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La nonviolenza e' in cammino. 970
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 970
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 23 Jun 2005 02:41:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 970 del 23 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Chiara Cavallaro: Riflessioni concludendo dopo 150 giorni il presidio nonviolento sotto Palazzo Chigi 2. Maria G. Di Rienzo: Guatemala 3. Antonio Vigilante: Schweitzer e Gandhi 4. Con "Qualevita", all'ascolto di Francesco d'Assisi 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. CHIARA CAVALLARO: RIFLESSIONI CONCLUDENDO DOPO 150 GIORNI IL PRESIDIO NONVIOLENTO SOTTO PALAZZO CHIGI [Ringraziamo Chiara Cavallaro (per contatti: chiara.cavallaro at issirfa.cnr.it) per questo intervento. Chiara Cavallaro, prestigiosa figura del movimento per la pace, economista, ricercatrice Cnr, formatrice alla nonviolenza, fa parte del Comitato scienziate e scienziati contro la guerra, di "Articolo 11. Sana e robusta Costituzione", dell'esperienza di "Ostinati/e per la pace", ed e' una delle persone piu' attivamente impegnate nella campagna "No alla censura preventiva sulla guerra"] Succede cosi', che le cose inizino e poi finiscano. Spesso non sappiamo, ne' siamo tenute e tenuti a sapere, che sono esistite. Noi per molti mesi ci siamo alternate ed alternati sotto uno dei palazzi del potere (palazzo Chigi) di/mostrando la nostra presenza per il ritiro delle truppe dall'Irak, lo striscione "Art.11 L'Italia ripudia la guerra", i cartelli criptici "Stiamo per andar via", con quel "qui" sottinteso generatore di domande dei passanti e quindi di relazioni piu' o meno brevi, anche conflittuali. Con il cartellone meno criptico "Sono un punto fermo per la pace", con le bandiere arcobaleno e poi con i cartellini, fatti molto meglio dei nostri, di Us Citizens for peace and Justice, la cui presenza ha ancora di piu' consentito di intrattenerci con i tantissimi turisti di passaggio. Le italiane e gli italiani ci chiedevano spesso che associazione, partito, gruppo fossimo. E' stata una occasione per parlare di che cosa e' un Gruppo di azione nonviolenta e per discuterne, come per discutere di azioni nonviolente. Con stupore dobbiamo dire che con le turiste e i turisti stranieri e' stato piuí facile comprendersi sul senso della nostra presenza, del tipo di azione scelta. Ma queste discussioni ci sono state anche fra noi che abbiamo scoperto le nostre differenti esperienze, punti di vista e la difficolta', anche quando ci si crede "affini", nel conoscersi, comprendersi, valorizzarsi, confliggere senza ricadere nei dettami di quella violenza che ci circonda. E' stata occasione, e su questo rifletteremo ancora, per interrogarci sulle azioni dirette nonviolente, sulle campagne e attivazioni che possano rientrare in questo tracciato, per essere felici quando la campagna contro la delega per i codici militari di pace e di guerra acquisiva un punto a proprio vantaggio. Nelle sere d'inverno ci siamo chieste e chiesti piu' volte se cio' che stavamo facendo restava sensato, se oltre a questo era possibile per noi fare altro. Ci siamo chieste e chiesti piu' volte se vi era congruenza tra la nostra azione e la richiesta di ritiro delle truppe, se c'erano altri obiettivi e se questi erano obiettivi comuni. Abbiamo scoperto di avere piu' obiettivi, tra loro non escludenti: dimostrare per il ritiro delle truppe dall'Irak, dare dimostrazione che sono possibili altre forme di attivazione oltre alle manifestazioni da centinaia di migliaia di persone, dare continuita' pari a quella dei conflitti anche alla presenza, in strada, pubblica, almeno di qualcuna e qualcuno appartenente al popolo della pace, chiamare le singole persone a compiere gesti propri di dimostrazione e attivazione contro la guerra e sulla strada della nonviolenza. Siamo state e stati quasi una trentina di persone, in tempi e modi diversi; e contavamo, forse ingenuamente, che altre ed altri nelle tante associazioni e movimenti con cui pure stiamo operando, si facessero partecipi di questa azione, le dessero respiro e possibilita' di resistenza e crescita. Non e' stato cosi'. Abbiamo sicuramente commesso passi falsi e incerti, sicuramente non abbiamo trovato le ulteriori energie e dimostrato le necessarie aperture che coinvolgere altre ed altri richiedeva. Sicuramente questo non e' stato l'unico motivo della nostra solitudine nel movimento e restiamo sempre pronti a discutere con chiunque. Ma intanto, questa sera, la facciamo veramente finita. Perche' bisogna anche imparare a chiudere le esperienze per poterci tornare a ragionare con la dovuta distanza. Perche' non si puo' restare prigioniere e prigionieri di un'idea quando questa proprio non funziona piu', non ti appartiene piu', non e' piu' capace di comunicare. Perche' sia chiaro che non apparteniamo alla logica del "virtuale" che caratterizza oggi la nostra informazione/comunicazione e non lasceremo che nell'immaginario di chi ci ha conosciuto resti l'idea che noi siamo sempre li', come punto fermo autosufficiente, impermeabile ed "eroico". Per molte e molti questo pensiero puo' essere confortante e rassicurante, per noi e' anche questo parte di una cultura di violenza, quella che viene costruita promuovendo logiche di delega e indifferenza, di rinvio della propria attivazione sino al momento in cui la realta' diventa la nostra personale, e inevitabile, tragedia. Si puo' agire prima, e ci sono tanti modi per farlo, senza aspettare che sia la violenza o la guerra a travolgerci. Non necessariamente quello scelto da noi che pure tanto abbiamo sperato di ricevere notizie di attivazioni, simili o no, in altre parti di Italia o di Roma. Ora e' per noi che inizia un momento di riflessione per cercare altre forme di azione nonviolenta. Intanto, ci e' parso importante dare segno della fine, come abbiamo fatto per l'inizio. Perche nella vita succede cosi', che le cose inizino e poi finiscano. Succede cosi', ma e' sempre piu' difficile che sia cosi' per le guerre. * "Art. 11" sono stati: Alberto Castagnola, Alessandro Natalini, Andrea Trentini, Anna Candida Felici, Chiara Arcarese, Chiara Cavallaro, Daniela Degan, Enrico Euli, Federico Razzoli, Francesca Giovannelli, Ilaria De Angelis, Ilija Soskic, Laura Gentile, Luigi Pirelli, Luisa Ferrari, Manuele Messineo, Massimiliano Carra, Massimo Dall'Olio, Paola Epifani, Roberta Ventura, Stefania Trocini, Stefano Guidi, Us Citizens for peace and Justice, Walter Angelini e le ottocento persone di tutto il mondo che si sono fermate con noi e hanno firmato per il ritiro delle truppe dall'Iraq. "Art. 11" ringrazia: Ubaldo per l'ospitalita', il calore umano, le perle di saggezza enogastronomica e gli inestimabili sconti, Reorient per il prezioso supporto logistico, gli artisti che hanno allietato le serate al presidio: i musicisti del teatro "La Fenice" di Venezia, Il Dragan Trio, la compagnia teatrale "Il Naufragarmedolce", Il coro "L'albero del canto" diretto da Lucilla Galeazzi, Ziad Trabelri, Enrica Palmieri, Aglie e fravaglie, Sbilanciamoci. 2. DIRITTI UMANI. MARIA G. DI RIENZO: GUATEMALA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] In Guatemala, un piccolo paese che sta emergendo da tre decadi di guerra civile, gli omicidi di donne e ragazze si susseguono ad un ritmo impressionante. Deborah Tomas Vineda, di 16 anni, e' stata rapita, stuprata e tagliata a pezzi con una sega elettrica perche' ha rifiutato di diventare la ragazza di un membro di una banda di delinquenti locale. Sua sorella Olga, che di anni ne aveva solo 11 e si trovava con lei al momento del rapimento, e' stata ugualmente uccisa per rappresaglia. Il corpo mutilato e violato di Andrea Contreras Bacaro, 17 anni, e' stato trovato in un sacco di plastica in una discarica. La sua gola era stata tagliata, il suo volto e le sue mani frustate, e un colpo di pistola alla testa aveva messo fine alla sua agonia. La parola "vendetta" era stata incisa con un coltello su una sua coscia. Sandra Palma Godoy, 17 anni, testimone di un omicidio, era sparita da una settimana: il suo cadavere in decomposizione fu trovato accanto ad un campo di calcio. I seni erano stati mutilati; occhi e cuore espiantati dal corpo. Secondo Amnesty International 1.500 donne sono state uccise in questi modi in meno di quattro anni. Le attiviste per i diritti umani in Guatemala raccontano che il numero e' in crescendo: 222 omicidi di donne nel 2001, che sono raddoppiati nel 2004 (494); nei primi cinque mesi del 2005 la cifra e' di 225, il che fa molto piu' di un assassinio al giorno. "E' un problema terribile per il paese", dice Hilda Morales Trujillo, attivista di lunga data per i diritti delle donne, che fa parte della Rete guatemalteca per la nonviolenza. Le preoccupazioni di Hilda concernono l'enorme numero di donne che vengono torturate e stuprate prima di essere uccise. "La sola spiegazione che posso trovare per l'uso di questa estrema violenza e' la misoginia, l'odio verso le donne". La parola spagnola che lei usa per il fenomeno e' "femicidio", femminicidio. In Guatemala, un paese pesantemente militarizzato durante 36 anni di guerra civile, migliaia di uomini portano armi e la violenza estrema e' loro del tutto familiare. Dopo gli accordi di pace siglati nel 1996, le donne guatemalteche hanno potuto sperimentare qualche piccolo progresso: possono lavorare fuori casa, andare a scuola per un periodo piu' lungo, ed esprimere se stesse piu' liberamente. Nella maggior parte del paese, pero', la ricompensa che ricevono e' la paura perpetua della tortura e di una morte violenta. "Ogni giorno il numero degli omicidi cresce, per due ragioni", dice Sandra Moran, un'altra attivista per i diritti umani delle donne, "In primo luogo non c'e' rispetto per il corpo della donna. La gente si sente libera di trattare una donna come vuole. Inoltre, c'e' li'dea che la donna sia sempre di proprieta' di qualcuno. Queste sono le ragioni per cui le donne vengono torturate ed abusate sessualmente prima di essere uccise. In alcuni casi vengono addirittura smembrate". Nel rapporto di Amnesty International c'e' la raccomandazione al governo del Guatemala affinche' migliori l'istruzione pubblica rispetto alle istanze dei diritti delle donne, metta un reale impegno nell'investigare sugli omicidi e riformi le vecchie leggi sullo stupro e la violenza sessuale. Hilda Morales Trujillo aggiunge che le donne sono scarsamente protette dalla polizia, che e' oberata di lavoro, priva di finanziamenti adeguati e troppo spesso corrotta. Anabella Noriega, che coordina il gruppo delle attiviste nell'ufficio di Hilda dice che: "C'e' un comune denominatore in tutti questi omicidi: l'impunita'. Dei quasi 500 casi del 2004 solo uno e' finito in tribunale. Il disinteresse delle autorita', i fallimenti nel raccogliere testimonianze e la corruzione endemica alimentano il problema". A cercare di mantenere l'attenzione sul problema e a chiedere giustizia e rispetto per i diritti umani ci sono solo questo piccolo numero di femministe e di parenti delle vittime, che vengono regolarmente presi di mira per il loro attivismo. Solo nella prima settimana di maggio, racconta Sandra Moran, dodici differenti sedi di attiviste/i sono state assalite e saccheggiate. "E' sempre piu' difficile che qualcuno venga allo scoperto a raccontare la propria storia", dice Sandra, "Il messaggio che passa e' che gli assassini possono fare quello che vogliono, e non saranno incriminati. Noi tutte abbiamo paura, certo. Ma siamo determinate ad andare avanti". 3. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: SCHWEITZER E GANDHI [Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente saggio come anticipazione prima della sua pubblicazione in rivista. Antonio Vigilante e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004. Albert Schweitzer, nato il 14 gennaio 1875, insigne filantropo, e' stato filosofo e teologo, pastore evangelico, organista, studioso insigne di Bach, medico a Lambarene' nell'ospedale da lui fondato nella foresta africana, promotore dell'impegno contro le armi atomiche; ha pubblicato opere di teologia, filosofia e musica; premio Nobel per la pace nel 1952; e' scomparso il 4 settembre 1965. Tra le opere di Albert Schweitzer: I popoli devono sapere, Einaudi; La mia vita e il mio pensiero, Comunita'; I grandi pensatori dell'India, Astrolabio-Ubaldini; Rispetto per la vita, Claudiana; Storie africane, Il Saggiatore. Opere su Albert Schweitzer: un punto di partenza e' Enrico Sermonti, Schweitzer e la coscienza del terzo mondo, Cremonese. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] 1. Premessa Nel 1934 Albert Schweitzer pubblica un libro sul pensiero indiano (Die Weltanschauung der indischen Denker) che rappresenta l'esito di una lunga riflessione sulla civilta' indiana ed orientale in generale, che e' parte, a sua volta, di una piu' ampia riflessione sulla civilta', sulla sua crisi e sulle possibilita' di una sua rinascita e riforma in senso spirituale. E' a conclusione di quest'opera che Schweitzer esprime il suo giudizio sull'opera di Gandhi. Un giudizio, come vedremo, fortemente critico, ma che non dovrebbe mettere in ombra l'affinita' della riflessione di due tra le piu' grandi personalita' etiche del Novecento. Il "rispetto per la vita" di Albert Schweitzer (premio Nobel per la pace nel 1952) ed il "satyagraha" di Gandhi hanno radice comune nel principio dell'ahimsa (nonviolenza), ma differenti sono le diramazioni, le interpretazioni, le applicazioni di quel principio universale. Anche piu' di Gandhi, Schweitzer sconta il quasi universale apprezzamento della sua missione al servizio dell'umanita' con una conoscenza superficiale del suo pensiero. Abbondano le biografie e le compilazioni di passi tratti dai suoi scritti a scopo edificante, mentre mancano studi che ne affrontino il pensiero nel contesto della filosofia novecentesca. La sua opera piu' importante, Kultur und Ethik, secondo volume dell'ambizioso progetto della Kulturphilosophie, risulta ancora non tradotta in Italia, cosi' come non ancora tradotti sono il volume sulla mistica di San Paolo (Die Mystik des Apostels Paulus) ed altri scritti minori. Non sara' inutile, pertanto, soffermarsi sulle tesi fondamentali della sua filosofia della civilta'. * 2. La civilta' e la sua crisi "Deve giungere un nuovo Rinascimento, piu' grande di quello con il quale siamo usciti dal Medioevo (...) Io vorrei essere l'umile pioniere di questo Rinascimento, e lancio la fede in una nuova umanita', come una fiaccola, in questa eta' oscura" (1). Cosi' scrive Albert Schweitzer nella prefazione di Kultur und Ethik, presentando i due caratteri di fondo del suo pensiero: una considerazione profondamente pessimistica del presente della civilta', ed un ottimismo ugualmente profondo sulla possibilita' di uscire dalla crisi. In polemica con Spengler, il cui Tramonto dell'Occidente era stato pubblicato dallo stesso editore dei due volumi della Kulturphilosophie, il pensatore alsaziano rifiuta ogni distinzione tra Kultur e Zivilisation, intendendo con questo secondo termine una civilta' intesa come progresso scientifico e tecnologico: distinzione che rischiava di legittimare come civile una situazione storica di crisi della spiritualita' e dell'etica. La civilta' per Schweitzer e' "progresso, materiale e spirituale, da parte degli individui e della massa" (2); di questi due aspetti, pero', e' il secondo ad essere determinante. Si ha civilta' quando la ragione domina sugli istinti e sulla natura. Il vero progresso e' nella prima forma di dominio, mentre la seconda, prevalente nella civilta' attuale, puo' essere dannosa se non accompagnata da un corrispondente progresso etico e spirituale. L'essenza della crisi e' tutta qui: il progresso della scienza e della tecnica ha procurato all'umanita' una grande quantita' di conquiste materiali, ma al contempo si e' verificato un regresso nel campo dell'ideale. Con chiarezza e lucidita' d'analisi notevoli, Schweitzer denuncia la condizione dell'uomo nell'eta' industriale, a partire dalla mancanza di liberta' ed indipendenza. Impigliato nei processi di produzione, reso schiavo da un lavoro eccessivo ed alienante, con una specializzazione che non consente l'esercizio integrale delle proprie facolta', ancora possibile con l'artigianato, non ha piu' ne' tempo ne' forza per dedicarsi alla riflessione ed assimilare gli ideali della civilta', vivendo in modo infantile il poco tempo libero. Il "nuovo medioevo" (3) nel quale viviamo esige uomini incerti, scettici riguardo all'efficacia del proprio pensiero, e percio' irriflessivi. Su questo cedimento individuale s'innesta il superpotere dello stato e delle istituzioni: da cio' anche il tragico errore del nazionalismo. Esso, osserva Schweitzer, nasce all'inizio del XIX secolo come esaltazione dello stato concepito pero' come il custode degli ideali della civilta' (Fichte); con il crollo di questi ideali resta l'esaltazione fine a se stessa della nazione. Lo stato nazionalistico sostituisce l'ideale della civilta' con quello della "civilta' nazionale". Le culture si separano e si contrappongono le une alle altre, i popoli rivendicano la loro superiorita' sugli altri popoli, ai quali cercano di imporre la propria cultura. "Le nazioni moderne - scrive - cercano mercati per la propria civilta' non meno che per i propri manufatti" (4). Una critica della civilta' Gandhi l'aveva gia' sviluppata con vigore in Hind Swaraj: anch'egli soffermandosi sulla schiavitu' legata alla macchina ed al lavoro nelle fabbriche, la carenza di ideali ed il prevalere degli aspetti materiali dell'esistenza. Ma c'e' una differenza fondamentale. Schweitzer giudica da europeo: la crisi della civilta' europea gli sembra essere tutt'uno con la crisi della civilta' in generale. Tutti i popoli hanno dato quel che avevano da dare: non c'e' piu' nulla da aspettarsi. "Conosciamo gia' tutti i popoli della terra, non ve n'e' uno che gia' non prenda parte alla nostra civilta' in modo che il suo destino spirituale non sia determinato dal nostro" (5). Dalla crisi si esce attraverso una ricostruzione della civilta' sulle sue stesse basi. Per Gandhi, invece, le cose stanno diversamente. Le crisi della civilta' e', essenzialmente, crisi della civilta' europea. E' vero che anche il mondo indiano e' stato condizionato da tale civilta', ma non fino al punto di perdere la propria originalita'. La via d'uscita per Gandhi e' proprio qui: purificare la civilta' indiana dall'influsso europeo e proporla come unica vera alternativa alla civilta' europea. Gli inglesi hanno fatto dell'India un mercato per la propria civilta'. Gandhi, ristabilendo quel nazionalismo fatto di ideali di cui Schweitzer mostra il tramonto in Europa, intende liberare l'India dall'influsso occidentale e ristabilirla nella sua purezza. "La tendenza della civilta' indiana - si legge in Hind Swaraj - e' di elevare l'essere morale, quella della civilta' occidentale di propagare l'immoralita'" (6). Una semplificazione, indubbiamente. Altrove si trovano giudizi piu' ponderati. Quel che conta e' che questo progetto, finalizzato alla liberazione dell'India, viene perseguito con un metodo radicalmente nuovo, che fa di quel progetto un progetto di civilta', che si propone al mondo intero per la sua profondita' etica unita all'efficacia pratica. Il fatto che un popolo come quello indiano possa mostrare una via nuova al mondo intero esula dagli schemi della filosofia della civilta' di Schweitzer. E' qui la radice della incomprensione del profondo significato dell'esperienza gandhiana, da parte del filosofo alsaziano. * 3. Ottimismo e pessimismo, mistica ed etica L'origine dell'attuale crisi della civilta' e' da Schweitzer ricondotta al declino della filosofia nella seconda meta' del secolo XIX. E' in quel periodo che tramonta il razionalismo, l'unica filosofia in grado di diffondere e sostenere gli ideali della civilta' con la sua visione del mondo ottimistica ed etica. L'ingenua fiducia illuministica nella ragione e' abbandonata dal pensiero successivo. Gli idealisti cercano ancora di difendere gli ideali della civilta' ricorrendo alla speculazione metafisica, ma il loro sforzo e' vanificato dallo sviluppo delle scienze naturali, con il quale l'osservazione della realta' prende il posto della ricerca dell'ideale. Gli ideali vengono tratti dalla realta': di qui la caduta in uno stato di "incivilta' ed inumanita'" (7). La filosofia rinuncia al suo ruolo di guida della civilta' e diventa semplice erudizione, riflessione sui dati della scienza e sul suo stesso passato, distaccandosi dai problemi della vita reale. In Kultur und Ethik Schweitzer ricostruisce il percorso delle idee in Occidente. L'essenza della civilta' occidentale e' nel fatto che in essa la visione del mondo ottimistica e' riuscita a prevalere su quella pessimistica. "La storia della filosofia occidentale e' la storia della lotta per una visione del mondo ottimistica (optimistische Weltanschauung)" (8). La civilta' occidentale ha costruito, attraverso i suoi pensatori, una visione del mondo in grado di favorire l'affermazione del mondo e della vita, di sostenere il progresso, di alimentare gli ideali etici ed umanitari. Ora, per il processo descritto, non disponiamo piu' di una visione del mondo. Ottimismo e pessimismo sono le categorie fondamentali della Kulturphilosophie di Schweitzer. Alla civilta' occidentale, fondata sull'affermazione del mondo, contrappone quella orientale, a sfondo pessimistico, basata sulla negazione del mondo e della vita. La contrapposizione tra le due visioni e' sviluppata dal punto di vista specificamente religioso in una conferenza del 1922 sul Cristianesimo e le religioni universali (Das Christentum und die Weltreligionen). Schweitzer parlava a un pubblico di missionari ed aspiranti tali: il problema della conferenza era quello di difendere le ragioni del cristianesimo nel confronto con le altre grandi religioni. L'originalita' del cristianesimo e', appunto, nel fatto che in esso il pessimismo lascia il posto all'ottimismo, la liberazione dal mondo cede di fronte all'idea del Regno di Dio. Il messaggio del Vangelo non e' quello di rinunciare, ma di agire nel mondo nello spirito di Dio. Le religioni orientali, invece, sono puramente negative. Brahmanesimo e buddhismo sono accomunati da una medesima visione monistica e pessimistica: il mondo e' dolore, mutamento, morte. Incatenato al ciclo delle rinascite, l'uomo aspira alla liberazione dal mondo: quella del Buddha e' appunto una tecnica di liberazione finale dal mondo. Buddhismo e brahmanesimo predicano l'indifferenza, l'apatia, il distacco. Il limite di queste due grandi religioni e' per Schweitzer nella loro incapacita' di fondare e giustificare un'etica, di portare a quell'interesse per il mondo senza il quale non si da' alcuna reale moralita'. "Esse - scrive - sono mistiche che lasciano estinguere l'uomo in una Divinita' morta" (9). La religiosita' cinese, dalla quale Schweitzer appare affascinato, e' monistica, ma non pessimistica. Per Lao-Tze e Chuang-Tze il Divino non e' pura spiritualita', ma una forza che agisce nel mondo. Nemmeno il taoismo pero' e' in grado di giustificare l'azione etica, e cio' per il suo carattere monistico: e' il cielo ad operare il bene, all'uomo non resta che rinunciare all'azione ed attendere. Per quanto riguarda l'induismo, il discorso e' piu' complesso. Esso supera l'impersonalita' del Principio brahmanico e va alla ricerca di una Divinita' personale, con la quale il fedele possa entrare in un rapporto di comunione spirituale. L'India giunge cosi' al monoteismo, ma non ancora all'idea del Dio etico. L'induismo "non fa il passo decisivo" (10): il monoteismo e' costantemente minacciato dal politeismo, considerato da Schweitzer immoralistico. Confrontato con le religioni orientali, il cristianesimo appare meno logico. Non e' possibile rispondere razionalmente alla domanda sui rapporti tra Dio inteso come Persona etica e le forze che operano nel mondo. Il cristianesimo e' ingenuo: ma e', la sua, una ingenuita' superiore. "Vi sono due forme di ingenuita': una, che ancora non ha abbracciato ogni problema e ancora non ha bussato a tutte le porte della conoscenza, ed un'altra, piu' alta, che si ha quando il pensiero ha considerato ogni problema, ha tratto consiglio da ogni sapere e conoscenza e quindi riconosce che non possiamo spiegare nulla, ma dobbiamo seguire le convinzioni che si impongono a noi per il loro intimo valore" (11). Questa ingenuita' non si contrappone al razionalismo, ma lo completa. Il cristianesimo e' la religione che riesce a conciliare mistica ed etica, abbandono ed azione. E' una interpretazione che Schweitzer sviluppa nella sua piu' importante opera teologica, Die Mystik des Apostels Paulus, del 1930. Quella paolina non e', per Schweitzer, una mistica dell'unione con Dio, ma della comunione con il Cristo. L'esperienza che Paolo insegna non e' il semplice abbandono, ma la partecipazione al Regno di Dio tramite il morire e risorgere in Cristo. Partecipando al Regno di Dio, l'uomo diventa libero dal mondo, ma non indifferente a cio' che accade in esso: e' chiamato a testimoniare nel mondo lo Spirito, principalmente attraverso la sua condotta morale. "L'etica - scrive - e' per lui la necessaria dimostrazione che attraverso l'essere-in-Cristo e' gia' avvenuto il passaggio dal mondo naturale a quello soprannaturale" (12). Come cristiano, dunque, Schweitzer e' disposto al confronto onesto con le altre religioni ed all'esame razionale delle stesse verita' di fede, senza accordare al cristianesimo alcun privilegio aprioristico. Cio' che non e' assolutamente disposto a riconoscere e' che le diverse religioni, tutte caratterizzate da limiti ed imperfezioni nelle loro realizzazioni storiche, contengano elementi ideali ed etici che, adeguatamente sviluppati, possono diventare efficaci fattori di incivilimento. E' questa la posizione di Gandhi, per il quale tutte le religioni sono sullo stesso piano: cosa che non gli impedisce di dichiararsi induista. "E' oramai finito il tempo in cui i seguaci di una religione potevano fermarsi e dire, la nostra e' la sola e vera religione, tutte le altre sono false", scriveva Gandhi nel 1905 (13). Ai non induisti Gandhi chiede soltanto di seguire in modo piu' profondo le loro stesse religioni. A rendere possibile questa posizione gandhiana, al di la' della consuetudine giovanile con i teosofi, e' la presenza stessa nell'induismo di quell'elemento politeistico che Schweitzer ha tanto in orrore, e che invece ha l'effetto di favorire l'ecumenismo e l'apertura alle altre esperienze religiose. * 4. Il rispetto per la vita Le esigenze che lo Schweitzer teologo trova soddisfatte dal cristianesimo conducono lo Schweitzer filosofo della civilta' a teorizzare il rispetto per la vita. Anche in questo caso, si tratta di abbandonare la terraferma della logica per avventurarsi, spinti dalla necessita' etica, nel campo dell'illogico e del mistero. E' nel 1915, in Africa, durante un viaggio sul fiume Ogooye', che per la prima volta si affaccia alla mente di Albert Schweitzer l'idea del rispetto per la vita. Cosi' Schweitzer rievoca quella rivelazione: "Sopra un banco di sabbia, alla nostra sinistra, quattro ippopotami con i loro piccoli si muovevano nella nostra stessa direzione. In quel momento, nonostante la stanchezza, mi venne in mente l'espressione 'rispetto per la vita', che, per quanto io sappia, non avevo mai sentito ne' letto. Mi resi conto immediatamente che questa espressione aveva in se' la soluzione del problema che mi stava assillando" (14). L'Ehrfurcht vor dem Leben (giustamente J. Feschotte osservava che "rispetto" non traduce esattamente il tedesco "Ehrfurcht", che implica anche un senso di paura, preoccupazione, ansia per qualcosa o qualcuno (15)) s'impone alla sua coscienza come l'idea semplice ma potente - figlia forse anche del paesaggio orizzontale dell'Africa equatoriale - capace di condurre il pensiero morale fuori dallo scetticismo e dalle contraddizioni, e di rispondere alla crisi della nostra civilta'. La formulazione di questo principio e' di una semplicita' estrema: "E' bene mantenere e promuovere la vita; e' male ostacolare e distruggere la vita" (16). Sono le parole con le quali comincia la prima esposizione pubblica della concezione del rispetto della vita, in un sermone tenuto a Strasburgo nel 1919. Cio' che immediatamente risalta, in questo principio, e' il riferimento alla vita, e non piu' esclusivamente all'uomo; cosa che distingue l'etica schweitzeriana dalla tradizione etica occidentale, avvicinandola a quella orientale. Il pensatore alsaziano ne e' consapevole. Trattando dell'ahimsa jainistica, nel suo studio sul pensiero indiano, sostiene che il suo apparire e' "uno degli avvenimenti piu' importanti nella storia del pensiero umano" (17). E tuttavia il rispetto per la vita non e' una semplice riproposizione dell'ahimsa. Quest'ultima e' per Schweitzer una posizione puramente negativa, adeguata ad una cultura negatrice del mondo. L'azione violenta e' negata perche' e' azione che lega al mondo piu' di qualsiasi altra azione. L'ahimsa e', nell'interpretazione di Schweitzer, una pratica di liberazione, che non comporta una vera e propria cura per le creatura. Il rispetto per la vita e' invece amore attivo per tutto cio' che vive. Il rispetto per la vita ha, dunque, qualcosa in piu' rispetto all'ahimsa; ma ha anche qualcosa di meno. Per il suo carattere negativo, l'ahimsa si accorda perfettamente con la conoscenza del mondo: e' la conseguenza etica di una concezione del mondo monistica, che per il pensatore alsaziano e' l'unica logicamente accettabile. Cio' non e' consentito al rispetto per la vita, proprio perche' si tratta di un'etica autentica, attiva, profonda, e non di una forma di negazione della vita. Ma le esigenze etiche autentiche mandano in crisi il monismo, sono inconciliabili con una concezione del mondo. Perche' devo rispettare la Vita? Se osservo il mondo, devo concludere che la Vita e' una forza crudele e assolutamente indifferente al bene e al male. Che senso ha rispettarla? Abbiamo visto che per Schweitzer la crisi della civilta' e' dovuta al fatto che non disponiamo piu' di una visione del mondo in grado di sostenere i nostri ideali etici. La conclusione della sua riflessione sul problema e' che conoscenza del mondo ed etica autentica non sono conciliabili. L'etica deve fare a meno di una visione del mondo, della conoscenza del mondo cosi' com'e'. L'unica conoscenza necessaria e' quella che attingiamo guardando in noi stessi, interrogando la nostra stessa volonta' di vita. "La mia conoscenza del mondo e' una conoscenza esteriore, e resta sempre incompleta. Ma la conoscenza della mia volonta' di vita e' diretta, e mi porta al misterioso movimento della Vita, come e' in se stessa" (18). Per quale motivo la Vita, che nel mondo naturale si mostra indifferente al bene e al male, in noi diventa etica, e' una cosa che non possiamo comprendere. Eppure la necessita' di rispettare ogni vita, la sacralita' di ogni esistenza e' per Schweitzer un dato immediato, una verita' rintracciabile nella nostra interiorita' senza la mediazione della ragione. Non poche obiezioni sono state sollevate contro il rispetto per la vita. Molte di queste obiezioni rappresentano null'altro che la resistenza della cultura occidentale all'apertura dell'etica agli esseri non umani. In questo modo, si e' detto, saremo costretti a considerare sacra e rispettare anche l'esistenza di insetti molesti o germi patogeni. Si e' evocato il pericolo di una societa' che si autodistrugge per non uccidere altri esseri viventi. Naturalmente Schweitzer, come Gandhi, non intende perseguire il principio del rispetto per la vita fino a queste conseguenze. Quel che importa ad entrambi e' che, nello spirito dell'ahimsa, ogni violenza non strettamente necessaria nei confronti degli animali sia eliminata. La necessita' pratica di uccidere per sopravvivere non comporta alcune distinzione tra vite sacre e non sacre, vite che hanno valore ed altre che non ne hanno. Una tale distinzione conduce a considerare non condannabile la teoria della distruzione di quelle vite cui si riconosce minor valore. "Come vita senza valore si riconosce poi - ammonisce Schweitzer - a seconda delle circostanze tipi di insetti o popoli primitivi" (19). Accordare un valore alla vita che possiede alcune caratteristiche (intelligenza, coscienza, sensibilita') e' un errore pericoloso, perche' e' possibile che il criterio in base al quale giudicare del valore di una creatura si restringa fino a ridursi alla appartenenza a una razza o fede, al possesso di normali capacita' mentali o altro. La risposta di Schweitzer appare risolutiva, alla luce dei genocidi del Novecento. Ai fini del nostro discorso importano soprattutto le implicazioni politiche del rispetto per la vita. Come abbiamo visto, Schweitzer non intendeva soltanto rivoluzionare l'etica occidentale, ma anche, e soprattutto, indicare una via d'uscita alla crisi della civilta'. Purtroppo le indicazioni concrete su questo punto sono piuttosto vaghe. Nella nuova civilta', ognuno sara' in grado di conservare la propria natura umana; potra' essere materialmente e spiritualmente libero, ma sara' anche chiamato a prendersi cura della vita altrui. Le masse saranno spiritualizzate, indotte alla riflessione ed alla responsabilita'. Il pensatore alsaziano ripone tutte le sue speranze nella persona; si accorge che la storia gli da' torto, ma si dice costretto a sperare dal "coraggio della disperazione" (20). Soltanto questo primo risveglio della persona potra' rendere possibile il mutamento dello Stato moderno, che si trova sull'orlo del baratro a causa della crisi economica e dei conflitti politici, pur conservando un apparato gigantesco. Stato e Chiesa sono per Schweitzer due entita' indispensabili per l'umanita', ma che hanno bisogno di essere spiritualizzate. La semplice diffusione della concezione del rispetto per la vita operera' questa trasformazione, resistendo ai sorrisi di scherno con la sicurezza della "saggezza del domani" (21). Per quanto riguarda il problema economico, il rispetto per la vita chiede che le proprieta' vengano messe a disposizione della collettivita', ma liberamente, senza alcuna costrizione (22). Ancora una volta, sara' lo spirito del rispetto per la vita a compiere il miracolo. Come si vede, manca in Schweitzer qualsiasi concreta indicazione o proposta pratica. Quella del rispetto per la vita e' una concezione etica, spirituale, religiosa, ma non politica. La convinzione del pensatore alsaziano e' che, una volta cambiate le menti con la diffusione della nuova visione del mondo, la realta' politica, economica e sociale cambiera' radicalmente. La realta' e' molto diversa. Ogni progetto di spiritualizzazione o moralizzazione della politica deve prepararsi ad una lotta lunga, estenuante. In questa lotta cio' che conta e' la possibilita' di dimostrare l'efficacia pratica dei propri ideali. Quel che conta e' disporre, accanto ad una visione del mondo piu' o meno profonda, di un metodo d'azione adeguato, in grado d'incidere nella dura scorza della storia i segni dell'ideale. * 5. Etica ed agire mondano Veniamo al giudizio di Schweitzer su Gandhi. Del grande leader indiano Schweitzer apprezza l'"interesse per i problemi della vita sociale" (23) ed il tentativo di cambiare la struttura economica, che lo distingue abbastanza nettamente dai precedenti riformatori indiani, che si limitavano a raccomandare la beneficenza. Apprezza ancora la concretezza gandhiana, dimostrata dalla sua valorizzazione della tessitura; condivide sostanzialmente anche la sua diffidenza per le macchine. Gandhi riprende il principio dell'ahimsa, e lo reinterpreta in una prospettiva diversa. L'ahimsa indiana e' per Schweitzer, come abbiamo visto, un precetto meramente negativo, mentre Gandhi ne fa uno strumento in vista dell'affermazione del mondo. Ma questo passaggio non e' senza conseguenze. "Quando comincia ad agire nel mondo, l'ahimsa non e' piu' quel che e' in essenza" (24). La resistenza passiva gandhiana e' una degenerazione mondana dell'ahimsa. Si tratta, per il pensatore alsaziano, di null'altro che un uso dissimulato della violenza, di un "uso non-violento della violenza" (25), con il quale si fa pressione sull'avversario e lo si vince. Che la differenza tra le due cose sia relativa, lo dimostra l'agire stesso del Mahatma, che spesso ha aggredito - sia pure nonviolentemente - l'avversario, senza dargli alcuna reale possibilita' di accordo pacifico. "C'e' in lui un agitatore mai dominato abbastanza" (26). Schweitzer sembra ignorare la distinzione, fondamentale in Gandhi, tra satyagraha (nonviolenza del forte) e resistenza passiva (nonviolenza del debole) (27). La critica schweitzeriana puo' essere parzialmente condivisa se riferita alla seconda, ma e' fuori luogo se riferita al satyagraha, che non e' astensione dalla violenza per motivi tattici o di convenienza politica, ma rifiuto di essa per motivi morali, e non e' finalizzato alla sconfitta dell'avversario, ma alla sua conversione. Singolare e' la proposta di Schweitzer alternativa all'esperimento gandhiano. Il pensatore alsaziano pare preoccupato di distinguere bene la sfera spirituale da quella che definisce mondana, e che meglio possiamo definire politica. La colpa di Gandhi e', dunque, quella di aver contaminato le due sfere. "Ogni contaminazione di elementi essenzialmente differenti e' un'impresa innaturale e rischiosa", sentenzia. E per evitare questa contaminazione, propone di fare un "uso della violenza nello spirito della non-violenza", ricorrendo al minimo di violenza indispensabile, e giustificando tale ricorso con l'ispirazione etica che e' alla sua base. A Gandhi Schweitzer riconosce il merito di aver costretto l'etica moderna a riflettere sul fatto che l'uso della violenza "non viene legittimato eticamente solo dal fatto di perseguire un fine etico, ma occorre inoltre che essa venga impiegata all'interno di una disposizione puramente etica" (28). In realta' Gandhi ha fatto di piu': ha costretto il pensiero etico contemporaneo a riflettere sul rapporto tra fini e mezzi, sulla loro inscindibilita'. C'e' poca differenza tra il far violenza perseguendo un fine etico, o in una "disposizione puramente etica" (umanitaria, si direbbe oggi). La violenza e' un mezzo che non puo' essere legittimato in alcun modo ricorrendo all'etica e alla spiritualita'. Un'ultima critica riguarda la presenza, nel Mahatma, di elementi di negazione del mondo. Schweitzer ha buon gioco nel mostrare all'opera le tendenze negative del pensiero indiano nella esaltazione gandhiana della poverta' volontaria, nel suo rifiuto della medicina moderna, nel celibato. Vi sono in Gandhi elementi di ascetismo, che convivono con l'interesse e la pratica politica. "In un paradosso grandioso, Gandhi fonde l'idea dell'azione nel mondo con la negazione del mondo, perche' considera l'azione svolta quaggiu' in spirito di abbandono a Dio, come la forma suprema di rinuncia al mondo" (29). Questo paradosso e' lo stesso nel quale, come abbiamo visto, consiste per lo Schweitzer teologo la grandezza del cristianesimo: la capacita' di unire la liberazione dal mondo e l'azione in esso. Ma il cristianesimo e' illogico, ingenuo; il pensiero indiano, invece, pretende di conciliare conoscenza ed etica. In esso coesistono negazione ed affermazione della vita, e che la seconda si fa sempre piu' strada, man mano che si affaccia la necessita' dell'etica. I filosofi indiani contemporanei - da Ramakrishna ad Aurobindo, da Tagore a Gandhi - cercano in modi diversi di far spazio all'etica ed all'impegno. Ma per Schweitzer essi restano ancora legati alla tradizione, e non si decidono a compiere il passo decisivo, vale a dire quello di abbandonare ogni pretesa di conoscenza della realta' soprasensibile e seguire la via stessa dell'Occidente: la via della realta'. "Per progredire, il pensiero e', in qualche modo, costretto ad attraversare la valle dell'oggettivita'. Il pensiero europeo e' gia' sceso in quella vallata. Quello dell'India si trova ancora sul crinale che la precede. Se vuol raggiungere il crinale opposto, bisognera' che cominci a scendere" (30). L'atteggiamento nei confronti di Gandhi risente di questo giudizio sul pensiero indiano e della ricostruzione del suo sviluppo, sulla quale e' possibile avanzare piu' di qualche riserva (31). Preso dalle categorie della sua filosofia della civilta', il filosofo alsaziano non si accorge che l'esperimento del Mahatma apre, esso si', una nuova via. L'invito rivolto al pensiero indiano a scendere nella valle dell'oggettivita' puo' essere restituito a Schweitzer. L'oggettivita' e' quella dell'agire politico, della pianificazione economica, del progetto sociale. E' nella valle di questa oggettivita' che la spiritualita' schweitzeriana ha timore di scendere, gelosa della propria purezza. La commistione di etica e politica, di spiritualita' ed agire mondano sara' anche rischiosa, ma non e' affatto innaturale. Ogni autentica, profonda etica e' destinata a farsi politica, progetto storico. Ed e' alla rischiosita' di questo destino che e' affidata la possibilita' di una vera nuova civilta'. * Note 1. A. Schweitzer, Kultur und Ethik. Kulturphilosophie. Zweiter Teil, C. H. Beck, Muenchen 1953 (prima edizione 1923), p. XX. 2. A. Schweitzer, Verfall und Wiederaufbau der Kultur. Kulturphilosophie. Erster Teil, C. H. Beck, Muenchen 1923 ; tr. it., Agonia della civilta', Edizioni di Comunita', Milano 1963, p. 43. 3. Ivi, p. 38. 4. Ivi, p. 58. 5. A. Schweitzer, Agonia della civilta', cit., p. 64. 6. M. K. Gandhi, Hind Swaraj, in La forza della verita', tr. it., Sonda, Torino 1991, p. 227. 7. A. Schweitzer, Kultur und Ethik, cit, p. 7. 8. Ivi, p. 12. 9. A. Schweitzer, Das Christentum und die Weltreligionen, C. H. Beck, Muenchen s.d., p. 33. 10. Ivi, p. 41. 11. Ivi, p. 49. 12. A. Schweitzer, Die Mystik des Apostels Paulus, J. C. B. Mohr, Tuebingen 1954 (seconda edizione), p. 323. 13. M. K. Gandhi, La forza della verita', cit., p. 463. 14. A. Schweitzer, Rispetto per la vita, tr. it., Claudiana, Torino 1994, p. 15. 15. J. Feschotte, Alberto Schweitzer, tr. it., Curci, Milano 1955, p. 76, n. 2. 16. A. Schweitzer, Rispetto per la vita, cit., p. 27. 17. A. Schweitzer, Die Weltanschauung der indischen Denker, C. H. Beck, Muenchen 1934; tr. it. I grandi pensatori dell'India, Donzelli, Roma 1997, p. 53. 18. A. Schweitzer, Kultur und Ethik, cit., p. 201. 19. A. Schweitzer, La mia vita e il mio pensiero, tr. it., Edizioni di Comunita', Milano 1977, p. 210. 20. A. Schweitzer, Kultur und Ethik, cit., p. 259. 21. Ivi, p. 264. 22. Cfr ivi, p. 240. 23. A. Schweitzer, I grandi pensatori dell'India, cit., p. 139. 24. Ivi, p. 142. 25. Ibidem. 26. Ibidem. 27. Sulla distinzione, cfr G. Pontara, Il pensiero etico-politico di Gandhi, in M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, pp. XXIV segg. 28. A. Schweitzer, I grandi pensatori dell'India, cit., p. 143. 29. Ivi, p. 145. 30. Ivi, p. 158. 31. Si vedano ad esempio le osservazioni di Saverio Marchignoli sulla interpretazione della Bhagavad-Gita, ivi, p. XIII. 4. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI FRANCESCO D'ASSISI Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto di Francesco d'Assisi. * "Coloro poi che hanno ricevuto la potesta' di giudicare gli altri, esercitino il giudizio con misericordia..." (Francesco d'Assisi, dalle Lettere, in Fonti francescane, Edizioni Messaggero di S. Antonio, Padova 1983, p. 153). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 970 del 23 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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