corso tenuto da Heidegger del semestre invernale 1929-1930 presso la Albert-Ludwigs Universitaet Freiburg: Grundbegriffe der Metaphysik. Welt-Endlichkeit-Einsamkeit (cura di F. W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt s. M. 1983, tr. it. di P.-L. Coriando, Concetti fondamentali della metafisica, Mondo-finitezza-solitudine, Il Melangolo, Genova 1992), il cui nucleo originario e' nella conferenza del 1929 Vom Wesen des Grundes (in Wegmarken, cura di F. W. von Hermann, Klostermann, Frankfurt s. M. 1976, tr. it. di F. Volpi, Dell'essenza del fondamento, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987. 14. L. Oliva, Interpretazione neoparmenidea del concetto di mondo in Heidegger, in "Magazzini di filosofia", n. 7, 2002, pp. 168-177. 15. Ivi, p. 169. 16. Ibidem. 17. Nell'elaborazione del tema del "chi" la Arendt si confronta con il pensiero di Agostino: il primo che "comprese perfettamente il problema" e che "distinse le questioni del 'chi sono io?' e del 'che cosa sono io?': la prima rivolta dall'uomo a se stesso ('E io mi rivolsi a me stesso e mi dissi: tu chi sei tu? E io risposi: Un uomo...') e la seconda rivolta a Dio ('Che cosa sono dunque io, mio Dio? Qual e' la mia natura?')" (H. Arendt, La condizione umana, cit., n. 2, I cap., p. 243). Agostino risolve pero' la questione teologicamente, laddove per Arendt a questa domanda non si puo' rispondere introducendo "il dio dei filosofi" o in maniera scientifica, e nemmeno "le condizioni dell'esistenza umana - vita, natalita' e mortalita', mondanita', pluralita' e terra - potranno mai 'spiegare' che cosa noi siamo o rispondere alla domanda 'chi siamo noi?'" (Ivi, p. 10). A tale questione, che non si puo' "spiegare", occorre pero' "pensare" come a "l'evento stesso", a "l'inaspettato", che "costituisce il vero tessuto della realta' nell'ambito delle cose umane" (Ivi, p. 223). Nel "chi" si esprime infatti una creativita' che e' indipendentemente da quale sia l'azione intrapresa: "chi si e' trascende in grandezza e in importanza qualsiasi cosa si possa fare" (Ivi, p. 156), e cio' dipende dal pensiero perche' pensare significa "edificare un mondo" con la forza dell'immaginazione, un mondo che "trascende sia la mera funzionalita' delle cose prodotte per il consumo sia la mera utilita' degli oggetti prodotti per l'uso" (Ivi, p. 125), in cui puo' rivelarsi "sulla scena pubblica" "chi si e'", cioe' "l'identita' unica e distinta dell'agente" (Ivi, p. 131). 18. M. Heidegger, I problemi fondamentali della metafisica, cit., riportato da L. Oliva, op. cit., p. 169. 19. Ibidem. 20. H. Arendt, La crisi dell'istruzione, in Ead., Tra passato e futuro (ed. or.1961), tr. it., Garzanti, Milano 1999, II ed., pp. 228-255. 21. Sul rapporto tra il dramma dell'esclusione e l'intervento della legge quale condizione necessaria ma non sufficiente per offrire una "dimora sicura", cfr. I. Possenti, L'apolide e il paria. Lo straniero nella filosofia di Hannah Arendt, Carocci, Roma 2002. 22. Cfr. S. Benhabib, The Pariah and Her Shadow: Hannah Arendt's Biography of Rahel Varnhagen, in Bonnie Honig, ed. by, Feminist Interpretations of Hannah Arendt, Pennsylvanya State University Press, Philadelphia 1995, pp. 83-104, p. 92. 23. H. Arendt, La condizione umana, cit., p. 6. 24. Cfr. M. Durst, Il narcisismo: un capitale emotivo di riserva, in Ead., a cura di, Tra filosofia e psicologia/psicoanalisi, (sezione del Dossier Educazione e affettivita': una prospettiva interdisciplinare), in "Scuola Democratica", n. 1/2, 1999, pp. 81-98. 25. Si pensi ad esempio al finale di La condizione umana in cui si prospetta una sempre piu' diffusa assenza di pensiero. 2. RIFLESSIONE. MARCELLO CINI: IDEE PER UNA VITA SOSTENIBILE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 agosto 2005. Marcello Cini, nato a Firenze nel 1923, e' docente universitario di fisica, e autorevole ricercatore; ha partecipato attivamente alle discussioni degli ultimi decenni sulla storia della scienza, i temi epistemologici, la critica della scienza e della sua pretesa neutralita'; collabora al quotidiano "Il manifesto". Opere di Marcello Cini: L'ape e l'architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico, Feltrinelli, Milano 1976 (con G. Ciccotti, M. de Maria, G. Jona-Lasinio); Il gioco delle regole, Feltrinelli, Milano 1982 (con D. Mazzonis); Un paradiso perduto. Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli, Milano 1994] Con il passaggio dal XX al XXI secolo il capitalismo ha ancora una volta cambiato forma. La conoscenza e' diventata capitale intellettuale. Ce la spiega Thomas A. Stewart, editor della piu' importante rivista americana di economia "Fortune", che e' stato uno dei primi al mondo a occuparsi di come individuare, dispiegare in modo efficace, e sfruttare quella straordinaria risorsa costituita dal "brainpower collettivo", cioe' da "tutto quel materiale intellettuale - sapere, informazione, proprieta' intellettuale, esperienza - che puo' essere messo a frutto per creare ricchezza". "Chi lo trova e lo sfrutta - afferma categoricamente - vince". E continua: "Vince perche' l'economia di oggi differisce radicalmente da quella di ieri. Noi siamo cresciuti nell'era industriale. Ma questa e' tramontata, soppiantata dall'era dell'informazione. Il mondo economico da cui stiamo uscendo era un mondo in cui le principali forme di ricchezza erano concrete. Le cose che compravamo e vendevamo erano, appunto, cose: si potevano toccare, odorare, si potevano prendere a calci le gomme e quando si sbattevano le portiere si sentiva un piacevole tonfo. Gli ingredienti a partire dai quali si creava ricchezza erano la terra, le risorse naturali come il petrolio, il minerale di ferro o l'energia, e il lavoro fisico umano e le macchine. Le organizzazioni economiche concepite per attrarre capitali - capitali finanziari - al fine di sviluppare e gestire quelle fonti di ricchezza ed erano bravissime nel farlo. In questa nuova era, la ricchezza e' il prodotto del sapere. Sapere e informazione - e non soltanto sapere scientifico, ma le notizie, i consigli, l'intrattenimento, la comunicazione, i servizi - sono diventati le principali materie prime dell'economia e i suoi prodotti piu' importanti. Il sapere e' quel che compriamo e vendiamo. Non si puo' ne' odorarlo ne' toccarlo; persino il piacevole tonfo che fa la portiera di un'auto quando viene sbattuta e' probabilmente il risultato di un'abile progettazione acustica. Il capitale fisso oggi necessario per creare ricchezza non e' la terra, ne' il lavoro fisico ne' le macchine utensili ne' gli stabilimenti: e' un capitale fatto di conoscenza". * I problemi sollevati dal passaggio dall'economia degli oggetti materiali all'economia della conoscenza si intrecciano con quelli che derivano dalla insostenibilita' dell'attuale processo produttivo di merci sia dal punto di vista dei limiti della carrying capacity dell'ecosistema terrestre (persino Bush e' arrivato ad ammettere che i mutamenti climatici possono essere conseguenza dell'uso eccessivo delle fonti di energia non rinnovabili), sia dal punto di vista dell'innegabile aumento delle disuguaglianze tra ricchi e poveri, tanto a livello planetario quanto all'interno degli stessi paesi economicamente sviluppati. Questi fenomeni hanno conseguenze sociali dirompenti: dalle guerre per il possesso delle fonti di energia non rinnovabili alle inarrestabili ondate migratorie, dalle crisi finanziarie imprevedibili che mettono in ginocchio interi paesi alla crisi dei sistemi di welfare faticosamente costruiti nei paesi industrializzati nel corso del XX secolo. Il nostro paese si trova in una situazione assai difficile. La produzione di beni di consumo individuali nei settori industriali tradizionali e' sottoposta a una concorrenza insostenibile da parte dei paesi di nuova industrializzazione con manodopera a costi abissalmente inferiori a quelli richiesti dal nostro sistema produttivo per il mantenimento di un dignitoso livello di vita dei nostri lavoratori, e una adeguata protezione sociale dei nostri cittadini. D'altro canto, la scelta di competere sul terreno della produzione di beni a contenuto scientifico e tecnologico all'altezza della ricerca mondiale di punta - ammesso e non concesso che fosse auspicabile, e mi riferisco con questo inciso alle ragioni che sono alla base delle contestazioni dei movimenti newglobal - e' manifestamente impossibile, salvo qualche rara eccezione, per le ridotte dimensioni del nostro sistema produttivo, soprattutto nelle condizioni di crescente degrado del sistema della ricerca pubblica e privata italiana. * Il problema e' dunque di scendere dal piano delle ricette puramente economiche a quello dei contenuti: cioe' della discussione dei settori su cui investire le risorse pubbliche e private necessarie per sfuggire alla tenaglia che ci stringe. Non si puo' piu' affermare che esista una economia in astratto che non dipende da quello che si produce e si consuma. Politica economica, politica fiscale, politica industriale e politica della ricerca diventano un intreccio non separabile in campi distinti gestiti dai rispettivi specialisti. Credo che sia arrivato il momento di riconoscere che questo e' un punto fondamentale da affrontare e discutere all'interno della sinistra, per riuscire a dare risposte credibili ed efficaci al compito di restituire fiducia al paese e aprire una prospettiva di sviluppo fondata su un miglioramento della qualita' della vita per tutti i cittadini. * La scelta di uno sviluppo sostenibile non e' una fissazione di ambientalisti maniaci o di moralisti con la testa tra le nuvole da tacitare con qualche elargizione soltanto in tempi di vacche grasse, ma e' la scelta di una strada non solo compatibile con le "leggi dell'economia", ma una via essenziale realisticamente percorribile per uscire dal pantano in cui stiamo affondando. I problemi della riqualificazione urbana e della difesa del suolo (centri urbani degradati e alluvioni), con quelli connessi della mobilita' delle merci e dei viaggiatori (traffico in tilt, reti ferroviarie insicure e imprevedibili), sono anche intrecciati con quelli dello sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza dei consumi energetici (lo sviluppo del solare e dell'eolico e' un decimo rispetto alla Germania), e con quelli dello smaltimento e del riciclaggio dei rifiuti (ecomafia e industriali alleati in stretto connubio). I problemi di una sanita' efficiente per tutti, della prevenzione delle malattie, di una agricoltura di qualita' e di una alimentazione non macdonaldizzata - connessi questi ultimi con la questione della tutela della biodiversita' dell'ecosistema terrestre - sono anch'essi aspetti strettamente legati alla qualita' della vita quotidiana della gran parte dei cittadini. Soprattutto, sono problemi che hanno il pregio di investire interessi diffusi e locali che non possono essere affrontati importando merci a basso costo dalla Cina o tecnologie raffinatissime dagli Stati Uniti. Sono anche tutti - questo e' il punto piu' importante - problemi la cui soluzione apre la possibilita' di impiegare una grande quantita' di lavoro qualificato, promette ai giovani dotati di creativita' e di capacita' organizzative di potersi costruire un futuro migliore di quello della fuga all'estero, e attraverso l'investimento iniziale di ingenti risorse mirate e selezionate, di innescare un circolo virtuoso di crescita economica di nuove imprese competitive su un mercato internazionale che in questi settori non e' ancora dominato dalle multinazionali. * La produzione della nuova conoscenza necessaria ad affrontare i problemi di un'economia sostenibile non puo', in generale, essere lasciata interamente al mercato. E' George Soros, un capitalista doc, che ce lo spiega: "Il mercato e' amorale: permette di agire secondo il proprio interesse, ma non esprime un giudizio morale sull'interesse medesimo... Ma la societa' non puo' funzionare senza qualche distinzione tra giusto e sbagliato. Prendere decisioni collettive su cosa vada permesso e cosa vietato e' compito della politica". In particolare, nel nostro paese la produzione di nuova conoscenza non puo' essere lasciata al mercato anche a causa della debole struttura della sua economia. Il capitale privato italiano abbandona la grande industria ed e' ormai da un lato dominato da palazzinari, assicuratori e pubblicitari, dei quali Berlusconi rappresenta il dominus in tutti i sensi, e dall'altro e' spezzettato in una molteplice varieta' di piccole e medie industrie. Nessuno investe in ricerca per ragioni evidenti. Le privatizzazioni delle industrie di stato hanno soltanto privatizzato i profitti e socializzato le perdite, sostituendo le tasche nelle quali entrano le rendite di monopolio. La ricerca necessaria per aprire la via a un'economia sostenibile deve essere, per lo meno in Italia, prevalentemente pubblica. Cosa significa pubblica? Significa in primo luogo che deve anteporre gli interessi pubblici a quelli privati. Per quanto riguarda i ricercatori, per esempio, occorre per prima cosa riconoscere la differenza profonda esistente fra i dipendenti (o i consulenti) di imprese private legati al segreto industriale e gli operatori degli enti pubblici di ricerca che dovrebbero rispondere dei loro programmi alla collettivita' che li finanzia, o per lo meno concordare con i suoi rappresentanti le scale di priorita' da rispettare. I primi hanno come dovere contrattuale quello di massimizzare i dividendi dei propri azionisti mentre i secondi, per esempio, dovrebbero in primo luogo esplorare a fondo le evidenze di rischio, non ancora divenute certezze, ma gia' piu' solide delle congetture, che giustificherebbero l'adozione di una sospensione precauzionale dell'immissione sul mercato dei prodotti che sono frutto delle ricerche dei primi. Come si fa a non stupirsi nel constatare che la elementare norma di correttezza civile, oltre che giuridica, secondo la quale controllori e controllati non possono essere le stesse persone, non vige all'interno della scienza? Oggi molti scienziati di grido sono al tempo stesso consulenti delle multinazionali o addirittura azionisti delle industrie di punta e al tempo stesso membri delle commissioni governative che dovrebbero certificarne i prodotti dal punto di vista dell'efficacia e della sicurezza. In secondo luogo, ricerca pubblica significa ricerca che deve mettere i risultati ottenuti a disposizione di tutti i privati che intendono investire capitali nella trasformazione di questi risultati in prodotti vendibili sul mercato. * Le modalita' di questa messa a disposizione possono essere diverse, ma l'importante e' che scopo della ricerca pubblica non puo' essere quello di competere sullo stesso terreno di quella privata per il conseguimento di brevetti di conoscenza confezionata in forma di merce da immettere sul mercato. La conoscenza ottenuta con fondi pubblici deve essere fruibile da tutti. E' ancora George Soros che scrive a questo proposito: "L'espressione 'proprieta' intellettuale' e' fuorviante, perche' si basa su una falsa analogia con la proprieta' tangibile. Una caratteristica essenziale della proprieta' tangibile e' che il suo valore deriva dall'uso che ne fa chi la possiede, ma la proprieta' intellettuale trae il suo valore dall'uso che ne fanno gli altri: gli scrittori vogliono che il loro lavoro sia letto e gli inventori che sia utilizzato... L'istituzione di brevetti e diritti di proprieta' intellettuale ha contribuito a trasformare l'attivita' dell'ingegno in un affare, e naturalmente gli affari sono mossi dalla prospettiva del profitto. E' lecito affermare che ci si e' spinti troppo oltre. I brevetti servono a incoraggiare gli investimenti nella ricerca, ma quando scienza, cultura e arte sono dominate dalla ricerca del profitto, qualcosa va perduto". ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 36 del 28 agosto 2005
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