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La nonviolenza e' in cammino. 856
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 856
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 2 Mar 2005 00:09:35 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 856 del 2 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Fatema Mernissi: Con Giuliana 2. Per una bibliografia sulla Shoah (parte trentatreesima) 3. Umberto Santino: Nonviolenza, mafia e antimafia (parte terza e conclusiva) 4. La nonviolenza e' lotta 5. "Nonviolenza. Femminile plurale" 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. FATEMA MERNISSI: CON GIULIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 febbraio 2005. Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima), e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] La mia immedesimazione con Giuliana Sgrena e' immediata e senza riserve, non solo per il suo impegno professionale e per le sue posizioni a favore della pace e della liberta' in molti paesi - fra cui la Palestina - ma anche per un'altra, fondamentale ragione che voglio sottolineare con forza: nel mondo arabo-islamico, chi e' a favore della pace si identifica subito e senza riserve con la vittima, chiunque sia: contro i killer, contro tutti coloro che fanno uso delle armi, e a favore delle vittime di queste violenze armate. 2. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE TRENTATREESIMA) GURI SCHWARZ Guri Schwarz e' nato a Milano nel 1975; dottore in storia contemporanea presso l'Universita' di Pisa, nella primavera del 2002 la Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea lo ha chiamato a far parte del comitato scientifico per la realizzazione di una mostra su "La persecuzione antiebraica in Italia"; si e' occupato prevalentemente di storia dell'ebraismo nell'Italia contemporanea e di politiche della memoria nel secondo dopoguerra. Tra le opere di Guri Schwarz: L'elaborazione del lutto. La classe dirigente ebraica italiana e la memoria dello sterminio (1944-1948), in M. Sarfatti (a cura di), Il ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, La Giuntina, Firenze 1998; Gli ebrei italiani e la memoria della persecuzione fascista (1945-1955), in "Passato e presente", n. 47, 1999; Un'identita' da rifondare: note sul problema dei giovani tra persecuzione e dopoguerra (1938-1956), in "Zackhor. Rivista di storia degli ebrei in Italia", n. 3, 1999; Identita' ebraica e identita' italiana nel ricordo dell'antisemitismo fascista, in "Annali dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza", 1998; Le conseguenze della persecuzione razziale in Italia. Note a margine del saggio di Carla Forti, in "Quaderni Storici", n. 101, 1999; Leggi razziali ed editoria, in "Quaderni Storici", n. 104, 2000; La persecuzione razziale in Italia. Note per una discussione, in "Bailamme", n. 26, 2000; Appunti per una storia degli ebrei in Italia dopo le persecuzioni, in "Studi Storici", n. 3, 2000; con I. Pavan (a cura di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione post-bellica, La Giuntina, Firenze 2001; Ritrovare se stessi. Gli ebrei nell'Italia postfascista, Laterza, Roma-Bari 2004. ANDRE' SCHWARZ-BART Scrittore francese (Metz 1928), la sua famiglia fu sterminata dai nazisti, prese parte alla Resistenza. Opere di André Schwarz-Bart: segnaliamo particolarmente L'ultimo dei giusti (1959), Feltrinelli, Milano 1991. CLAUDIO SCHWARZENBERG Giurista, storico, saggista. Opere di Claudio Schwarzenberg: Kappler e le Fosse Ardeatine, Celebes, Palermo 1977. ETTORE SCOLA Sceneggiatore e regista cinematografico italiano. Opere di Ettore Scola: qui segnaliamo particolarmente Una giornata particolare, Italia 1977; Concorrenza sleale, Italia 2001. Opere su Ettore Scola: Roberto Ellero, Ettore Scola, Il castoro cinema, Milano. TOM SEGEV Nato a Gerusalemme nel 1945, giornalista, saggista, storico. Opere di Tom Segev: Il settimo milione, Mondadori, Milano 2001. ANNA SEGHERS Pseudonimo di Netty Reiling (Magonza 1900 - Berlino est 1983), scrittrice tedesca, militante comunista, esule dal 1933, nel 1947 torno' in Germania stabilendosi nella Ddr. Opere di Anna Seghers: segnaliamo particolarmente ovviamente La settima croce (1942), Mondadori, Milano; e il libro pubblicato postumo nel 1990, ma scritto nel 1983, Il giudice giusto. BRUNO SEGRE Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003. CESARE SEGRE Illustre studioso di straordinaria autorevolezza morale, nato a Verzuolo (Cuneo) nel 1928, filologo romanzo, curatore di memorabili edizioni critiche ed antologie, critico e storico della letteratura. Tra le opere di Cesare Segre: Lingua, stile e societa' (1963); Esperienze ariostesche (1966); I segni e la critica (1969); Le strutture e il tempo ((1974); Semiotica, storia e cultura (1977); Semiotica filologica (1979); Teatro e romanzo (1984); Avviamento all'analisi del testo letterario (1985); Fuori del mondo (1990); Intreccio di voci (1991); Notizie dalla crisi (1993); La letteratura italiana del Novecento (1996, 2004); Per curiosita' (1999). In questa sede segnaliamo soprattutto le pagine su Primo Levi e l'ultimo libro citato (che reca come sottotitolo "Una specie di autobiografia"). LILIANA SEGRE Nata a Milano nel 1930, deportata ad Auschwitz, testimone della Shoah. Vedi la sua testimonianza in Daniela Padoan, Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004. RENATA SEGRE Storica, docente all'Universita' di Tel Aviv. Opere di Renata Segre: (a cura di), Gli ebrei a Venezia 1938-1949, Il Cardo, Venezia 1995. GIULIANA SEGRE GIORGI Nata a Torino nel 1911, antifascista, esule, scrittrice e traduttrice assai apprezzata. Opere di Giuliana Segre Giorgi: segnaliamo particolarmente Piccolo memoriale antifascista, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1999. JACQUES SEMELIN Studioso e promotore della nonviolenza. Opere di Jacques Semelin: Pour sortir de la violence, 1983; Sans armes face a' Hitler, 1989 (tr. it. Sonda, Torino 1993); La dissuasion civile (con Christian Mellon e Jean-Marie Muller), 1985; La non-violence (con Christian Mellon), 1994, segnaliamo particolarmente quest'ultimo volumetto di carattere introduttivo pubblicato nella collana "Que sais-je?", Puf, Paris. JORGE SEMPRUN Nato a Madrid nel 1923, emigrato con la famiglia a Parigi durante la guerra civile spagnola (il padre era un diplomatico repubblicano), prese parte alla Resistenza francese e fu deportato a Buchenwald. Sopravvissuto, fu oppositore del franchismo; scrittore, attivo anche nel giornalismo, nel cinema, nel teatro; e' stato Ministro della Cultura in Spagna dal 1988 al 1991. Opere di Jorge Semprun: Il grande viaggio, Einaudi, Torino 1964; Autobiografia di Federico Sanchez, Sellerio, Palermo 1979; La scrittura o la vita, Guanda, Parma 1996; Male e modernita', Passigli, Firenze 2002; Vivro' col suo nome, moriro' con il mio, Einaudi, Torino 2005. Segnaliamo anche il colloquio tra Jorge Semprun ed Elie Wiesel, Tacere e' impossibile, Guanda, Parma 1996. Semprun e' anche l'autore delle sceneggiature di due grandi film di Alain Resnais, La guerra e' finita (1966), e Stavisky (1973-74); ha collaborato anche con il regista Costa-Gavras per i film Z. L'orgia del potere (1969); La confessione (1970); L'affare della sezione speciale (1975). 3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: NONVIOLENZA, MAFIA E ANTIMAFIA (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Dal sito del Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo questo recente testo di Umberto Santino. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" e' un istituto di ricerca tra i piu' accreditati in campo internazionale, particolarmente specializzato su mafia e poteri criminali; operante dal 1977, e' stato successivamente intitolato a Giuseppe Impastato, militante della nuova sinistra assassinato dalla mafia nel 1978; una sintetica ma esauriente scheda di autopresentazione, di quattro pagine, e' richiedibile presso il Centro Impastato. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Scritti su Umberto Santino: Peppe Sini, Una rassegna bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino. La borghesia mafiosa tra violenza programmata, "doppio Stato" e capitalismo finanziario, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998, 2003] Siamo tutti uomini. Fondamento della visione nonviolenta e' la tesi dell'unitarieta' del genere umano, della natura comune degli attori del conflitto, anche se dall'altra parte c'e' chi fa uso sistematico della violenza. Ovviamente anche Hitler e Toto' Riina sono uomini, come lo sono Anna Frank e Giuseppe Di Matteo, ma la loro violenza non puo' essere considerata un fatto transeunte e tutto sommato secondario rispetto al comune destino dell'umanita' che rimanda a una visione fideistica (fede in Dio o nell'uomo) che rischia di essere rinunciataria o consolante. Anche i laici "credono", nel senso che trovare un fondamento totalmente razionale a certe scelte non e' possibile, ma si tratta di valori storici che si sono fatti faticosamente strada proprio in contrasto con visioni fideistiche, piu' portate all'esclusione e all'intolleranza: si pensi all'intolleranza congenita nei monoteismi. La forza di questi valori, anche di fronte alle riflessioni sul pensiero debole, sta proprio nel fatto di essere il frutto di conquiste storiche, costosissime, e di fondare la loro capacita' di durata e di resistenza sui costi pagati per la loro affermazione, continuamente messa in forse dai processi storici. Se oggi difendiamo democrazia, Costituzione, legalita' internazionale non e' in nome di Dio o dell'Uomo con la U maiuscola, ma in nome di una storia che rischia di essere calpestata se non cancellata da processi in atto di privatizzazione del potere, legalizzazione dell'impunita' e dell'illegalita', legalizzazione della guerra e della violenza. Al fondo della visione nonviolenta mi pare che ci sia un'idea della sostanziale, ontologica, bonta' del genere umano, della natura e della divinita', che e' piu' a misura del desiderio che della realta'. La storia umana e' fatta di creativita', conoscenza, conquiste, annovera Dante e Einstein, Bach e Michelangelo, Gandhi e i movimenti di liberazione, ma e' fatta pure di guerre e massacri, violenze e ingiustizie che non accennano a cessare. La natura coniuga splendori e catastrofi, nella piu' completa indifferenza per il destino degli esseri viventi e gli effetti dei disastri naturali si moltiplicano a causa della irresponsabile stupidita' umana (si pensi al recente maremoto asiatico). Per quanto riguarda la nostra idea di divinita', limitandoci alla visione cristiana, Dio Padre crea un mondo in cui il ciclo vitale degli esseri viventi e' legato alla gastronomia della morte; caccia dal paradiso terrestre i progenitori dell'umanita', rei di avere disobbedito a una proibizione alimentare e trasmettitori di una colpa che in contraddizione con un fondamentale principio etico, la responsabilita' individuale, si tramanda di padre in figlio; per redimere l'umanita' fa scendere sulla Terra, un pianetino che rappresenta un punto infinitesimo in un universo infinito, e morire in croce il Figlio, in continuita' con le liturgie fondate sui sacrifici umani; minaccia condanne eterne per chi muore in peccato mortale, anche compiendo insignificanti trasgressioni: tutto cio' in contraddizione con i piu' elementari principi di giustizia retributiva. L'atto sacramentale piu' significativo di comunione con la divinita' rinnova, simbolicamente, il banchetto cannibalico: l'ostia e il vino consacrati sarebbero realmente il corpo e il sangue di Cristo. Tutto cio' rimanda alla necessita' di una riconsiderazione delle nostre idee fondanti, su noi stessi, sull'universo, su Dio, figlie di mitologie fatte a immagine e somiglianza di un'umanita' primitiva. In sintesi: sono per una nonviolenza laica e per una pratica nonviolenta possibile. * A mio avviso, invece di un generico richiamo alla comune natura umana, bisognerebbe elaborare e sperimentare una strategia differenziata, soprattutto su un tema come la mafia, cioe' una forma di dominio fondato sulla violenza e sulla sopraffazione. Qualche esempio: rapporto con i mafiosi. Bisogna che ci siano segnali di "pentimento", come la collaborazione con la giustizia o altre forme, o si puo' prescindere da essi? Il mafioso come avversario, non nemico: solo che costitutivo del fenomeno mafioso e', come le stesse riflessioni nonviolente non cessano di sottolineare, il ricorso alla violenza. Non possiamo coltivare ne' buonismi ne' perdonismi. Il richiamo al rispetto dell'altro, anche del capomafia, e' condivisibile nel senso che diceva Falcone, anche se ho qualche dubbio sull'obbligo di dire la verita' da parte dei mafiosi e sulla loro capacita' di impartire lezioni di moralita'; vanno evitate forme di umiliazione e di afflizione inutili e controproducenti e possono sperimentarsi forme di dialogo del tipo indicate da Cozzo in un suo scritto: dire all'altro il male che fa, comunicare il proprio rifiuto di accettare intimidazioni ecc. Il problema e' come sfuggire alla predica a un Innominato che non ha nessuna intenzione di convertirsi, all'invito al ravvedimento sul tipo delle letterine di qualche prete a Riina? Le ragioni della mafia e dei mafiosi. Le ragioni sono: la violenza per arricchirsi, per comandare, per avere un ruolo sociale. Le dinamiche di causazione sono state indicate dalla letteratura criminologica: deprivazione relativa (condivisione dei fini e non dei mezzi), convenienza della violenza. Dare la parola ai mafiosi, ascoltarli, per una sorta di par condicio? La parola i mafiosi l'hanno gia' ed e' fatta di sangue e di disonore (tutti i delitti, anche quando si tratta di uccidere un bambino, sono in agguato e mai a viso aperto). Tocca a loro dimostrare che vogliono prendere la parola, deponendo le armi. Rapporti con i familiari di mafiosi: anche con loro si pongono gli stessi problemi che con i mafiosi. Se non ci sono segnali di disponibilita' non vedo come si possa avviare un rapporto. Rapporti con i familiari di vittime: imparare dai casi Buscemi e Rugnetta, frutto del bigottismo dell'antimafia doc (24). Dobbiamo esprimere e costruire solidarieta' attive, coinvolgendoli a pieno titolo nel nostro lavoro, come ha fatto l'Associazione donne siciliane contro la mafia con Michela Buscemi. Rapporti con i "pentiti". Sui "pentiti" (piu' realisticamente "mafiosi collaboratori di giustizia", in base a scelte piu' opportunistiche che etiche: finora l'unico, o uno dei pochissimi mafiosi che puo' considerarsi pentito e' Leonardo Vitale, rinchiuso per anni in manicomio giudiziario e ucciso nel 1984) c'e' da dire che anche nei loro confronti dobbiamo avere una visione laica. E' verissimo che la legislazione premiale rappresenta un vulnus all'ordinamento giuridico, introducendo diseguaglianze tra i cittadini di fronte alla legge, ma le dichiarazioni dei mafiosi collaboratori sono state e possono essere utilissime per individuare responsabili di delitti gravissimi e ricostruire organigrammi e strategie, ma essi non sono ne' maestri di vita ne' professori di storia. C'e' pure da sottolineare che non sempre e non necessariamente il procedimento penale deve dipendere dalle loro dichiarazioni, in base a una distorta filosofia giudiziaria. Un esempio: il delitto Impastato poteva benissimo essere indagato con una procedura tradizionale, individuando il movente nell'attivita' di Peppino e mandanti ed esecutori nelle persone che denunciava quotidianamente e irrideva apertamente. Invece, per processare e condannare i mandanti, Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, si sono dovute attendere le dichiarazioni di mafiosi collaboratori, giunte peraltro con enorme ritardo. Con collaboratori di giustizia e familiari delle vittime possiamo sperimentare forme di riconciliazione, con manifestazioni pubbliche che diano il senso di una ricomposizione sociale, non in nome del perdonismo ma soprattutto della rinuncia pubblica a ogni forma di sopruso e di violenza e con azioni riparative concrete. Questo mi pare il terreno piu' adatto per una strategia nonviolenta. Rapporti con gli estorti: bisognerebbe promuovere campagne di persuasione con proposte di aggregazione. Lo si e' gia' fatto ma i risultati sono minimi, soprattutto in Sicilia occidentale dove piu' forte e' la sudditanza-complicita' di commercianti e imprenditori con la mafia. Il gesto di giovani che hanno affisso manifestini contro il pizzo, richiamando la responsabilita' di un "intero popolo", puo' essere una provocazione utile, se accompagnato da una strategia di persuasione-organizzazione, che coinvolga l'intero corpo della societa' civile e condizioni le istituzioni, finora alquanto inaffidabili (il siluramento di Tano Grasso da Commissario antiracket e l'affidamento del compito a un funzionario sono provvedimenti che non possono che aggravare la sfiducia). Rapporti con i borghesi piu' o meno collusi (borghesia mafiosa): fare appello all'etica professionale, ma anche qui c'e' il rischio della predica inutile; denunciare i rapporti con la politica (sull'esempio della campagna di Dolci su Mattarella), sottolineando la responsabilita' politica, rimasta sulla carta dopo la relazione della Commissione antimafia del 1993, senza delegare tutto all'azione giudiziaria che su questo terreno puo' arrivare fino a un certo punto. Rapporti con gli strati popolari: avviare un'attivita' integrata: educazione-autoanalisi, preparazione e organizzazione di lotte e di spazi di aggregazione sul tema dell'occupazione, dei diritti sociali, della liberta' di voto ecc. Ripensare le presenze nel territorio: scuole, centri sociali, parrocchie ecc. Le forme tradizionali della lotta politica e sindacale hanno ignorato e continuano a ignorare la centralita' del problema della disoccupazione e dell'emarginazione (non c'e' un sindacato dei disoccupati), lasciando libero campo alle mafie come fornitrici di reddito con il denaro facile e produttrici di ruoli sociali, con l'affiliazione alle organizzazioni criminali e il coinvolgimento nelle attivita' illegali e legali. Dovremmo riempire questo vuoto storico, organizzando il territorio con un tessuto diffuso di gruppi e luoghi di aggregazione, progettando il cambiamento. Qui torna in tutta la sua attualita' la lezione di Dolci, in un quadro ancora piu' degradato: dall'egemonia democristiana, fondata sulla mediazione, si e' passati al berlusconismo come forma di occupazione e privatizzazione del potere. Leader carismatici e crescita personale. Il problema dei valori. Non per caso le esperienze storiche di nonviolenza che hanno avuto seguiti di massa (Gandhi in India, King negli Stati Uniti, Dolci in Sicilia) si fondano sul carisma di un leader piu' che sulla crescita delle persone che vi partecipano (anche se le pratiche di autoanalisi, le conversazioni di gruppo e i lavori di gruppo operano in questo senso), e sono soggette a rapidi deperimenti se non alla totale sparizione dopo la scomparsa del leader. In questo non sono dissimili dai movimenti di massa laici, borghesi e socialisti, fondati sulla personalita' carismatica del leader e dagli attuali fenomeni di personalizzazione della politica, con la crisi delle forme-partito e l'affermazione di modelli antipolitici e leaderistici. * Non per caso, solo dopo la vittoria di Bush negli Stati Uniti, che per rispondere alla paura americana dopo l'11 settembre ha pescato nel melting pot dei disvalori della confederazione (il ribadimento della supremazia americana, con la legittimazione dell'uso della forza, e l'irrinunciabilita' dei privilegi dell'american way of life, nel dispregio del diritto internazionale e delle limitazioni alle distruzioni dell'ambiente, il familismo, il puritanesimo dei Padri fondatori), in Italia qualcuno riscopre che anche la sinistra ha dei valori (la pace e la convivenza fra i popoli, la giustizia sociale, la solidarieta'), accantonati in omaggio alla competitivita' e agli altri dettami del pensiero unico neoliberista. A questo timido tentativo di riscoprire un'identita' storica, Berlusconi risponde facendo sua la strategia di Bush, proclamandosi Superman del Bene contro il Male (il comunismo che porta miseria, terrore e morte) e defensor dei valori cristiani, assieme a Buttiglione, Fini, Ferrara, Pera e Borghezio, un'armata brancaleone di crociati del terzo millennio, capitanati da un'apocalittica Santa Giovanna dei macelli, al secolo Oriana Fallaci. Sul terreno dei valori come nonviolenti, o amici o "curiosi" della nonviolenza, dovremmo avere un ruolo attivo e positivo, non a rimorchio, differenziandoci nettamente da personaggi che rappresentano la forma piu' spudorata di leaderismo amorale, venato di bigottismo e filantropia. * Da cosa nasce l'interesse attuale per la nonviolenza? Cominciamo da noi. Esso nasce dalla consapevolezza che la mafia e' fenomeno complesso, che la repressione non basta (ma bisogna chiedersi se e quanta repressione ci sia stata: di sicuro essa e' stata di tipo emergenziale), che, pur non condividendo visioni totalizzanti e criminalizzanti in blocco, le interazioni con la politica e le istituzioni sono state forti e attualmente siamo in presenza nel nostro Paese di una forma di criminocrazia formale (Stato-mafia direbbe qualcuno), che bisogna affrontare la mafia in tutta la sua complessita', operando su vari terreni, e che di fronte al dilagare della violenza e dell'illegalita' e' necessario attrezzare il proprio bagaglio con vari strumenti e che la nonviolenza puo' essere sperimentata come antidoto efficace al dominio mafioso. Ma chi se la sente di fare scelte radicali, fondate su una dedizione assoluta, alla Danilo Dolci? Ma gioverebbero a costruire resistenze corali, di massa (per utilizzare un linguaggio che appare obsoleto e rischia di riproporre mobilitazioni consistenti, ma pur sempre formate piu' da manifestanti che da compartecipi), capaci di liberarci da una tirannia? E si puo' prendere qualcosa dal patrimonio di idee e di esperienze nonviolente, selezionandolo in base a una scelta "di convenienza", o bisogna compiere un atto di fede e abbracciare tutto in blocco? Non posso che ribadire la mia convinzione: una nonviolenza laica e una pratica nonviolenta possibile. Come e' noto la nonviolenza farebbe parte del progetto di rinnovamento della politica di Rifondazione comunista. A cosa stiamo assistendo? Al tentativo di fuoriuscita da esperienze rivoluzionarie fallite e dalla forbice guerra permanente - terrorismo che domina la scena mondiale, alla reazione alle tentazioni di parte del cosiddetto movimento dei movimenti di riproporre pratiche violente, all'allineamento con visioni che rilanciano accattivanti utopie: "cambiare il mondo senza prendere il potere"? Quel che e' certo e' che il dibattito sulla nonviolenza all'interno di Rifondazione ha fatto registrare eventi significativi - convegni, seminari, i cui atti sono pubblicati in volume (25) - ma esso e' ben lontano dall'aver coinvolto, e soprattutto convinto, il corpo dei militanti, molti dei quali hanno manifestato la loro avversione a tale scelta, considerandola un tradimento dei principi marxisti e una forma di revisionismo funzionale alla scelta politica in atto (appoggio organico al centrosinistra). Anche sul terreno piu' propriamente politico, nella lotta contro il neoliberismo e contro guerre e terrorismi, bisognerebbe andare oltre la dimensione dell'analisi e della denuncia (dei massacri delle foibe, per esempio) e sperimentare forme concrete di nonviolenza attiva che facciano vedere che non si tratta solo di rifiuto della violenza (disobbedienza, boicottaggi ecc.) ma di qualcosa che somiglia al sorgere di un'alternativa (il contro dovrebbe essere propedeutico al per). Purtroppo anche il termine che continuiamo a usare (nonviolenza, anche se lo scriviamo tutto attaccato) e' connotato solo negativamente e non positivamente. Non litigheremo per il nome come sta avvenendo in quel litigiaio permanente che e' il centrosinistra italiano, pero' il problema c'e' e non lo supereremo con una nuova sigla ma con analisi e pratiche efficaci e coerenti, senza inseguire illusioni ma pure mettendoci in gioco, correndo il rischio di rinnovare pensieri e azioni. * Appendice: tre poesie di Danilo Dolci Le opere di Dolci sono oggi di difficile reperimento. Per avere un'idea piu' compiuta del suo lavoro trascrivo alcune poesie dalla raccolta Il limone lunare. Poema per la radio dei poveri cristi. La prima e' riportata integralmente, della altre due riporto solo dei brani. 1. Quasi sta in uno sguardo dai monti attorno alla pianura, al mare, tutta la valle che verra' irrigata dall'acqua della diga. A osservare dall'alto non si vedono schiene curve sudate tra le vigne a migliaia e migliaia, mentre pochi ruffiani impoltronati nei caffe' guadagnano milioni sorridendo. A guardare all'alto non si pensa - respiri aria pulita, dai paesi vien l'odore di un pane ancora pane; e il mare non e' fogna, senza vento e' ancora mare terso, vi traspaiono il guizzare dei pesci e le alghe verdi, e l'odore e' di mare -, non si pensa che se altrove arrivava uno da qui si vergognava di dire che terra era la sua: tanto era nominata per banditi, o mafiosi, o i suoi politici insigni esperti di parole e intrighi. A guardare dall'alto quando e' sera verso i lumi nell'angolo del golfo non si direbbe che quelle luci nitide nel blu tanti spari hanno visto, tanto sangue, diventare ministri i mandatari degli assassini, innanzi la Giustizia - gli sbirri ringhiano fin che sei debole, quando diventi forte si scappellano. Ma ti basta vedere attentamente dalle strade dei poveri barricate da mucchi di immondizie, nel buio delle case, per capire: ad uno ad uno deboli, ignorandosi, incapaci d'intrighi e di far male e non sapendo come organizzarsi questa gente per secoli si e' persa raccomandandosi ai pochi boia scambiati per civili, baciando i peli ai propri parassiti. 2. Un mafioso e' un mafioso. In quanto per sistema e' prepotenza parassitaria, occorre eliminarlo mentre l'uomo che e' in lui (non e' facile distinguere il mafioso dalla mafia e l'uomo dal mafioso; negli altri e in noi, in ogni forma possibile) - va educato a vivere da uomo. 3. Vi lascio una vita scoperta intensamente giorno per giorno: ho cercato con voi di guardare oltre l'attimo, vivendolo, di vedere oltre i giorni, oltre gli anni, di imparare a collaborare, di premer con la gente per cambiare questa terra, ma non contrapponendo l'azione nonviolenta alla violenza se rivoluzionarie, praticando l'impegno nonviolento per il nuovo come il figlio, sviluppo piu' perfetto dell'impegno violento. * Note 24. Sulla vicenda di Michela Buscemi e Vita Rugnetta, le uniche donne del popolo palermitano che si sono costituite parti civili nel maxiprocesso di Palermo e sono state isolate da tutte le associazioni antimafia, ad eccezione del Centro Impastato e dell'associazione Donne siciliane contro la mafia, perche' considerate familiari di vittime in qualche modo legate alla mafia, cfr. A. Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990. 25. Cfr. AA.VV., La politica della nonviolenza. Per una nuova identita' della sinistra alternativa, Liberazione, Roma 2004; AA.VV., Agire la nonviolenza. Prospettive di liberazione nella globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano 2004. (Parte terza. Fine) 4. MATERIALI. LA NONVIOLENZA E' LOTTA [Riproduciamo di seguito un brano da un testo da ultimo ripubblicato nel n. 642 di questo foglio] Rompere la complicita' Alla base della nonviolenza vi e' la consapevolezza che il potere ingiusto ed oppressivo si regge anche sulla complicita' delle vittime e degli indifferenti: la nonviolenza e' in primo luogo un appello a rompere la complicita' con l'ingiustizia, a toglierle il consenso, ad uscire dalla passivita', a prendersi la propria responsabilita', a lottare per la verita' e la giustizia. * La nonviolenza e' lotta E' lotta contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia riconosciuto nella sua dignita'; e' lotta contro ogni forma di sopraffazione; e' lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel rispetto e nella valorizzazione della diversita' di ognuno. E' la forma di lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle questioni che affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo piu' completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza. Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto della verita' e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non vogliono fare del male, bensi' contrastare il male. E' lotta per l'umanita'. La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione. * Otto brevi caratterizzazioni della nonviolenza La nonviolenza e' forte: puo' opporsi efficacemente alla forza delle armi; puo' sfidare coerentemente i piu' grandi poteri del mondo. La nonviolenza e' umile: non richiede attitudini eccezionali, pose monumentali, proclami retorici; non richiede ingenti risorse fisiche o finanziarie; richiede limpidezza di condotta ed assunzione di responsabilita'. La nonviolenza e' concreta: interviene realmente nel conflitto; porta la pace e la giustizia nel suo stesso porsi; si oppone ugualmente alla vigliaccheria ed alla violenza; educa alla dignita' umana. La nonviolenza e' coerente: e' l'unico modo coerente di lottare contro la violenza; e' l'unico modo coerente di affermare la dignita' di ogni essere umano; e' l'unico modo coerente per ridurre l'ingiustizia e il dolore nel mondo. La nonviolenza e' il potere di tutti: poiche' tutti possono lottare con la nonviolenza, poiche' la nonviolenza fa appello a tutti, poiche' la nonviolenza rispetta la dignita' di tutti e di ciascuno. La nonviolenza e' adesione alla verita', e' forza della verita': da Gandhi a Capitini gli amici della nonviolenza sanno che essa e' incompatibile con la menzogna, con i sotterfugi, con gli intrighi e le doppiezze: la nonviolenza e' l'amore per la verita' che irrompe nell'agire politico e sociale, e' il principio responsabilita' (il rispondere al volto dell'altro che muto e sofferente ti interroga - Levinas -, il farsi carico del mondo e dell'umanita' - Jonas -) che si rende operare autentico; e' la critica della ragion pratica che si fa movimento di solidarieta' e di liberazione. La nonviolenza e' lotta come amore: lotta integrale contro l'ingiustizia e la menzogna, lotta integrale per la comunicazione e la dignita', lotta integrale contro la violenza; lotta integrale per i diritti umani, lotta integrale per un'umanita' di eguali, liberi e fraterni. La nonviolenza e' utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare eretti: abbiamo usato queste tre formule del filosofo Ernst Bloch per significare che la nonviolenza e' concreta azione e concreto progetto politico e sociale di dignita' umana e difesa della biosfera; che la nonviolenza e' inveramento della speranza in una lotta coerente e che nel suo stesso farsi e' liberante; che la nonviolenza e' affermazione ed istituzione del diritto e dei diritti, legalita' e democrazia in cammino. * Quattro regole di condotta per l'azione diretta nonviolenta I. A un'iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che accettano incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza. II. Tutti i partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con tranquillita', con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno. III. Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso, fini, modalita' e conseguenze dell'azione diretta nonviolenta; devono averne piena conoscenza, e devono esserne completamente convinti; in particolare sottolineiamo la necessita' di essere pienamente informati e consapevoli delle conseguenze cui ogni singolo partecipante puo' andare incontro, conseguenze che vanno accettate pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di sottrarsi. IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della nonviolenza: a) non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa delle stupidaggini, o una sola persona si fa male, l'azione diretta nonviolenta e' irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere immediatamente sospesa); b) spiegare a tutti (amici, autorita', interlocutori, interpositori, eventuali oppositori) cosa si intende fare, e che l'azione diretta nonviolenta non e' rivolta contro qualcuno, ma contro la violenza; c) dire sempre e solo la verita'; d) fare solo le cose decise prima insieme con il metodo del consenso ed annunciate pubblicamente (cioe' a tutti note e da tutti condivise); nessuno deve prendere iniziative personali di nessun genere; la nonviolenza richiede lealta' e disciplina; e) assumersi la responsabilita' delle proprie azioni e quindi subire anche le conseguenze che ne derivano; f) mantenere una condotta nonviolenta anche di fronte all'eventuale violenza altrui. Chi non accetta queste regole non puo' partecipare all'azione diretta nonviolenta, poiche' sarebbe di pericolo per se', per gli altri e per la riuscita dell'iniziativa che deve essere, appunto, rigorosamente nonviolenta. Per poter partecipare ad un'azione diretta nonviolenta e' necessario aver partecipato prima alla discussione ed all'organizzazione che ha portato alla sua decisione e realizzazione, ed e' altresì assolutamente indispensabile aver partecipato ad un training di addestramento alla nonviolenza. * Necessita' dell'addestramento alla nonviolenza La nonviolenza non e' ne' un atteggiamento spontaneo, ne' un banale "volersi bene"; bensi': a) una meditata scelta etico-politica di trasformazione delle relazioni personali e sociali, b) un insieme di tecniche di lotta rigorose ed assai elaborate, c) una strategia di lotta profondamente caratterizzata, d) un progetto di relazioni umane e politiche radicalmente alternativo a quelle dominanti. Quindi la nonviolenza non è affatto "spontanea", va conosciuta e coltivata. Nessuno si sorprende se un soldato deve addestrarsi, nessuno si sorprende se un medico deve studiare: ebbene, la nonviolenza richiede un addestramento e uno studio non inferiori ma superiori a quelli richiesti al soldato ed al medico. Senza studio non e' possibile comprendere la nonviolenza; senza addestramento non e' possibile condurre l'azione nonviolenta. Proprio perche' la nonviolenza e' una proposta morale, sociale e politica di lotta di liberazione che nel suo stesso farsi inveri la dignita' umana di ognuno e di tutti, essa richiede un impegno di conoscenza, di preparazione, di discussione, di consapevolezza e di capacita' critica e autocritica assolutamente superiore a quello richiesto in altre forme di organizzazione, in altri ambiti di studio, in altre proposte di azione. * I diritti umani, presi sul serio Scegliamo la nonviolenza perche' essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che si prefigge nel suo stesso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti, non solo di coloro che partecipano all'azione, ma anche di coloro che la subiscono. La nonviolenza non rinvia la realizzazione dei diritti umani ad un futuro successivo alla conclusione della lotta, essa realizza i diritti umani nel corso stesso della lotta. La nonviolenza non nega umanita' agli avversari con cui lotta, essa riconosce l'umanita' degli avversari con cui lotta. La nonviolenza e' lotta intransigente per affermare la dignita' umana di tutti e per affermarla subito. Essa e' nei suoi metodi e nel suo svolgersi coerente con i suoi fini: poiche' il fine e' la dignita' umana e la liberazione dall'oppressione, la lotta nonviolenta nel suo stesso svolgimento deve realizzare la dignita' di tutti e prefigurare la liberazione di tutti. Per questo diciamo che la nonviolenza e' lotta come amore. * La liberazione umana, subito Inoltre scegliamo la nonviolenza perche' essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che realizza nel suo stesso farsi una forma autentica di democrazia diretta, rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura gia' nella sua organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberanti; perche' consente la partecipazione di tutti ed abolisce rapporti di potere e di oppressione. Per questo essa adotta il metodo del consenso, per questo essa non e' solo una forma di lotta ma anche una occasione di costruzione di rapporti umani solidali; per questo nella nonviolenza si richiede una piena limpidezza di comportamenti e una forte lealta' nei confronti di tutti, di sottoporre tutto alla discussione comune, e di scegliere sempre e solo gli obiettivi e le forme di lotta che tutti i partecipanti condividono. * La nonviolenza e' gestione del conflitto La nonviolenza e' gestione del conflitto, la cui esistenza essa riconosce e valorizza. La nonviolenza non e' una visione idilliaca ed illusoria, quindi narcotizzante, dei rapporti sociali; ma la consapevolezza della conflittualita' degli ideali e degli interessi, delle situazioni esistenziali e delle relazioni sociali, dei rapporti economici e politici, degli assetti culturali e ideologici. Essa si propone di intervenire nel conflitto e di farlo umanizzando il conflitto, valorizzandone la dimensione morale e conoscitiva, gestendolo in modo da renderlo fecondo di rapporti umani piu' giusti, lottando incessantemente contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro l'inganno. Si puo' essere nonviolenti solo nel conflitto, si puo' essere nonviolenti solo se si lotta per la giustizia. Gli indifferenti, coloro che chiudono gli occhi, chi se ne sta chiuso in casa sua, non hanno nulla a che vedere con la nonviolenza. La nonviolenza e' lotta integrale e intransigente contro l'ingiustizia. La nonviolenza e' il contrario della vilta', il contrario dell'egoismo, il contrario della passivita', il contrario del motto fascista "me ne frego". La nonviolenza e' quella specifica forma di gestione del conflitto che ripudia la violenza e si propone come fine precipuo di combatterla e di abolirla. * La nonviolenza e' ripudio assoluto della violenza La nonviolenza e' opposizione assoluta alla violenza: non ammette complicita', meschinita' o sotterfugi. La nonviolenza smaschera e ripudia i sofismi sulla "violenza buona", sulla "guerra giusta", e simili infamie: la nonviolenza si oppone sempre e comunque alla guerra e alla violenza. Ovviamente gli amici della nonviolenza riconoscono agli oppressi il diritto di legittima difesa; ovviamente gli amici della nonviolenza hanno la capacita' di ricostruire i rapporti di causa ed effetto che producono l'oppressione e la violenza, e si battono in primo luogo contro le cause e le condizioni strutturali che producono ingiustizia, sopraffazione, sofferenza, violenza. Lo stesso Gandhi era esplicito nel dichiarare che di fronte alla violenza la cosa peggiore e' la vilta', e che se non si ha la forza di resistere con la nonviolenza, gli oppressi hanno il dovere di resistere comunque; ma aggiungeva che la nonviolenza e' incomparabilmente piu' forte e migliore della resistenza violenta, e che occorre avere la forza di scegliere sempre e comunque la nonviolenza. Noi riteniamo che vi siano argomentazioni ineludibili che ci convincono a ripudiare la violenza come metodo di lotta; argomenti che ci persuadono quindi ad ammettere solo la nonviolenza come metodo di lotta. * Per la critica della violenza Elenchiamo alcune ragioni essenziali per cui occorre essere rigidamente contro la violenza. Citiamo da Giuliano Pontara, voce Nonviolenza, in AA. VV., Dizionario di politica, Tea, Milano 1992. I. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation storica della violenza. Secondo questo argomento, l'uso della violenza (...) ha sempre portato a nuove e piu' vaste forme di violenza in una spirale che ha condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire nella distruzione dell'intero genere umano"; II. il secondo argomento "mette in risalto le tendenze disumanizzanti e brutalizzanti connesse con la violenza" per cui chi ne fa uso diventa progressivamente sempre piu' insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di vite che provoca; III. il terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di essa puo' condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello piu' buono"; IV. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata favorisca l'emergere e l'insediamento in posti sempre piu' importanti della societa', di individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza organizzata conduce prima o poi sempre al militarismo"; V. il quinto argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e integrali del movimento o della societa' che ricorre ad essa (...). 'La scienza della guerra porta alla dittatura' (Gandhi)". A questi argomenti da parte nostra ne vorremmo aggiungere altri due: VI. un argomento, per cosi' dire, di tipo epistemologico: siamo contro la violenza perche' siamo fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni, e quindi e' preferibile non esercitare violenza per imporre fini che potremmo successivamente scoprire essere sbagliati; VII. soprattutto siamo contro la violenza perche' il male fatto e' irreversibile (al riguardo Primo Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel suo ultimo libro I sommersi e i salvati). Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge opportunamente un ultimo decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina nonviolenta sono coscienti che ogni condanna della violenza come strumento di lotta politica rischia di diventare un esercizio di sterile moralismo se non e' accompagnata da una seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta alternativi. Di qui la loro proposta dell'alternativa satyagraha o della lotta nonviolenta positiva, in base alla duplice tesi a) della sua praticabilita' anche a livello di massa e in situazioni conflittuali acute, e b) della sua efficacia come strumento di lotta" per la realizzazione di una societa' fondata sulla dignita' della persona, il benessere di tutti, la salvaguardia dell'ambiente. * Perche' ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti" Ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti" perche', come spiegava Aldo Capitini, dobbiamo essere modesti e realistici: la nonviolenza e' un ideale cui tendere, un ideale assai impegnativo, una pratica da verificare giorno per giorno nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali come nelle grandi lotte necessarie; e solo nella verifica quotidiana per un verso, e nel momento piu' aspro della lotta, per l'altro, si evidenzia la nostra capacita' di attenerci ad essa, di esserne creativamente gli artefici; quindi evitiamo di sembrare sbruffoni, e consideriamoci per quello che siamo: donne e uomini in ricerca, per un' umanita' di liberi ed eguali, appunto: amici della nonviolenza. 5. MATERIALI. "NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE" Dopo la favorevole accoglienza da parte di lettrici e lettori del supplemento domenicale "La domenica della nonviolenza", da domani intendiamo avviare le pubblicazioni di un secondo supplemento settimanale, che uscira' il giovedi', dal titolo "Nonviolenza. Femminile plurale", particolarmente dedicato allo svolgimento e alla verificazione di una delle fondamentali idee-guida proposte da questo nostro notiziario quotidiano: che il pensiero e le prassi del movimento di liberazione delle donne - ma anche il sentire, il pensare, l'agire delle donne tout court -, nelle sue variegate articolazioni e dialettiche, costituisca l'esperienza teoretica e storica piu' rilevante ed aggettante, e per cosi' dire la "corrente calda", di cio' che chiamiamo nonviolenza in cammino. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 856 del 2 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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