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La nonviolenza e' in cammino. 912
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 912
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 27 Apr 2005 02:02:35 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 912 del 27 aprile 2005 Sommario di questo numero: 1. Anna Bravo: La Resistenza nonviolenta 2. Monica Lanfranco: Piovono pietre 3. Benito D'Ippolito: En alabanza de un carpintero llamado Ricardo Orioles 4. Stefania Giorgi: Dal genio al gender 5. Vittoria Franco: Per consentire la vita e la nascita 6. Riedizioni: Victor Codina: Cos'e' la teologia della liberazione 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ANNA BRAVO: LA RESISTENZA NONVIOLENTA [Ringraziamo di cuore Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 26 aprile 2005. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003] Al tempo della seconda guerra mondiale, in Europa e negli Stati Uniti circolava l'espressione "sdraiarsi come un danese" La Danimarca non si era opposta con le armi all'occupazione nazista, il governo socialdemocratico, pur protestando contro la violazione della neutralita', era rimasto in carica, aveva consentito alla messa fuori legge dei comunisti, si lasciava usare come "vetrina democratica" del III Reich, collaborava mantenendo relazioni economiche con la Germania. Dunque la Danimarca si era "sdraiata", allo stesso modo di una donna che si sottometta all'assalto maschile - i discorsi politici ricorrono spesso a metafore sessuali. Strana collaborazione, pero', lontanissima dallo zelo della Francia di Vichy. Visto che la Germania ha sottoscritto un memorandum in cui si impegna a non ingerirsi negli affari interni danesi, il governo sceglie di prenderlo alla lettera, muovendosi sul filo del rasoio con la tattica del "come se": come se la Germania intendesse davvero rispettare i patti, come se la minuscola Danimarca potesse negoziare da pari a pari. A volte ci riesce. Nell'ottobre 1942, Hitler deve rinunciare a far introdurre nel paese leggi antiebraiche, perche' il governo minaccia di dimettersi, dichiarando che qualsiasi attacco agli ebrei danesi equivale a un attacco alla Costituzione, in cui e' garantita l'uguaglianza di tutti i cittadini. Intanto, non solo a a Copenaghen, molti e molte smettono repentinamente di parlare e di capire la lingua tedesca, e il rifiuto dell'antiebraismo e' cosi' diffuso e palese che fra i gerarchi nazisti nascono divergenze su come gestire la situazione. Nell'agosto '43, di fronte alla pretesa tedesca di schiacciare con la legge marziale una ondata di scioperi, il governo si autoscioglie, dando una enorme legittimazione alla pressoche' neonata resistenza. Poco dopo, a cavallo fra settembre e ottobre, la storia piu' ammirevole. Quando gli occupanti cominciano ad arrestare in prima persona gli ebrei e progettano la loro deportazione in massa, ecco che la popolazione - si puo' davvero dire "la popolazione" - si organizza. Il rabbino della sinagoga di Copenaghen comunica ai fedeli la minaccia; la resistenza, i partiti, le Chiese, la diffondono con i loro canali. I cittadini attivano tutto il loro tessuto associativo, nascondono i ricercati, raccolgono denaro per affittare un numero di barche suffficiente a caricare in poche riprese migliaia di persone, li accompagnano nottetempo ai luoghi di imbarco, mentre lungo strade e sentieri di campagna vigilano i membri della resistenza; infine li traghettano nella sicura Svezia. Hanno collaborato almeno quaranta associazioni di vario tipo, organi amministrativi, la polizia, la guardia costiera - per questo alcuni poliziotti finiranno in Lager. Grazie al popolo "sdraiato", piu' del 90% dei 7.695 ebrei danesi passa dalla parte dei salvati. Esempio unico, che alcuni autori hanno cercato invano di relativizzare, e che, ha scritto Hannah Arendt, dovrebbe essere proposto agli studenti di scienze politiche, perche' capiscano a quali risultati puo' arrivare una lotta nonviolenta, sorretta da un buon livello della coesione sociale e del riconoscimento popolare nelle istituzioni. * Prima ancora che nasca una resistenza armata, pratiche conflittuali inermi si sviluppano in tutta Europa: si va dalla non cooperazione agli scioperi, dalle proteste pubbliche per la penuria di viveri, alla protezione dei piu' vulnerabili, alla resistenza alle razzie di lavoratori da gettare nelle fabbriche del III Reich. In Polonia, si crea una rete di scuole clandestine contro il disegno nazista di ridurre quel popolo alla condizione servile. Soprattutto nei paesi del nord, insegnanti, magistrati, medici, sportivi, spesso appoggiati dalle Chiese, rifiutano di iscriversi ad associazioni di mestiere nazificate; in Norvegia non ci sara' piu' alcuna gara fino alla conclusione della guerra - il che contribuisce a aprire gli occhi a molti giovani. Ovunque durissimo, il braccio di ferro porta ad arresti e deportazioni, ma le istituzioni collaborazioniste sono completamente svuotate, la parvenza di normalizzazione cui aspirano gli occupanti resta un miraggio. Pochissime, almeno fino agli anni novanta, le ricerche che mettono a tema il carattere disarmato di queste lotte, e dovute quasi esclusivamente a studiosi dell'area nonviolenta, fra cui lo storico francese Jacques Semelin. Elaborando alla fine degli anni Ottanta il concetto di resistenza civile, Semelin da' a queste pratiche eterogenee un solido statuto teorico, e ne chiarisce la specificita': assenza delle armi e metodi in genere nonviolenti, i cittadini come protagonisti principali, autonomia degli obiettivi, diretti a contrastare lo sfruttamento e il dominio nazista sulla societa'. Altra cosa, e piu' complessa, del ruolo di appoggio e supporto alla resistenza armata, che pure conta ed e' prezioso. * Ancora oggi, nell'opinione comune e nella ritualita' ufficiale, e' solo quest'ultimo aspetto a essere ricordato. Cosi' anche in Italia. Sull'onda dell'attenzione di Carlo Azeglio Ciampi per il rapporto fra identita' nazionale e resistenza, le celebrazioni del 25 aprile si sono aperte da tempo all'esperienza dei civili, presentati come attori solidali e sofferenti, pero' calati e confusi in una massa indistinta, gregaria alla lotta in armi. Diversamente che nel dibattito storiografico, quasi mai si parla della resistenza disarmata come di una realta' autonoma. Eppure anche da noi e' esistita, ed ha avuto il suo momento unico, iniziato e cresciuto nei giorni dopo l'8 settembre, quando alla notizia dell'armistizio con gli alleati l'esercito si dissolve, e decine di migliaia di militari si sbandano sul territorio nazionale, braccati da tedeschi e fascisti. Sulle strade - scrive Meneghello ne I piccoli maestri - si vedevano "file praticamente continue di gente, tutti abbastanza giovani, dai venti ai trentacinque, molti in divisa fuori ordinanza, molti in borghese, con capi spaiati, bluse da donna, sandali, scarpe da calcio... Pareva che tutta la gioventu' italiana di sesso maschile si fosse messa in strada, una specie di grande pellegrinaggio di giovanotti, quasi in maschera, come quelli che vanno alla visita di leva". Dietro quei capi sottratti ad armadi gia' sguarniti, indossati in case cautamente ospitali o in luoghi appartati, si nasconde una iniziativa di massa del tutto indipendente da direttive politiche, e carica di rischi - presa in ostaggio, deportazione, fucilazione. E' la piu' grande azione di salvataggio della nostra storia, e una testimonianza che fra popolazione e nazisti/fascisti si e' aperto un contenzioso su aspetti cruciali dell'esistenza collettiva e della legittimita' pubblica, come i criteri di innocenza e colpevolezza. E' politica, che altro? Solo che a agire sono per lo piu' donne, e donne odiosamente definite "umili", donne ritenute incompatibili con la sfera pubblica, che operano individualmente o ricorrendo a reti di relazione parentali, di comunita', di vicinato - strutture basilari della coesione sociale, pero' invisibili alle categorie dell'analisi politica. In quegli anni si incontrano storie belle e importanti, che andrebbero raccontate in ogni occasione, pervicamente. Che aiuterebbero a ripensare il tema della responsabilita' personale nella guerra e nella resistenza. E' vero che la lotta armata chiede corpi giovani e sani, che non tutti possono sparare, vivere in clandestinita', reggere grandi fatiche; ma il quadro cambia se si pensa a una resistenza diversa, praticabile in molti piu' luoghi e forme, accessibile a molti piu' soggetti, dalla madre di famiglia al prete al nonviolento, a chi ha un'eta' anziana o e' fisicamente debole. "Fai come me" e' un invito che il resistente civile puo' estendere ben al di la' di quanto possa fare il partigiano in armi, e che mina alle radici una infinita' di autoassoluzioni. * Quelle storie aiuterebbero anche a smontare lo stereotipo della nonviolenza come utopia per anime belle. Niente affatto. Nel '43, poteva apparire del tutto irrealistico tentare un salvataggio degli ebrei con mezzi nonviolenti, in un paese sotto legge marziale direttamente controllato dai nazisti. Guardando all'oggi, nessuno aveva previsto le rivoluzioni incruente all'est, e c'e' chi diffida dei militanti di Otpor, l'organizzazione serba per la resistenza civile contro Milosevic, che girano l'Europa per insegnare le tecniche non armate, ma che devono pur avere altri fini! - la nonviolenza da sola non varrebbe la pena. Non era utopica neppure la lunga resistenza civile della popolazione kosovara; e' stata ottusa la comunita' internazionale a non sostenere decisamente Rugova, una scelta che nel tempo ha minato la fiducia nella strategia nonviolenta dando spazio all'Uck. * La seconda guerra mondiale ha ancora molto da dire, a cominciare da quel che si intende per contributo di un paese o di un gruppo alla lotta antinazista (e a qualsiasi lotta). Oggi lo si valuta ancora in termini di morti in combattimento; sarebbe giusto, tanto piu' in tempi di guerre contro i civili, misurarlo anche sulla quantita' di energie, di beni, soprattutto di vite strappate al nemico; sul sangue risparmiato non meno che sul sangue versato. 2. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: PIOVONO PIETRE [Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: mochena at tn.village.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 26 aprile 2005. Monica Lanfranco, giornalista professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995 ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della partoriente (La Clessidra). E' stato pubblicato recentemente il suo libro, scritto insieme a Maria G. Di Rienzo, Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del movimento delle donne e sulla comunicazione] Devono esser di misura media, ne' troppo piccole, semplici sassolini fastidiosi, ne' troppo grandi. Le pietre da usare per uccidere chi si condanna alla lapidazione non devono ammazzare subito, secondo l'interpretazione piu' rigorosa della shari'a islamica. Il corpo del condannato uomo deve essere immesso nella fossa che impedisce i movimenti fino alla vita, mentre quello femminile e' interrato fino al petto. Per le donne, di conseguenza, si mira specialmente al volto, alla testa, unica superficie disponibile. La morte sopravviene, in ordine di tempo, molto piu' tardi rispetto ad altre metodologie: impiccagione, sedia elettrica, taglio della testa, fucilazione, veleno sono piu' rapide. La lapidazione e' una pena capitale ancestrale, la piu' feroce, per la sua lentezza e per il legame diretto, quasi fisico, che crea tra il carnefice e la sua vittima. La pietra e' un elemento naturale e facilmente disponibile, chi la tira dosa con la sua forza il lancio, considera con gli occhi la mira verso il bersaglio. Niente a che vedere con la freddezza e la mediazione del ferro dell'ascia e del fucile, o del pulsante che si preme per dare corso alla scarica elettrica, o al flusso di veleno letale. Non sapremo mai quanto tempo ci e' voluto perche' Amina smettesse di respirare, ma e' cosi' che e' morta, in Afghanistan, due giorni fa, a ventinove anni, in un villaggio del nordovest di questo sventurato paese, perche' "adultera". Questo il suo reato. Il marito, fuori dal paese da cinque anni, era tornato, e aveva scoperto la relazione della giovane moglie con un altro uomo, al quale e' stata inflitta la pena di cento frustate. Lui, almeno, e' vivo. Sebbene alcune fonti parlino di una inchiesta che sarebbe partita dalla polizia locale sulle cause del delitto, sulla sua dinamica, sui mandanti religiosi della comunita' locale e sui responsabili materiali, un solo fatto e' certo: questa lapidazione non e' l'unica, ne' l'ultima, dalla fine del regime talebano. Nonostante la messa al bando delle pene corporali da parte del regime Karzai, una delle poche vittorie per le donne ottenute sulla carta grazie alle pressioni dei movimenti presenti in Afghanistam, come Rawa e Hawca, e a quelle delle organizzazioni umanitarie internazionali, le voci secondo le quali il paese, specialmente nelle zone lontane dalla capitale, e' ancora saldamente in mano ai fondamentalisti trovano cosi' una agghiacciante conferma. Si rischia la condanna alla lapidazione, nel mondo, in paesi poveri come il Pakistan, il Bangladesh, lo Yemen come nei ricchi Emirati Arabi, e poi in Iran, Sudan, Somalia, Nigeria, quest'ultima balzata alle cronache per i casi di Safya Husseini e di Amina Lawal, salvate grazie alla enorme mobilitazione internazionale messa in moto da Amnesty International. Di quest'altra Amina, che di cognome faceva Aslam, non si sapeva nulla, come per la ragazzina di tredici anni, arrestata con altre amiche tutte sotto i sedici anni, impiccata qualche mese fa da un tribunale islamico in Iran, perche' aveva osato prendere parola e difendersi dall'accusa di essere uscita da sola. Buio sulla sorte delle altre. Fin qui la cronaca, e se si ha lo stomaco forte per apprendere altre notizie si puo' visitare la galleria dell'orrore sulla pratica legale dell'assassinio per lapidazione, lunga e zeppa di recenti vittime, al sito www.squilibrio.it/index.php?idcontainer=54. * Proviamo a lenire l'angoscia con alcune riflessioni, per cercare di capire da dove attinge il consenso a questa pratica. Le tracce della morte per lapidazione sono presenti sia nella Bibbia sia nel Corano, i due testi ai quali le tre grandi religioni del libro fanno riferimento, testi con i quali da secoli tutta l'umanita', nel suo attraversare il tempo e lo spazio, si confronta, interpreta, rifiuta. Comunque sia, si tratta di parola umana maschile, che detta legge sui corpi e sulle menti delle donne, e definisce le gerarchie, tra generi e generazioni. Una parola di uomo che diventa Legge, e mette in guardia le donne dal trasgredire l'ordine di sottomissione, di fedelta', di proprieta' al padre, al marito, al fratello, al figlio maschio. Molti i motivi indagati alla base di questo meccanismo: bisogno di controllare cio' che non e' controllabile, ovvero una sessualita' non evidente, una potenzialita' creativa che puo' far paura e che e' una risorsa di potere, economica, simbolica straordinaria: quella della vita, che si puo' contenere solo con l'esclusivita' e il possesso. Ignoranza, superstizione, poverta', che generano in una spirale senza fine disprezzo e violenza per chi e' piu' debole fisicamente, piu' esposta al ricatto, piu' dipendente, come lo sono le donne quando non hanno i diritti fondamentali di autodeterminazione, quando vivono in luoghi nei quali non possedere il pene e' sinonimo di destino, e non di scelta. Il fondamentalismo di ogni matrice pesca qui la sua forza e cresce cosi' i suoi eserciti di uomini feroci e donne dimidiate nella loro umanita', che possono solo generare a loro volta, con i figli maschi, i peggiori nemici per loro e per altre donne. E' Shirin Ebadi, a dire, in uno dei suoi discorsi dopo il conferimento del Nobel, dell'emergenza che grava sul mondo: "Come ci si puo' aspettare che una donna, i cui diritti sono stati costantemente violati e disattesi, che vive la sua vita nell'incertezza e nell'eccesso di lavoro, che non ha avuto spazio sufficiente per sviluppare il suo potenziale umano, che di continuo e' stata ferita e tenuta in disparte, sia capace di trasmettere valori di cui non ha fatto esperienza, quali l'autostima o il rispetto dei diritti altrui o il rigetto della violenza, mentre cresce il suo bambino? E' difficile trovare un paese in cui le donne non siano esposte a discriminazioni o a sfruttamento sessuale, e ricevano eguali opportunita' per sviluppare pienamente i loro talenti". Gia', nessun paese ne e' immune. Due giorni fa Amina perdeva la sua vita in una lontana e desolata regione dell'Afghanistan; due giorni fa una ragazzina di sedici anni, nel foggiano, in Italia, finiva la sua vita appena sbocciata con una pietrata alla testa per mano del suo spasimante di appena ventisei anni. Anche lui, probabilmente, credeva che la sua giovane fidanzata dovesse essere solo sua. Si parlera' di raptus, certo, e sara' vero. Ma quel sasso a me sembra lo stesso, dovunque venga lanciato contro una donna, quando la si punisce per aver peccato contro la legge del padre. Continuo a pensare che la violenza contro le donne, nell'escalation che porta fino alla lapidazione e che vede molte tappe nella sua via crucis sia un'emergenza inascoltata perche' pensiamo non ci riguardi, e invece ci tocca eccome, anche se facciamo finta di non rendercene conto, e la alimentiamo con la nostra indifferenza. 3. RESISTENZA. BENITO D'IPPOLITO: EN ALABANZA DE UN CARPINTERO LLAMADO RICARDO ORIOLES [Ci scrive il nostro amico Benito D'Ippolito: "Il titolo e' una reminiscenza - e un omaggio - a una poesia (En alabanza de un carpintero llamado Alfonso) di Nicasio Alvarez de Cienfuegos, l'autore di quella 'Rosa del desierto' che verosimilmente e' una delle fonti della Ginestra leopardiana. Erra, ahime', nello stabilire la genealogia del tema la nota di commento in Cienfuegos, Poesias, Castalia, Madrid 1969, 1980, p. 148; Cienfuegos mori' nel 1809, Leopardi compose la Ginestra - titolo completo, come ognun sa: 'La Ginestra / o il fiore del deserto' - nell'ultima fase della sua vita, probabilmente nel 1836 (si spense nel 1837, era nato nel 1798); sull'argomento cfr. anche Franco Meregalli, Presenza della letteratura spagnola in Italia, Sansoni, Firenze 1974, p. 55, e Walter Binni, La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze 1973, 1977, nota a p. 235. E visto che il filologo per diletto e' all'opera: a p. 165, proprio nel testo di En alabanza..., nell'ed. cit. (curata da Jose' Luis Cano, edizione che al di la' delle mende che qui segnaliamo resta semplicemente ammirevole) e' saltato un verso: cfr. la nota di Polt in John H. R. Polt (a cura di), Poesia del siglo XVIII, Castalia, Madrid 1987, p. 341. Chi scrive ignora se vi sia una traduzione italiana di Cienfuegos. En alabanza..., scrive Cano, 'es seguramente el poema mas revolucionario de Cienfuegos': forse non e' fuori luogo ricordarlo qui". Benito D'Ippolito e' uno dei piu' assidui e insieme per cosi' dire piu' schivi e riottosi collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at libero.it) e' giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura attualmente in rete "Tanto per abbaiare - La Catena di San Libero", un eccellente notiziario che puo' essere richiesto gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999). E' tale il rigore intellettuale e morale, il nitido impegno civile di Riccardo Orioles, che da anni la sua attivita' giornalistica si esercita al di fuori della certezza di una retribuzione, senza la copertura di una scrivania in una redazione, donando del tutto gratuitamente gli articoli della sua newsletter "Tanto per abbaiare - La catena di San Libero" a quei mezzi d'informazione che vogliano farne uso, alle persone che leggerli desiderano. Cosicche' non sara' fuori luogo invitare qui chi legge queste righe a sostenere questa straordinaria esperienza giornalistica: la "Catena di San Libero" e' una e-zine gratuita, indipendente e senza fini di lucro, non ha collegamenti di alcun genere con partiti, lobby, gruppi di pressione o altro; esce dal 1999. Viene inviata gratuitamente a chi ne fa richiesta; per riceverla, o farla ricevere da amici, o per collaborare ad essa, o anche solo per criticarla, basta scrivere a: riccardoorioles at libero.it Chi desiderasse contribuire alle spese puo': a) fare bonifico su: Riccardo Orioles, conto BancoPosta 16348914 (abi 07601, cab 16500); b) effettuare ricarica telefonica (Tim) sull'utenza 333.7295392. Non occorre aggiungere che l'Alonso Quijano evocato nel sonetto, quando si fece cavaliere errante assunse il nome - glorioso nome, e imperituro - di don Quijote de la Mancha] Restar fedele al vero ed all'umano seguire ancora l'ardua e strana via che insegno' e conobbe il buon Quijano scelse Riccardo Orioles. Se follia fu o saggezza, se incanto o malia nulla rileva, ma se anche un sol grano di quel suo seminare cortesia fruttifica, non sara' stato vano un cosi' lungo andare per deserti un cosi' strenuo raddrizzare torti un cosi' saldo aver pieta' dei morti e dei viventi, e suscitare forti nuovi compagni alla lotta, gli inerti scuotendo ed avviando agli alti merti. 4. RIFLESSIONE. STEFANIA GIORGI: DAL GENIO AL GENDER [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 aprile 2005. Stefania Giorgi e' giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e illuminanti, su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di difesa intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del pensiero delle donne. Joseph Ratzinger, per molti anni in Vaticano prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e' ora pontefice cattolico col nome di Benedetto XVI] "Esperta in umanita', la Chiesa e' sempre interessata a cio' che riguarda l'uomo e la donna. In questi ultimi tempi si e' riflettuto molto sulla dignita' della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della comunita' civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all'approfondimento di questa fondamentale tematica, in particolare con l'insegnamento di Giovanni Paolo II, la Chiesa e' oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le cui tesi spesso non coincidono con le finalita' genuine della promozione della donna". Cosi' l'incipit della "Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo" che portava la firma del cardinal Joseph Ratzinger, allora - 31 luglio 2004 - prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e oggi papa Benedetto XVI. Un documento che riassumeva, per cosi' dire, il segno del dialogo ininterrotto del pontificato wojtyliano con il "genio profetico" delle donne. E che non manco' di provocare letture e giudizi molto diversi tra loro e in qualche caso contrastanti, anche sul "Manifesto". Sulla capacita' dell'unica grande istituzione monosessuata rimasta nel mondo di farsi interrogare dal mutamento femminile che abita e segna il mondo ma anche sulle sue reticenze, omissioni e chiusure dottrinali nell'indicare pericoli, stabilire recinti, vie d'uscita. A partire dalla pretesa di orientare le relazioni tra i sessi sulla base del versetto della Genesi "Maschio e femmina li creo'". Differenza sessuale, dunque, stabilita sulla base dell'ordine voluto dal Creatore, e incardinata sull'antropologia biblica. Prima Dio, poi gli uomini e infine le donne. Con una serie di no e di si' aggiornati per la dottrina cattolica: no al divorzio; no al sacerdozio femminile (ma promuovendo un ruolo crescente della donna nella Chiesa); si' alla partecipazione della donna alla vita pubblica (un "segno dei tempi") purche' non leda la sua "vocazione" alla maternita'; si' alla famiglia, e solo a quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. * Capace di lasciarsi interrogare dal portato umano e sociale della rivoluzione femminista, collocandolo al giusto livello dell'antropologia politica e non della contabilita' dei diritti e dei poteri, al punto di essere in grado di delineare le diverse tendenze al suo interno, la "Lettera" individua due fronti di pericolo: da una parte quel femminismo che tende ad "assimilare in tutto" la donna all'uomo, rivendicativo e paritario, potremmo tradurre senza tema di smentita. Quel femminismo che "sottolinea fortemente la condizione e la subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione". Che la fa reagire agli abusi di potere "con una stretegia di ricerca del potere". Con il risultato di una "rivalita' tra i sessi" e una "confusione deleteria" in primo luogo per la famiglia. Ma il secondo, forse piu' importante, fronte da combattere e' quello indicato come "gender theory" (o meglio il "gender trouble" di Judith Butler, evocata ma non esplicitamente citata nel testo). Ovvero con la teoria che contesta l'identita' compatta (biologica) del genere femminile per aprire alla soggettivita' femminile tutto il campo possibile delle scelte sessuali, sociali, politiche, discorsive, di pensiero. "Ideologia di gender" che si va affermando nella cultura nordamericana e secondo la quale - come la interpreta Ratzinger -, ciascuno/a ha il diritto di scegliere il proprio genere. Minacciando la famiglia "per sua indole bi-parentale", propugnando "l'equiparazione dell'omosessualita' all'eterosessualita'", in un "modello nuovo di sessualita' polimorfa". * Un documento che nomina la differenza femminile come vocazione relazionale della donna (la "capacita' dell'altro") ma stigmatizza la liberta' femminile, la possibilita' di "esistere per se stesse". Differenza relazionale, dunque, costitutiva dello statuto umano e sessualita' come dimensione "non solo fisica ma psicologica e spirituale". Una lettura nuova che pero' sembra aprirsi a esiti antichi e scontati. Perche' tace e omette su piu' fronti. In primio luogo non riconosce molte fonti di questa sua ispirazione: il femminismo cattolico, la teologia femminista, il pensiero della differenza sessuale. Ma tace soprattutto sulla differenza maschile non chiamandola alla prova di quella "reciprocita'" tanto invocata. Lasciandola fuori e indenne alla capacita' relazione delle donne. Ratzinger invita uomini e donne a "esistere per l'altro", nomina l'uomo e la donna nel titolo per poi occuparsi esclusivamente della "questione femminile". Lo scambio, il conflitto fertile, annegano cosi' in un orizzonte nuziale e complementare del rapporto tra i sessi, a vantaggio degli uomini ovviamente. Con il "genio delle donne" inchiodato all'accoppiata amore/oblativita'/dolore incarnato da Maria, "benedetta fra le donne"... 5. RIFLESSIONE. VITTORIA FRANCO: PER CONSENTIRE LA VITA E LA NASCITA [Dal sito www.comitatoreferendum.it riprendiamo il seguente intervento di Vittoria Franco. Vittoria Franco e' senatrice della Repubblica; laureata in filosofia, insegna storia delle dottrine politiche ed e' ricercatrice alla Scuola normale superiore di Pisa. Ha pubblicato volumi e saggi di teoria morale e politica; collabora a riviste specializzate e ha fatto molti viaggi di studio in Francia, Stati Uniti, Germania, Ungheria e in altre parti del mondo; come studiosa le sue ricerche attuali riguardano questioni di etica e di teoria politica; sta lavorando a un'indagine storica e teorica sul concetto di responsabilita' e a una monografia sul pensiero di Hannah Arendt. Presidente dell'Istituto Gramsci toscano, che ha contribuito a ricostruire e a rilanciare promuovendo incontri, ricerca, convegni con personalita' prestigiose su vari problemi della societa' che cambia: bioetica, storia, letteratura, filosofia, riflessione femminile, temi di attualita', corsi di formazione politica; si e' dedicata a fare dell'Istituto anche un luogo importante di memoria storica con la raccolta di archivi del Pci e di figure di rilievo della politica e della cultura; e' anche presidente dell'Associazione nazionale Gramsci, che raccoglie gli Istituti presenti su tutto il territorio nazionale. Tra le pubblicazioni di Vittoria Franco: Intellettuali e irrazionalismo, Ets, Pisa 1984; "Razionalita' e razionalizzazione: categorie di una modernita' imperfetta", in Disincanto e ragione. Filosofia, valori e metodo in Max Weber, Dedalo, Bari 1987; Introduzione a G. Lukacs, La responsabilita' del filosofo, Lucca, 1989; L'ateismo religioso fra disincanto e reicanto. Max Stirner e alcune interpretazioni di Dostoevskij fra ottocento e novecento, in "Dimensioni", 56-57, 1992; Etica femminile e potere, in Il femminile tra potenza e potere, Roma, 1995; Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio, Donzelli, Roma 1996; Martin Heidegger: dall'oblio dell'essere all'oblio dell'etica, in Le parole della filosofia, Massa, 1997; Individuo e liberta' in Isaiah Berlin e Hannah Arendt, in "La societa' degli individui", 2, 1998; Boetica e procreazione assistita, Donzelli, Roma] In circa un anno di applicazione la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita ha gia' prodotto effetti negativi tangibili. Essa ha creato disordine e disorientamento; sono aumentati i viaggi all'estero, in Spagna, in Svizzera, a Malta, in Slovenia e in numerosi altri paesi; sono raddoppiati i costi degli interventi, sta crescendo un business internazionale su una legge eccessivamente proibitiva del nostro Paese a favore delle coppie piu' facoltose, come era facile prevedere. Viene introdotto un criterio economico di selezione e si crea diseguaglianza e ingiustizia. Il limite imposto dalla legge dei tre embrioni da trasferire in ogni caso, anche se malati e non di buona qualita', ha ridotto le percentuali di successo, e' diminuito il numero delle nascite e, paradossalmente - considerata l'ispirazione fondamentale della legge - sta aumentando il numero di embrioni congelati abbandonati. Gli ostacoli da superare sono cosi' tanti che si diffonde disamore verso le tecniche di fecondazione assistita. La richiesta di referendum per abrogare non l'intera legge, ma le sue parti piu' crudeli e' dunque pienamente giustificata. Quali sono le parti che si chiede di abrogare? * Un primo quesito chiede di cancellare l'articolo 1 che attribuisce "eguali diritti a tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito". Questo e' il passaggio che fornisce l'impianto a tutta le legge, stabilendo una sorta di sacralita' a una entita' preembrionale, che diventa intangibile e inviolabile. Si stabilisce un piano di parita' fra quell'entita' e chi deve accoglierla perche' possa svilupparsi e arrivare alla nascita. Ma risulta subito evidente che quel piano di eguaglianza non puo' tenersi; esso si trasforma immediatamente in una gerarchia che vede al primo posto l'embrione e all'ultimo la madre. I diritti dell'embrione diventano cosi' forti da fagocitare tutti gli altri. Le conseguenze maggiori ricadono sulla salute della donna. * Infatti, nel nome della sacralita' del concepito, viene vietato di fecondare piu' di tre ovociti e di congelare gli embrioni (oltre che di utilizzarli per la ricerca scientifica). Insieme con questo divieto va l'obbligo di trasferirli tutti nell'utero, anche se risultassero non di buona qualita' (dunque destinati a non impiantarsi) o malati, salvo poi abortire. Le conseguenze del combinato disposto di obblighi e divieti e' che la donna deve sottoporsi a stimolazioni ormonali, prelievo di ovociti ecc. a ogni nuovo ciclo. La possibilita' di crioconservare gli embrioni costituisce uno dei progressi piu' importanti nell'ambito della fecondazione assistita: essa ha consentito di elevare le possibilita' di successo delle tecniche, di osservare meglio gli embrioni e di trasferire solo quelli di buona qualita', uno o due, secondo gli standard internazionali. Gli altri si congelano e si riutilizzano per ulteriori tentativi, nel caso il primo non dia luogo a gravidanze, o per avere un secondo figlio. L'obbligo di trasferire tutti e tre gli ovociti fecondati senza possibilita' per il medico di ponderare la scelta, ad esempio a seconda dell'eta' della donna, ha come conseguenza che in una donna piu' avanti negli anni nessuno si impianti ed e' necessario ricominciare tutto dall'inizio, mentre per una donna piu' giovane possono svilupparsi tutti e tre gli embrioni dando luogo a gravidanze plurigemellari con i rischi conseguenti per la salute della madre e dei nascituri (handicap, morte per nascita prematura, ecc.). Il congelamento degli embrioni non e' vietato da nessuna legislazione al mondo proprio perche' presenta molti vantaggi per la salute dei soggetti interessati. Anche la Germania, che ha una legge molto restrittiva, lo consente sia pure per una fase precedente, quella dello zigote. * Un terzo quesito riguarda la liberta' di ricerca e la possibilita' di usare gli embrioni che non dispongono piu' di un progetto parentale per far progredire le conoscenze e migliorare le possibilita' di cura per malattie oggi inguaribili: l'alzheimer, il parkinson, la fibrosi cistica, ma anche il diabete, il cancro o patologie che oggi richiedono il trapianto di organi. Le cellule staminali sono cellule non specializzate, in grado di moltiplicarsi e di differenziarsi in modo da dare luogo a qualsiasi parte del corpo umano. Differenziandosi possono formare organi e tessuti, come la pelle, il muscolo cardiaco, cellule pancreatiche, ecc. Via via che esse si differenziano, riducono tale capacita' e diventano multipotenti; possono dar luogo, cioe', solo ad alcuni tipi di cellule o tessuti. La ricerca sulle cellule staminali costituisce oggi la nuova frontiera della biomedicina. Altri paesi, Spagna, Francia, Inghilterra, Svezia, ma anche la Germania che anche su questo ha una delle leggi piu' restrittive, sono gia' in un'altra fase storica: la fecondazione assistita e' data ormai per acquisita e si fanno leggi per regolamentare le nuove ricerche sulle cellule staminali, comprese quelle di origine embrionale. * Con il quarto quesito si intende riammettere la fecondazione eterologa, cioe' con gamete (ovocita o sperma) esterno alla coppia. La legge la esclude anche in casi gravi di sterilita'. Le perplessita' avanzate da molti si possono anche capire. Ma si deve sapere che essa riguarda una percentuale minima di coppie con problemi altrimenti irresolubili. Sono coppie che arrivano alla decisione convinte del loro progetto parentale, elaborato insieme, magari in un periodo non breve della loro vita comune; sono coppie che costituiscono famiglie solide sul piano affettivo. Le statistiche dicono che le famiglie con figli nati con donazione di gamete sono piu' durature e solo l'1% va incontro al divorzio. Questo significa che, quando si compie una scelta cosi' impegnativa come quella di far nascere un figlio da gamete di donatore, si e' consapevoli di una condivisione del desiderio, di un progetto che entrambi i genitori contribuiscono a elaborare. E questo da' al rapporto coniugale una solidita' tale da durare nel tempo. La decisione coincide con una comune assunzione di responsabilita' che fa bene alla tenuta della coppia e alla solidita' della famiglia. Una delle obiezioni alla fecondazione eterologa si basa sul "diritto a conoscere il proprio patrimonio genetico". In questo caso occorre pero' distinguere fra una questione di principio e casi specifici nei quali si renda necessario acquisire conoscenze in merito al patrimonio genetico. In caso di necessita' di terapie particolari gia' ora e' possibile acquisire i dati anagrafici del donatore tramite l'intervento di un giudice che autorizza a disporre di quei dati. L'obbligo dell'anonimato in casi di necessita' viene meno. I centri sono tenuti a conservare, oltre a un campione di materiale genetico, anche una cartella contenente l'anamnesi del donatore o della donatrice. Inoltre, la scienza offre oggi nuove possibilita' di indagine sul patrimonio genetico personale, in cui sono contenute tutte le informazioni. Dunque, la portata dell'obiezione si ridimensiona. La questione di principio - che afferma che sempre vi sia un diritto a conoscere le proprie radici biologiche - e' piu' complessa. Come si crea quel diritto? E puo' essere considerato davvero un diritto primario al punto da impedire la nascita? Puo' quel diritto divenire universale ed essere considerato alla stregua di un diritto fondamentale, fino a oscurare o cancellare altri diritti, come il diritto alla genitorialita', a costruire una famiglia o addirittura il diritto a venire al mondo se si e' desiderati? La risposta e' no, tanto che vi sono due immediati controesempi: i bambini abbandonati e adottati, che non potranno mai conoscere il loro albero genealogico e la loro storia genetica, e un passaggio della legge 40 che prevede essa stessa di essere violata, quando prescrive che l'uomo non puo' disconoscere un bambino nato da fecondazione eterologa col suo esplicito consenso. La legge, infatti, prevede di essere disattesa col turismo procreativo. La conseguenza di cio' porta al paradosso che diventera' ancora piu' difficile venire a conoscenza dei dati sanitari del donatore in caso di necessita' terapeutica, dal momento che l'interessato dovra' rivolgersi a un giudice straniero, ammesso che la legge del paese in cui e' stata compiuta la pratica lo consenta. Ma l'opposizione piu' convinta proviene da una concezione tradizionale della famiglia come comunita' naturale, dove naturale e' inteso in senso biologico e non sociologico. Sta a indicare il valore della consanguineita', come se fosse questa l'unico fondamento della responsabilita' genitoriale, contro ogni evidenza rispetto ai cambiamenti profondi che la famiglia ha subito negli ultimi decenni. Dalla famiglia patriarcale si e' passati alla famiglia mononucleare, a quella allargata o ricomposta con figli provenienti da precedenti matrimoni, a quella affidataria e adottiva, con bambini che provengono da altri paesi e da altre etnie. Si e' andata affermando una nuova concezione della famiglia, piu' libera e con una pluralita' di modelli possibili, basati sugli affetti, sull'eguaglianza e sul rispetto reciproco dei suoi componenti, piu' che sui legami di sangue. E' cambiata anche la cultura della genitorialita': a quella biologica si accompagna in maniera sempre piu' diffusa quella sociale. L'aumento della sterilita' e dell'infertilita' fa si' che aumentino i casi di adozione, soprattutto di quella internazionale, ma anche la fecondazione con gamete da donatore. La maternita' e la paternita' diventano sempre piu' un intreccio fra biologia, cultura, socialita', vissuto psicologico. Anche il desiderio di dare alla luce un figlio con tecniche eterologhe e' un misto di biologia e socialita'. La genitorialita' biologica coincide sempre meno con quella giuridica e sociale. Essa ha diverse vie per affermarsi e realizzarsi. Dovrebbero avere tutte eguale legittimita' giuridica e morale. Questa nuova mentalita' gioca a favore della scelta della fecondazione eterologa con un argomento molto semplice: se la coppia condivide un progetto di genitorialita' solo per meta' biologica come un atto di amore in piu' rispetto alla "naturalita'", perche' vi e' sotteso un desiderio elaborato insieme, in nome di quale principio astratto lo si puo' impedire? Basta un richiamo generico alla naturalita' e all'unita' della famiglia tradizionale, peraltro gia' superata dalle trasformazioni sociali, quando in realta', con divieti cosi' pressanti, la famiglia si impedisce di crearla? * In conclusione, voglio tornare al tema di apertura: l'embrione come persona che merita tutela assoluta. Esso e' divenuto paradossalmente l'unico aspetto "decisivo" di una legge fatta invece per consentire la nascita con le tecniche di fecondazione assistita. Nessuno contesta che l'embrione, anche a uno stadio iniziale di sviluppo, meriti una qualche forma di tutela, in quanto e' l'inizio di una vita possibile. Diciamo pero' anche che non puo' trattarsi di una tutela assoluta, come se si trattasse di una persona con eguali diritti, perche' questa e' un'assurdita' giuridica. Nessuna legge al mondo lo fa. Noi diciamo che la tutela dell'embrione va graduata a seconda dello stadio di sviluppo e bilanciata con la tutela degli interessi e dei diritti di altri soggetti: con i diritti della coppia a costruire una famiglia, diritto riconosciuto anche dalla Costituzione europea; va bilanciata con il diritto alla salute e al benessere della donna; anche questo un diritto ormai acquisito con la legge 194 e che viene rimesso in discussione dalla legge 40, che mortifica la dignita' della donna. Anche un eminente filosofo cattolico, Giovanni Reale, ha voluto controbattere ai difensori della legge sostenendo che la donna non e' un contenitore, fatto per accogliere forzosamente un embrione, indipendentemente dalla sua volonta'. Quella tutela va bilanciata ancora con il diritto di persone colpite da malattie degenerative, da tumore, diabete ecc. ad avere una speranza di cura dalle nuove ricerche sulle cellule staminali embrionali. Non riteniamo che sia piu' rispettoso della vita umana lasciar morire gli embrioni non utilizzati per la riproduzione anziche' usarli per la ricerca e per dare una speranza di salvezza e di cura a persone affette da malattie gravi. E' significativa in proposito la risposta che l'ex ministro francese della sanita', Jean Francois Mattei (di destra), ha dato a chi lo criticava per aver cambiato la legge sulla bioetica autorizzando la ricerca sulle cellule staminali embrionali: "Ho tenuto conto della necessita' della medicina di proseguire lungo la via della conoscenza. Ormai siamo entrati nel mondo della biomedicina, dove il vivente viene in aiuto del vivente. Si tratta di un concetto nuovo che e' necessario accettare". Il vivente viene in aiuto del vivente: la speranza di avere un bambino che porta a creare un embrione in vitro va a saldarsi con la speranza della cura e della guarigione di persone gia' nate: anche questa e' vita. * Non e' il caso di creare scontri apocalittici fra laici e cattolici, come qualcuno ha minacciato, ma di una discussione pacata nella ricerca dell'alleanza fra credenti e non. Un'alleanza nel nome del pluralismo culturale ed etico, nel nome del principio della laicita' dello Stato, perche' e' dimostrato che quando si indebolisce la laicita' dello Stato, si perdono diritti individuali, si restringe la democrazia. Ma cerchiamo l'alleanza coi cattolici anche su alcuni valori che possono accomunarci. La laicita' come noi la intendiamo e la pratichiamo non e' indifferenza ai valori. Uno dei suoi valori fondamentali e' il rispetto della dignita' dell'altro, che e' la precondizione di ogni etica. Credo che quando parliamo di procreazione non possiamo non fare riferimento a un'etica del dono, dell'ospitalita', del farsi carico dell'altro. Per questo riteniamo che si debba partire dalla realta' delle coppie che vivono con sofferenza la condizione di sterilita' e che aspirano a soddisfare il desiderio di maternita' e di paternita'. Per questo riteniamo che debba esserci un limite dello Stato e del legislatore a favore della genitorialita' responsabile, perche' anche le persone con problemi riproduttivi possano godere di quella rete profonda e intima di relazioni affettive che contraddistingue l'umano. Per consentire la vita e la nascita e non per impedirla. 6. RIEDIZIONI. VICTOR CODINA: COS'E' LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE Victor Codina, Cos'e' la teologia della liberazione, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 1987, 2004, pp. 64, euro 5. Una limpida sintesi del teologo nato a Barcellona nel 1931 che da molti anni vive tra i piu' poveri nelle favelas boliviane; un libro che nella sua prima edizione italiana ha gia' avuto una vasta circolazione, e che in questa nuova edizione (che reca alcune modifiche), realizzata in occasione della Carovana della pace del 7-19 settembre 2004 promossa dalla Famiglia missionaria comboniana, siamo certi trovera' ancora molte nuove lettrici, molti nuovi lettori. Per richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax: 0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito: www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 912 del 27 aprile 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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