La nonviolenza e' in cammino. 1027



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1027 del 19 agosto 2005

Sommario di questo numero:
1. Ruggero, fratello
2. Pio D'Emilia intervista Song Shin-do
3. Marco Deriu: Nemici su fronti opposti, uniti contro le donne
4. Maria G. Di Rienzo: Uranio
5. Maria Luigia Casieri presenta "La testa ben fatta" di Edgar Morin
6. I paradossi di Strambotto: Indovinala grillo
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. LUTTI. RUGGERO, FRATELLO

La tragica scomparsa di frere Roger, una morte cosi' gandhiana come
gandhiana e' stata la sua vita, tutti ci lascia sbigottiti e sgomenti,
sopraffatti dal mistero del dolore.
Frere Roger, l'anima di Taize', generoso e mite volto dell'ecumenismo che
invita tutti a schiudersi a tutti, a prendersi cura dell'altra persona.
E' sempre uno scandalo la morte. Ma ogni vita e' un fiore inestinguibile. E
la vita di frere Roger, sequela, dono, fidente apertura all'altro nel
rispetto della sua alterita', vicinanza che non soffoca ma sostiene e si fa
sostenere (come sapeva quell'infallibile Qohelet, come sapeva quell'Hannah
Arendt che colse nella pluralita' il nucleo prezioso dell'essere degli
esseri umani nel mondo), misericordia e responsabilita', e' un segnavia e un
appello e una prova di cui ogni persona di volonta' buona continuera' ad
essergli grata.

2. TESTIMONIANZE. PIO D'EMILIA INTERVISTA SONG SHIN-DO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2005.
Pio D'Emilia e' corrispondente del quotidiano dal Giappone.
Song Shin-do, 83 anni, una delle migliaia di donne coreane ridotte a schiave
sessuali per i soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale, ha
citato in tribunale il governo giapponese per quel crimine]

"L'unica faccia, con tanto di nome, che ricordo e' quella di un certo
Takahashi. Il mio primo 'cliente'. Lui era un giovane ufficiale, io ancora
vergine. Quando entro' nella stanza, e mi vide terrorizzata, mi accarezzo'
dolcemente e se ne ando' senza far nulla. Ma il gestore del bordello
militare se ne accorse, e mi pesto' a sangue. Il giorno dopo fui violentata
da almeno dieci militari. Talmente infoiati che non si accorsero nemmeno che
ero vergine".
Song Shin-do e' una signora coreana di 83 anni. Dal 1945 vive in Giappone,
nella prefettura di Miyagi (nord est di Tokyo). E' sorda (per le percosse
ricevute) da un orecchio, ma per il resto e' in perfetta forma. Memoria di
ferro, esposizione articolata...
Song e' la prima - e sinora unica - "donna di ristoro" ad essere uscita allo
scoperto e ad aver citato, sinora senza grande risultato (tranne forse
quello di mobilitare decine di migliaia di cittadini, che appoggiano la sua
lotta) il governo giapponese per averla ridotta in schiavitu' durante la
guerra, costringendola per sette anni a soddisfare i bisogni sessuali delle
truppe al fronte (cinese). Il suo caso in Giappone ha diviso l'opinione
pubblica. C'e' chi l'accusa di speculare sul passato per pura avidita', chi
la insulta pubblicamente e mediante lettere e telefonate anonime, e chi
invece l'appoggia con grande coraggio e costanza. Tra questi, l'attuale
governatore e l'intero consiglio di Miyagi, la prefettura in cui vive.
Anche in Corea, dopo l'imbarazzo iniziale dei media, poco inclini a trattare
questioni scabrose, la signora Song e' diventata una sorta di simbolo di
rinato orgoglio nazionale, al punto da essere citata durante il recente
vertice tra il premier giapponese Koizumi ed il presidente sudcoreano Roh.
La sua storia, che puo' ancora essere raccontata in prima persona, assume
uno straordinario valore di testimonianza, da quando in Giappone, complice
il governo, una serie di libri di testo stanno "cancellando" fatti e
misfatti dell'armata imperiale.
*
- Pio D'Emilia: Cominciamo da qui, signora. Lei vive in Giappone, parla il
giapponese, immagino avra' amici indigeni. Cosa ne pensa della questione dei
libri di testo? In uno di essi, edito dalla Fusosha, a proposito del
fenomeno delle "donne di ristoro" si legge: "in Corea alcuni personaggi
senza scrupoli organizzarono un fiorente giro di prostituzione, utilizzando
donne consenzienti e regolarmente retribuite. Molte di esse tornarono, alla
fine della guerra, con un bel gruzzolo". Tre scuole, a Tokyo, l'hanno
adottato...
- Song Shin-do: Che debbo dire? Scempiaggini. Certo, non posso escludere che
vi siano state donne consenzienti, alle quali inizialmente erano state fatte
promesse di lauti guadagni e che abbiano volontariamente accettato di
prostituirsi. Ma la maggior parte di noi e' stata ingannata, rapita o
sequestrata e una volta che ci eravamo rese conto della truffa, siamo state
costrette a subire la violenza senza alcuna possibilita' di fuga. E ad
organizzare il tutto non c'erano solo commercianti senza scrupoli. Quelli
erano solo mediatori, o addirittura impiegati. Era un'operazione di stato,
ideata e concepita dai vertici militari".
- Pio D'Emilia: Mi racconti la sua storia. Come e' finita a fare la
prostituta sui camion bordello dell'Armata Imperiale?
- Song Shin-do: Sono nata a Chung Chong, una piccola provincia del nord
della Corea. A 12 anni persi mio padre e a 14 mia madre mi impose un marito
che non avevo mai incontrato. Le mie proteste non valsero a nulla, cosi'
feci buon viso a cattivo gioco, mi presentai a casa dei suoceri per il
matrimonio ma la mattina dopo scappai. Avevo solo i miei vestiti indosso.
- Pio D'Emilia: Torno' da sua madre?
- Song Shin-do: No. Non potevo. Avevo violato un ordine preciso. La mia
vita, in un certo senso, era segnata. E sapevo benissimo che sarebbe stata
in salita. Ma ero molto forte, combattiva: con un chiodo fisso.
Sopravvivere, da sola, senza dovermi per forza sposare.
*
Una parola, a quei tempi. La seconda, devastante occupazione giapponese era
appena iniziata. Un'occupazione tra le piu' pesanti e odiose che la storia
ricordi. Il popolo coreano, portatore di un'antichissima civilta' e grazie
al quale i giapponesi avevano conosciuto, tra le altre cose, la scrittura (i
caratteri cinesi arrivarono in Giappone attraverso la penisola coreana nel
VI secolo: prima di tale data i giapponesi non avevano un sistema di
scrittura) subi' un violentissimo e assurdo tentativo di "omologazione". Un
po' come il fascismo tento' di imporre alle etnie ladine e tedesche
dell'Alto Adige. Nazionalizzazione forzata di nomi di persona e di luoghi,
divieto di parlare il "dialetto" locale, apprendimento forzato della "lingua
nazionale" (il giapponese), revisione dei testi scolastici e persino obbligo
di seguire il "culto nazionale", e cioe' lo shintoismo.
Questo per quei pochi (soprattutto anziani e bambini) che ebbero la fortuna,
si fa per dire, di restare in patria. Perche' la maggioranza dei coreani,
sia uomini che donne, subirono volenti o nolenti il dramma delle
deportazioni. Un fenomeno che assunse proporzioni bibliche quando il
Giappone decise di invadere prima la Manciuria (dove installo' il governo
fantoccio di Pu Yi, il cosiddetto "ultimo imperatore") e poi l'intera Cina.
Servivano uomini. E donne. I primi a partire per il fronte furono i
detenuti, poi i "volontari". Ma presto cominciarono le vere e proprie
retate. La gente si rintanava in casa, perche' bastava mettere il naso fuori
ed ecco che rischiavi di ritrovarti a sfacchinare gratis in una miniera o in
una fabbrica giapponese, o a "confortare" sessualmente gli eroici soldati di
Sua Maesta'.
"Debbo dire la verita', rientro nella categoria delle volontarie. Non certo
come prostituta, a quell'eta' non sapevo neanche cosa fosse il sesso. Ma non
sono stata rapita. Mi sono fidata di una vecchia signora, presso la quale
avevo trovato rifugio a Taejon. Mi disse che l'Armata Imperiale cercava
giovani donne per lavorare al fronte, e che pagavano bene. Volevo
guadagnare, e amavo l'avventura. Mi arruolai".
Non ci mise molto, Song, a capire dove era finita. Dopo un viaggio in treno
da Pyongyang a Wuchan, nel nord della Cina, si ritrovo', assieme ad altre
giovani donne coreane, in una stanza piena di cadaveri (giapponesi).
L'ordine era di ripulire il posto e renderlo presentabile: "d'ora in poi,
lavorerete qui".
*
- Song Shin-do: Il posto si chiamava Sekaikan ("Vista sul mondo", ndr), era
un vecchio edificio militare cinese. Il manager era un piccolo, odioso
coreano. Dopo aver seppellito i cadaveri e ripulito muri e pavimenti dal
sangue, ci intimo' di seguirlo in una stanza. C'erano due medici e un paio
di infermiere. Ci fecero una visita ginecologica, la prima della mia vita.
Ma ancora non avevo capito.
- Pio D'Emilia: Quando e' stata costretta a iniziare le prestazioni?
- Song Shin-do: Dopo due giorni. Appena arrivata avevo avuto le mestruazioni
e all'inizio alle donne era consentito riposarsi, durante il periodo. Poi
no, non si fermavano davanti a nulla. Il mio primo cliente fu il sergente
Takahashi. Eravamo disperati, entrambi. Non fece nulla, e io provai a
scappare. Mi riacchiapparono subito e mi pestarono a sangue. Il giorno dopo,
subii la violenza di almeno dieci soldati. Sotto lo sguardo perfido e
divertito del gestore. Restai al seikaikan un paio d'anni, subendo ogni
sorta di violenza, sessuale, fisica, psicologica... che alla fine erano le
peggiori.
- Pio D'Emilia: In che senso, scusi?
- Song Shin-do: Nel senso che avevamo a che fare con dei soldati ignoranti,
deboli mentalmente e invasati. Spesso erano costretti dai commilitoni a fare
quello che facevano. Ma poi scoppiavano a piangere. Chiamavano la moglie per
nome, o le mamme. La cosa peggiore era quando decidevano di suicidarsi, per
un motivo o per un altro. Ai giapponesi piace l'idea del suicidio, a noi
coreani no. Quando mi proponevano il suicidio rituale in coppia mi mettevo a
urlare come una furia, l'idea della morte mi ha sempre ripugnato. Per questo
sono ancora viva.
- Pio D'Emilia: E dopo, dove venne portata?
- Song Shin-do: Al fronte. Direttamente al fronte. Con l'intensificarsi
della guerra il comando generale decise che il "conforto ai soldati" doveva
essere portato a domicilio. Vennero attrezzati dei camion bordello. Noi
eravamo a bordo e i soldati, a turno, abusavano di noi. In teoria era
obbligatorio il preservativo, ma nessuno lo usava, un po' per disprezzo, un
po' perche' non ce n'erano. E cosi' la situazione degenerava. Malattie
veneree e, purtroppo, gravidanze.
- Pio D'Emilia: Se non le procura troppa sofferenza, ci parli del suo caso.
- Song Shin-do: Ho avuto cinque o sei gravidanze, non me lo ricordo neanche
piu'. Ho due figli nati vivi, che sono stati affidati a delle famiglie
cinesi. Non so che fine abbiano fatto, spero siano morti subito o che vivano
sani da qualche parte. Le altre gravidanze le ho interrotte volontariamente,
ricorrendo ai metodi naturali che usiamo dalle nostre parti ancora oggi.
Attorno all'ottava settimana, resti immobile a letto, senza assumere cibo
per due o tre giorni. Poi bevi una tisana di erbe selvatiche. L'aborto e'
istantaneo. Altre donne ricorrevano a sistemi piu' cruenti. Si infilavano
dei ferri nell'utero, oppure bevevano candeggina pura. Comunque sia, fu
grazie alla mia ultima gravidanza che fui "espulsa" dal bordello e riuscii a
sopravvivere come cameriera e lavapiatti in una caserma, fino alla fine
della guerra.
- Pio D'Emilia: Come avenne il rientro? E perche' venne in Giappone?
- Song Shin-do: Gia', me lo chiedono tutti. E ora me lo chiedo anch'io. Ma
oramai e' tardi e moriro' qui, nel paese dei miei aguzzini. Ma c'e' gente
decente, qui. Non sono tutti pazzi e cattivi i giapponesi. C'e' anche gente
di grande sensibilita', onesta' e senso civile. Ando' cosi'. Appena giunta
la notizia della resa, soldati, civili e "materiale vario di uso pubbblico",
come eravamo definite noi "donne di conforto" nei dispacci ufficiali
governativi, pensavamo solo una cosa: come rientrare in patria. E per quanto
assurdo possa apparire a voi occidentali, per me la patria era diventata il
Giappone, mica lo sapevo che da li' a pochi mesi la Corea sarebbe tornata
indipendente, e comunque mi sono risparmiata l'ulteriore ferita della guerra
civile. Fatto sta che incontrai un ufficiale che sembrava gentile, mi disse
che voleva sposarmi e, registrandomi come fidanzata ufficiale, rientrammo
assieme in Giappone.
- Pio D'Emilia: E poi la sposo'?
- Song Shin-do: No. Arrivati nel porto di Fukuoka ci separammo. Formalmente
fu lui ad abbandonarmi, mi disse di aspettarlo in un posto e non si fece
piu' vivo. Ma gli sono riconoscente per questo. Non mi ero voluta sposare a
14 anni, figuriamoci se potevo farlo dopo tutto quello che avevo passato.
Meglio cosi'. Sarebbe stata una situazione insostenibile.
- Pio D'Emilia: E come ha sopravvissuto da coreana, ex prostituta, senza
soldi, in un paese devastato?
- Song Shin-do: Ebbi fortuna. Una coppia di coreani residenti in Giappone da
molti anni mi ospito' per qualche tempo nella loro casa e mi presentarono ad
un altro coreano che aveva una catena di ristoranti, nel nord del Giappone.
Mi offri' di seguirlo, prima come semplice lavorante, poi cominciammo a
convivere. Non ci siamo mai sposati, ma la nostra relazione, molto bella, e'
durata piu' di cinquant'anni. Senza mai fare l'amore. Non mi riusciva, e lui
ha capito. E' morto nove anni fa e da allora vivo sola, ma attorniata da
moltissime persone che mi vogliono davvero bene. Quasi tutte giapponesi.
*
- Pio D'Emilia: Quando ha deciso di citare il governo giapponese e di
rendere pubblica la sua storia?
- Song Shin-do: Nove anni fa, appunto, dopo la morte del mio compagno. Avevo
avuto molte sollecitazioni anche prima, ma gli avevo chiesto cosa ne
pensasse e mi aveva fatto capire, pur non imponendomi la sua opinione, che
la cosa non lo appassionava piu' di tanto. Ecco perche' ho aspettato che
morisse. Adesso sono di nuovo sola, e posso assumermi tutte le
responsabilita'.
- Pio D'Emilia: Come ha reagito la societa' giapponese alle sue accuse?
Riceve piu' solidarieta' o piu' insulti e minacce?
- Song Shin-do: Difficile rispondere. Ma propendo per la solidarieta'. Il
popolo giapponese, nonostante l'alto tasso di alfabetizzazione, e' mantenuto
in uno stato di totale ignoranza rispetto al passato. E non avendo
combattuto per la propria liberazione, per i propri diritti, fa fatica a
comprenderne l'importanza. Ma una volta coinvolto, e' capace di mobilitarsi
e di offrire genuina solidarieta'. E non solo a parole, ma nel concreto e
quotidiano. Sbaglia chi ritiene che il Giappone sia ancora un pericolo per
il mondo. Purtroppo ai massimi vertici non molto e' cambiato, molti
criminali di guerra sono ancora al potere, direttamente o indirettamente. Ma
il popolo e' cambiato. Dubito che sarebbe capace di lanciarsi in un'altra
guerra di aggressione.
*
La signora Song e' reclamata. Deve tornare in sala, dove e' stato appena
presentato un documentario sulla sua vita. Sono momenti di grande
intensita'. Assieme alla comunita' coreana in Giappone (per la maggior parte
aderente all'organizzazione Chong Ryon, che appoggia il regime di Pyongyang)
e a molti coreani venuti apposta da Seul, la sala e' piena di giapponesi
aderenti ai vari movimenti e alle ong che appoggiano la battaglia legale
della signora Song e di tante altre che preferiscono restare ancora
nell'anonimato. Song sale sul palco e tra gli applausi viene convinta a
cantare. Ha una bella voce, molto intensa, anche se un po' rauca. L'aria che
intona, in giapponese, e' decisamente militare. Lo stupore e' d'obbligo.
Dopo tutto quello che ha passato, si mette a canticchiare le marcette
dell'Impero? "Sono le uniche che conosco - spiega, un po' seccata -
all'epoca non c'era altro e la musica di oggi non mi interessa. E poi queste
canzoni tutto sommato mi rallegrano. Mi ricordano che, nonostante tutto,
sono ancora viva".

3. RIFLESSIONE. MARCO DERIU: NEMICI SU FRONTI OPPOSTI, UNITI CONTRO LE DONNE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 22 maggio 2005. Marco Deriu, sociologo e
saggista, docente universitario, e' stato direttore della rivista "Alfazeta"
dal 1996 al 1999; consulente culturale per diversi enti pubblici e privati,
segue in particolare la progettazione e le attivita' del "Laboratorio per la
cultura della pace" dell'assessorato ai servizi sociali della Provincia di
Parma. Tra le opere di Marco Deriu: (a cura di), Gregory Bateson, Bruno
Mondadori, Milano 2000; (a cura di), L'illusione umanitaria. La trappola
degli aiuti e le prospettive della solidarieta' internazionale, Emi, Bologna
2001; (a cura di, con Pietro Montanari e Claudio Bazzocchi), Guerre private,
Il ponte, Bologna 2004; La fragilita' dei padri. Il disordine simbolico
paterno e il confronto con i figli adolescenti, Unicopli, Milano 2004;
Dizionario critico delle nuove guerre, Emi, Bologna 2005]

Patrium, patriam, patria. L'origine etimologica indica chiaramente che si
tratta della terra dei padri. Non degli antenati in generale ma dei padri. E
non si pensi a un territorio o un ambiente qualunque con una sua
soggettivita'. Si tratta invece di un soggetto passivizzato. Si tratta di un
nome femminile (patria o madre-patria) ma che indica qualcosa che appartiene
al potere maschile, all'ordine patriarcale. La terra in questo senso non e'
un soggetto autonomo ma e' un possesso da difendere. Patriota, compatriota,
non a caso si definisce chi ama la patria e lo dimostra; l'eroe virile e' il
salvatore della patria. Mentre patriottismo, e' il sentimento d'amore e
devozione verso la patria. Il patriottismo implica l'idea di difendere le
proprie terre e le proprie donne. La guerra in questo senso e' una questione
fondamentalmente di prestigio. Chi non combatte per difendere i propri
possessi perde il suo onore.
Non e' un caso se patriottismo, militarismo, valori virili e guerra siano
strettamente legati e procedano generalmente assieme. E non e' un caso se la
violenza della guerra si presenti spesso esplicitamente anche come
espressione di un dominio maschile anche nei confronti della terra e delle
donne del nemico. La guerra in effetti si riproduce non soltanto per
motivazioni economiche o materiali ma anche in quanto impresa esaltante e
gloriosa finalizzata a conservare il prestigio degli uomini. Quello che
infatti e' piuttosto evidente a tutti e' che gli uomini, e non le donne,
hanno vissuto e vivono la guerra come esperienza per testare e confermare la
propria identita' sessuale, ovvero per dimostrare di essere "veri uomini".
Come ha scritto Barbara Ehrenreich nel volume Riti di sangue. All'origine
della passione della guerra (Feltrinelli, Milano), sottolineando la logica
circolare che lega insieme virilita' e guerra, "gli uomini fanno la guerra
(anche) perche' la guerra li rende uomini".
Questo fatto dunque chiarisce la peculiarita' "storica" della guerra
rispetto ai due sessi. Per quanto le donne possano oggi prendervi parte, da
un punto di vista antropologico e identitario la guerra non ha significato
la stessa cosa per gli uomini e per le donne. I codici simbolici della
guerra - l'eroismo, la virilita', la forza e la violenza, la penetrazione -
sono sempre stati tipicamente maschili. Il linguaggio stesso, come ha notato
Osvaldo Pieroni nel suo Pene d'amore. Alla ricerca del pene perduto. Maschi,
ambiente e societa' (Rubbettino, Soveria Mannelli), porta le tracce di
questa parentela simbolica in espressioni del tipo "l'esercito si dimostro'
impotente a fronteggiare il nemico" (Devoto-Oli), oppure "impotente a
resistere agli attacchi del nemico" (Zingarelli).
*
D'altra parte le forme di relazione che si creano nella truppa e nel
contesto militare sono fortemente improntate da uno spirito cameratesco
maschile, contrapposto alle relazioni tra donne e molto spesso affetto da
chiara misoginia. La dimensione di unita' integrata tra diversi uomini che
si sperimenta in un plotone o in un esercito che assume l'immagine di un
unico corpo collettivo maschile ha sempre funzionato come elemento
rassicurante rispetto ad una virilita' maschile costantemente sentita come
precaria. Piu' in generale l'identificazione tra il proprio paese e
l'identita' maschile ha una storia lunga, segnata dalle esperienze del
nazionalismo, dell'imperialismo, del colonialismo, dei moderni regimi
totalitari, in cui i legami tra potere, conquista, affermazione
dell'identita' nazionale, e affermazione della propria identita' virile e
delle virta' maschili del coraggio, della forza, del sacrificio, sono sempre
stati molto stretti.
La virilita' si basava sul patriottismo e viceversa. L'immagine della
nazione o della patria infatti si e' definita in relazione ad epiche guerre
per l'unita' o per la liberazione, alle gesta degli eroi, dei maschi
guerrieri del passato, nel quadro cioe' di una genealogia virile. A livello
di immaginario si istituiva un rapporto tra il corpo politico dello
stato-nazione e il corpo sessuato del maschio, che del resto risulta
evidente in espressioni quali "il corpo militare", "il corpo di spedizione",
"i corpi di stato". In caso di guerra, questa politica del corpo, diventa
una politica sul corpo. Le donne vengono stuprate, riaffermando cosi'
simbolicamente e contemporaneamente la propria identita' virile e la propria
identita' nazionale o pseudo-tale (si tratta in fondo di una doppia
penetrazione: della patria del nemico e del corpo delle donne). Senza dubbio
la storia delle guerre sembra intimamente connessa - quasi indissociabile -
alla violenza sessuale sulle donne.
Durante la prima guerra mondiale i soldati tedeschi hanno usato l'arma dello
stupro per terrorizzare le popolazioni del Belgio e della Francia. Durante
la seconda gli stupri furono commessi da entrambe le parti: dai tedeschi nei
paesi occupati e nei campi di concentramento, dai giapponesi contro le donne
cinesi, coreane e filippine, dai francesi contro le donne italiane e
tedesche, dai russi contro le donne tedesche, dagli americani contro le
giapponesi, le inglesi, le francesi, le tedesche, le italiane. A proposito
di quest'ultimo caso lo storico americano J. Robert Lilly nel suo Stupri di
guerra. Le violenze commesse dai soldati americani, in Gran Bretagna,
Francia e Germania 1942-1945 (Mursia, Milano), ricorda che gli americani
stuprarono sia donne di paesi alleati - Inghilterra e Francia - che di paesi
nemici - Germania, Italia, Giappone. Episodi di stupro si registrano anche
in tutte le guerre successive: Vietnam, Sri Lanka, Kuwait, Haiti, Sierra
Leone, ex-Jugoslavia, Rwanda, Afghanistan, Congo.
Nel clima della guerra, la violenza sessuale colpisce non solamente le
popolazioni nemiche ma anche la propria gente portando ad una crescita della
violenza domestica, come verificatosi negli Stati Uniti dopo la guerra del
Golfo o nella stessa Palestina. Insomma dietro l'amore per la patria si
nasconde spesso una violenza maschile contro le donne che attraversa
trasversalmente i fronti e i tempi della guerra.

4. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: URANIO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Quattro mesi dopo l'attacco in Afghanistan da parte degli Usa e dei loro
alleati (Operazione "Enduring Freedom", ovvero "Liberta' durevole"), un
gruppo di scienziati canadesi guidati da un ex consigliere dell'esercito
statunitense, il dottor Asaf Durakovic, si recarono nel paese per
controllare se i civili recassero tracce dell'uso di uranio impoverito. Cio'
che trovarono li lascio' attoniti: trovarono livelli significativi di uranio
non impoverito nell'urina del 100% dei civili che vivevano nei pressi delle
zone bombardate. I livelli erano piu' alti dal 400% al 2000% del resto della
popolazione.
Da dove veniva l'uranio? L'uranio non impoverito e' piu' radioattivo
dell'uranio impoverito, ed esiste in natura: ma tutte le sorgenti naturali
per un simile tasso di assorbimento non erano presenti (lavoro in miniere
d'uranio, anomale condizioni geologiche, eccetera).
Le fonti governative Usa insistono a considerare "relativamente innocuo"
l'uranio impoverito, tanto da usarlo senza problemi durante la guerra del
Golfo da cui oltre 221.000 soldati sono tornati con la cosiddetta "sindrome
del Golfo" che ne ha fatto a tutt'oggi dei disabili. Un crescente numero di
medici e scienziati, fra cui un ex medico dell'esercito Usa, Doug Rokke,
attribuiscono la sindrome all'uranio impoverito.
In Afghanistan, pare che Al Qaida possedesse piccole armi nucleari, ma
comunque non ebbe modo di usarle. Percio' la presenza di uranio doveva
essere in relazione alle armi usate dai "liberatori durevoli".
*
Nelle sei localita' studiate dal gruppo di ricerca canadese (Uranium Medical
Research Center in Canada, Umrc), due a Kabul, il resto nei villaggi a sud
est della citta', erano state usate bombe di un tipo particolare, atte a
penetrare piu' strati di cemento e ad esplodere all'interno di edifici
sotterranei o semisotterranei. Tali bombe aprivano i soffitti senza
esplodere, in qualche caso rimbalzavano sui pavimenti prima della
detonazione. La distruzione avveniva senza effetti di fiamme o calore, e
difatti i materiali combustibili come gli alberi e le strutture di legno non
prendevano fuoco. Le bombe producevano larghe e dense nubi di polvere e
fumo, che si alzavano dal punto dell'impatto. L'acre odore percepito si
trasformava in bruciore e ustioni nelle fosse nasali, nella gola, e nel
tratto respiratorio superiore.
*
Il gruppo canadese redasse due rapporti al proposito, disponibili nel sito
www.umrc.net, ed il secondo si conclude con questa storia: "A Bibimahro, un
vasto sobborgo a sud di Kabul, la coalizione attacco' un'installazione radar
governativa situata su una collina. Ma mancarono il bersaglio. Erano le 5,30
del mattino, ed il signor Saheeb Daad stava tornando dalla moschea assieme
al figlio Hussein, dodicenne. Il signor Daad udi' uno strano suono, che
defini' 'roteante', venire dal cielo ed aumentare rapidamente di volume.
Mentre i due si avvicinavano alla loro casa, un lampo di verde brillante
eruppe dal terreno e li acceco'. Il lampo fu immediatamente seguito da
un'esplosione e da un'onda d'urto che li getto' a terra. Non appena si
ripresero dallo shock, riacquistarono la vista e scoprirono di non essere
feriti, padre e figlio corsero verso la casa fatta di mattoni di fango, dove
la signora Daad stava preparando la colazione e i due fratellini piu'
piccoli di Hussein dormivano ancora. La casa dei vicini, che condivideva un
muro con la loro, era un mucchio di macerie e di corpi. La loro era intatta,
eccetto che per una stanza, quella in cui dormivano i bambini. Era diventata
polvere come la casa adiacente e sotto di essa erano sepolti i due
fratellini di Hussein. Mischiati alle macerie della casa dei vicini c'erano
otto cadaveri: madre, nonna, e sei bambine. La gente comincio' a correre
verso il luogo dell'impatto per dare aiuto. Il signor Daad scavo' tutto il
giorno sino a trarre i due figlioletti dalle rovine. Essi gli morirono
infatti tra le braccia, mentre il sole tramontava. La casa dei vicini aveva
ricevuto l'impatto del missile in maniera diretta. Dopo pochi minuti, nulla
rimaneva ad indicare che in quel punto fosse sorta un'abitazione.
Nessuno aveva udito l'attacco aereo. I bombardieri AC-130 e A-10 Warthogs
viaggiano a basse altitudini, a volte a solo 25-30 metri da terra; si fanno
strada fra valli e colline e montagne, percio' il rumore dei loro motori li
segue anziche' precederli. In quei giorni, Kabul era occupata dalle forze
americane e inglesi. Non c'era resistenza alla loro presenza, non c'erano
rapporti di attivita' antiaeree. I siti militari governativi erano stati
abbandonati. La zona di Bibimahro in cui sorgeva l'installazione radar e'
densamente popolata e vi sorge un ospedale.
La bomba che colpi' la famiglia Daad ed i loro vicini non era molto grande.
L'angolo di entrata si aggira sui 35 gradi. Il cratere e' superficiale, dal
diametro di 4/5 metri e dalla profondita' di uno. Diciamo che la bomba e'
"piccola" in rapporto ai crateri profondi 6 metri, dal diametro di 30, che
abbiamo esaminato altrove. Invece che un'arma altamente esplosiva, a
frammentazione, disegnata per uccidere quante piu' persone possibile, questa
era una bomba di nuova generazione, pensata per distruggere bersagli
difficili evitando per quanto possibile i danni collaterali. Purtroppo, quel
giorno a Bibimahro la bomba non fece molte distinzioni. Il pomeriggio in cui
arrivammo sul posto una dozzina di bambini stavano giocando nel cratere".
*
Si tratta di crateri particolarmente radioattivi, circa 70 volte di piu' di
quelli che potrebbe lasciare un'arma all'uranio impoverito. Chi ha inalato
la polvere dell'esplosione delle bombe che producono i "piccoli crateri" ha
assorbito una tremenda quantita' di uranio, che viene poi rilasciata nelle
urine. La polvere radioattiva rilasciata da queste bombe di nuova
generazione quando viene inalata resta nei corpi umani. Vive, se cosi' si
puo' dire, circa quattro miliardi e mezzo di anni. E' una fonte contaminante
permanente, insolubile, che resta nelle persone rilasciando particelle
subatomiche attraverso il Dna. Qualunque cellula adiacente alle particelle
diventa a rischio. I meccanismi di autoriparazione falliscono, le cellule
mutano. Cancri e alterazioni genetiche si presentano.
Nel marzo 2002, il governo Usa ammise di star fabbricando delle nuove bombe
nucleari ("nuclear penetrator missiles"). I loro prototipi sono stati
probabilmente "testati" in Afghanistan. Presto sapremo se tali bombe sono
state usate anche in Iraq, poiche' il gruppo di ricerca canadese dell'Umrc,
che e' presente nel paese, ha gia' trovato crateri simili.
*
Ted Weyman, che fa parte dell'Umrc, ha detto in una recente intervista:
"Siamo costantemente assaliti, dal Dipartimento della difesa canadese e da
quello britannico, persino dal Programma Ambientale dell'Onu. Dicono che
facciamo queste ricerche solo perche' ci si accorga di noi. Abbiamo invitato
l'Onu nei luoghi bombardati in cui siamo e siamo stati, perche' dicono che
non possono occuparsene, non sanno dove sono. Che vengano, li abbiamo
mappati tutti, abbiamo le coordinate di oltre 10.000 siti bombardati. Non
sono tutti contaminati, ma possono portare i loro strumenti, i loro esperti
e testare quel che trovano nei loro laboratori. Il nostro materiale e' stato
pubblicato da riviste scientifiche ovunque. Non stiamo giocando".
In questi giorni George Bush si e' occupato del programma nucleare
dell'Iran, ricordando al probabile futuro "stato canaglia" di aver "gia'
usato la forza" in casi simili. Nobili parole invero, che potremmo tradurre
cosi': le bombe nucleari sono una minaccia per l'umanita', per cui non
azzardarti a costruirne, altrimenti vengo la' e ti scarico addosso le bombe
nucleari che costruisco io, chiaro?
*
Per maggiori informazioni:
Uranium Weapons Conference: www.uraniumweaponsconference.de
Nuclear Policy Research Organization: www.nuclearpolicy.org

5. LIBRI. MARIA LUIGIA CASIERI PRESENTA "LA TESTA BEN FATTA" DI EDGAR MORIN
[Ringraziamo Maria Luigia Casieri per averci messo a disposizione questa
scheda sul libro di Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma
dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano
2000.
Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac at tin.it), nata a Portici (Na) nel
1961, insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali
animatrici del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Ha organizzato a
Viterbo insieme ad altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente
sociale, ha svolto un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di
assistenza per gli emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata
nel settore educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato
in una casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di
ruolo nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di
pace, di solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi
di aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni. Opere di Maria Luigia
Casieri: Il contributo di Emilia Ferreiro alla comprensione dei processi di
apprendimento della lingua scritta, 5 voll., Viterbo 2004.
Edgar Morin, nato a Parigi nel 1921, sociologo, antropologo, e' uno degli
intellettuali piu' influenti del secondo Novecento. Dal sito
dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la
seguente scheda: "Edgar Morin e' nato a Parigi nel 1921. Entrato a vent'anni
nel Pcf, quando la Francia era ancora occupata, ne viene escluso dieci anni
dopo. Sociologo al Cnrs., si dedica negli anni Cinquanta a ricerche, rimaste
celebri, sul divismo, i giovani e la cultura di massa. Collabora con
articoli politici al 'France-Observateur' e poi al 'Nouvel Observateur'.
Fonda, nel 1956, con altri intellettuali usciti dal Pcf, che non hanno
abbandonato l'idea comunista, la rivista 'Arguments', che si ispira alla
rivista 'Ragionamenti' di Franco Fortini, e durera' fino al l962, trattando
i temi politici centrali degli anni Cinquanta e Sessanta: il congelamento
della lotta di classe nei paesi del 'socialismo reale', la nuova classe
burocratica, la guerra d'Algeria, il gaullismo. Nel 1967, con Roland Barthes
e Georges Friedmann, fonda 'Communications', di cui e' tuttora direttore. Un
soggiorno al Salk Institut nel l969 lo mette a contatto con la teoria dei
sistemi che costituira' il punto di partenza delle sue successive ricerche
epistemologiche. E' membro del Centre national de la recherche scientifique.
Nel 1987 ha vinto il Premio Europeo 'Charles Veillon'. Al centro
dell'impegno politico e delle prime ricerche di Edgar Morin c'e' una lucida
e vivace analisi della cultura di massa quale complesso di miti, simboli e
immagini della vita reale e della vita immaginaria, in cui l'uomo
quotidianamente si attua e si riconosce. Successivamente Morin ha intrapreso
una vasta indagine del rapporto natura-cultura in base al concetto di
complessita'. La cultura costituisce un sistema generatore di alta
complessita' in cui, a partire da un certo stadio dell'evoluzione, la
complessita' del cervello e la complessita' culturale si implicano a un
punto tale che il ruolo della cultura risulta indispensabile per la stessa
evoluzione biologica. Il cervello e' per Morin il piu' interno e il piu'
esterno di tutti gli organi: la mente e' nel mondo che e' nella mente,
quindi l'organizzazione del tutto si trova all'interno di una parte che e'
in questo tutto. Il sistema non possiede percio' una unita' sostanziale, ma
e' un'unita' paradossale, che si compone di elementi forniti al tempo stesso
di una identita' specifica o attuale e di una identita' totale o virtuale in
antagonismo tra loro: l'unita' complessa del sistema crea e reprime a un
tempo questo antagonismo. L'organizzazione nasce dalla differenza tra le
parti, complementari, specializzate e in conflitto reciproco". Tra le opere
di Edgar Morin: L'An zero de l'Allemagne, Paris 1946; L'uomo e la morte
(1951), Newton Compton, Roma 1980; Il cinema o l'uomo immaginario (1956),
Feltrinelli, Milano 1982; Les stars, Paris, 1957; Autocritique, Seuil,
Paris, 1959, l994; L'esprit du temps, Paris, 1962; L'industria culturale
(1962), Il Mulino, Bologna 1974; Lo spirito del tempo (1962), Meltemi, Roma
2002; Introduzione a una politica dell'uomo (1965), Meltemi, Roma 2000;
Indagine sulla metamorfosi di Plodemet (1967), Il Saggiatore, Milano 1969;
con C. Lefort e J. M. Coudray, La comune di Parigi del maggio l968, Il
Saggiatore, Milano l968; Il paradigma perduto. Che cos'e' la natura umana?
(1973), Feltrinelli, Milano 2001; Il metodo. Ordine disordine organizzazione
(1977), Feltrinelli, Milano 1983 (tr. it. parziale de La Methode I), nuova
edizione: Il metodo. Vol. 1: La natura della natura (1977), Raffaello
Cortina, Milano, 2001; La vita della vita (1980), Feltrinelli, Milano 1987
(tr. it. parziale de La Methode II); Scienza con coscienza (1982), Franco
Angeli, Milano 1984; La conoscenza della conoscenza (1986), Feltrinelli,
Milano 1989 (tr. it. de La Methode III); Pensare l'Europa (1987),
Feltrinelli, Milano 1988; Introduzione al pensiero complesso (1990),
Sperling & Kupfer, Milano 1993; Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi
e costumi (1991), Feltrinelli, Milano 1993 (tr. it. de La Methode IV);
Terra-Patria (l993), Raffaello Cortina, Milano 1994; Turbare il futuro,
Moretti & Vitali, Bergamo; Il vivo del soggetto, Moretti & Vitali, Bergamo
1995; I fratricidi, Meltemi, Roma 1997; I sette saperi necessari
all'educazione del futuro (1999), Raffaello Cortina, Milano 2001; La testa
ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero (1999),
Raffaello Cortina, Milano, 2000; I miei demoni, Meltemi, Roma 1999; Amore,
poesia, saggezza, Armando, Roma 1999; Il metodo. Vol. 5: L'identita' umana,
Raffaello Cortina, Milano 2001; Educare gli educatori. Una riforma del
pensiero per la democrazia cognitiva, EdUP, 2002. In collaborazione con Jean
Rouch, Morin ha diretto anche il film Chronique d'une ete' (1961). Opere su
Edgar Morin: Santa De Siena, La sfida globale di Edgar Morin, Besa, 2002;
Antonia Rosello Ajello, Il rigore e la scommessa. Riflessioni
sociopedagogiche sul pensiero di Edgar Morin, Sciascia, 2003; Dario Ianes,
Luigi Tuffanelli, Formare una testa ben fatta. Edgar Morin entra in classe:
giochi di ruolo e didattica per problemi (con cd-rom), Centro Studi
Erickson, 2003]

L'autore sostiene che funzione dell'insegnamento e' di "trasmettere non del
puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione
e di aiutarci a vivere' (p. 3). In questa prospettiva pone la sfida della
complessita' come la questione decisiva dell'insegnamento nell'epoca
contemporanea.
Egli contrappone la natura complessa e interconnessa dei problemi con la
tendenza dei saperi a specializzarsi risultando sempre piu' separati,
isolati, frammentati. In cio' si determina una frattura tra l'aumento dei
saperi intesi in senso prevalentemente tecnico e la perdita di conoscenza
come messa in relazione e in contesto delle informazioni, che rende
problematico l'effettivo esercizio di una democrazia "cognitiva".
Pertanto propugna l'esigenza che la formazione e l'istruzione promuova la
capacita' di comprendere per orientare le scelte. Tale capacita' ha quindi
bisogno di essere sostenuta curando particolarmente l'attitudine a integrare
saperi e conoscenze, a cogliere dimensioni trasversali, nessi,
interdipendenze, rimandi, a costruire categorie interpretative dotate di
senso.
Solo cosi', egli sostiene, sara' possibile recepire le sfide del nostro
tempo: la sfida culturale, che esprime il trend al superamento del conflitto
tra cultura umanistica (caratterizzata da una prospettiva globale e
unificante) e cultura scientifica (tendenze agli specialismi settoriali); la
sfida sociologica, dove la penetrazione delle tecnologie informatiche e
l'avvento della societa' cognitiva fa della capacita' di pensiero un
requisito di integrazione; la sfida civica, in cui si pone l'imperativo di
assunzione di responsabilita' non parcellizzate, che recuperi la delega ai
tecnici di questioni che hanno un impatto sulla vita di ogni singola persona
e dell'umanita'.
*
Sara' quindi importante un approccio metodologico che favorisca la
curiosita', l'attitudine indagatrice, la capacita' di porre problemi e di
porre in atto strategie adeguate per affrontarli, ma anche l'uso competente
e pertinente del dubbio che e' componente essenziale della costruzione di
ogni spirito critico, le competenze di natura logica, che stanno alla base
di efficaci argomentazioni, ma anche la dimensione della serendipity che
richiede la flessibilita' necessaria per cogliere, all'interno di un
processo di indagine, aspetti inattesi ma significativi.
Sintomatico, a questo riguardo, il costituirsi di nuovi campi di indagine,
in cui la conoscenza ha bisogno di una pluralita' di apporti disciplinari
che si intrecciano nel determinare categorie interpretative e costruire
sistemi di conoscenze: e' il caso delle scienze ecologiche, delle scienze
della Terra, della cosmologia.
Questa nuova tendenza in atto anche nelle scienze fisiche, e non solo, e' il
segnale che ancora nell'impostazione dei curricoli scolastici si rendono
urgenti cambiamenti anche relativi ai contenuti proposti.
E particolarmente viene indicata la comprensione della condizione umana come
uno degli ambiti di conoscenza unificante in cui una pluralita' di
contributi possono specificamente derivare dalle scienze della natura e
dalle scienze umane (dalla letteratura, alle arti, alla filosofia).
*
Nell'individuare le finalita' a cui la scuola dovrebbe opportunamente
tendere rivaluta, nei diversi approcci disciplinari, non tanto gli aspetti
tecnici relativi ai linguaggi specifici delle discipline quanto il valore
pregnante dei contenuti, anche in quanto significativi per orientare
l'individuo e sostenerlo nella costruzione di un proprio personale progetto
di espressione, comprensione e realizzazione di se' nella relazione con gli
altri, e nella consapevolezza degli aspetti di complessita' in cui si
colloca.
La finalita' generale di "apprendere a vivere" viene quindi articolata nei
piu' specifici aspetti della comprensione umana (appunto, comprensione di
se' e degli altri grazie allo spaccato offerto dalla letteratura e, piu' in
generale, dall'esperienza estetica e dalla riflessione etica),
dell'iniziazione alla lucidita' (come consapevolezza psicologica ed
epistemologica dei limiti e delle modalita' della conoscenza), di
introduzione alla noosfera (in cui le narrazioni e i sistemi di idee vengono
colte consapevolmente per il loro significato di mediatori della conoscenza
del reale, che non e' coglibile senza la presenza di mediatori culturali),
di introduzione al pensare filosofico (come riflessione e problematizzazione
sul senso della vita), della capacita' di affrontare l'incertezza (relativa
al venir meno di un fondamento assoluto nella possibilita' di conoscenza del
reale, sia in una prospettiva scientifica che filosofica).
In particolare, propone alcuni strumenti che consentano di affrontare
l'incertezza, individuandoli in tre fattori. Il primo strumento utile ad
affrontare l'incertezza e' la coscienza dell'ecologia dell'azione, e quindi
nella necessita' di rendere consapevoli che ogni azione ha una serie di cons
eguenze e interazioni non del tutto prevedibili; il secondo strumento e la
capacita' di far uso di strategia in contrapposizione al programma come modo
flessibile di perseguire uno scopo, tenendo progressivamente conto delle
informazioni e del mutare di uno scenario incerto; il terzo strumento e' la
scommessa, ovvero "l'integrazione dell'incertezza nella fede o nella
speranza" (p. 63), laddove la "fede incerta" e la "razionalita' autocritica"
sono interpretati come frutti preziosi della cultura europea del nostro
tempo.
Su questo quadro di finalita' cui far mirare il processo di formazione
dell'individuo si impianta la formazione alla cittadinanza come assunzione
di responsabilita' che afferisce ad una pluralita' di piani di appartenenza,
dal livello nazionale a quello europeo fino al livello planetario.
*
Quindi l'autore si dedica a tratteggiare brevemente come le finalita'
indicate si declinino specificamente per i rispettivi gradi di scuola,
indicando per la scuola primaria la priorita' di dedicarsi alla comprensione
della natura dell'essere umano integrando conoscenze di natura biologica e
culturale, avviandosi alla comprensione delle "cose" in una prospettiva
sistemica e superando il concetto di causalita' lineare, oltre alla
realizzazione di un percorso che l'autore chiama di "apprendistato alla
vita" attraverso una via interna di autoanalisi che porti alla comprensione
dell'influenza che la strutturazione dei dati determina sulle modalita'
della conoscenza; nonche' attraverso una via esterna che porti a conoscere
le modalita' di produzione culturale dei diversi media.
Per la scuola superiore viene auspicata l'integrazione tra la cultura
scientifica e umanistica e la collocazione delle discipline in contesti
unificanti (la Terra, la vita, l'universo, l'essere umano). Le discipline
vengono sottoposte ad un processo di risignificazione che ne coglie
l'aspetto di strutturazione di competenze problematizzanti che costruiscano
legami tra il proprium di ciascuna di esse e la vita (ivi compresa la
costruzione di una educazione alla cittadinanza).
L'Universita' a sua volta dovrebbe essere interessata da una riforma che
contempli l'ipotesi di istituire facolta' della conoscenza, facolta'
dell'umano, facolta' dei problemi mondializzati, nonche' l'istituzione di
centri di ricerca sui problemi della complessita'.
*
Infine auspica una riforma del pensiero, sostenendo che: "A un pensiero che
isola e separa si dovrebbe sostituire un pensiero che distingue e unisce. A
un pensiero disgiuntivo e riduttivo occorrerebbe sostituire un pensiero del
complesso nel senso originario del termine complexus: cio' che e' tessuto
insieme" (p. 91).
Una riforma in tal senso puo' essere perseguita attraverso sette principi
guida: il principio sistemico od organizzazionale; il principio
"ologrammatico", secondo cui il tutto z" contenuto in ciascuna parte; il
principio dell"anello retroattivo, che "permette la conoscenza dei processi
auto-regolatori. Rompe con il principio della causalita' lineare" (p. 97);
il principio dell'anello ricorsivo, secondo cui il soggetto e' a sua volta
prodotto dall'oggetto; il principio di auto-eco-organizzazione, che
riconosce anche l'autonomia come espressione di una dipendenza piu'
generale; il principio dialogico che, di contro al riduzionismo della
logica, "permette di assumere l'inseparabilita' di nozioni contraddittorie
per poter concepire un fenomeno complesso" (p. 99); il principio della
reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza, che
riconosce il carattere costruttivo di ogni conoscenza.
"Un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle
conoscenze separate e' capace di prolungarsi in un'etica di interconnessione
e di solidarieta' tra umani", la quale solidarieta' implica altresi' "una
relazione ombelicale con la natura e il cosmo" anziche' "l'orgogliosa
volonta' di dominare l'universo". Un pensiero capace di concepire gli
insiemi sarebbe adatto a favorire il senso della responsabilita' e il senso
della cittadinanza" (p. 101).

6. I PARADOSSI DI STRAMBOTTO: INDOVINALA GRILLO
[Il nostro Strambotto, come si fa a dargli retta quando abbiamo cosi' tanto
da fare noi che siamo persone importanti]

Com'e' che quando si e' all'opposizione si vuole la pace e quando si e' al
governo si fa la guerra?
*
Com'e' che quando si e' all'opposizione si difendono i diritti umani e
quando si e' al governo si aprono i campi di concentramento?
*
Com'e' che quando si e' all'opposizione si difendono i "beni comuni" e
quando si e' al governo li si privatizza e devasta?
*
Com'e' che a dispetto di questa barbaccia bianca sei ancora cosi' grullo da
far certe domande? Tu resterai straccione finche' campi.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1027 del 19 agosto 2005

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