La nonviolenza e' in cammino. 802



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 802 del 7 gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: L'anno che sta arrivando
2. Maria G. Di Rienzo: il processo del consenso e i suoi vantaggi
3. Diotima: Una presentazione e una bibliografia essenziale
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: L'ANNO CHE STA ARRIVANDO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

L'anno che ci siamo appena lasciato alle spalle, non poteva terminare
peggio.
Il maremoto nel sud-est asiatico e' un'altra soglia del dolore umano che
viene superata nell'anno 2004 davvero orribile.
La prima considerazione, davanti all'onda di tsunami, e' che essendo il
fenomeno prevedibile, molti delle povere popolazioni che si affacciano
sull'oceano Indiano potevano essere salvate. Ma le zone colpite non avevano
un sistema di allarme, perche' costava troppo. Confermando quanto sia
abissale il divario tra paesi ricchi e paesi poveri.
Confermando che quello che abbiamo davanti e' un problema profondamente
politico e che deve essere risolto in maniera politica, attraverso scelte
economiche che consentano alle popolazioni piu' povere del pianeta di
respirare e di restituire un po' di giustizia a questo mondo profondamente
disuguale.
Continuare a dilapidare risorse in guerre grandi e piccole, private e
planetarie, e' una scelta suicida. In questo senso, la proposta avanzata da
Alex Zanotelli per l'abolizione del debito estero, ci sembra una delle poche
cose sensate che sono state dette.
*
La seconda considerazione, e' che quell'onda anomala e' venuta a ricordarci
quanto e' debole e fragile la nostra vita quotidiana, il carattere
totalmente esposto, precario, incerto, della specie umana.
Del resto non rassomiglia a quanto e' accaduto nella scuola di Beslan, od a
Falluja; non e' "umana", e rimanda piuttosto all'immaginario catastrofico.
E' andato in frantumi il cuore del pianeta. La Terra e' sembrata ribellarsi
ed esplodere, a mostrare il volto della morte in scala planetaria. La natura
continua a funzionare in modi che possono distruggere in un momento i nostri
progetti e le nostre vite; e questo ci impone di verificare nuovamente ogni
certezza acquisita nelle nostre belle sicurezze.
*
La terza considerazione riguarda la solidarieta', per molti versi veramente
straordinaria.
Crediamo che questa volta l'angoscia per gli italiani perduti va oltre i
confini nazionali. Accomuna tutti in un solo dolore. Ma resta l'assoluta
inadeguatezza tra la nostra solidarieta', dovuta e scontata come e' ovvio, e
l'orrore e il suo superamento.
*
Infine, di fronte a tanto orrore, non dobbiamo assolutamente dimenticare la
morte "innaturale" di altre migliaia di uomini in questo 2004 segnato da
"ordinari" massacri sui campi della guerra.
Perche' l'intero mondo non sta implodendo solo per le catastrofi naturali,
ma anche perche' stretto fra i materialissimi interessi del liberismo e gli
orrori della guerra.
Ogni giorno e' un passo ulteriore verso l'imbarbarimento dell'umanita'. Non
si contano piu' gli orrori della guerra, che per altro dimentichiamo presto.
Centomila sono le vittime irachene della "guerra preventiva" mossa da Bush,
secondo uno studio presentato dalla rivista "The Lancet". E sono stime al
ribasso, secondo i ricercatori della Hopkins University che hanno svolto
l'indagine insieme ai ricercatori di altre universita', fra cui la Al
Mustansiriya University di Baghdad.
Cosi' Falluja, questa citta' ignota ai piu', rappresenta la vergogna di non
saper inventare niente per fermare la produzione del terrore, illustra
l'autodistruzione della civilta' dei diritti umani. Sta a indicare che nel
2004 una parte dell'umanita' credeva ancora che le guerre si facessero per
vincere, e non vedeva che ogni possibile vittoria era stata spazzata via, a
suon di bombe, a forza di assedi, a colpi di omicidi, torture, violazioni
delle leggi, devastazioni del territorio, dell'orizzonte del possibile.
*
Ma la violenza non e' solo guerra, e' anche sfruttamento del lavoro,
precarizzazione della vita, alienazione della persona, discriminazioni,
disparita' di opportunita', subordinazione di genere. Una violenza diffusa,
stabilizzata e aggravata dal capitalismo mondializzato.
Il risultato, anche in Italia, e' un contesto di precarizzazione e
insicurezza che unifica (o dovrebbe unificare) in una considerazione
materiale insopportabile figure sociali che il liberismo aveva frantumato.
Non esistono piu' garantiti, dai call center alle linee di montaggio, dalle
universita' agli ospedali, siamo tutti precari. Per legge e per crisi.
E' capace l'opposizione (tutta) al governo Berlusconi (che comunque vada si
lascera' alle spalle solo macerie e miseria) di partire da questa emergenza
sociale? E' capace di rompere la spirale suicida che sta affondando
l'economia e la societa' del nostro paese? E' capace di avere un progetto
che agli stessi problemi non da' le medesime risposte della destra? Il tutto
con la ferma consapevolezza che non si tratta solo di cacciare Berlusconi,
ma anche di liberare la societa' italiana dal "berlusconismo" e di
ricostruire una sinistra nuova. E non solo.
Perche' una politica di reale cambiamento, e' quella che non perde di vista
i dannati della terra, da sempre carne da cannone del capitale e del
colonialismo. Ecco le sfide difficili dell'anno che sta iniziando.
Auguri a tutti.

2. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: IL PROCESSO DEL CONSENSO E I SUOI
VANTAGGI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Ci sono molti modi di prendere decisioni.
Puo' essere che qualche volta il modo piu' "efficiente" sia quello di
lasciare che il capo, il leader, il direttore o il dittatore le prenda lui
(o lei). Tuttavia l'efficienza, oltre ad essere un criterio ambiguo, non
puo' essere l'unico presupposto per la valutazione. Quando si sceglie un
metodo decisionale bisogna farsi due domande: 1) Si tratta di un processo
equo? 2) Produce buone soluzioni?
Per giudicare il processo considerate i seguenti punti: l'incontro scorre in
modo fluido? La discussione resta sul merito? Quanto tempo ci vuole per
prendere le decisioni? La leadership determina comunque il risultato della
discussione? Alcune persone non vengono considerate? Per giudicare la
qualita' del risultato finale considerate questi altri punti: le persone che
hanno preso la decisione, e le persone che dovranno porla in essere, sono
soddisfatte del risultato? Fino a che punto ci si e' avvicinati, mediante la
decisione, all'intento originario? Le istanze sottostanti la decisione sono
state esplorate? L'uso delle risorse, rispetto alla decisione, e'
appropriato?
Certo, il dominio puo' funzionare, ma l'idea di un dittatore benevolo o del
leader illuminato, e' solo un sogno (un brutto sogno). E' assai meglio
sognare ad occhi aperti e concretamente, coinvolgendo nel processo
decisionale tutte le persone che in un modo o nell'altro avranno a che fare
con la messa in opera della decisione e con i suoi effetti. In questo modo
la decisione riflettera' la volonta' dell'intero gruppo, e non solo dei
leader. Le persone che dovranno lavorare in base alla decisione presa
saranno piu' felici di fare il loro lavoro e lo faranno in modo piu'
accurato. E per vedere bene, come dice il vecchio adagio, quattro occhi sono
meglio di due, cosi' come per pensare bene e' meglio avere piu' teste.
Il processo del consenso (detto anche "consenso formale") ha una struttura
chiaramente definita: richiede un impegno alla cooperazione, un modo di
discutere disciplinato in cui si parla e si ascolta, e il rispetto per il
contributo di ciascun membro del gruppo. Allo stesso tempo, ogni persona ha
la responsabilita' di partecipare attivamente come individuo creativo
all'interno della struttura.
Maneggiare male i conflitti (con il ritiro, il diniego, la repressione,
l'aggressione) e' molto "normale" durante le riunioni, ed usare un altro
sistema puo' non essere agevole, all'inizio. Conflitti irrisolti,
provenienti da precedenti incontri ed esperienze, possono irrompere nel
processo e renderlo piu' difficile. Sara' la pratica ad aiutarvi a superare
tali difficolta', ed i benefici derivanti dalla partecipazione e dalla
cooperazione di ciascun membro del gruppo valgono la pena di fare questo
sforzo.
I critici del consenso dicono che esso porta via troppo tempo, e che e'
troppo complicato: il problema e' che prendere decisioni complesse o che si
riferiscono ad istanze controverse prende comunque tempo, al di la' del
processo decisionale scelto. Come qualsiasi altro processo, il consenso
sara' inefficace ove il gruppo non voglia o non sappia seguire una
determinata struttura di dialogo.
*
Dinamiche di gruppo
Per definizione, un gruppo e' un certo numero di individui che condividono
una relazione unificante. Le dinamiche di gruppo create dal processo del
consenso sono completamente differenti da quelle prodotte dalla regola del
voto di maggioranza. Esse si basano su valori diversi, su linguaggi diversi,
su tecniche e strutture diverse.
Per capire questo puo' essere utile esaminare insieme alcuni concetti
generali:
1) Il conflitto: il consenso lavora al suo meglio in un'atmosfera in cui il
conflitto (tenetevi forte...) e' incoraggiato, e risolto cooperativamente
mediante il rispetto, la nonviolenza e la creativita'. Per il processo del
consenso il conflitto e' desiderabile, non viene evitato, minimizzato o
negato.
2) Il voto di maggioranza e la competizione: quando si vota per prendere una
decisione, la dinamica che si crea all'interno del gruppo e' quella della
competizione. Si vota per scegliere fra due (e raramente piu' di due)
opzioni, ed e' del tutto accettabile attaccare o svilire un altro punto di
vista per promuovere il proprio. Spesso si vota dopo che una delle due parti
(o entrambe) non ha rivelato nulla di se' ed ha speso tutto il tempo
disponibile ad attaccare l'altra parte.
*
Consenso e cooperazione
Il processo del consenso, invece, crea una dinamica di cooperazione. Si
considera una sola proposta alla volta, ed ognuno lavora insieme agli
altri/alle altre per prendere la decisione migliore per l'intero gruppo.
Ogni preoccupazione viene espressa e risolta, tutte le voci vengono
ascoltate. Quando le proposte non vengono considerate "proprieta'" di chi le
enuncia, idee e soluzioni vengono create molto piu' facilmente.
*
Il consenso e' la forma meno violenta di processo decisionale che conosciamo
La teoria nonviolenta sostiene che l'uso del potere come dominio e' violento
e indesiderabile. La nonviolenza si aspetta che le persone usino il loro
potere per persuadere senza coercizione e malizia, usando la verita', la
creativita', il rispetto, l'amore. Il sistema di voto a maggioranza accetta,
e persino incoraggia, l'uso del potere per dominare gli altri. Lo scopo e'
vincere la votazione, spesso ignorando altre scelte che sarebbero migliori
per l'intero gruppo. La volonta' della maggioranza soprassiede alle
preoccupazioni ed ai desideri della minoranza. Il consenso si sforza invece
di tenere in conto preoccupazioni e desideri di ciascuno/a, e di discuterne
prima di arrivare ad una decisione.
*
Il consenso e' la forma più democratica di processo decisionale che
conosciamo
I gruppi che desiderano coinvolgere quante piu' persone possibile hanno
necessita' di usare processi inclusivi. Se attrarre e coinvolgere un largo
numero di individui viene considerato importante, allora il processo
decisionale deve garantire eguale accesso al potere, sviluppo della
cooperazione, creazione di un senso di responsabilita' individuale rispetto
alle azioni del gruppo. Lo scopo del consenso non e' di selezionare le
opinioni, ma di sviluppare una decisione che tutto il gruppo consideri la
migliore: e' evoluzione, non competizione ne' attrito.
*
Il consenso e' desiderabile e praticabile in gruppi numerosi
Se la struttura del dialogo non e' definita, le decisioni sono difficili da
raggiungere, e questa difficolta' aumenta tanto piu' vasto e' il gruppo che
deve prenderle. Il consenso e' la risposta giusta per i gruppi numerosi: ha
linee guida che consentono di maneggiare produttivamente gli incontri, di
facilitare la discussione, di risolvere i conflitti e di raggiungere una
decisione. Non solo: funziona al suo meglio quanta piu' gente vi partecipa.
Durante la discussione, le idee nascono l'una dall'altra, in quella dinamica
conosciuta come "interazione creativa" delle idee. La creativita' gioca un
ruolo importante nella ricerca di quale sia la decisione migliore per
l'intero gruppo, e piu' persone sono coinvolte in questo processo di
cooperazione, piu' idee e possibilita' vengono alla luce.
*
Il consenso non prende piu' tempo di altri metodi
Il processo decisionale comincia con un'idea e termina con l'implementazione
effettiva della decisione.
Se e' vero che in un processo autoritario quella decisione puo' essere presa
rapidamente, e' altrettanto vero che la sua attuazione prendera' del tempo.
Quando una sola persona (o poche persone) prende decisioni per un gruppo
piu' vasto, non solo la decisione deve venire comunicata a tale gruppo, ma
deve essere giudicata da esso "accettabile", altrimenti la sua
implementazione dev'essere forzata. Questo prende certamente tempo, e spesso
anche molto tempo.
Se invece ciascuna delle persone coinvolte nell'attuazione della decisione
ha partecipato al suo formarsi, la decisione non ha necessita' di essere
comunicata, ne' la sua implementazione di essere imposta coercitivamente. Il
formarsi della decisione puo' aver preso piu' tempo, ma il suo diventare
azione concreta avverra' in modo assai piu' rapido.
La maggiore o minore velocita' nel prendere decisioni non dipende dal
processo decisionale usato, bensi' dalla complessita' dell'istanza o della
proposta che si sta discutendo. Naturalmente il consenso richiede pazienza,
ma nessun processo decisionale funziona senza una generosa offerta di
pazienza da parte dei partecipanti.
*
Il consenso non puo' essere controllato o manipolato dall'esterno
Questo puo' non essere un problema per alcuni gruppi, ma chi lavora per il
cambiamento sociale sa bene che molte aggregazioni vengono inquinate e
distrutte da processi non democratici portati al loro interno. Per
contrastare tale pericolo, c'e' la necessita' di sviluppare ed incoraggiare
un processo decisionale che non possa essere controllato "segretamente" o
manipolato. Il consenso e' proprio questo tipo di processo. Poiche' i suoi
assunti di base sono cooperazione e volonta' di venirsi incontro, e' sempre
appropriato chiedere una spiegazione su come e perche' la tal proposta
sarebbe la cosa migliore per il gruppo; inoltre, i comportamenti distruttivi
non hanno spazio nel processo, e non vengono tollerati.
*
Come si forma una decisione
La decisione viene adottata quando tutti i partecipanti consentono rispetto
al risultato della discussione sulla proposta originaria. Le persone che non
sono d'accordo sono responsabili dell'esprimere le loro contrarieta' o
perplessita'. Nessuna decisione viene presa finche' contrarieta' e
perplessita' non sono risolte. Se esse rimangono, anche dopo essere state
discusse, il gruppo puo' "accordarsi sul fatto di essere in disaccordo" e
chi le ha espresse puo' consentire comunque a che la decisione venga presa.
Ricordate che raggiungere il consenso non significa che ognuno deve essere
perfettamente d'accordo con tutti gli altri: sarebbe uno scenario assai
improbabile per un gruppo di individui intelligenti e creativi.
*
Il consenso deve essere insegnato
Il consenso sta lentamente diventando "popolare", come forma di processo
decisionale democratico, anche in Italia. Tuttavia, poche delle
organizzazioni che dicono di usarlo sanno farlo in modo consistente: esso
continua ad essere vissuto come processo vago ed informale. In genere, la
risoluzione cooperativa e nonviolenta dei conflitti non e' una cosa di cui
le persone fanno esperienza nelle loro vite quotidiane, ed e' percio'
irragionevole aspettarsi che il processo del consenso sia loro
immediatamente familiare: l'abilita' nel prendere decisioni in modo diverso
e' costretta a nascere e a svilupparsi in un ambiente assai competitivo.
Nondimeno, se desideriamo un futuro per noi stessi ed il pianeta, abbiamo la
responsabilita' di imparare a vivere insieme risolvendo i nostri conflitti
in modo nonviolento e prendendo le nostre decisioni consensualmente; abbiamo
la responsabilita' di apprendere a valutare le differenze, a rispettare
tutta la vita non solo su un piano fisico, ma sui piani emozionale,
intellettuale e spirituale.
*
Le regole del consenso
Come vedrete esaminandone la struttura, il consenso non e' un metodo
inflessibile: ci sono in esso passaggi che il vostro gruppo modifichera' a
seconda delle proprie caratteristiche. Alcune regole di base, comunque, sono
indispensabili:
a) Quando una decisione viene adottata per consenso, non puo' essere
cambiata se non raggiungendo nuovamente il consenso;
b) Si parla uno alla volta, per il tempo che si e' deciso ognuno abbia a
disposizione;
c) Tutte le decisioni riguardanti il "merito" (l'agenda del gruppo, la
composizione del gruppo, le proposte, le azioni), vengono prese per consenso
dopo discussione: si puo' ovviare alla discussione, pur chiedendo il
consenso, sulle decisioni "strutturali" (che ruoli ci servono, chi li
ricopre, dove reperiamo il materiale).
*
La struttura del consenso
Quella che sto per illustrarvi prevede come primo cardine la separazione fra
l'identificazione e la risoluzione dei problemi. Puo' darsi, se nel vostro
gruppo nessuno ha difficolta' a dire cio' che pensa, che questo passo non
sia per voi necessario; il suo scopo e' fornire l'opportunita' di esprimersi
a tutti, anche a coloro che non si sentono (parzialmente o del tutto)
"autorizzati" a partecipare.
La struttura ha tre livelli, o cicli di discussione. Nel primo, si permette
a ciascuno di esprimere la propria prospettiva, incluse perplessita' e
contrarieta', ma senza tentare di risolverle. Nel secondo, il gruppo si
concentra sull'identificare i problemi posti dalle perplessita' e
contrarieta', ancora senza cercare soluzioni per essi. Questo, com'e' ovvio,
richiede disciplina. Commenti reattivi, persino quelli divertenti o
"leggeri", possono sopprimere le idee creative degli altri. Fino al terzo
livello, la struttura non comincia ad esplorare le possibili soluzioni. Ogni
livello ha uno scopo: nel primo, esso prevede una discussione ampia, ove si
considerano le informazioni a disposizione, le considerazioni generali, e
persino le implicazioni politiche e filosofiche della proposta. A questo
livello, la centratura e' sulla proposta come "intero". Al secondo livello,
lo scopo della discussione e' ristretto alle perplessita' ed alle
contrarieta': esse vengono pubblicamente mostrate, scritte in una lista su
lavagna o fogli, il che permette a ciascuno di visualizzarle piu'
chiaramente. L'attenzione e' sulla loro natura, e sul raggruppamento di
quelle che sono simili o affini. Al terzo livello, lo scopo della
discussione e' ancora piu' ristretto: si limita ad esaminare ed esplorare
una singola "obiezione" alla volta, fino a risolverla.
*
Livello uno: discussione aperta
In questa fase, si incoraggiano i commenti che investono la proposta sul
tavolo nella sua interezza, come istanza "generale": ad esempio, quali
saranno i vantaggi per il gruppo se l'idea diverra' decisione consensuale,
quali saranno i suoi effetti futuri, che tipi di precedenti tenderebbe a
creare, eccetera. Incoraggiate l'interazione creativa dei commenti e delle
idee, la condivisione di informazioni. Quando preoccupazioni vengono
espresse, prendetene nota, ma non permettete che divengano il centro della
discussione: per chi gia' dall'inizio non considera buona l'opzione, questo
e' il momento in cui puo' vederne i lati positivi, e per chi gia'
dall'inizio la considera valida, e' il momento per riflettere piu'
ampiamente su di essa. Se vi sembra che vi sia una generale approvazione, o
una generale disapprovazione rispetto all'idea prospettata, potete chiedere
il consenso.
*
Chiedere il consenso
Il facilitatore/la facilitatrice chiede: "Ci sono perplessita' che non sono
state espresse?". Dopo un periodo di silenzio, se nessun commento si
aggiunge alla lista, egli/ella chiedera' se si vuole procedere con l'analisi
dettagliata della proposta nelle due fasi successive, o se essa "muore" qui
(e anche questo e' possibile). Come avrete notato, egli/ella non ha posto,
come prima domanda: "Abbiamo il consenso?", ne' "Siamo tutti d'accordo?",
perche' queste domande non incoraggiano ad esprimere dissenso. Se c'e' una
persona timida, o che e' intimidita dal forte sostegno che la proposta in
discussione sembra avere, chiedere "Ci sono perplessita' che non sono state
espresse?" le fornira' un'opportunita' per parlare. In questa fase, ogni
preoccupazione o perplessita' relativa alla proposta viene scritta di fianco
ad essa, e ne diviene parte integrante.
*
Livello due: identificare le preoccupazioni
All'inizio di questo secondo livello, viene usato il tipo di discussione
detto "brainstorming" o "tempesta di idee", al fine di identificare le
preoccupazioni e le perplessita' che verranno scritte visibilmente su fogli
o lavagna e trascritte da chi ha il compito di prendere le note. Questo non
e' il momento di tentare di risolvere le preoccupazioni o di determinarne la
validita', e' il momento in cui si esprime tutto cio' che puo' destare
perplessita', sia esso ragionevole o meno, si tratti di un particolare su
cui si e' riflettuto molto o di un sentimento vago. Chi facilita
interrompera' ogni commento che tenti di difendere la proposta, di risolvere
un problema, di giudicare le preoccupazioni espresse, o che neghi e
delegittimi i sentimenti e i dubbi altrui. A volte, il semplice poter
esprimere una preoccupazione e vederla scritta aiuta a risolverla. Dopo che
tutte le preoccupazioni sono state scritte, prendetevi un momento per
riflettere su di esse come "insieme".
*
Raggruppare le preoccupazioni affini
A questo punto, la concentrazione va all'identificare schemi e relazioni fra
le preoccupazioni espresse. Questa e' di solito una fase molto veloce, in
cui ancora non ci si ferma a riflettere su come risolvere nessun problema in
particolare.
*
Livello tre: risolvere le preoccupazioni
Affrontare un gruppo di problemi correlati, e tentate di risolverlo.
Rimuovete dalla lista i gruppi che sono stati totalmente risolti. Chiedete
sempre il consenso, nel modo che ho spiegato prima, per ogni rimozione.
Continuate a discutere sulle preoccupazioni che restano. Esse verranno
ribadite brevemente e chiaramente, e ne verra' affrontata una alla volta.
(Puo' accadere, in questa fase, che nuovi dubbi vengano espressi) Ognuno/a
di voi e' responsabile di esprimere con onesta' cio' che pensa: fare
altrimenti, nel tentativo di essere simpatici o di non urtare nessuno, mina
la fiducia nel gruppo e la capacita' del gruppo stesso di discutere
proficuamente.
*
Fare domande
Chi facilita, chiede di volta in volta se vi sono domande o commenti che
potrebbero aiutare a chiarire ulteriormente il problema che stiamo
affrontando.
*
Discussione limitata al risolvere una sola questione
Mantenete la discussione centrata sul problema che state tentando di
risolvere, annotando ogni suggerimento. Se c'e' un particolare punto che non
trova soluzione, o se il tempo che avete deciso di spenderci e' del tutto
trascorso, muovetevi verso una delle opzioni di chiusura descritte di
seguito, dopo aver chiesto il consenso.
1. Conferire il potere di maneggiare la questione ad un "comitato"
Se la decisione sulla proposta puo' attendere fino a che l'intero gruppo si
incontrera' di nuovo, potete chiedere ad alcuni di voi di formare un
"comitato" che si riunira' per chiarificare ancora le preoccupazioni
irrisolte e fornire ad esse nuove e creative soluzioni. E' una buona idea
includere in questo sottogruppo coloro che hanno espresso le maggiori
preoccupazioni, assieme a coloro che sono i piu' entusiasti della proposta
cosi' com'e'.
2. Adottare la decisione mantenendo le preoccupazioni irrisolte
Se qualche preoccupazione e' stata pienamente discussa ma ancora non si
riesce a risolverla, chi facilita chiedera' alle persone che l'hanno
espressa se vogliono lo stesso che la proposta vada avanti: e' importante
capire che non si sta chiedendo di cancellare i dubbi che non hanno avuto
soluzione; in effetti, a questo punto, essi diventano parte dell'intera
decisione. Saranno sollevati di nuovo, e meriteranno di nuovo tutta la
nostra attenzione: quello che chi facilita chiede e' se la decisione puo'
essere presa nonostante il loro permanere.
3. Dichiarare il blocco
Dopo aver speso il tempo che avete prestabilito muovendovi attraverso i tre
livelli della discussione nel tentativo di raggiungere il consenso, ed aver
verificato che le opzioni 1 e 2 non sono praticabili, dovete prendere atto
che le obiezioni non risolte sono profonde, e che la decisione e' bloccata.
Ovvero, il consenso non e' raggiunto, e la proposta non viene accettata. A
questo punto potete muovervi verso il prossimo punto in agenda.
*
Un ultimo consiglio utile
Se desiderate adottare questo metodo decisionale vi aiutera' molto, come
primo passo, il creare una "carta d'intenti" per il vostro gruppo. Essa
descrivera' i vostri scopi comuni e i vostri valori, includendo in essi il
metodo decisionale che avete scelto. I seguenti sono i princìpi che stanno
alla base del consenso, quelli che incoraggiano partecipazione e
condivisione.
1. Fiducia
Senza di essa non vi saranno ne' cooperazione ne' risoluzione nonviolenta
dei conflitti. Perche' la fiducia possa fiorire e' desiderabile che vengano
riconosciute le differenze presenti nel gruppo, che vi siano riconoscimento
ed apprezzamento per ognuno, che vi sia l'apertura alla conoscenza
dell'altro e l'attitudine all'ascolto. Non e' necessario che diventiate
amici, ma e' indispensabile che possiate fidarvi l'uno dell'altro.
2. Rispetto
Le persone si sentono rispettate quando vengono ascoltate, quando non
vengono interrotte, quando quello che dicono viene preso sul serio.
L'identico rispetto per le preoccupazioni emotive e per quelle "logiche"
forma l'ambiente adatto per raggiungere il consenso. Cercate anche di
distinguere sempre le persone e le azioni: c'e' differenza fra lo
stigmatizzare l'atto che ha causato un problema e considerare la persona che
ha compiuto quell'atto un errore in se stessa.
3. Unita' di intenti
Ovvero una comprensione di base, condivisa, degli scopi verso cui il gruppo
si muove. Naturalmente vi possono essere molte diverse opinioni sul come
raggiungere tali scopi, ma dev'esserci anche un comune punto di partenza,
riconosciuto ed accettato da tutti.
4. Impegno nonviolento
Non basta dire che siete amici della nonviolenza, o che essa e' menzionata
in qualche documento del vostro gruppo. Prendere decisioni in modo
nonviolento significa che voi rispetterete effettivamente le differenze e
coopererete con altri: questo e' il potere che avete. Dinamiche di dominio
come il controllo dei processi di gruppo (perche' siete fra i fondatori,
perche' la vostra associazione e' piu' grande delle altre, perche' chiedete
di continuo "maternage" alle donne del gruppo...) rendono impossibile il
consenso. Dire la vostra verita' e' la grande forza che il metodo del
consenso vi offre di mettere in gioco per convincere gli altri.
5. Autostima
E' molto facile conferire ad esperti o a personaggi autorevoli il potere di
prendere decisioni al posto nostro: e veniamo sovente incoraggiati a
comportarci in tal modo. Se, come membri del gruppo che ha adottato il
consenso quale metodo decisionale, delegate la vostra autorita' ad altri,
intenzionalmente o no, state respingendo la vostra parte di responsabilita'
per le decisioni collettive. Il metodo del consenso incoraggia e necessita
l'autostima delle persone. Ognuno puo' esprimere preoccupazioni, ognuno
cerca soluzioni creative, ognuno e' responsabile del risultato finale.
Poiche' il consenso e' un processo di dialogo trasformativo, e non una
competizione, tutto quello che dite sinceramente e' importante.
6. Cooperazione
Per nostra sfortuna, la cultura in cui viviamo e' satura di un'altra parola:
competizione. Se un bell'argomento vincente e' piu' importante del
raggiungimento degli scopi del gruppo, la cooperazione e' assai difficile,
se non impossibile. La cooperazione e' responsabilita' condivisa: le
decisioni migliori sorgono spesso da un aperto e creativo scambio di idee;
inoltre, le idee offerte nello spirito della cooperazione aiutano a
risolvere i conflitti.
7. Pazienza
Non si puo' correre verso il consenso. Non lo si puo' spingere o forzare. Il
suo fluire costante, pero', produce effetti stabili, risultati concreti.
Tenete presente questo, quando vi sono situazioni difficili che richiedono
piu' tempo del solito: il consenso e' possibile solo quanto ogni individuo
agisce in modo paziente e rispettoso degli altri.

3. ESPERIENZE. DIOTIMA: UNA PRESENTAZIONE E UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
[Dal sito della comunita' filosofica femminile Diotima
(www.diotimafilosofe.it) riprendiamo i seguenti materiali]

Una presentazione
Non siamo un gruppo, ma singole donne con i segni singolari e comuni di una
storia di relazioni, a cominciare da quella con nostra madre, per continuare
con quella che ci lega fra noi e si chiama "diotima": nome comune di
relazione fra donne impegnate nella ricerca filosofica.
La comunita' filosofica femminile Diotima nasce presso l'Universita' di
Verona nel 1983, per iniziativa di donne interne ed esterne all'universita',
con l'intento di "essere donne e pensare filosoficamente". Riferimenti
fondamentali per il lavoro di Diotima erano la riflessione filosofica di
Luce Irigaray e il dibattito teorico e politico del movimento delle donne,
in particolare il femminismo della differenza, in un rapporto
particolarmente stretto con quanto elaborato dalla Libreria delle donne di
Milano.
Nel corso degli anni Diotima ha mantenuto e rafforzato questi tratti natali,
definendosi non come il nome proprio di un "gruppo", ma come "nome comune"
di una pratica di relazione tra donne. Molte donne hanno cosi' contribuito
all'impresa di Diotima, alcune con maggiore continuita', moltissime altre in
un rapporto di prossimita' e dialogo, partecipando ai nostri incontri, ai
seminari e ai libri. "Fare diotima" significa attivita' molte e diverse: la
cura per le relazioni, innanzitutto, che e' la sostanza della nostra pratica
filosofica e politica, e di la' incontri, seminari, convegni, viaggi per
incontrare altre donne e altre riflessioni, semestrali "ritiri" di
discussione con ospiti amiche che vengono anche da molto lontano, attivita'
legate all'insegnamento universitario, come il laboratorio tesi di laurea, e
a insegnamenti in altri luoghi non accademici.
Tra le varie attivita' ha un particolare rilievo il cosiddetto "grande
seminario" annuale, che vede l'impegno di tutte su di un tema sul quale si
svolgono una serie di lezioni. Questo "grande seminario" ha sempre avuto una
grande affluenza non solo di studentesse e studenti, ma di donne e uomini
che vengono all'universita' per l'insegnamento di Diotima. Da questi
incontri sono in genere nati i nostri libri: Il pensiero della differenza
sessuale, Mettere al mondo il mondo, Il cielo stellato dentro di noi, Oltre
l'uguaglianza, La sapienza di partire da se', Il profumo della maestra,
Approfittare dell'assenza. Tutti libri che hanno rappresentato altrettante
occasioni di incontro e relazione nei luoghi piu' diversi, e che in molti
casi hanno avuto traduzioni che a loro volta hanno innescato iniziative e
relazioni. Oltre ai libri e alle iniziative che portano il nome di Diotima,
altre scritture e altre iniziative sono state intraprese in relazione a
Diotima, alimentate dal desiderio di alcune per finalita' specifiche, penso
al lavoro di alcune sul pensiero di specifiche autrici, o su temi specifici:
sulla pedagogia, il lavoro, la lingua materna, la politica delle donne,
l'autoriforma dell'universita'.
La scommessa natale di Diotima e' stata quella di fare filosofia in fedelta'
a se stesse e al proprio essere donne, da cio' l'intento di pensare
filosoficamente la differenza sessuale, rompendo l'universalita' e
neutralita' con la quale il discorso filosofico si e' presentato, pur
essendo storicamente e simbolicamente l'espressione del soggetto maschile.
In questa prima fase forte e' stato il riferimento al pensiero di Luce
Irigaray, in particolare all'idea di un simbolico femminile e del
riconoscimento della genealogia femminile. Altrettanto cruciali le
riflessioni e le pratiche maturate nel femminismo italiano della differenza
che puntavano sulla figura simbolica della madre e la pratica della
relazione privilegiata tra donne detta "affidamento" che si proponeva come
riconoscimento del debito originario alla madre. In questo quadro maturano
le successive riflessioni che hanno tematizzato il nodo dell'autorita'
femminile, quello dell'ordine simbolico della madre, quello della lingua
materna. In forte continuita' con la discussione del femminismo della
differenza sono anche l'accento portato sulla liberta' femminile, di contro
all'uguglianza, e sulla pratica del partire da se', su cui si e' innestato
il lavoro sul sapere che nasce dall'esperienza e sulla filosofia come
pratica filosofica e politica del simbolico.
*
Una bibliografia essenziale
1. Libri di Diotima
- anno 1987: Il pensiero della differenza sessuale
Cristiana Fischer, Elvia Franco, Giannina Longobardi, Veronika Mariaux,
Luisa Muraro, Anita Sanvitto, Betty Zamarchi, Chiara Zamboni, Gloria
Zanardo, La differenza sessuale: da scoprire e da produrre; Adriana
Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale; Wanda Tommasi, La
tentazione del neutro; Giannina Longobardi, Donne e potere; Annamaria
Piussi, Visibilita'/significativita' del femminile e logos della pedagogia;
Elvia Franco, L'affidamento nel rapporto pedagogico; Luisa Muraro e Chiara
Zamboni, Appendice: Cronaca dei fatti principali di Diotima.
"La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la
nostra epoca ha da pensare" (Luce Irigaray).
- anno 1990: Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettivita' alla luce
della differenza sessuale
Nota introduttiva; La realta' non data: Chiara Zamboni, L'inaudito; Diana
Sartori, Perche' Teresa; Luisa Muraro, La nostra comune capacita'
d'infinito; Wanda Tommasi, Simone Weil: dare corpo al pensiero; Dare
realta': Adriana Cavarero, Dire la nascita; Anna Maria Piussi, Stelle,
pianeti, galassie, infinito; Paola Azzolini, Mettersi al mondo, Elsa!;
Letizia Comba, Cio' che non e' verificabile; Laura Boella, Pensare
liberamente, pensare il mondo; Luisa Muraro e Chiara Zamboni, Appendice:
Diotima comunita', Diotima politica, Diotima maestra.
- anno 1992: Il cielo stellato dentro di noi. L'ordine simbolico della madre
Nota introduttiva; Luisa Muraro, L'orientamento della riconoscenza; Anna
Maria Piussi, Era la' dall'inizio; Veronika Mariaux, Tenere presente la
madre; Elisabetta Zamarchi, E' un procedere arduo; Mariri' Martinengo:
Ildegarda e Richardis; Angela Putino, La Signora della notte stellata; Diana
Sartori, Dare autorita', fare ordine; Chiara Zamboni, Le vie del simbolico;
Intervento: Letizia Comba, L'amica indiana; Ghiti Thadani,
Madre/matrice/trasformatrice; Appendice: Giannina Longobardi, Cambiamenti.
Questo libro e' opera di alcune donne che sono tra loro in un rapporto di
ricerca da molti anni, e di alcune che si sentono vicine a questa via.
Diotima e' il nome della comunita' filosofica che e' nata da questa impresa.
Abbiamo gia' pubblicato due libri: Il pensiero della differenza sessuale
(1987) e Mettere al mondo il mondo (1990) con questa stessa casa editrice.
Questo terzo libro continua quella ricerca e quella storia. Con l'immagine
del cielo stellato dentro di noi si mostra che la misura del cosmo la
troviamo in noi stesse perche' l'ordine della madre e' sia dentro che fuori
di noi. Questa riflessione appartiene a un piu' grande contesto: l'ordine
simbolico della madre. Scritti di donne, pensieri, ma anche un agire
politico ed esempi di vita lo delineano, discostandosi dal patriarcato. E'
un modo di pensare insieme nuovo e antichissimo.
- anno 1995: Oltre l'uguaglianza. Le radici femminili dell'autorita'
Prefazione di Luisa Muraro; Diana Sartori, "Tu devi". Un ordine materno;
Chiara Zamboni, Ordine simbolico e ordine sociale; Letizia Comba,
L'obbedienza (Lettera a Diotima); Wanda Tommasi, Il lavoro del servo;
Annarosa Buttarelli, Fare autorita', disfare potere.
Diotima si interroga sulla crisi di fine secolo, che e' anche una crisi di
fine millennio. Il discredito ha colpito uomini e istituzioni della
politica. Il disordine sociale e personale deriva da una mancanza di senso
dell'autorita' il cui bisogno, spesso, e' stato usato dal potere con intenti
conservatori, se non reazionari, per consolidarsi facendo fuori il gusto
della liberta'. La ricerca e' partita dalla scoperta che e' possibile
distinguere fra autorita' e potere, e accordare il bisogno simbolico di
autorita' con l'amore della liberta'. Questa e', in breve e in grande, la
sua scommessa. In cio' e' stata favorita da alcune circostanze:
dall'esistenza del movimento politico delle donne, dal vantaggio di
ragionare sull'autorita' all'interno di una pratica, e, infine, dal fatto di
aver individuato una vicinanza femminile al senso libero dell'autorita'.
- anno 1996: La sapienza di partire da se'
Prefazione di Chiara Zamboni; Luisa Muraro, Partire da se' e non farsi
trovare...; Diana Sartori, Nessuno e' l'autore della propria storia:
identita' e azione; Vita Cosentino e Giannina Longobardi, La scuola
sregolata; Katharina Rutschky, Femministe o perbeniste?; Annarosa
Buttarelli, Partire da se' confonde Creonte; Bianca Tarozzi, Metafore del
se' in poesia; Angela Putino, La cura di se'; Chiara Zamboni, Il
materialismo dell'anima.
Tutti noi abbiamo ricchi e profondi legami con il mondo. I legami sono
profondi e non sempre ne avvertiamo la ricchezza. Essi sono la costrizione e
anche la bellezza della nostra esistenza di esseri umani. Come fare a
mostrare tali legami? E' impossibile attraverso un sapere gia' costituito,
che li riduce a formule. Occorre ritornare ai vissuti nel loro farsi: ai
desideri, ai sentimenti, alle contraddizioni. Per gli uomini e' una pratica
difficile: sicuramente il ruolo maschile tradizionale richiede loro di
essere oggettivi. La sapienza di partire da se' e' una via che si sottrae
alle molte opposizioni che sono inscritte nel simbolo dominante: quella tra
soggettivo e oggettivo, tra individuo e comunita' e tra locale e generale.
- anno 1999: Il profumo della maestra. Nei laboratori della vita quotidiana
Prefazione di Luisa Muraro; capitolo primo: Chiara Zamboni, Adelina eccelli:
l'universita' e' il mio paese; intermezzo: Chiara Zamboni, Inventare,
ringraziare: pensare; capitolo secondo: Testimonianza di Zazi Sadou con una
nota di Delfina Lusiardi, Ho scelto di lasciarvi immagini di vita e di
bellezza; capitolo terzo, Emozioni in aula: Giannina Longobardi, Una
questione di grazia; Francesca Migliavacca, Lasciarsi toccare; capitolo
quarto, Fare compagnia alla mente inferma: Luisa Muraro, All'incrocio di
altro; Daniela Riboli, Il salto in alto; capitolo quinto, Dire svelare,
mostrare: Diana Sartori, Oltre la strategia della nonna; Franca Porto, Il
mio non e' un gioco; Diana Sartori, La volta di Maria; intermezzo: Diana
Sartori, "... colla presunzione di veder piu' lontano e piu' sicuramente con
occhi di talpa fissi nell'esperienza..."; capitolo sesto: Cristina
Faccincani, Il pensiero dell'esperienza; capitolo settimo, Pensare facendo:
Luigina Mortari, Sulle tracce di un sapere; Elisabetta Manenti, La casa del
Po; intermezzo: Chiara Zamboni, Sentimenti che fanno luce; appendice:
Diotima a Costagrande.
Le donne, piu' degli uomini, hanno mostrato storicamente il desiderio di
stare in un rapporto vitale con le cose che fanno e con il sapere che ne
ricavano, coinvolgendo in esso la propria soggettivita'. Pur di non perdere
questo contatto, rinunciano all'astrazione pura e all'universale assieme al
potere che offrono. Si e' trattato, da parte delle donne, di una scelta
dettata dal desiderio di mantenere legato il pensiero all'esperienza.
L'inclinazione a cio' e' diventata in molti casi scelta consapevole e non e'
mai stata una costrizione.
Nel testo e' implicita una critica alla civilta' della scienza e della
tecnica cosi' com'e', ma in vista di un piu' ampio senso della scienza, che
sappia dare spazio alla ricchezza di sapere che ogni caso individuale offre
nella sua singolarita'.
Il libro nasce da un seminario che ha seguito questo andamento. Ogni lezione
e' stata tenuta da due donne. La prima, quella invitata e che era la piu'
importante, non era una studiosa o un'erudita: eccelleva invece per il fatto
di possedere una ricchezza di sapere inseparabile dalla sua condizione
personale e dal suo percorso d'esperienza. Ed e' stata la fiducia in questa
qualita' a guidare l'altra ad invitarla.
Il tema riguarda dunque i saperi che fanno corpo con l'esperienza e con la
pratica.
- anno 2002: Approfittare dell'assenza. Punti di avvistamento sulla
tradizione
Prefazione di Luisa Muraro; Wanda Tommasi, Di madre in figlia; Luisa Muraro,
La maestra di Socrate e mia; Francesca Doria, Il lievito della liberta';
Chiara Zamboni, Il tempo vivo del vangelo; Diana Sartori, Dei diritti e dei
rovesci. Una lettura della Dichiarazione dei diritti del 1789; Vita
Cosentino, Basta che parli. Lettera a una professoressa riletta da una
professoressa; Anna Maria Piussi, Sulla fiducia; Annarosa Buttarelli, Tabula
rasa; Lara Corradi, Cio' che non si puo' ne' vedere ne' toccare. Lara alla
scuola di Cristina Campo; Chiara Zamboni, Momenti radianti; Ida Dominijanni,
Nella piega del presente; Diana Sartori, Ma chi te lo fa fare?
Esiste una contraddizione che le donne avvertono nei confronti dell'eredita'
culturale: un rapporto che sembra lacerato tra la riconoscenza da una parte
e la voglia di tradimento dall'altra, tra la dipendenza e l'indipendenza dal
passato. Come rapportarsi con la tradizione e con i libri che la raccontano,
tutti pieni di imprese e opere di uomini, senza rompere con le genealogie
femminili, senza tradire le nostre madri che in quella tradizione non sono
inscritte? Le donne sono presenti nella storia, ma senza continuita'
visibile. Questa constatazione ha fatto nascere l'idea che esista una
storicita' originale delle donne, non confinate nella cronologia e nella
visibilita' dei fatti codificati. E da questa idea, questo libro.
Approfittiamo dell'assenza e' una formula che riprende e modifica il famoso
invito di Carla Lonzi: "La differenza della donna sono millenni di assenza
dalla storia. Approfittiamo della differenza".
*
2. Alcuni libri collegati a Diotima
- Giannina Longobardi, Anita Sanvitto, Wanda Tommasi, Elisabetta Zamarchi,
Chiara Zamboni, Gloria Zanardo, Simone Weil. La provocazione della verita',
Liguori, Napoli 1990.
- Annarosa Buttarelli, Giannina Longobardi, Luisa Muraro, Wanda Tommasi,
Iaia Vantaggiato, La rivoluzione inattesa. Donne al mercato del lavoro,
Pratiche, Milano 1997.
- Gruppo pedagogia della differenza sessuale, Educare nella differenza,
Rosenberg & Sellier, Torino 1989.
- Annamaria Piussi e Letizia Bianchi (a cura di), Sapere di sapere,
Rosenberg & Sellier, Torino 1995.
- Eva Maria Thune (a cura di), All'inizio di tutto la lingua materna,
Rosenberg & Sellier, Torino, 1998.
*
3. Letteratura critica scelta
- Lia Cigarini, La politica del desiderio, Pratiche, Parma 1995.
- Antoinette Fouque, I sessi sono due, Pratiche, Parma 1999.
- Mary Daly, Al di la' di Dio Padre, Editori Riuniti, Roma 1990.
- Ipazia, Autorita' scientifica, autorita' femminile, Editori Riuniti, Roma
1992.
- Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985.
- Luce Irigaray, Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1989.
- Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975.
- Luce Irigaray, Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978.
- Laura Lanzillo, Tutto il tempo a nostra disposizione, "Il Manifesto", 10
gennaio 2003.
- Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti. La
generazione della liberta' femminile nell'idea e nelle vicende di un gruppo
di donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987.
- Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, Gammalibri, Milano 1982 (Rivolta
femminile, Milano 1974).
- Carla Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Rivolta
femminile, Milano 1978.
- Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991.
- Luisa Muraro, Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla
inimicizia tra metafora e metonimia, Feltrinelli, Milano 1981 (ora
ripubbllicato da Manifestolibri, Roma 1998, con introduzione di Ida
Dominijanni).
- Maria Milagros Rivera Garretas, Nominare il mondo al femminile, Editori
Runiti, Roma 1998.
- Wanda Tommasi, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia
della filosofia, Tre lune, Mantova 2001.
- Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975.
- Elisabeth Wolgast, La grammatica della giustizia, Editori Riuniti, Roma
1991.
- Chiara Zamboni, Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio,
Liguori, Napoli 2001.
- Chiara Zamboni, La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli 1997.
- Bono, Paola, and Kemp, Sandra (eds), Italian Feminism: A Reader,
Blackwell, Oxford 1991.
- Holub, Renate, For the Record: The Non-Language of Italian Feminist
Philosophy, Romance Language Annual 1 (1990) pp.133-40.
- Restaino, Franco, "Il pensiero delle donne sulle donne", cap. XXX della
Storia della filosofia di Nicola Abbagnano, vol. 4, Tomo II, a cura di
Fornero et alii, Utet, Torino 1994, pp. 435-70.
- Restaino, Franco, Cavarero Adriana (a cura di), Le filosofie femministe,
Paravia, Torino 1999.
- Brezzi, Francesca e Ales Bello, Angela (a cura di), Il filo(sofare)di
Arianna, Mimesis, Milano 2001.

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 802 del 7 gennaio 2005

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