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Nonviolenza. Femminile plurale. 5
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 5
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 31 Mar 2005 10:10:33 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 5 del 31 marzo 2005 In questo numero: 1. Commissione pastorale della terra dell'Amapa': Suor Doroty 2. Angela Dogliotti Marasso: La comunicazione come antidoto ai conflitti 3. Una canzone per Marianella Garcia 4. Un profilo di Evelyn Fox Keller 5. Marina Forti: Rivendicare i "beni comuni" 6. Annamaria Medri presenta "La differenza politica" di Maria Luisa Boccia 1. MEMORIA. COMMISSIONE PASTORALE DELLA TERRA DELL'AMAPA': SUOR DOROTY [Ringraziamo di cuore Dario Mencagli (per contatti: kandersen at iol.it) per averci messo a disposizione e tradotto per noi dal portoghese questa testimonianza pervenutagli da Sandro Gallazzi e Anna Maria Rizzante su suor Dorothy Stang, eroica lottatrice nonviolenta per la dignita' umana e la difesa del creato, assassinata il 12 febbraio scorso dai sicari degli sfruttatori. Dario Mencagli, di vasti e solidi studi di filosofia e teologia, di sociologia e scienze della comunicazione, con ricchissime esperienze di vita e di impegno sociale in Africa, in Asia, in America Latina, cooperante internazionale, educatore, impegnato nella solidarieta', apprezzatissimo docente e gia' pubblico amministratore di esemplare competenza, limpidezza e sensibilita', e' persona di straordinario rigore morale e intellettuale tanto nell'azione pubblica come nello stile di vita, e una delle figure piu' vive della pace, del dialogo interculturale e della nonviolenza. Tra i suoi scritti hanno avuto ampia circolazione e profonda ripercussione tra le persone che hanno la fortuna di essergli amiche le sue Lettera dalla Guinea-Bissau. Sandro Gallazzi e Anna Maria Rizzante vivono da trent'anni in Brasile, condividendo le esperienze e le speranze del popolo della pace in cammino. Un profilo di suor Dorothy Stang scritto da Maurizio Matteuzzi e' nel n. 843 di questo foglio, un suo ricordo scritto da Marcelo Barros e' nel n. 865] "E la terra delle tenebre vedra' la luce" (Is. 26, 19) Suor Doroty, chiamata dalla memoria sovversiva del Vangelo della vita e della speranza, fedele al Dio dei poveri, alla terra di Dio e ai poveri della terra, ascoltando il grido che viene dai campi e dalle foreste, seguendo la pratica pedagogica di Gesu', volle essere una presenza solidale, profetica, fraterna e piena d'affetto con i popoli della strada transamazzonica, prestando un servizio educativo e trasformatore, per stimolare e rafforzare il loro protagonismo. Fedele al suo impegno pastorale, suor Doroty visse, con vigore sempre rinnovato, il lavoro di base col popolo di Anapu (Para') (1) come convivenza, promozione, appoggio, accompagnamento, nei suoi processi collettivi di conquista e resistenza nella terra e nella produzione sostenibile, famigliare, ecologica, adatta per questa regione. Per questo e' stata assassinata. E' stata assassinata da quelli che vogliono accumulare ricchezze, opprimendo il popolo, distruggendo la foresta, corrompendo e chiudendo la bocca ai poteri pubblici. Non accettiamo la versione di chi dice, a nome del governo, che la morte di suor Doroty e' il risultato delle politiche positive del governo in campo fondiario e ambientale. Al contrario: Doroty e' morta perche' lo Stato, da piu' di un secolo, e' assente da queste zone, e per questo connivente con il crimine organizzato nelle terre amazzoniche. Lo Stato e' assente, in Anapu come nella regione delle isole di Afua' e Gurupa' - Para' (2), nonostante il clamore continuo che sale dal popolo, e dove il crimine assassino e devastatore comanda senza che nessuno lo fermi. Famiglie abbandonano le proprie terre, leaders sindacali e agenti pastorali sono minacciati, la foresta e le acque sono depredate e il terrore paralizza le persone. Lo Stato e' assente in Anapu, cosi' come nell'Amapa', dove l'Incra (Istituto nazionale della colonizzazione e riforma agraria), nonostante le continue denunce, e' incapace di bloccare la lottizzazione fondiaria fraudolenta, molto spesso stimolata da alcuni suoi funzionari corrotti. Le terre che la Champion (3) ha restituito, nel maggio 2004, gia' sono state nuovamente occupate illegalmente perfino da persone influenti della nostra societa'. Terre pubbliche, che per legge devono essere destinate alla riforma agraria, vengono adesso vendute e comprate impunemente o semplicemente occupate illegalmente, in tutte le regioni dell'Amapa', concentrando le nostre ricchezze nelle mani di pochi, con danno per la popolazione che continua a vivere in condizioni di poverta' e umiliazione. In nessun momento la legge statale sulla occupazione delle terre pubbliche e' tenuta in considerazione, nemmeno dalla stessa Assemblea Legislativa, che ha il compito costituzionale di controllare questo processo. In vari casi il potere giudiziario tratta la questione della terra soltanto dal punto di vista del codice civile, dimenticando tutta la legislazione specifica, risolvendo i conflitti attraverso "liminares" (4) senza giungere ad un giudizio di merito. Quante volte un'ordinanza sommaria di esproprio e' diventata la vera e ultima sentenza? Lo stato e' assente in Anapu, come nell'Amapa', quando le ditte sfruttatrici di legname fanno quello che vogliono, nascondendosi perfino dietro la facciata di una falsa manutenzione forestale comunitaria, approfittandosi delle omissioni dei pubblici funzioanri e di licenze concesse senza obbedire alla legge. Lo stato e' assente, in Anapu come in Amapa', quando i finanziamenti pubblici sono deviati, mal utilizzati, con la complicita' di funzionari corrotti e di dirigenti di organizzazioni non governative, molte volte solo di facciata. Lo stato e' assente, in Anapu come in Amapa', quando la mancanza di politiche pubbliche e di investimento in infrastrutture porta i nostri agricoltori ad essere fornitori a buon mercato di matera prima per l'industria del legname, siderurgica, energetica, aumentando la loro dipendenza e riducendo la produzione di alimenti. La lista potrebbe e dovrebbe continuare, in nome della verita' e della giustizia, e in nome dei diritti del popolo dell'Amapa', dell'Amazzonia e del Brasile. L'assassinio di Suor Doroty e di molti altri compagni e compagne smaschera l'illusione del governo Lula, che possano coesistere il Brasile dell'agrobusiness esportatore e il Brasile della piccola agricoltura familiare. L'agrobusiness e' violento, e' concentratore di ricchezze ed e' devastatore. I dati della Cpt (Commissione Pastorale della Terra) confermano questa affermazione. La fame dell' agrobusiness - che vuole trasformare tutta la terra in dollari - non si trattiene davanti a niente e, quel che e' peggio, davanti a nessuno. Come e' attuale la denuncia profetica: "Guai a quelli che aggiungono casa a casa, e campo a campo, fino a che non ci sia piu' posto, e restino gli unici abitanti in mezzo alla terra" (Is. 5, 8). "Se bramano campi, se ne impadroniscono; se case, se le prendono; cosi' violentano un uomo e la sua casa, una persona e la sua eredita'" (Michea 2, 2). L'agrobusiness non e' violento soltanto dove ha gia' vinto. In questo caso non uccide piu' con pallottole; uccide a rate, di fame e di miseria. Il governo non puo' propagandare l'agrobusiness in nome dello sviluppo e del saldo della bilancia commerciale, e poi parlare della difesa della vita, dei diritti, dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile. Le norme dell'Incra e dell'Ibama (Istituto brasiliano dell'ambiente), che pretendono di porre limiti all'agrobusiness, sono destinate al fallimento, cosi' come la presenza momentanea dell'esercito per contenere la violenza. Cosa succedera' alle famiglie che dovranno restare la', quando, abbassatosi il polverone provocato da questo assassinio, tutti torneranno ai propri uffici e alle proprie caserme? "Dio non fece la morte, creo' per la vita. Oltre la vita la morte non ha potere. Realmente la giustizia e' immortale. Oh! Gli empi, si', hanno la morte come amica tutti la desiderano appassionatamente e si alleano con lei insensati, sono degni di appartenerle!" (Sapienza 13, 16) "Vivono i giusti in braccio a Dio immagini vive della sua immortalita'. Vivra' Doroty per sempre. E lei stara' nella pace" (Sapienza. 2, 23; 3, 1) Macapa', 18 febbraio 2005, settimo giorno dal martirio di suor Doroty Stang Commissione pastorale della terra - Amapa' (5) * Tutti sapevano anche questa volta Governi e autorita' lo sapevano, latifondisti e sfruttatori di legname lo sapevano. L'Incra lo sapeva, la polizia lo sapeva, la Chiesa e la Commissione pastorale della terra lo sapevamo. Tu lo sapevi, Doroty, e continuasti senza paura e con coraggio, parlare mansueto, decisione irrinunciabile occhi chiari, coraggio irremovibile. Hai parlato, hai denunciato, hai aspettato.senza retrocedere le pallottole sono arrivate prima. Non era quello che volevi, non era quello che volevamo: ministri, autorita', il commissario e i poliziotti per investigare sulla tua morte, gli enti, le chiese, i capi per vegliare il tuo corpo, manifestare, protestare, piangere. Manco' lo stato, nel non concretizzare le decisioni, nel non difendere le vite minacciate. Mancammo noi nell'impegno, nella solidarieta', nell'appoggio. Quello che tu volevi era Stato e chiesa e Commissione pastorale della terra li' in Anapu, con te e col tuo popolo, nell'ora della lotta e del pericolo. Adesso piangiamo di rabbia e di dolore, di impotenza. Siamo arrivati tardi, Doroty: perdonaci. No, Doroty, vecchia combattente, non perdonarci ancora. Lasciaci nel nostro dolore e nella nostra rabbia lasciaci sconvolti e feriti fino a quando le lacrime e il dolore si trasformino in coraggio vigilante, decisione rinnovata di continuare con la denuncia e con la lotta, per svegliare le coscienze addormentate e le volonta' messesi comode. Fino a quando diventeremo degni della tua lotta e della tua fede, del tuo impegno e del tuo coraggio. Abbraccia Josimo, Adelaide, Margherita, Gringo e tutti gli altri cantate e danzate nel girotondo della Vita senza fine. Voi lo meritate. Arrivederci un giorno, sorella-compagna. Anna Maria, della Commissione pastorale della terra dell'Amapa', 13 febbraio 2005 * Un breve profilo di suor Doroty Stang Religiosa nordamericana della congregazione di Notre Dame. Ha vissuto in Brasile e in Amazzonia dal 1966, dedicando la sua vita agli uomini e alle donne dell'Amazzonia, soprattutto nelle regioni di Altamira e Anapu (Para'), lottando con loro per la terra e foresta libere, per una vita degna, per i diritti e la giustizia. Sostenuta dalla fedelta' al Vangelo di Gesu', ha amato il popolo di Anapu e della Transamazzonica e ha dato la vita per loro. E' stata assassinata il 12 febbraio, a 73 anni, dalla violenza e dalla bramosia di guadagno dei latifondisti e dei trafficanti di legname, che non vogliono mollare i propri guadagni, e dalla omissione di governi e autorita'. Adesso riposa nella terra di Anapu, dove e' stata piantata. Di li' non se ne andra' piu'. * Note 1. Regione dell'interno dello stato del Para', lungo la strada transamazzonica, storicamente abbandonata. 2. Regione della foce del Rio delle Amazzoni. 3. Multinazionale della cellulosa, oggi incorporata dalla International Paper. 4. Sono decisioni preliminari dei giudici. Mi pare di capire sia una specie di "non luogo a procedere". 5. La Cpt (Commissione pastorale della terra) e' un organismo legato alla Conferenza episcopale brasiliana, che si occupa della problematica dei contadini, della terra, dell'ambiente. 2. FORMAZIONE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: LA COMUNICAZIONE COME ANTIDOTO AI CONFLITTI [Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso (per contatti: maradoglio at libero.it) per averci messo a disposizione questa sua relazione sul tema "La comunicazione come antidoto ai conflitti. Dalle relazioni interpersonali alle dinamiche macrosociali. Dinamiche di escalation e de-escalation dei conflitti: il ruolo della comunicazione" svolta nel corso di un convegno ad Arezzo il 17-18 maggio 2002. Angela Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, svolge attivita' di ricerca e formazione presso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della Commissione di educazione alla pace dell'International peace research association; studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino - Verona 1999; e il recente volume in collaborazione con Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003] Introduzione Nell'ambito della ricerca per la pace (Peace Research) si e' sviluppato, soprattutto negli ultimi decenni, un settore specifico di ricerca, denominato "Conflict Resolution" (1), che ha affrontato lo studio della teoria e approfondito la pratica della gestione del conflitto ai vari livelli (micro, meso, macro). Facendo riferimento a tale letteratura e alla luce di teorie che sappiano individuare analogie e differenze tra livelli e ambiti diversi, nella presente comunicazione si analizzeranno alcune caratteristiche peculiari dei processi di escalation e de-escalation dei conflitti, a partire dai seguenti presupposti: a) in quanto processo interattivo, il conflitto richiede di essere analizzato in una prospettiva sistemica e secondo un'ottica della complessita', che tengano conto delle variabili situazionali e contestuali, dei fattori e delle dinamiche relazionali che entrano in gioco e ne influenzano l'andamento. Poiche' il modo in cui agisce ciascuna delle parti influenza il modo di reagire delle altre, la responsabilita' dell'andamento del conflitto e' sempre, in una certa misura, condivisa: nessun singolo attore detiene tutta la responsabilità di quanto accade (Galtung J., 1996); b) ogni conflitto contiene in se' il rischio della violenza, ma anche la possibilita' di essere un'occasione di crescita, una risorsa per il cambiame nto. Come tutte le crisi, infatti, esso puo' evolvere in senso positivo, portando ad una ristrutturazione della situazione e ad un riequilibrio, oppure puo' degenerare in una spirale di violenza distruttiva (Galtung, 1996); imparare a trasformare costruttivamente i conflitti e' un completamento indispensabile della democrazia e della convivenza nel mondo contemporaneo; c) nell'evoluzione di una dinamica conflittuale esistono alcuni fattori cruciali e significativi, che possono contribuire ad incrementare o a contenere la violenza del conflitto; tra questi, la comunicazione e' uno dei piu' importanti. Attraverso quali meccanismi si innesca la spirale distruttiva in un conflitto? Come puo' essere bloccata, contenuta, invertita questa tendenza, in modo da trasformare costruttivamente una situazione conflittuale? * Il mimetismo nei processi di escalation Diverse possono essere le dinamiche che si attivano nell'innescare i conflitti e nel farli crescere di intensita' e molti sono gli approcci interpretativi emersi in questo ambito nelle scienze socio-psico-antropologiche, da quelli che sottolineano l'importanza del mondo interno e dei processi inconsci, a quelli che evidenziano il ruolo della violenza strutturale o culturale nei comportamenti conflittuali. Una lettura che mi pare particolarmente utile per mettere a fuoco gli aspetti relazionali e comunicativi dei conflitti e' quella che chiama in causa i processi mimetici, che sono stati interpretati e descritti in diversi ambiti di ricerca. In campo filosofico-antropologico, Rene' Girard ha elaborato la teoria della rivalita' generata dal desiderio mimetico, che mette in luce alcuni dei fondamentali meccanismi di crescita dell'intensita' dei conflitti. "La violenza si propaga con la rapidita' di un fulmine....La violenza e' contagiosa, e in modo tanto virulento, perche' si propaga per imitazione, per mimetismo" (2). "La violenza e' un rapporto mimetico perfetto, reciproco. L'uno imita la violenza dell'altro e gliela ricambia ad usura" (3). E' questo "contagio" cio' che abbandona i protagonisti al gioco mimetico, cancellando l'oggetto del conflitto. In tal modo, i contendenti diventano sempre piu' "simili", e, imitandosi nel comportamento violento, procedono per simmetrie che, nel ribattere colpo su colpo e nell'illusione della vittoria finale, fanno crescere l'intensita' della violenza in una escalation tendente alla capitolazione dell'altro. Ma, soprattutto se il rapporto di forze e' abbastanza equilibrato, cio' conduce solo al peggioramento dei rapporti, fino a compromettere gravemente le relazioni reciproche. Nella teoria sistemica della comunicazione, rifacendosi al concetto di scismogenesi simmetrica di Gregory Bateson (1958), si parla, come e' noto, di "interazione simmetrica" per descrivere il modello di interazione competitiva basata sul reciproco rispecchiamento del comportamento (4). Anche in ambito sociologico viene evidenziata la tendenza a rispondere in modo simmetrico. L Kriesberg (1973) infatti, nelle sue ipotesi sulle dinamiche di scalata e descalata dei conflitti utilizza il principio della "mutua reciprocita'", che puo' agire sia nel senso dell'incremento, che nel senso del contenimento del conflitto, a certe condizioni. Alberto L'Abate (5) ha utilizzato tale modello in una sua ricerca storico-comparativa sulla scalata e descalata dei conflitti armati, confermandone la validita'. * Il modello M-m di Patfoort e le fasi di escalation di Glasl Patfoort (1992) analizza le dinamiche concrete di questo processo, proponendo una lettura basata sul modello Maggiore-minore (M-m). Un conflitto e' connotato da violenza e tende a riprodurla quando ciascuna parte presenta il proprio comportamento, i propri punti di vista, come migliori di quelli dell'altro, ciascuno vuole avere ragione, dominare, vincere. L'imposizione di una parte sull'altra puo' provocare diversi tipi di reazione: di ribellione ed escalation del conflitto, di interiorizzazione della violenza subita, con conseguenze autodistruttive, oppure di spostamento dell'aggressivita' verso terzi, con la propagazione della violenza in una catena orizzontale. Anche quando non c'e' violenza fisica, l'intensita' del conflitto puo' crescere proprio attraverso le modalita' comunicative usate per mantenere la posizione M. Lo strumento principe del sistema M-m e', in questo caso, l'uso di argomentazioni per vincere. "I tre tipi più importanti di argomentazioni sono: - argomentazioni positive: si cercano gli aspetti positivi del proprio punto di vista per dargli valore (verso la posizione M); - argomentazioni negative: si citano aspetti negativi del punto di vista dell'altro per sminuirlo (verso la posizione m); - argomentazioni distruttive: si cercano aspetti negativi dell'altro, per sminuire oltre al punto di vista anche la persona (verso la posizione m)" (6). In questa dinamica nella quale la forza centrifuga della violenza tende ad allontanare il conflitto dal suo oggetto e a focalizzarlo sulla relazione, vengono messe in atto diverse strategie per vincere sull'altro, da quelle dirette dell'aggressione, a quelle piu' sottili e indirette della manipolazione o della colpevolizzazione, in una logica binaria che, regredita ai meccanismi della mente infantile, separa e categorizza secondo rigide contrapposizioni (io buono / l'altro cattivo), incapace di riconoscere e tollerare il negativo in se' e di rielaborarlo per accoglierlo e integrarlo. Nelle sue analisi sui processi di escalation nei conflitti tra gruppi, F. Glasl (1982, 1997) (7) ha individuato nove passaggi nella crescita di intensita' di un conflitto , fino alla reciproca distruzione. Si inizia con l'irrigidimento delle posizioni (al centro dell'attenzione c'e' l'oggetto del contendere); si passa, nella seconda fase, alla polarizzazione e al dibattito, in cui le parti utilizzano la comunicazione come un duello verbale per vincere l'una sull'altra; aumenta la coesione interna e si sviluppano gli stereotipi reciproci; nella terza fase si passa alla tattica del fatto compiuto e i comportamenti diventano piu' negativi. Da qui in avanti la relazione tra le parti diventa elemento centrale del conflitto stesso: e' avvenuto lo spostamento dall'oggetto del contendere alla relazione tra i contendenti. Passata questa prima soglia, nelle tre fasi che seguono si consolida l'immagine dell'altro come nemico, si susseguono gli attacchi per svelare il "vero carattere" della controparte e ciascuno si sente minacciato e danneggiato dall'altro. La soglia successiva si attraversa quando la comunicazione e' interrotta e aumentano le azioni dirette a danneggiare l'altro, a distruggere in modo sempre piu' esteso le basi del suo potere e della sua legittimazione, fino alla sua eliminazione, anche al prezzo della propria esistenza o della reciproca distruzione. * Cambiare le regole del gioco Per uscire da questa logica, per interrompere il circolo vizioso della violenza che cerca legittimazione specchiandosi nella violenza simmetrica dell'antagonista, occorre introdurre una dissimmetria, attraverso una interruzione unilaterale di questi rimandi speculari. J. P. Lederach, uno dei piu' noti e stimati peace-researcher americani, in un articolo scritto subito dopo l'11 settembre, sosteneva che per interrompere l'escalation della violenza si sarebbe dovuto seguire un fondamentale principio-guida: evitare di fare cio' che i terroristi si attendevano che accadesse, secondo lo schema usuale della risposta simmetrica: "I terroristi hanno cambiato il gioco, entrando nelle nostre vite e utilizzando a proprio vantaggio i nostri mezzi. Non fermeremo il terrorismo con le armi tradizionali della guerra. Dobbiamo cambiare, a nostra volta, il gioco" (8). Che cosa significa e che cosa comporta cambiare le regole del gioco, in una dinamica conflittuale violenta? Significa, in primo luogo e in linea generale, non cercare la contrapposizione frontale e la competizione contro l'avversario, ma percorrere le strade asimmetriche dello sbilanciamento, dello spiazzamento che, interrompendo il mimetismo violento, pongono la dinamica conflittuale su binari diversi, trasformandola. Piu' in particolare, secondo Semelin occorre dar forma ad un dispositivo di decontaminazione mimetica che consiste nel "non rispondere alle provocazioni... dell'avversario, riconducendo costantemente il conflitto all'oggetto originale, senza aggredire le persone" (9). Naturalmente un simile ribaltamento di prospettiva ha alle spalle una "rivoluzione copernicana", un cambiamento di paradigma nella concezione e nella gestione del conflitto: dall'ottica del conflitto come gioco a somma zero (io vinco, tu perdi), all'ottica del conflitto come sfida da vincere insieme, gioco a somma positiva; dalla logica della violenza alla trasformazione nonviolenta del conflitto. Per quanto questo cambiamento sia profondo, esso si sostanzia di piccoli passi, accorgimenti e strategie concrete che lo rendono praticabile come percorso di sperimentazione nei conflitti quotidiani a tutti i livelli. Alcune di queste indicazioni concrete sono: - per ricondurre il conflitto all'oggetto originario, collocare il confronto il piu' possibile sul terreno dei fatti (non dei processi alle intenzioni); valorizzare l'oggetto del conflitto esprimendolo in simboli (il simbolo, come il rito, e' una forma di controllo del mimetismo) ed eventualmente drammatizzandolo (Semelin, 1985); gia' la verbalizzazione di un conflitto e' un modo per trasferire sul piano simbolico una situazione che crea problemi e suscita disagio e quindi per iniziare ad elaborarla. A proposito della drammatizzazione del conflitto come modo per valorizzarne l'oggetto, Semelin cita come esempio alcune modalita' di azione nonviolenta nei macroconflitti, come ad esempio il digiuno o l'accettazione intenzionale della sofferenza causata dall'avversario, in quanto attraverso di esse chi agisce secondo i principi della nonviolenza intende "rappresentare la sofferenza causata dalla violenza sacrificale del persecutore, drammatizzandola per tramite di una sofferenza liberamente consentita" (10). Ma in tal modo, e proprio in quanto rifiuta il ricorso alla violenza anche di fronte a quella dell'avversario, l'opposizione nonviolenta blocca il processo di vittimizzazione smontando il meccanismo sacrificale che porterebbe alla sua condanna, e restituisce alla vittima un ruolo di protagonista: "una vittima de-sacralizzata, de-colpevolizzata, un oppresso che puo' far valere i propri diritti, mentre la logica sacrificale vuole tappargli la bocca" (11). - de-polarizzare il conflitto, utilizzare le terze parti, interne o esterne, per creare ponti di contatto e di dialogo tra le persone o i gruppi in conflitto; sviluppare empatia, che porta a riconoscere anche la sofferenza dell'altro oltre alla propria, e trasforma gli atteggiamenti nel conflitto; promuovere il dialogo per cambiare i comportamenti e la creativita' per trovare soluzioni condivise, che si collochino in una prospettiva di "trascendenza" del conflitto stesso (12). - passare dalle argomentazioni per vincere, all'esplorazione dei fondamenti (bisogni, interessi, valori, sentimenti) di entrambe le parti, sulla base di una relazione di equivalenza ( E-E, anziche' M-m; Patfoort, 1992, 2001). Ecco ritornare in primo piano le competenze comunicative, con un ruolo fondamentale nella de-escalation, da mettere a fuoco, seppur sinteticamente. * Le competenze comunicative per una trasformazione costruttiva dei conflitti Lo psicolinguista F. Schultz von Thun (1981), evidenziando la comunicazione come un fenomeno a quattro livelli (il contenuto, la relazione, l'appello, lo status), sottolinea come i conflitti sorgono quando un parlante intende comunicare con un aspetto e il ricevente ascolta con un altro. Il modello di comunicazione nonviolenta proposto da Marshall Rosenberg (13) si propone sia di affrontare adeguatamente i conflitti originati a livello comunicativo, sia di contenere la violenza nelle interazioni conflittuali, attraverso efficaci competenze comunicative. Sviluppando in modo originale i contributi di Rogers, Gordon, della psicologia umanista in genere, e sulla base della propria pluriennale esperienza di terapeuta, Rosenberg articola tale modello, conosciuto come "il linguaggio giraffa", in quattro fasi: 1) osservare, distinto dal valutare Nelle nostre modalita' di comunicazione siamo soliti usare quelle che Gordon chiama le "barriere della comunicazione" e Rosenberg sintetizza nelle modalita' della "comunicazione alienante": giudizi moralistici espressi in seconda persona, che etichettano l'altro e focalizzano l'attenzione sulla classificazione, l'analisi e la valutazione dei torti, anziche' concentrarsi sui bisogni; confronti negativi, svalutanti; il rifiuto della responsabilita' dei propri atti e sentimenti; le minacce, le pretese in nome del principio d'autorita'... Il giudizio produce reazioni di difesa, resistenza e rifiuto, l'osservazione si limita a descrivere cio' che accade. 2) identificare ed esprimere i propri sentimenti Distinguere tra sentimenti e pensieri e non attribuire all'altro la responsabilita' di cio' che si sente. Evitare percio' l'uso di aggettivi che attribuiscono interpretazioni o comportamenti all'altro ed esprimere, invece, i propri sentimenti. 3) esprimere i bisogni che sono all'origine dei sentimenti Gli atti degli altri possono essere il fattore scatenante, non la causa dei nostri sentimenti, i quali hanno origine nei nostri bisogni. Ci sono tre fasi, secondo Rosenberg, nello sviluppo di una piena maturita' affettiva: la schiavitu' affettiva, cioe' la convinzione di essere responsabili dei sentimenti dell'altro, da cui deriva il continuo sforzo per far piacere a tutti; la fase reattiva, nella quale ci si ribella a questa situazione e si rigetta totalmente ogni responsabilita' nella relazione ("e' un problema tuo, non sono responsabile di cio' che provi"); la liberazione affettiva, cioe' l'assunzione piena della responsabilita' delle nostre intenzioni e dei nostri atti, l'esposizione chiara di cio' che vogliamo, mostrando nel contempo attenzione anche ai bisogni dell'altro. 4) formulare delle richieste, non delle pretese Chiedere chiaramente atti concreti, non fare richieste generiche, ne' pretendere. La comunicazione nonviolenta comporta, dunque, da un lato, la capacita' di esprimere chiaramente ciò che si osserva, si sente, di cui si ha bisogno, cio' che si vorrebbe, usando il "messaggio-io", formulando cioe' in prima persona le osservazioni, le richieste (affermazione positiva, assertivita'); dall'altro, comporta la capacita' di ricevere con empatia le osservazioni, i sentimenti, i bisogni, le richieste dell'altro (decentramento, ascolto attivo ed empatico). * Conclusioni Un'interazione comunicativa come quella appena descritta e' un processo simile a quello che Galtung chiama "dialogo", condivisione della parola che parte da una disposizione interiore di apertura, ascolto ed esplorazione dei fondamenti reciproci. E' questo tipo di competenza, in ultima analisi, che puo' fare della comunicazione un antidoto alla violenza e uno strumento efficace, insieme alla creativita', per trascendere le incompatibilita' e trasformare costruttivamente i conflitti. * Note 1. Sulle diverse prospettive di ricerca in questo ambito, si veda "The Ondine Journal of Peace and Conflict Resolution", 3.3 june 2000, www.trinstitute.org/ojpcr 2. Semelin J., Per uscire dalla violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, pp. 129-130, in riferimento alla teoria girardiana. 3. Girard R., Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano,1983, p. 370. 4. Watzlawick P. et al., pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971, p. 61. 5. L'Abate A., Sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, Dispense per il Corso Interfacolta' in "Operatori di pace", Universita' di Firenze, Anno Accademico 2001-2002. 6. Patfoort P., Io voglio, tu non vuoi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2001, p. 16. 7. Nonviolent Peaceforce Feasibility Study, Chapter 1, p. 7, www.nonviolentpeaceforce.org 8. Lederach J. P., The Challenge of Terror: a Travelling Essay, 16 settembre 2001. 9. Semelin J., op cit., p. 138. 10. Semelin, op cit. p. 142. 11. Semelin, op cit., p. 143. 12. Galtung J, Conflict transformation by Peaceful Means (The Transcend Method), United Nations Disaster Management training programme, 2000. 13. Rosenberg M., Les mots sont des fenetres, Syros, 1999 (tr. it.: Le parole sono finestre, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2003]. 3. MEMORIA. UNA CANZONE PER MARIANELLA GARCIA [Da "La nonviolenza e' in cammino" n. 534, da cui riprendiamo anche la seguente nota di presentazione: "Questa canzone su un modulo tradizionale e' stata raccolta e frettolosamente trascritta durante un viaggio dal nostro collaboratore Benito D'Ippolito. Marianella Garcia, nata nel 1949, attivista per i diritti umani salvadoregna, collaboratrice di monsignor Romero, amica della nonviolenza, 'avvocato dei poveri, compagna degli oppressi, voce degli scomparsi', fu assassinata il 13 marzo del 1983 dai soldati del regime. La sua vita e' narrata nel bel libro (ampiamente basato sulla registrazione di conversazioni con lei svoltesi nel 1981 e nel 1982) di Raniero La Valle e Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983"] Ay Marianella, Marianella Garcia potevi fare la vita dei signori i tuoi buoni studi, il tuo seggio in parlamento ma tu scegliesti di stare con noi poveri. Ay Marianella che pioggia di sangue. Era Marianella sorella di noi morti perche' amava la vita e che la vita fosse degna di essere vissuta. Ay Marianella si spensero le stelle. Era intrepida e vestita di umilta' sapeva che i fascisti la cercavano e ti raggiunse la furia dei fascisti. Ay Marianella la furia dei fascisti. Parlava la lingua dei contadini e degli angeli sapeva le parole che guariscono parole di luce e di pane. Ay Marianella la terra nera e rossa. Sapeva tutte le cose e anche le cose che tutti sanno e e' difficile dire e lei le diceva con voce di uccellino. Ay Marianella che fredda e' la notte. Ti ammazzarono come hanno ammazzato i morti che cercavi e che il tuo sguardo resuscitava nel cuore del popolo. Ay Marianella che pianto infinito. Cosi' dura e' la nostra dura vita che anche nella gioia noi piangiamo ma mentre ti piangiamo ricordiamo con gioia che sei stata e resti viva. Ay Marianella, Marianella Garcia. 4. SCIENZIATE. UN PROFILO DI EVELYN FOX KELLER [Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo il seguente profilo di Evelyn Fox Keller estratto dal libro di di Sara Sesti e Liliana Moro, Donne di scienza. 55 biografie dall'antichita' al duemila, Edizioni Pristem - Universita' Bocconi, seconda edizione Milano 2002] Scienziata e filosofa, Evelyn Fox Keller e' considerata l'esponente di maggior spicco in quell'ambito di ricerca che e' stato definito epistemologia femminista. Nata a New York nel 1936 e laureata in fisica alla Harvard University nel 1963, ha compiuto ricerche e pubblicato saggi di fisica teorica, biologia molecolare e bio-matematica, dedicandosi nel contempo all'insegnamento in diverse universita'. Madre di due figli, e' passata dal fare scienza allo scrivere di scienza, approfondendo sempre piu' il suo interesse per gli aspetti psicologici, filosofici e storici del pensiero scientifico, indagando in particolare le connessioni tra genere e scienza. Ha osservato che nella cultura occidentale i concetti di scienza e di femminilita' sono considerati oppositivi: "Mentre la scienza e' venuta a significare oggettivita', ragione, freddezza, potere, la femminilita' ha assunto il significato di tutto cio' che non appartiene alla scienza: soggettivita', sentimento, passione, impotenza". Attualmente insegna storia e filosofia della scienza nel Programma scienza tecnologia e societa' del Massachusetts Institute of Technology. Ha raggiunto notorieta' internazionale con due saggi pubblicati a meta' degli anni Ottanta. Il primo, In sintonia con l'organismo, e' un ritratto inconsueto di Barbara McClintock, la genetista vincitrice del premio Nobel per la medicina nel 1983; questo testo ha gettato luce sull'originalita' del suo metodo di ricerca, basato su una diversa relazione tra soggetto ricercatore e oggetto indagato, e ha inoltre chiarito molti aspetti della relazione tra individuo e comunita' scientifica e della carriera di una donna nel mondo della scienza. Il secondo, Sul genere e la scienza (Garzanti, Milano 1987), e' una indagine attorno ai concetti base del linguaggio scientifico e alle implicazioni del dualismo maschile-femminile su di esso, dualismo che ha segnato una tappa importante nella riflessione femminista. Nel suo scritto Vita, scienza e cyberscienza (Farzanti, Milano 1996), ripercorre lo sviluppo della biologia moderna, dalle scoperte ottocentesche sull'ereditarieta' all'attuale rivoluzione genetica e approfondisce la sua indagine sul legame tra linguaggio e scienza ed esplora le idee di maschile e femminile che hanno condizionato la ricerca di genetisti ed embriologi fino a discutere le conseguenze delle nuove tecnologie (dall'ingegneria genetica all'elettronica) sul rapporto tra la scienza e l'intera societa'. 5. RIVISTE. MARINA FORTI: RIVENDICARE I "BENI COMUNI" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 marzo 2005. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Nel corso del XVII secolo in Inghilterra scomparvero le terre comuni o comunitarie, "commons" - quelle che per diritto consuetudinario erano di uso collettivo delle popolazioni rurali. Recintate poco a poco, furono trasformate in proprieta' privata con leggi apposite, Enclosure Bills, leggi sulla recinzione. La scomparsa dei commons fu una premessa della rivoluzione industriale - le terre erano recintate perche' servivano all'allevamento intensivo di pecore la cui lana era necessaria alla nascente industria tessile - e fu seguita da un'offensiva ideologica contro l'uso condiviso della terra, a favore della "liberta'" di trasformarla in bene commerciale per "metterla a frutto" e trarne profitto. Tutto questo e' cosa nota - e' parte della nascita del capitalismo. Le terre di uso comune pero' non sono tutto scomparse (terre, pascoli, foreste, e sorgenti d'acqua da attingere, o fiumi e lagune con i pesci che vi si possono pescare, e cosi' via): forme di proprieta' e uso collettivo restano molto diffusi nel grande Sud del mondo e in parte, sotto forma di "usi civici", perfino nella vecchia Europa. Ne' e' scomparsa la battaglia politica (e ideologica) attorno a questi "beni comuni", o la spinta a recintarli/privatizzarli. E ormai non si tratta solo terre o risorse naturali, ma di un'amplissima gamma di beni e servizi necessari alla sussistenza degli umani e al loro benessere collettivo. * Di questo tratta un numero monografico della rivista "Cns - Ecologia politica": Beni comuni tra tradizione e futuro, a cura di Giovanna Ricoveri e con la collaborazione di Antonio Castronovi, Giuseppina Ciuffreda e Marinella Correggia. Numero importante, anche perche' segna la reincarnazione della rivista nata nel 1991 come "Capitalismo Natura Socialismo", che ora prende la forma di quaderni monografici pubblicati da Emi, Editrice missionaria italiana. La prima cosa da notare e' come si sia estesa la categoria di "beni comuni". Le risorse naturali, certo: terra, acqua, aria, foreste, pesca. Per bene comune pero' si intende non solo la risorsa ma il diritto collettivo d'uso, "la forma partecipata e comunitaria della proprieta' o dell'uso di determinate risorse" (dall'introduzione di Giovanna Ricoveri, che richiama qui "The Ecologist": e infatti la rivista ripubblica un articolo del 1992, "I beni comuni, ne' pubblici ne' privati"). I beni comuni dunque sono beni di sussistenza e insieme "spazi di autorganizzazione delle comunita'", esprimono "un modello di organizzazione sociale e produttiva e un modello culturale che si contrappone a quello del mercato". Poi ci sono beni globali come l'atmosfera e il clima, gli oceani, la sicurezza alimentare, la pace: vi rientrano "i saperi locali, i semi selezionati nei secoli dalle popolazioni contadine, la biodiversita'". Terza categoria di beni comuni sono i servizi pubblici forniti dai governi in risposta ai bisogni essenziali dei cittadini - acqua, luce, sanita', trasporti, ma anche sicurezza sociale e alimentare, amministrazione della giustizia: "I servizi pubblici sono infatti un elemento di legame sociale, prima ancora che redistribuzione del reddito e componente del welfare". Ridefiniti cosi', rivendicare i "beni comuni" significa riprendere i nodi fondamentali del conflitto politico, l'idea di sviluppo, la giustizia ambientale e quella sociale. Basti pensare a come le organizzazioni finanziarie internazionali vanno predicando (e imponendo) ai paesi "in via di sviluppo" politiche basate sul privatizzare i beni comuni (dall'acqua alle foreste) e tagliare la spesa sociale: l'equivalente attuale della "recinzione" del diciassettesimo secolo e' la privatizzazione di terre e acqua, sementi e sanita', dicono gli autori. Indicative le vicende italiane di "usi civici" e bacini idrografici (ne scrivono Franco Carletti e Giorgio Nebbia). La "recinzione" poi raggiunge una nuova frontiera con la brevettazione degli organismi viventi (che Juan Martinez Allier descrive come "biopirateria globale contro i saperi locali") e la privatizzazione di ospedali e scuole. Parlare di "beni comuni", sostiene la rivista, significa uscire dall'alternativa secca tra pubblico e privato e ridare importanza sociale, politica ed ecologica al "collettivo". 6. LIBRI. ANNAMARIA MEDRI PRESENTA "LA DIFFERENZA POLITICA" DI MARIA LUISA BOCCIA [Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente presentazione del libro di Maria Luisa Boccia, La differenza politica, Il Saggiatore, Milano 2002. Annamaria Medri e' impegnata nell'esperienza dell'Univerista' delle donne di Milano. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002] La differenza politica di Maria Luisa Boccia si suddivide in due sezioni - Figure della differenza e Cittadinanza -; la prima si occupa del soggetto e la seconda della politica in modo da percorrere e ridefinire la storia del pensiero sessuato centrato sui problemi del presente. Il nesso che lega le due parti e' la constatazione che il femminismo nasce come "effetto imprevisto" dal progetto e dalla storia dell'emancipazione proprio da quelle donne che, dopo aver dato per acquisita la propria emancipazione, scoprono (negli anni '70) che questa non consente loro di riconoscersi come soggetti nella propria vita e in quella collettiva. Cio' che impedisce la liberta' e la cittadinanza delle donne non e' un retaggio arcaico del passato, una serie di ostacoli e ritardi da rimuovere, ma si colloca proprio nell'atto fondante della modernita': il patto sociale costruito con la Rivoluzione francese. La modernita' stabilisce la figura dell'individuo e del cittadino sul genere maschile e la estende alla nozione stessa di umanita' su cui pretende basare l'universalismo delle forme politiche. Le donne sono escluse dalla politica non tanto per condizione quanto per essenza, per cio' che esse sono: l'altra e l'altrove dell'uomo. Il femminismo contemporaneo, afferma Boccia, nasce come critica alla tradizione moderna centrata sull'uguaglianza uomo-donna e alla specificita' femminile, valorizzata dalla convivenza civile, ricondotta alla maternita'. Solo dopo essersi poste la domanda "Sono donna se non sono madre?" inizia la riflessione sulla possibilita' di dare un senso alla differenza tra essere donna ed essere uomo; la femminilita' proposta dalla storia e dal pensiero maschile diventa a questo punto oggetto di decostruzione, non piu' di valorizzazione; implode l'atemporalita' dell'identita' femminile rappresentata sempre identica nel tempo, con il medesimo ruolo nelle diverse situazioni socioculturali. Dal secondo al quinto capitolo, della prima sezione, viene visitato il percorso fatto dalle donne del Novecento che hanno seguito l'invito di Virginia Woolf a pensare e continuare a pensare "senza unirsi al corteo degli uomini colti": dall'estraneita' delle Tre ghinee all'autocoscienza di Carla Lonzi e delle altre, che affida "alla capacita' della parola il 'chi' femminile, e di significarne l'esperienza". Parlare di se' da' un riconoscimento politico alla soggettivita' femminile incarnata nei corpi e uno spazio alle relazioni fra donne; non e' il ritorno ad un'autenticita' originaria ma "la necessita' di sottolineare il vuoto scaturito dalla rinuncia attiva all'identita' suggellata e modellata dalla Femminilita'". In questo spazio autocosciente, che permette di dare forma alla soggettivita' femminile, emerge il problema dell'individualita' lacerante rispetto all'esperienza comune; "il conflitto tra le soggettivita' singolari e il collettivo" che accompagna da sempre il pensiero della differenza e verra' amplificato, in contesti e forme diversi, anche nella nozione/questione della rappresentanza. La differenza sessuale non riguarda unicamente le donne, implica gli uomini; "l'originalita' del suo discorso non attiene al suo parlare d'altro (esperienza e identita' femminile), ma e' un differente modo di produrre significati sui nodi di fondo della condizione e dell'esistenza umana nel mondo contemporaneo". La modificazione di se' operata dal femminismo, la critica eversiva ai saperi e alla politica costruita dall'uomo-maschio, comporta "un divorzio dal mondo su una dichiarazione di 'irrealta'' nei confronti di cio' che il mondo e' e continua ad essere" senza le donne, senza ascoltarne il pensiero e vederne la presenza. Nella comune percezione di "irrealta'" si articolano le due principali tendenze del femminismo: "quella che privilegia l'azione verso l'esterno, la necessita' di incidere e modificare il contesto; quella che fa leva sull'estraneita', per modificare la relazione fra interno ed esterno". Constata Boccia che il partire dalle differenze e il tenerne conto nella pratica culturale e politica porta il pensarsi donna a non avere una meta certa, "una diversa identita' di sesso nella quale tutte le donne si riconoscono", ma la sposta continuamente. E suggerisce l'immagine di Heidegger dell'"incamminarsi all'indietro" per pensare cio' che e' ancora da pensare senza cercare luoghi d'origine e rimettersi sulle tracce del passato: una continua significazione per dare senso alle cose, per porsi in relazione e capire, per ridefinire i luoghi e gli spazi e per trovare la possibilita' di declinare l'uguaglianza e la cittadinanza, senza inclusione/esclusione, all'interno delle differenze. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 5 del 31 marzo 2005
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