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La nonviolenza e' in cammino. 1027
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1027
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 19 Aug 2005 00:22:17 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1027 del 19 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Ruggero, fratello 2. Pio D'Emilia intervista Song Shin-do 3. Marco Deriu: Nemici su fronti opposti, uniti contro le donne 4. Maria G. Di Rienzo: Uranio 5. Maria Luigia Casieri presenta "La testa ben fatta" di Edgar Morin 6. I paradossi di Strambotto: Indovinala grillo 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. LUTTI. RUGGERO, FRATELLO La tragica scomparsa di frere Roger, una morte cosi' gandhiana come gandhiana e' stata la sua vita, tutti ci lascia sbigottiti e sgomenti, sopraffatti dal mistero del dolore. Frere Roger, l'anima di Taize', generoso e mite volto dell'ecumenismo che invita tutti a schiudersi a tutti, a prendersi cura dell'altra persona. E' sempre uno scandalo la morte. Ma ogni vita e' un fiore inestinguibile. E la vita di frere Roger, sequela, dono, fidente apertura all'altro nel rispetto della sua alterita', vicinanza che non soffoca ma sostiene e si fa sostenere (come sapeva quell'infallibile Qohelet, come sapeva quell'Hannah Arendt che colse nella pluralita' il nucleo prezioso dell'essere degli esseri umani nel mondo), misericordia e responsabilita', e' un segnavia e un appello e una prova di cui ogni persona di volonta' buona continuera' ad essergli grata. 2. TESTIMONIANZE. PIO D'EMILIA INTERVISTA SONG SHIN-DO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2005. Pio D'Emilia e' corrispondente del quotidiano dal Giappone. Song Shin-do, 83 anni, una delle migliaia di donne coreane ridotte a schiave sessuali per i soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale, ha citato in tribunale il governo giapponese per quel crimine] "L'unica faccia, con tanto di nome, che ricordo e' quella di un certo Takahashi. Il mio primo 'cliente'. Lui era un giovane ufficiale, io ancora vergine. Quando entro' nella stanza, e mi vide terrorizzata, mi accarezzo' dolcemente e se ne ando' senza far nulla. Ma il gestore del bordello militare se ne accorse, e mi pesto' a sangue. Il giorno dopo fui violentata da almeno dieci militari. Talmente infoiati che non si accorsero nemmeno che ero vergine". Song Shin-do e' una signora coreana di 83 anni. Dal 1945 vive in Giappone, nella prefettura di Miyagi (nord est di Tokyo). E' sorda (per le percosse ricevute) da un orecchio, ma per il resto e' in perfetta forma. Memoria di ferro, esposizione articolata... Song e' la prima - e sinora unica - "donna di ristoro" ad essere uscita allo scoperto e ad aver citato, sinora senza grande risultato (tranne forse quello di mobilitare decine di migliaia di cittadini, che appoggiano la sua lotta) il governo giapponese per averla ridotta in schiavitu' durante la guerra, costringendola per sette anni a soddisfare i bisogni sessuali delle truppe al fronte (cinese). Il suo caso in Giappone ha diviso l'opinione pubblica. C'e' chi l'accusa di speculare sul passato per pura avidita', chi la insulta pubblicamente e mediante lettere e telefonate anonime, e chi invece l'appoggia con grande coraggio e costanza. Tra questi, l'attuale governatore e l'intero consiglio di Miyagi, la prefettura in cui vive. Anche in Corea, dopo l'imbarazzo iniziale dei media, poco inclini a trattare questioni scabrose, la signora Song e' diventata una sorta di simbolo di rinato orgoglio nazionale, al punto da essere citata durante il recente vertice tra il premier giapponese Koizumi ed il presidente sudcoreano Roh. La sua storia, che puo' ancora essere raccontata in prima persona, assume uno straordinario valore di testimonianza, da quando in Giappone, complice il governo, una serie di libri di testo stanno "cancellando" fatti e misfatti dell'armata imperiale. * - Pio D'Emilia: Cominciamo da qui, signora. Lei vive in Giappone, parla il giapponese, immagino avra' amici indigeni. Cosa ne pensa della questione dei libri di testo? In uno di essi, edito dalla Fusosha, a proposito del fenomeno delle "donne di ristoro" si legge: "in Corea alcuni personaggi senza scrupoli organizzarono un fiorente giro di prostituzione, utilizzando donne consenzienti e regolarmente retribuite. Molte di esse tornarono, alla fine della guerra, con un bel gruzzolo". Tre scuole, a Tokyo, l'hanno adottato... - Song Shin-do: Che debbo dire? Scempiaggini. Certo, non posso escludere che vi siano state donne consenzienti, alle quali inizialmente erano state fatte promesse di lauti guadagni e che abbiano volontariamente accettato di prostituirsi. Ma la maggior parte di noi e' stata ingannata, rapita o sequestrata e una volta che ci eravamo rese conto della truffa, siamo state costrette a subire la violenza senza alcuna possibilita' di fuga. E ad organizzare il tutto non c'erano solo commercianti senza scrupoli. Quelli erano solo mediatori, o addirittura impiegati. Era un'operazione di stato, ideata e concepita dai vertici militari". - Pio D'Emilia: Mi racconti la sua storia. Come e' finita a fare la prostituta sui camion bordello dell'Armata Imperiale? - Song Shin-do: Sono nata a Chung Chong, una piccola provincia del nord della Corea. A 12 anni persi mio padre e a 14 mia madre mi impose un marito che non avevo mai incontrato. Le mie proteste non valsero a nulla, cosi' feci buon viso a cattivo gioco, mi presentai a casa dei suoceri per il matrimonio ma la mattina dopo scappai. Avevo solo i miei vestiti indosso. - Pio D'Emilia: Torno' da sua madre? - Song Shin-do: No. Non potevo. Avevo violato un ordine preciso. La mia vita, in un certo senso, era segnata. E sapevo benissimo che sarebbe stata in salita. Ma ero molto forte, combattiva: con un chiodo fisso. Sopravvivere, da sola, senza dovermi per forza sposare. * Una parola, a quei tempi. La seconda, devastante occupazione giapponese era appena iniziata. Un'occupazione tra le piu' pesanti e odiose che la storia ricordi. Il popolo coreano, portatore di un'antichissima civilta' e grazie al quale i giapponesi avevano conosciuto, tra le altre cose, la scrittura (i caratteri cinesi arrivarono in Giappone attraverso la penisola coreana nel VI secolo: prima di tale data i giapponesi non avevano un sistema di scrittura) subi' un violentissimo e assurdo tentativo di "omologazione". Un po' come il fascismo tento' di imporre alle etnie ladine e tedesche dell'Alto Adige. Nazionalizzazione forzata di nomi di persona e di luoghi, divieto di parlare il "dialetto" locale, apprendimento forzato della "lingua nazionale" (il giapponese), revisione dei testi scolastici e persino obbligo di seguire il "culto nazionale", e cioe' lo shintoismo. Questo per quei pochi (soprattutto anziani e bambini) che ebbero la fortuna, si fa per dire, di restare in patria. Perche' la maggioranza dei coreani, sia uomini che donne, subirono volenti o nolenti il dramma delle deportazioni. Un fenomeno che assunse proporzioni bibliche quando il Giappone decise di invadere prima la Manciuria (dove installo' il governo fantoccio di Pu Yi, il cosiddetto "ultimo imperatore") e poi l'intera Cina. Servivano uomini. E donne. I primi a partire per il fronte furono i detenuti, poi i "volontari". Ma presto cominciarono le vere e proprie retate. La gente si rintanava in casa, perche' bastava mettere il naso fuori ed ecco che rischiavi di ritrovarti a sfacchinare gratis in una miniera o in una fabbrica giapponese, o a "confortare" sessualmente gli eroici soldati di Sua Maesta'. "Debbo dire la verita', rientro nella categoria delle volontarie. Non certo come prostituta, a quell'eta' non sapevo neanche cosa fosse il sesso. Ma non sono stata rapita. Mi sono fidata di una vecchia signora, presso la quale avevo trovato rifugio a Taejon. Mi disse che l'Armata Imperiale cercava giovani donne per lavorare al fronte, e che pagavano bene. Volevo guadagnare, e amavo l'avventura. Mi arruolai". Non ci mise molto, Song, a capire dove era finita. Dopo un viaggio in treno da Pyongyang a Wuchan, nel nord della Cina, si ritrovo', assieme ad altre giovani donne coreane, in una stanza piena di cadaveri (giapponesi). L'ordine era di ripulire il posto e renderlo presentabile: "d'ora in poi, lavorerete qui". * - Song Shin-do: Il posto si chiamava Sekaikan ("Vista sul mondo", ndr), era un vecchio edificio militare cinese. Il manager era un piccolo, odioso coreano. Dopo aver seppellito i cadaveri e ripulito muri e pavimenti dal sangue, ci intimo' di seguirlo in una stanza. C'erano due medici e un paio di infermiere. Ci fecero una visita ginecologica, la prima della mia vita. Ma ancora non avevo capito. - Pio D'Emilia: Quando e' stata costretta a iniziare le prestazioni? - Song Shin-do: Dopo due giorni. Appena arrivata avevo avuto le mestruazioni e all'inizio alle donne era consentito riposarsi, durante il periodo. Poi no, non si fermavano davanti a nulla. Il mio primo cliente fu il sergente Takahashi. Eravamo disperati, entrambi. Non fece nulla, e io provai a scappare. Mi riacchiapparono subito e mi pestarono a sangue. Il giorno dopo, subii la violenza di almeno dieci soldati. Sotto lo sguardo perfido e divertito del gestore. Restai al seikaikan un paio d'anni, subendo ogni sorta di violenza, sessuale, fisica, psicologica... che alla fine erano le peggiori. - Pio D'Emilia: In che senso, scusi? - Song Shin-do: Nel senso che avevamo a che fare con dei soldati ignoranti, deboli mentalmente e invasati. Spesso erano costretti dai commilitoni a fare quello che facevano. Ma poi scoppiavano a piangere. Chiamavano la moglie per nome, o le mamme. La cosa peggiore era quando decidevano di suicidarsi, per un motivo o per un altro. Ai giapponesi piace l'idea del suicidio, a noi coreani no. Quando mi proponevano il suicidio rituale in coppia mi mettevo a urlare come una furia, l'idea della morte mi ha sempre ripugnato. Per questo sono ancora viva. - Pio D'Emilia: E dopo, dove venne portata? - Song Shin-do: Al fronte. Direttamente al fronte. Con l'intensificarsi della guerra il comando generale decise che il "conforto ai soldati" doveva essere portato a domicilio. Vennero attrezzati dei camion bordello. Noi eravamo a bordo e i soldati, a turno, abusavano di noi. In teoria era obbligatorio il preservativo, ma nessuno lo usava, un po' per disprezzo, un po' perche' non ce n'erano. E cosi' la situazione degenerava. Malattie veneree e, purtroppo, gravidanze. - Pio D'Emilia: Se non le procura troppa sofferenza, ci parli del suo caso. - Song Shin-do: Ho avuto cinque o sei gravidanze, non me lo ricordo neanche piu'. Ho due figli nati vivi, che sono stati affidati a delle famiglie cinesi. Non so che fine abbiano fatto, spero siano morti subito o che vivano sani da qualche parte. Le altre gravidanze le ho interrotte volontariamente, ricorrendo ai metodi naturali che usiamo dalle nostre parti ancora oggi. Attorno all'ottava settimana, resti immobile a letto, senza assumere cibo per due o tre giorni. Poi bevi una tisana di erbe selvatiche. L'aborto e' istantaneo. Altre donne ricorrevano a sistemi piu' cruenti. Si infilavano dei ferri nell'utero, oppure bevevano candeggina pura. Comunque sia, fu grazie alla mia ultima gravidanza che fui "espulsa" dal bordello e riuscii a sopravvivere come cameriera e lavapiatti in una caserma, fino alla fine della guerra. - Pio D'Emilia: Come avenne il rientro? E perche' venne in Giappone? - Song Shin-do: Gia', me lo chiedono tutti. E ora me lo chiedo anch'io. Ma oramai e' tardi e moriro' qui, nel paese dei miei aguzzini. Ma c'e' gente decente, qui. Non sono tutti pazzi e cattivi i giapponesi. C'e' anche gente di grande sensibilita', onesta' e senso civile. Ando' cosi'. Appena giunta la notizia della resa, soldati, civili e "materiale vario di uso pubbblico", come eravamo definite noi "donne di conforto" nei dispacci ufficiali governativi, pensavamo solo una cosa: come rientrare in patria. E per quanto assurdo possa apparire a voi occidentali, per me la patria era diventata il Giappone, mica lo sapevo che da li' a pochi mesi la Corea sarebbe tornata indipendente, e comunque mi sono risparmiata l'ulteriore ferita della guerra civile. Fatto sta che incontrai un ufficiale che sembrava gentile, mi disse che voleva sposarmi e, registrandomi come fidanzata ufficiale, rientrammo assieme in Giappone. - Pio D'Emilia: E poi la sposo'? - Song Shin-do: No. Arrivati nel porto di Fukuoka ci separammo. Formalmente fu lui ad abbandonarmi, mi disse di aspettarlo in un posto e non si fece piu' vivo. Ma gli sono riconoscente per questo. Non mi ero voluta sposare a 14 anni, figuriamoci se potevo farlo dopo tutto quello che avevo passato. Meglio cosi'. Sarebbe stata una situazione insostenibile. - Pio D'Emilia: E come ha sopravvissuto da coreana, ex prostituta, senza soldi, in un paese devastato? - Song Shin-do: Ebbi fortuna. Una coppia di coreani residenti in Giappone da molti anni mi ospito' per qualche tempo nella loro casa e mi presentarono ad un altro coreano che aveva una catena di ristoranti, nel nord del Giappone. Mi offri' di seguirlo, prima come semplice lavorante, poi cominciammo a convivere. Non ci siamo mai sposati, ma la nostra relazione, molto bella, e' durata piu' di cinquant'anni. Senza mai fare l'amore. Non mi riusciva, e lui ha capito. E' morto nove anni fa e da allora vivo sola, ma attorniata da moltissime persone che mi vogliono davvero bene. Quasi tutte giapponesi. * - Pio D'Emilia: Quando ha deciso di citare il governo giapponese e di rendere pubblica la sua storia? - Song Shin-do: Nove anni fa, appunto, dopo la morte del mio compagno. Avevo avuto molte sollecitazioni anche prima, ma gli avevo chiesto cosa ne pensasse e mi aveva fatto capire, pur non imponendomi la sua opinione, che la cosa non lo appassionava piu' di tanto. Ecco perche' ho aspettato che morisse. Adesso sono di nuovo sola, e posso assumermi tutte le responsabilita'. - Pio D'Emilia: Come ha reagito la societa' giapponese alle sue accuse? Riceve piu' solidarieta' o piu' insulti e minacce? - Song Shin-do: Difficile rispondere. Ma propendo per la solidarieta'. Il popolo giapponese, nonostante l'alto tasso di alfabetizzazione, e' mantenuto in uno stato di totale ignoranza rispetto al passato. E non avendo combattuto per la propria liberazione, per i propri diritti, fa fatica a comprenderne l'importanza. Ma una volta coinvolto, e' capace di mobilitarsi e di offrire genuina solidarieta'. E non solo a parole, ma nel concreto e quotidiano. Sbaglia chi ritiene che il Giappone sia ancora un pericolo per il mondo. Purtroppo ai massimi vertici non molto e' cambiato, molti criminali di guerra sono ancora al potere, direttamente o indirettamente. Ma il popolo e' cambiato. Dubito che sarebbe capace di lanciarsi in un'altra guerra di aggressione. * La signora Song e' reclamata. Deve tornare in sala, dove e' stato appena presentato un documentario sulla sua vita. Sono momenti di grande intensita'. Assieme alla comunita' coreana in Giappone (per la maggior parte aderente all'organizzazione Chong Ryon, che appoggia il regime di Pyongyang) e a molti coreani venuti apposta da Seul, la sala e' piena di giapponesi aderenti ai vari movimenti e alle ong che appoggiano la battaglia legale della signora Song e di tante altre che preferiscono restare ancora nell'anonimato. Song sale sul palco e tra gli applausi viene convinta a cantare. Ha una bella voce, molto intensa, anche se un po' rauca. L'aria che intona, in giapponese, e' decisamente militare. Lo stupore e' d'obbligo. Dopo tutto quello che ha passato, si mette a canticchiare le marcette dell'Impero? "Sono le uniche che conosco - spiega, un po' seccata - all'epoca non c'era altro e la musica di oggi non mi interessa. E poi queste canzoni tutto sommato mi rallegrano. Mi ricordano che, nonostante tutto, sono ancora viva". 3. RIFLESSIONE. MARCO DERIU: NEMICI SU FRONTI OPPOSTI, UNITI CONTRO LE DONNE [Dal quotidiano "Liberazione" del 22 maggio 2005. Marco Deriu, sociologo e saggista, docente universitario, e' stato direttore della rivista "Alfazeta" dal 1996 al 1999; consulente culturale per diversi enti pubblici e privati, segue in particolare la progettazione e le attivita' del "Laboratorio per la cultura della pace" dell'assessorato ai servizi sociali della Provincia di Parma. Tra le opere di Marco Deriu: (a cura di), Gregory Bateson, Bruno Mondadori, Milano 2000; (a cura di), L'illusione umanitaria. La trappola degli aiuti e le prospettive della solidarieta' internazionale, Emi, Bologna 2001; (a cura di, con Pietro Montanari e Claudio Bazzocchi), Guerre private, Il ponte, Bologna 2004; La fragilita' dei padri. Il disordine simbolico paterno e il confronto con i figli adolescenti, Unicopli, Milano 2004; Dizionario critico delle nuove guerre, Emi, Bologna 2005] Patrium, patriam, patria. L'origine etimologica indica chiaramente che si tratta della terra dei padri. Non degli antenati in generale ma dei padri. E non si pensi a un territorio o un ambiente qualunque con una sua soggettivita'. Si tratta invece di un soggetto passivizzato. Si tratta di un nome femminile (patria o madre-patria) ma che indica qualcosa che appartiene al potere maschile, all'ordine patriarcale. La terra in questo senso non e' un soggetto autonomo ma e' un possesso da difendere. Patriota, compatriota, non a caso si definisce chi ama la patria e lo dimostra; l'eroe virile e' il salvatore della patria. Mentre patriottismo, e' il sentimento d'amore e devozione verso la patria. Il patriottismo implica l'idea di difendere le proprie terre e le proprie donne. La guerra in questo senso e' una questione fondamentalmente di prestigio. Chi non combatte per difendere i propri possessi perde il suo onore. Non e' un caso se patriottismo, militarismo, valori virili e guerra siano strettamente legati e procedano generalmente assieme. E non e' un caso se la violenza della guerra si presenti spesso esplicitamente anche come espressione di un dominio maschile anche nei confronti della terra e delle donne del nemico. La guerra in effetti si riproduce non soltanto per motivazioni economiche o materiali ma anche in quanto impresa esaltante e gloriosa finalizzata a conservare il prestigio degli uomini. Quello che infatti e' piuttosto evidente a tutti e' che gli uomini, e non le donne, hanno vissuto e vivono la guerra come esperienza per testare e confermare la propria identita' sessuale, ovvero per dimostrare di essere "veri uomini". Come ha scritto Barbara Ehrenreich nel volume Riti di sangue. All'origine della passione della guerra (Feltrinelli, Milano), sottolineando la logica circolare che lega insieme virilita' e guerra, "gli uomini fanno la guerra (anche) perche' la guerra li rende uomini". Questo fatto dunque chiarisce la peculiarita' "storica" della guerra rispetto ai due sessi. Per quanto le donne possano oggi prendervi parte, da un punto di vista antropologico e identitario la guerra non ha significato la stessa cosa per gli uomini e per le donne. I codici simbolici della guerra - l'eroismo, la virilita', la forza e la violenza, la penetrazione - sono sempre stati tipicamente maschili. Il linguaggio stesso, come ha notato Osvaldo Pieroni nel suo Pene d'amore. Alla ricerca del pene perduto. Maschi, ambiente e societa' (Rubbettino, Soveria Mannelli), porta le tracce di questa parentela simbolica in espressioni del tipo "l'esercito si dimostro' impotente a fronteggiare il nemico" (Devoto-Oli), oppure "impotente a resistere agli attacchi del nemico" (Zingarelli). * D'altra parte le forme di relazione che si creano nella truppa e nel contesto militare sono fortemente improntate da uno spirito cameratesco maschile, contrapposto alle relazioni tra donne e molto spesso affetto da chiara misoginia. La dimensione di unita' integrata tra diversi uomini che si sperimenta in un plotone o in un esercito che assume l'immagine di un unico corpo collettivo maschile ha sempre funzionato come elemento rassicurante rispetto ad una virilita' maschile costantemente sentita come precaria. Piu' in generale l'identificazione tra il proprio paese e l'identita' maschile ha una storia lunga, segnata dalle esperienze del nazionalismo, dell'imperialismo, del colonialismo, dei moderni regimi totalitari, in cui i legami tra potere, conquista, affermazione dell'identita' nazionale, e affermazione della propria identita' virile e delle virta' maschili del coraggio, della forza, del sacrificio, sono sempre stati molto stretti. La virilita' si basava sul patriottismo e viceversa. L'immagine della nazione o della patria infatti si e' definita in relazione ad epiche guerre per l'unita' o per la liberazione, alle gesta degli eroi, dei maschi guerrieri del passato, nel quadro cioe' di una genealogia virile. A livello di immaginario si istituiva un rapporto tra il corpo politico dello stato-nazione e il corpo sessuato del maschio, che del resto risulta evidente in espressioni quali "il corpo militare", "il corpo di spedizione", "i corpi di stato". In caso di guerra, questa politica del corpo, diventa una politica sul corpo. Le donne vengono stuprate, riaffermando cosi' simbolicamente e contemporaneamente la propria identita' virile e la propria identita' nazionale o pseudo-tale (si tratta in fondo di una doppia penetrazione: della patria del nemico e del corpo delle donne). Senza dubbio la storia delle guerre sembra intimamente connessa - quasi indissociabile - alla violenza sessuale sulle donne. Durante la prima guerra mondiale i soldati tedeschi hanno usato l'arma dello stupro per terrorizzare le popolazioni del Belgio e della Francia. Durante la seconda gli stupri furono commessi da entrambe le parti: dai tedeschi nei paesi occupati e nei campi di concentramento, dai giapponesi contro le donne cinesi, coreane e filippine, dai francesi contro le donne italiane e tedesche, dai russi contro le donne tedesche, dagli americani contro le giapponesi, le inglesi, le francesi, le tedesche, le italiane. A proposito di quest'ultimo caso lo storico americano J. Robert Lilly nel suo Stupri di guerra. Le violenze commesse dai soldati americani, in Gran Bretagna, Francia e Germania 1942-1945 (Mursia, Milano), ricorda che gli americani stuprarono sia donne di paesi alleati - Inghilterra e Francia - che di paesi nemici - Germania, Italia, Giappone. Episodi di stupro si registrano anche in tutte le guerre successive: Vietnam, Sri Lanka, Kuwait, Haiti, Sierra Leone, ex-Jugoslavia, Rwanda, Afghanistan, Congo. Nel clima della guerra, la violenza sessuale colpisce non solamente le popolazioni nemiche ma anche la propria gente portando ad una crescita della violenza domestica, come verificatosi negli Stati Uniti dopo la guerra del Golfo o nella stessa Palestina. Insomma dietro l'amore per la patria si nasconde spesso una violenza maschile contro le donne che attraversa trasversalmente i fronti e i tempi della guerra. 4. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: URANIO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Quattro mesi dopo l'attacco in Afghanistan da parte degli Usa e dei loro alleati (Operazione "Enduring Freedom", ovvero "Liberta' durevole"), un gruppo di scienziati canadesi guidati da un ex consigliere dell'esercito statunitense, il dottor Asaf Durakovic, si recarono nel paese per controllare se i civili recassero tracce dell'uso di uranio impoverito. Cio' che trovarono li lascio' attoniti: trovarono livelli significativi di uranio non impoverito nell'urina del 100% dei civili che vivevano nei pressi delle zone bombardate. I livelli erano piu' alti dal 400% al 2000% del resto della popolazione. Da dove veniva l'uranio? L'uranio non impoverito e' piu' radioattivo dell'uranio impoverito, ed esiste in natura: ma tutte le sorgenti naturali per un simile tasso di assorbimento non erano presenti (lavoro in miniere d'uranio, anomale condizioni geologiche, eccetera). Le fonti governative Usa insistono a considerare "relativamente innocuo" l'uranio impoverito, tanto da usarlo senza problemi durante la guerra del Golfo da cui oltre 221.000 soldati sono tornati con la cosiddetta "sindrome del Golfo" che ne ha fatto a tutt'oggi dei disabili. Un crescente numero di medici e scienziati, fra cui un ex medico dell'esercito Usa, Doug Rokke, attribuiscono la sindrome all'uranio impoverito. In Afghanistan, pare che Al Qaida possedesse piccole armi nucleari, ma comunque non ebbe modo di usarle. Percio' la presenza di uranio doveva essere in relazione alle armi usate dai "liberatori durevoli". * Nelle sei localita' studiate dal gruppo di ricerca canadese (Uranium Medical Research Center in Canada, Umrc), due a Kabul, il resto nei villaggi a sud est della citta', erano state usate bombe di un tipo particolare, atte a penetrare piu' strati di cemento e ad esplodere all'interno di edifici sotterranei o semisotterranei. Tali bombe aprivano i soffitti senza esplodere, in qualche caso rimbalzavano sui pavimenti prima della detonazione. La distruzione avveniva senza effetti di fiamme o calore, e difatti i materiali combustibili come gli alberi e le strutture di legno non prendevano fuoco. Le bombe producevano larghe e dense nubi di polvere e fumo, che si alzavano dal punto dell'impatto. L'acre odore percepito si trasformava in bruciore e ustioni nelle fosse nasali, nella gola, e nel tratto respiratorio superiore. * Il gruppo canadese redasse due rapporti al proposito, disponibili nel sito www.umrc.net, ed il secondo si conclude con questa storia: "A Bibimahro, un vasto sobborgo a sud di Kabul, la coalizione attacco' un'installazione radar governativa situata su una collina. Ma mancarono il bersaglio. Erano le 5,30 del mattino, ed il signor Saheeb Daad stava tornando dalla moschea assieme al figlio Hussein, dodicenne. Il signor Daad udi' uno strano suono, che defini' 'roteante', venire dal cielo ed aumentare rapidamente di volume. Mentre i due si avvicinavano alla loro casa, un lampo di verde brillante eruppe dal terreno e li acceco'. Il lampo fu immediatamente seguito da un'esplosione e da un'onda d'urto che li getto' a terra. Non appena si ripresero dallo shock, riacquistarono la vista e scoprirono di non essere feriti, padre e figlio corsero verso la casa fatta di mattoni di fango, dove la signora Daad stava preparando la colazione e i due fratellini piu' piccoli di Hussein dormivano ancora. La casa dei vicini, che condivideva un muro con la loro, era un mucchio di macerie e di corpi. La loro era intatta, eccetto che per una stanza, quella in cui dormivano i bambini. Era diventata polvere come la casa adiacente e sotto di essa erano sepolti i due fratellini di Hussein. Mischiati alle macerie della casa dei vicini c'erano otto cadaveri: madre, nonna, e sei bambine. La gente comincio' a correre verso il luogo dell'impatto per dare aiuto. Il signor Daad scavo' tutto il giorno sino a trarre i due figlioletti dalle rovine. Essi gli morirono infatti tra le braccia, mentre il sole tramontava. La casa dei vicini aveva ricevuto l'impatto del missile in maniera diretta. Dopo pochi minuti, nulla rimaneva ad indicare che in quel punto fosse sorta un'abitazione. Nessuno aveva udito l'attacco aereo. I bombardieri AC-130 e A-10 Warthogs viaggiano a basse altitudini, a volte a solo 25-30 metri da terra; si fanno strada fra valli e colline e montagne, percio' il rumore dei loro motori li segue anziche' precederli. In quei giorni, Kabul era occupata dalle forze americane e inglesi. Non c'era resistenza alla loro presenza, non c'erano rapporti di attivita' antiaeree. I siti militari governativi erano stati abbandonati. La zona di Bibimahro in cui sorgeva l'installazione radar e' densamente popolata e vi sorge un ospedale. La bomba che colpi' la famiglia Daad ed i loro vicini non era molto grande. L'angolo di entrata si aggira sui 35 gradi. Il cratere e' superficiale, dal diametro di 4/5 metri e dalla profondita' di uno. Diciamo che la bomba e' "piccola" in rapporto ai crateri profondi 6 metri, dal diametro di 30, che abbiamo esaminato altrove. Invece che un'arma altamente esplosiva, a frammentazione, disegnata per uccidere quante piu' persone possibile, questa era una bomba di nuova generazione, pensata per distruggere bersagli difficili evitando per quanto possibile i danni collaterali. Purtroppo, quel giorno a Bibimahro la bomba non fece molte distinzioni. Il pomeriggio in cui arrivammo sul posto una dozzina di bambini stavano giocando nel cratere". * Si tratta di crateri particolarmente radioattivi, circa 70 volte di piu' di quelli che potrebbe lasciare un'arma all'uranio impoverito. Chi ha inalato la polvere dell'esplosione delle bombe che producono i "piccoli crateri" ha assorbito una tremenda quantita' di uranio, che viene poi rilasciata nelle urine. La polvere radioattiva rilasciata da queste bombe di nuova generazione quando viene inalata resta nei corpi umani. Vive, se cosi' si puo' dire, circa quattro miliardi e mezzo di anni. E' una fonte contaminante permanente, insolubile, che resta nelle persone rilasciando particelle subatomiche attraverso il Dna. Qualunque cellula adiacente alle particelle diventa a rischio. I meccanismi di autoriparazione falliscono, le cellule mutano. Cancri e alterazioni genetiche si presentano. Nel marzo 2002, il governo Usa ammise di star fabbricando delle nuove bombe nucleari ("nuclear penetrator missiles"). I loro prototipi sono stati probabilmente "testati" in Afghanistan. Presto sapremo se tali bombe sono state usate anche in Iraq, poiche' il gruppo di ricerca canadese dell'Umrc, che e' presente nel paese, ha gia' trovato crateri simili. * Ted Weyman, che fa parte dell'Umrc, ha detto in una recente intervista: "Siamo costantemente assaliti, dal Dipartimento della difesa canadese e da quello britannico, persino dal Programma Ambientale dell'Onu. Dicono che facciamo queste ricerche solo perche' ci si accorga di noi. Abbiamo invitato l'Onu nei luoghi bombardati in cui siamo e siamo stati, perche' dicono che non possono occuparsene, non sanno dove sono. Che vengano, li abbiamo mappati tutti, abbiamo le coordinate di oltre 10.000 siti bombardati. Non sono tutti contaminati, ma possono portare i loro strumenti, i loro esperti e testare quel che trovano nei loro laboratori. Il nostro materiale e' stato pubblicato da riviste scientifiche ovunque. Non stiamo giocando". In questi giorni George Bush si e' occupato del programma nucleare dell'Iran, ricordando al probabile futuro "stato canaglia" di aver "gia' usato la forza" in casi simili. Nobili parole invero, che potremmo tradurre cosi': le bombe nucleari sono una minaccia per l'umanita', per cui non azzardarti a costruirne, altrimenti vengo la' e ti scarico addosso le bombe nucleari che costruisco io, chiaro? * Per maggiori informazioni: Uranium Weapons Conference: www.uraniumweaponsconference.de Nuclear Policy Research Organization: www.nuclearpolicy.org 5. LIBRI. MARIA LUIGIA CASIERI PRESENTA "LA TESTA BEN FATTA" DI EDGAR MORIN [Ringraziamo Maria Luigia Casieri per averci messo a disposizione questa scheda sul libro di Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac at tin.it), nata a Portici (Na) nel 1961, insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali animatrici del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Ha organizzato a Viterbo insieme ad altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente sociale, ha svolto un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di assistenza per gli emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata nel settore educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato in una casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di ruolo nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi di aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni. Opere di Maria Luigia Casieri: Il contributo di Emilia Ferreiro alla comprensione dei processi di apprendimento della lingua scritta, 5 voll., Viterbo 2004. Edgar Morin, nato a Parigi nel 1921, sociologo, antropologo, e' uno degli intellettuali piu' influenti del secondo Novecento. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la seguente scheda: "Edgar Morin e' nato a Parigi nel 1921. Entrato a vent'anni nel Pcf, quando la Francia era ancora occupata, ne viene escluso dieci anni dopo. Sociologo al Cnrs., si dedica negli anni Cinquanta a ricerche, rimaste celebri, sul divismo, i giovani e la cultura di massa. Collabora con articoli politici al 'France-Observateur' e poi al 'Nouvel Observateur'. Fonda, nel 1956, con altri intellettuali usciti dal Pcf, che non hanno abbandonato l'idea comunista, la rivista 'Arguments', che si ispira alla rivista 'Ragionamenti' di Franco Fortini, e durera' fino al l962, trattando i temi politici centrali degli anni Cinquanta e Sessanta: il congelamento della lotta di classe nei paesi del 'socialismo reale', la nuova classe burocratica, la guerra d'Algeria, il gaullismo. Nel 1967, con Roland Barthes e Georges Friedmann, fonda 'Communications', di cui e' tuttora direttore. Un soggiorno al Salk Institut nel l969 lo mette a contatto con la teoria dei sistemi che costituira' il punto di partenza delle sue successive ricerche epistemologiche. E' membro del Centre national de la recherche scientifique. Nel 1987 ha vinto il Premio Europeo 'Charles Veillon'. Al centro dell'impegno politico e delle prime ricerche di Edgar Morin c'e' una lucida e vivace analisi della cultura di massa quale complesso di miti, simboli e immagini della vita reale e della vita immaginaria, in cui l'uomo quotidianamente si attua e si riconosce. Successivamente Morin ha intrapreso una vasta indagine del rapporto natura-cultura in base al concetto di complessita'. La cultura costituisce un sistema generatore di alta complessita' in cui, a partire da un certo stadio dell'evoluzione, la complessita' del cervello e la complessita' culturale si implicano a un punto tale che il ruolo della cultura risulta indispensabile per la stessa evoluzione biologica. Il cervello e' per Morin il piu' interno e il piu' esterno di tutti gli organi: la mente e' nel mondo che e' nella mente, quindi l'organizzazione del tutto si trova all'interno di una parte che e' in questo tutto. Il sistema non possiede percio' una unita' sostanziale, ma e' un'unita' paradossale, che si compone di elementi forniti al tempo stesso di una identita' specifica o attuale e di una identita' totale o virtuale in antagonismo tra loro: l'unita' complessa del sistema crea e reprime a un tempo questo antagonismo. L'organizzazione nasce dalla differenza tra le parti, complementari, specializzate e in conflitto reciproco". Tra le opere di Edgar Morin: L'An zero de l'Allemagne, Paris 1946; L'uomo e la morte (1951), Newton Compton, Roma 1980; Il cinema o l'uomo immaginario (1956), Feltrinelli, Milano 1982; Les stars, Paris, 1957; Autocritique, Seuil, Paris, 1959, l994; L'esprit du temps, Paris, 1962; L'industria culturale (1962), Il Mulino, Bologna 1974; Lo spirito del tempo (1962), Meltemi, Roma 2002; Introduzione a una politica dell'uomo (1965), Meltemi, Roma 2000; Indagine sulla metamorfosi di Plodemet (1967), Il Saggiatore, Milano 1969; con C. Lefort e J. M. Coudray, La comune di Parigi del maggio l968, Il Saggiatore, Milano l968; Il paradigma perduto. Che cos'e' la natura umana? (1973), Feltrinelli, Milano 2001; Il metodo. Ordine disordine organizzazione (1977), Feltrinelli, Milano 1983 (tr. it. parziale de La Methode I), nuova edizione: Il metodo. Vol. 1: La natura della natura (1977), Raffaello Cortina, Milano, 2001; La vita della vita (1980), Feltrinelli, Milano 1987 (tr. it. parziale de La Methode II); Scienza con coscienza (1982), Franco Angeli, Milano 1984; La conoscenza della conoscenza (1986), Feltrinelli, Milano 1989 (tr. it. de La Methode III); Pensare l'Europa (1987), Feltrinelli, Milano 1988; Introduzione al pensiero complesso (1990), Sperling & Kupfer, Milano 1993; Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi (1991), Feltrinelli, Milano 1993 (tr. it. de La Methode IV); Terra-Patria (l993), Raffaello Cortina, Milano 1994; Turbare il futuro, Moretti & Vitali, Bergamo; Il vivo del soggetto, Moretti & Vitali, Bergamo 1995; I fratricidi, Meltemi, Roma 1997; I sette saperi necessari all'educazione del futuro (1999), Raffaello Cortina, Milano 2001; La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero (1999), Raffaello Cortina, Milano, 2000; I miei demoni, Meltemi, Roma 1999; Amore, poesia, saggezza, Armando, Roma 1999; Il metodo. Vol. 5: L'identita' umana, Raffaello Cortina, Milano 2001; Educare gli educatori. Una riforma del pensiero per la democrazia cognitiva, EdUP, 2002. In collaborazione con Jean Rouch, Morin ha diretto anche il film Chronique d'une ete' (1961). Opere su Edgar Morin: Santa De Siena, La sfida globale di Edgar Morin, Besa, 2002; Antonia Rosello Ajello, Il rigore e la scommessa. Riflessioni sociopedagogiche sul pensiero di Edgar Morin, Sciascia, 2003; Dario Ianes, Luigi Tuffanelli, Formare una testa ben fatta. Edgar Morin entra in classe: giochi di ruolo e didattica per problemi (con cd-rom), Centro Studi Erickson, 2003] L'autore sostiene che funzione dell'insegnamento e' di "trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere' (p. 3). In questa prospettiva pone la sfida della complessita' come la questione decisiva dell'insegnamento nell'epoca contemporanea. Egli contrappone la natura complessa e interconnessa dei problemi con la tendenza dei saperi a specializzarsi risultando sempre piu' separati, isolati, frammentati. In cio' si determina una frattura tra l'aumento dei saperi intesi in senso prevalentemente tecnico e la perdita di conoscenza come messa in relazione e in contesto delle informazioni, che rende problematico l'effettivo esercizio di una democrazia "cognitiva". Pertanto propugna l'esigenza che la formazione e l'istruzione promuova la capacita' di comprendere per orientare le scelte. Tale capacita' ha quindi bisogno di essere sostenuta curando particolarmente l'attitudine a integrare saperi e conoscenze, a cogliere dimensioni trasversali, nessi, interdipendenze, rimandi, a costruire categorie interpretative dotate di senso. Solo cosi', egli sostiene, sara' possibile recepire le sfide del nostro tempo: la sfida culturale, che esprime il trend al superamento del conflitto tra cultura umanistica (caratterizzata da una prospettiva globale e unificante) e cultura scientifica (tendenze agli specialismi settoriali); la sfida sociologica, dove la penetrazione delle tecnologie informatiche e l'avvento della societa' cognitiva fa della capacita' di pensiero un requisito di integrazione; la sfida civica, in cui si pone l'imperativo di assunzione di responsabilita' non parcellizzate, che recuperi la delega ai tecnici di questioni che hanno un impatto sulla vita di ogni singola persona e dell'umanita'. * Sara' quindi importante un approccio metodologico che favorisca la curiosita', l'attitudine indagatrice, la capacita' di porre problemi e di porre in atto strategie adeguate per affrontarli, ma anche l'uso competente e pertinente del dubbio che e' componente essenziale della costruzione di ogni spirito critico, le competenze di natura logica, che stanno alla base di efficaci argomentazioni, ma anche la dimensione della serendipity che richiede la flessibilita' necessaria per cogliere, all'interno di un processo di indagine, aspetti inattesi ma significativi. Sintomatico, a questo riguardo, il costituirsi di nuovi campi di indagine, in cui la conoscenza ha bisogno di una pluralita' di apporti disciplinari che si intrecciano nel determinare categorie interpretative e costruire sistemi di conoscenze: e' il caso delle scienze ecologiche, delle scienze della Terra, della cosmologia. Questa nuova tendenza in atto anche nelle scienze fisiche, e non solo, e' il segnale che ancora nell'impostazione dei curricoli scolastici si rendono urgenti cambiamenti anche relativi ai contenuti proposti. E particolarmente viene indicata la comprensione della condizione umana come uno degli ambiti di conoscenza unificante in cui una pluralita' di contributi possono specificamente derivare dalle scienze della natura e dalle scienze umane (dalla letteratura, alle arti, alla filosofia). * Nell'individuare le finalita' a cui la scuola dovrebbe opportunamente tendere rivaluta, nei diversi approcci disciplinari, non tanto gli aspetti tecnici relativi ai linguaggi specifici delle discipline quanto il valore pregnante dei contenuti, anche in quanto significativi per orientare l'individuo e sostenerlo nella costruzione di un proprio personale progetto di espressione, comprensione e realizzazione di se' nella relazione con gli altri, e nella consapevolezza degli aspetti di complessita' in cui si colloca. La finalita' generale di "apprendere a vivere" viene quindi articolata nei piu' specifici aspetti della comprensione umana (appunto, comprensione di se' e degli altri grazie allo spaccato offerto dalla letteratura e, piu' in generale, dall'esperienza estetica e dalla riflessione etica), dell'iniziazione alla lucidita' (come consapevolezza psicologica ed epistemologica dei limiti e delle modalita' della conoscenza), di introduzione alla noosfera (in cui le narrazioni e i sistemi di idee vengono colte consapevolmente per il loro significato di mediatori della conoscenza del reale, che non e' coglibile senza la presenza di mediatori culturali), di introduzione al pensare filosofico (come riflessione e problematizzazione sul senso della vita), della capacita' di affrontare l'incertezza (relativa al venir meno di un fondamento assoluto nella possibilita' di conoscenza del reale, sia in una prospettiva scientifica che filosofica). In particolare, propone alcuni strumenti che consentano di affrontare l'incertezza, individuandoli in tre fattori. Il primo strumento utile ad affrontare l'incertezza e' la coscienza dell'ecologia dell'azione, e quindi nella necessita' di rendere consapevoli che ogni azione ha una serie di cons eguenze e interazioni non del tutto prevedibili; il secondo strumento e la capacita' di far uso di strategia in contrapposizione al programma come modo flessibile di perseguire uno scopo, tenendo progressivamente conto delle informazioni e del mutare di uno scenario incerto; il terzo strumento e' la scommessa, ovvero "l'integrazione dell'incertezza nella fede o nella speranza" (p. 63), laddove la "fede incerta" e la "razionalita' autocritica" sono interpretati come frutti preziosi della cultura europea del nostro tempo. Su questo quadro di finalita' cui far mirare il processo di formazione dell'individuo si impianta la formazione alla cittadinanza come assunzione di responsabilita' che afferisce ad una pluralita' di piani di appartenenza, dal livello nazionale a quello europeo fino al livello planetario. * Quindi l'autore si dedica a tratteggiare brevemente come le finalita' indicate si declinino specificamente per i rispettivi gradi di scuola, indicando per la scuola primaria la priorita' di dedicarsi alla comprensione della natura dell'essere umano integrando conoscenze di natura biologica e culturale, avviandosi alla comprensione delle "cose" in una prospettiva sistemica e superando il concetto di causalita' lineare, oltre alla realizzazione di un percorso che l'autore chiama di "apprendistato alla vita" attraverso una via interna di autoanalisi che porti alla comprensione dell'influenza che la strutturazione dei dati determina sulle modalita' della conoscenza; nonche' attraverso una via esterna che porti a conoscere le modalita' di produzione culturale dei diversi media. Per la scuola superiore viene auspicata l'integrazione tra la cultura scientifica e umanistica e la collocazione delle discipline in contesti unificanti (la Terra, la vita, l'universo, l'essere umano). Le discipline vengono sottoposte ad un processo di risignificazione che ne coglie l'aspetto di strutturazione di competenze problematizzanti che costruiscano legami tra il proprium di ciascuna di esse e la vita (ivi compresa la costruzione di una educazione alla cittadinanza). L'Universita' a sua volta dovrebbe essere interessata da una riforma che contempli l'ipotesi di istituire facolta' della conoscenza, facolta' dell'umano, facolta' dei problemi mondializzati, nonche' l'istituzione di centri di ricerca sui problemi della complessita'. * Infine auspica una riforma del pensiero, sostenendo che: "A un pensiero che isola e separa si dovrebbe sostituire un pensiero che distingue e unisce. A un pensiero disgiuntivo e riduttivo occorrerebbe sostituire un pensiero del complesso nel senso originario del termine complexus: cio' che e' tessuto insieme" (p. 91). Una riforma in tal senso puo' essere perseguita attraverso sette principi guida: il principio sistemico od organizzazionale; il principio "ologrammatico", secondo cui il tutto z" contenuto in ciascuna parte; il principio dell"anello retroattivo, che "permette la conoscenza dei processi auto-regolatori. Rompe con il principio della causalita' lineare" (p. 97); il principio dell'anello ricorsivo, secondo cui il soggetto e' a sua volta prodotto dall'oggetto; il principio di auto-eco-organizzazione, che riconosce anche l'autonomia come espressione di una dipendenza piu' generale; il principio dialogico che, di contro al riduzionismo della logica, "permette di assumere l'inseparabilita' di nozioni contraddittorie per poter concepire un fenomeno complesso" (p. 99); il principio della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza, che riconosce il carattere costruttivo di ogni conoscenza. "Un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle conoscenze separate e' capace di prolungarsi in un'etica di interconnessione e di solidarieta' tra umani", la quale solidarieta' implica altresi' "una relazione ombelicale con la natura e il cosmo" anziche' "l'orgogliosa volonta' di dominare l'universo". Un pensiero capace di concepire gli insiemi sarebbe adatto a favorire il senso della responsabilita' e il senso della cittadinanza" (p. 101). 6. I PARADOSSI DI STRAMBOTTO: INDOVINALA GRILLO [Il nostro Strambotto, come si fa a dargli retta quando abbiamo cosi' tanto da fare noi che siamo persone importanti] Com'e' che quando si e' all'opposizione si vuole la pace e quando si e' al governo si fa la guerra? * Com'e' che quando si e' all'opposizione si difendono i diritti umani e quando si e' al governo si aprono i campi di concentramento? * Com'e' che quando si e' all'opposizione si difendono i "beni comuni" e quando si e' al governo li si privatizza e devasta? * Com'e' che a dispetto di questa barbaccia bianca sei ancora cosi' grullo da far certe domande? Tu resterai straccione finche' campi. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1027 del 19 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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