[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 796
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 796
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 1 Jan 2005 02:54:27 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 796 del primo gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace ricorda Eliseo Milani 2. Vittorio Merlini: Una lettera da Krishnammal 3. Giuliano Pontara: La riconciliazione difficile 4. Giovanni Paolo II: Non lasciarti vincere dal male ma vinci con il bene il male 5. Da tradurre: Emilia Ferreiro, Vigencia de Jean Piaget 6. Riletture: Germaine Greer, L'eunuco femmina 7. Riletture: Germaine Greer, La donna intera 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE RICORDA ELISEO MILANI [Ringraziamo di cuore Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001. Eliseo Milani e' stato una grande, nobile, indimenticabile figura del movimento operaio e della lotta degli oppressi per la liberazione dell'umanita' intera] Era un uomo molto affascinante coraggioso determinato: il coraggio lo ha dimostrato anche negli ultimi anni di vita quando sapeva e diceva di essere vivo per scommessa, eppure non cedeva al male, con una capacita' molto elevata di resistere e persino di riderci su. Tra le persone che dettero vita al "manifesto" come impresa politica e come giornale, con altri della federazione del Pci di Bergamo e con i compagni di Napoli Eliseo era parte di uno dei pochi nuclei operai e di organizzazione che si staccarono o furono espulsi dal Pci. Segno di un grande coraggio esistenziale e politico, dato che - piu' di altri - ebbe la capacita' di dare giudizi distaccati e "!aici" sul grande partito-chiesa del quale aveva fatto parte. Se il resto del gruppo storico non forzo' le uscite dal Pci, che potevano essere numerose e significative, non lo si dovette certo alla pressione di compagni come Eliseo e altri di origine operaia, che comunque si buttarono con grande convinzione nel movimento del Sessantotto, soprattutto a proposito di nuova analisi della composizione di classe, delle nuove figure operaie, della organizzazione consigliare in fabbrica, delle 150 ore e della organizzazione sociale in qualche modo diretta dalle fabbriche, che nel Sessantotto era ancora possibile, se il movimento non fosse stato arrestato, quando la organizzazione del territorio stava passando oltre i consigli di fabbrica, per avviare i consigli di zona. Non voglio comunque usare Eliseo per fare una ricostruzione critica degli errori o manchevolezze del "manifesto". Penso che mi strizzerebbe sorridendo gli occhi e mi direbbe: "Ma perche' non parli come mangi e non dici le cose che conosci direttamente, eh Lidia!". * Avevo verso di lui un affetto sincero e profondo, lo ammiravo. Anche la sua raffinatezza del vestire, la raggiunta ricchezza e precisione del parlare e insomma la sua caratteristica di intellettuale operaio erano dimostrazione vivente della grandissima opera di alfabetizzazione politica (ma ben piu': era una cultura universitaria!) che il Pci era riuscito a diffondere nella classe operaia (e tra le donne) con le scuole di partito, con una opera molto frequente precisa programmata di costruzione di soggettivita'. Ellseo era uno dei frutti piu' significativi di quel lavoro e anche dei piu' schietti, dato che non ne ricavo' mai un atteggiamento di tipo "religioso" verso il partito. Questo gli va riconosciuto perche' non era frequente nemmeno tra gli altri "grandi" del primo gruppo del "manifesto". * Voglio concludere ricordando che una estate - credo nel '73 o '74 - fu nostro ospite per un po' di giorni in val di Non a Cles, dove usavamo passare le vacanze al paese natio di mio marito. Percorse una valle tutta agricola allora, interamente agricola, a parte "La frabicia", la fabbrica cosi' unica da essere detta tale per antonomasia, ed era una fabbrica di cemento che c'e' ancora. Allora la valle era tutta un frutteto di varie qualita' e non una noiosa monocultura come oggi. Le stagioni erano scandite dalla fioritura dei meli, e quando era molto forte si diceva a proposito di una zona detta "Franza" (Francia): "e' nevega' en Franza", tanto era soffice e compatto il manto di fiori bianchi. Eliseo ascoltava le nostre chiacchiere di vallata e osservava con curiosita' il fitto tessuto agricolo e la presenza contadina che nella Bergamasca non esisteva piu', dato che Bergamo e Brescia erano province di antica e diffusa industrializzazione, e discuteva sul perche' zone di cosi' profonda radice cattolica si differenziassero tanto nelle scelte politiche e di voto. Era la struttura produttiva che consentiva nella Bergamasca una significativa presenza comunista e un fervido dibattito tra i cattolici e nella val di Non solo di democristiani. * A un certo punto ci siamo un po' persi di vista e ci incontravamo occasionalmente nelle stazioni (tra i luoghi che frequento di piu') e dove anche Eliseo si poteva trovare quando si muoveva tra Roma (dove si era alla fine trasferito) e Bologna dove aveva sua figlia. Credo che anche lui mi volesse bene in quel suo modo schivo e un po' rustico, da bergamasco. Ma del resto io pure sono montanara. 2. APPELLI. VITTORIO MERLINI: UNA LETTERA DA KRISHNAMMAL [Ringraziamo Vittorio Merlini (per contatti: e-mail: guedrara at interfree.it, tel. 053661062, cell. 3385035421) per averci inviato questo intervento. Vittorio Merlini, agricoltore a Sestola sull'Appennino emiliano, dove vive nella comunita' della Guedrara, formatore alla nonviolenza, gia' segretario della Difesa popolare nonviolenta nell'ambito della campagna di obiezione di coscienza alle spese militari (Osm), referente del "Gruppo 1%", cui si aderisce destinando l'1% del proprio reddito a progetti di solidarieta' attraverso un fondo comune, e' una delle figure piu' note e piu' vive della nonviolenza in Italia. Krishnammal, segretaria generale del Lafti, e' insieme a suo marito Jagannathan una delle piu' grandi figure della nonviolenza nel mondo] "Aiya en pillayai Pathingala": "hai visto i miei bambini?". E' il lamento che porta il vento quando ci si avvicina a Velankanni e Nagapattinam. Cosi' ci scrive Krishnammal (l'animatrice dell'organizzazione gandhiana Lafti) dall'India. E aggiunge: "E' commovente vedere i bimbi che hanno perso i loro genitori ricevere vestiti con un sorriso nei campi di accoglienza". Questo e' il volto dell'India in questa che loro chiamano semplicemente "inondazione". Questi alcuni dati del distretto di Nagapattinam, nel Tamil Nadu, vicinissimo allo Sri Lanka: su 140 chilometri di costa 20 villaggi cancellati e 38 molto danneggiati; l'onda alta 9-12 metri e' arrivata alle ore 8,45 del 26 dicembre; 10.000 i morti del Tamil Nadu, di cui la meta' a Nagapattinam; 80.000 gli sfollati che ora sono assistiti in 73 centri di accoglienza; 10.000 case in mattoni distrutte e 7.000 capanne risucchiate dal mare; bisogni urgenti: coperte, vestiti e medicine per un costo a persona di 100 rupie (due euro); una casetta prefabbricata costa 700 euro; i nostri 200 bambini del progetto "Operazione futuro di speranza" (sostegno a distanza) sono salvi perche' gli ostelli distano 12 chilometri dal mare. Cosi' conclude il suo messaggio Krishnammal: "abbiamo messo in atto alcuni programmi di aiuti alimentari coadiuvati dalla gente di buona volonta'. Aspettiamo il vostro aiuto e la vostra preghiera". Overseas ha aperto un conto per la raccolta di fondi: causale "Emergenza maremoto" c/c 1298672, coordinate bancarie ABI 5387 CAB 67060 (Banca Popolare dell'Emilia). 3. RIFLESSIONE. GIULIANO PONTARA: LA RICONCILIAZIONE DIFFICILE [Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti: giuliano.pontara at philosophy.su.se) per averci messo a disposizione la sua introduzione al libro di Alejandro Bendana e Charles Villa-Vicencio, La riconciliazione difficile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002. Su Giuliano Pontara, che e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia' apparsa in passato su questo notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni all'Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal '94 e' coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi [si e' ora dimesso, insieme all'intero comitato scientifico - ndr]. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49. E' autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 del 10 ottobre 2002 di questo notiziario] I due scritti che costituiscono questo volume sono l'elaborazione dei seminari sulla Riconciliazione tenuti dai rispettivi autori nell'ambito nella terza settimana di un corso internazionale sui problemi della diplomazia popolare, della nonviolenza, della trasformazione dei conflitti e temi affini, che dal l993 si svolge annualmente presso la International University of Peoples'Institutions for Peace (Iupip) - Universita' internazionale delle istituzioni dei popoli per la pace (Unip) - con sede a Rovereto in Trentino. Entrambi gli autori sono stati a lungo e sono tuttora impegnati in processi e progetti attivi di riconciliazione, in continua dialettica tra pensiero e azione. Charles Villa-Vicencio, l'autore del primo, piu' lungo e sistematico scritto, e' un sudafricano che ha lavorato con la Commissione di verita' e riconciliazione nel suo paese presieduta da Desmond Tutu; attualmente dirige lo Institute for Justice and Reconciliation in South Africa. Alejandro Bendana, autore del secondo scritto, piu' breve e anche meno sistematico, ma non meno incisivo, e' un nicaraguese che ha lottato con i sandinisti; e' stato rappresentante del governo sandinista all'Onu e ha lavorato in progetti di incontro e riabilitazione di ex combattenti contras e sandinisti; attualmente dirige il Centro de Estudios Internacionales di Managua. I due autori provengono non solo da paesi e situazioni diverse, ma anche da concezioni differenti: Villa-Vicencio e' pastore e teologo protestante, Bendana e' un laico di tendenza marxista. I due scritti nel presente volume rispecchiano in parte queste differenze e, proprio per questo, s'integrano a vicenda. * La riconciliazione e' difficile - per molte e svariate ragioni. Una e non l'ultima, e' che la stessa parola "riconciliazione" e' un termine vago, usato in modi diversi e che si presta assai bene ad essere strumentalizzato in operazioni retoriche la cui funzione e' quella di coprire violenze, soprusi, violazioni massicce di diritti umani e mantenere indebiti privilegi. Cio' vale anche nel caso del linguaggio dei diritti cui negli ultimi quindici anni si e' ricorso sempre piu' spesso in maniera puramente retorica per dare una patina di giustificazione ufficiale ad operazioni, anche militari, in realta' volte a realizzare precisi obiettivi geopolitici e che con la tutela dei diritti dell'uomo hanno ben poco da fare. Cosi', come e' importante distinguere tra la teoria, la cultura e la salvaguardia dei diritti umani fondamentali presi sul serio, da una parte, e la retorica dei diritti, dall'altra, altrettanto importante e' distinguere la riconciliazione presa sul serio dalla retorica della riconciliazione. E la riconciliazione presa sul serio e' difficile - tanto piu' difficile quanto piu' violento e protratto il conflitto tra le parti chiamate in causa. Come possono una o piu' popolazioni dilaniate da una guerra, da una guerra civile, o martoriate da una dittatura, divise da odi, rabbia, paura, sfiducia, cominciare - o ritornare - a convivere tra loro e con il proprio passato in una situazione di pace stabile e dunque equa? Lasciare il passato al passato, consegnarsi ad una specie di oblio collettivo e guardare avanti - come in gran parte e' avvenuto nella transizione post-franchista in Spagna? Questa e' la ricetta proposta dal generale Pinochet: "L'unica cosa da fare, cari amici, e' dimenticare. E non si dimentica riaprendo casi giuridici e gettando qualcuno in galera. No. D-i-m-e-n-t-i-c-a-r-e. Questa e' la parola. E per realizzare cio' ambedue le parti debbono dimenticare" (Pinochet, 13 settembre 1995, cit. in Amnesty International, AMR 22/01/96, p.12). Oppure fare giustizia, punire severamente i perpetratori di violenza - chi, quanti, come? O fare luce sulla verita' e poi perdonare tutto e andare avanti? * La riconciliazione, come e' intesa dai due autori in questo libro, implica una risposta negativa a tutte e tre queste domande: non e' oblio del passato, non puo' essere un modo comodo di mantenere indebiti privilegi e sfuggire alle proprie responsabilita'; va ben oltre la giustizia penale, punitiva; e non comporta necessariamente il perdono - che a livello giuridico assume la figura dell'amnistia e a livello morale e' una cosa personale che riguarda i singoli individui e non le societa'. Entrambi gli autori vedono la riconciliazione come un lungo e complesso processo di trasformazione nonviolenta di un conflitto (non quindi di negazione del conflitto) volto a bloccare i meccanismi di deumanizzazione e brutalizzazione intimamente connessi alla violenza e teso a tutelare diritti fondamentali precedentemente violati e a costruire - o ricostruire - rapporti di (crescente) fiducia e costruttiva collaborazione a tutti i livelli - personale, istituzionale e strutturale. Dal Sudafrica al Nicaragua, dal Ruanda ai Balcani, dal Guatemala all'Afghanistan il processo di riconciliazione presenta tutta una serie di dimensioni - psicologiche, sociali, economiche e politiche - che sono profondamente intrecciate e nessuna delle quali puo' essere ignorata se tale processo ha da svilupparsi. La riconciliazione, in quanto processo di trasformazione nonviolenta del conflitto, si realizza per gradi e in modi diversi, secondo i contesti conflittuali in cui il processo si verifica: ma deve venire da dentro e coinvolgere le popolazioni dal basso; non puo' essere imposta ne' dall'alto ne' dal di fuori. Il processo e' certamente condizionato dalle reali relazioni di potere tra le parti in conflitto e puo' quindi richiedere, in certe situazioni, dei compromessi: tra questi puo' rientrare l'istituzione di amnistie che, come Villa-Vicencio rileva, quando sono concesse a determinate condizioni non equivalgono ad impunita'. Vi e' una notevole differenza, per esempio, tra l'amnistia generale decretata in Cile da Pinochet prima di passare il governo ai politici civili, e l'amnistia condizionata da un racconto veritiero da parte dei perpetratori delle violenze commesse per motivazioni politiche ("amnesty in return for the truth"), che la Commissione per l'amnistia istituita in Sudafrica poteva concedere. * Uno dei mezzi cui si e' fatto ricorso in nome della riconciliazione sono i diversi tipi di Commissioni di verita' istituite in vari paesi, a cominciare da quelli latinoamericani: Uruguay, Argentina, Cile, El Salvador, Guatemala. Nei primi tre, dopo la fine delle dittature militari, tali commissioni furono istituite dall'alto, con decreto presidenziale, ed ebbero un mandato (estremamente) limitato all'investigazione di casi di desaparecidos e di assassinio, ma non di casi di torture, sevizie, imprigionamento illegale e altre violazioni di diritti umani; inoltre, furono soggette al divieto di fare i nomi delle persone responsabili dei crimini documentati. In El Salvador (nel l992) e in Guatemala (nel 1996) siffatte commissioni furono istituite dall'Onu con il mandato di investigare le grandi violenze e massicce violazioni di diritti umani avvenute durante le orribili guerre civili che martoriarono le popolazioni dei due paesi rispettivamente per dodici e per oltre trent'anni: settantacinquemila persone uccise in El Salvador, centomila in Guatemala, senza contare i desaparecidos, i torturati ma non uccisi, le persone rese invalide per tutta la vita. In El Salvador, dove la commissione era composta di tre eminenti membri non salvadoregni nominati dal Segretario Generale dell'Onu, la commissione ebbe sei mesi per condurre le sue investigazioni. Nel rapporto finale, pubblicato nel marzo del '93, la commissione denunciava le violenze commesse da tutte le parti ma soprattutto dalla polizia, dall'esercito e dai gruppi paramilitari d'estrema destra, individuando anche i nomi di alcune delle persone responsabili di tali violenze, e suscitando con cio' gran rabbia nei quadri militari salvadoregni pur sempre potenti. Tanto che, cinque giorni dopo la pubblicazione del rapporto, il governo decretava un'amnistia generale. In Guatemala, la Commissione per la Chiarificazione Storica (Ceh) delle violenze e delle violazioni di diritti perpetrate nel corso della guerra civile dal 1960 al l996 (era composta da due membri guatemaltechi e dal commissario dell'Onu per il monitoraggio dei diritti umani in Guatemala) ebbe un mandato molto limitato, dovette lavorare dietro porte chiuse e fu soggetta al divieto di identificare i nomi delle persone individuate come responsabili di atti criminali. Profondamente insoddisfatti dai lavori e dai risultati della commissione, gruppi della societa' civile guatemalteca da lungo impegnati, col supporto di forze di societa' civile transnazionale (tra l'altro della Peace Brigades International) nel monitoraggio e nella difesa dei diritti umani, istituirono una loro commissione di verita' alternativa. Il rapporto finale, "Guatemala, Nunca Mas", fu presentato pubblicamente il 26 aprile l998 dall'arcivescovo Juan Gerardi nella cattedrale metropolitana: quattro volumi in cui erano documentate 55.000 violazioni di diritti umani - l'ottanta per cento attribuite alle forze armate del paese. Due giorni dopo, la notte del 28 aprile, Juan Gerardi veniva assassinato. Fatta eccezione per la commissione alternativa in Guatemala, la credibilita' delle varie commissioni di verita' nei paesi latinoamericani e' sempre stata bassa, non ultimo agli occhi delle stesse popolazioni di quei paesi e specialmente a quelli dei gruppi piu' impegnati sui diritti umani, ed alto e' sempre stato il dubbio che esse fossero un modo di seppellire un passato terribile il piu' presto e in maniera piu' indolore possibile negli archivi della storia. Altro e' il discorso sulla credibilita' ed efficacia della Commissione di verita' e riconciliazione che ha operato in Sudafrica. Preceduta da un intenso dibattito pubblico, nonche' da un attento esame dei funzionamenti e da una valutazione critica dei risultati raggiunti dalle commissioni di verita' latino-americane, tale Commissione fu formalmente istituita con il Promotion of National Unity and Reconciliation Act firmato dal presidente Nelson Mandela il 19 maggio 1995. A differenza delle varie commissioni di verita' ufficiali in America Latina quella sudafricana fu caratterizzata dalla pubblicita' delle sedute. Su di essa qui non mi dilungo perche' ne tratta il primo capitolo dello scritto di Villa-Vicencio. Come lo stesso autore rileva, e' troppo presto per dire se e in quale misura la commissione abbia contribuito ad un (lento e difficile) processo di riconciliazione in Sudafrica. Una delle funzioni delle commissioni di verita', quando lavorano seriamente, e' quella di dare alle vittime di soprusi e violenze la possibilita' di testimoniare in pubblico i crimini di cui sono state fatti oggetto; un'altra e' quella di riabilitare le vittime, di restituire ad esse la loro dignita' e onorare la memoria di quelli che sono caduti. Un'ulteriore funzione puo' essere quella - che in effetti ebbe la Commissione di verita' e riconciliazione in Sudafrica - di stabilire risarcimenti alle vittime sia da parte dei loro aguzzini sia da parte della societa'. Come rileva Villa-Vicencio, tale tipo di giustizia "riparatoria" (restorative), che sta "a meta' strada tra la vendetta e il perdono", si presenta in certe situazioni come il sostituto di un'impossibile o indesiderabile giustizia penale punitiva nei confronti dei responsabili dei soprusi e delle violenze. * Ma le commissioni di verita', anche quando espletano bene le loro funzioni, e la giustizia "riparatoria" sono mezzi efficaci per un processo di riconciliazione soltanto se sono affiancate da politiche volte a realizzare quelle profonde riforme istituzionali e strutturali necessarie per rettificare le grandi ingiustizie sociali, economiche e politiche che stanno alla base dei conflitti violenti. Anche se tutto non si puo' fare in breve tempo, e ogni processo concreto di riconciliazione si sviluppa per tappe - la prima delle quali e' certamente la fine delle ostilita' armate, delle uccisioni, delle torture, delle violenze dirette -, senza politiche di giustizia distributiva del tipo indicato quello che viene presentato come un processo di riconciliazione puo' rivelarsi un inganno di piu'. Su tale conclusione gli autori dei due saggi che costituiscono il presente volume concordano, ma tra i due e' Bendana quello che su essa insiste con maggior forza, inserendo il discorso sulla riconciliazione in quello sulla globalizzazione. La riconciliazione, come processo di trasformazione nonviolenta del conflitto, e' tesa ad una diminuzione della violenza in tutte le sue forme - tanto quella diretta, armata, quanto quella indiretta, strutturale. E siccome sia l'una sia l'altra si nutrono oggi, spesso reciprocamente, a livello globale, i processi di riconciliazione a livello locale si trovano ad essere sempre piu' interconnessi con, e condizionati da, strutture, attori e politiche globali. Tra le prime vi e' il Mercato; tra i secondi vi sono le grandi alleanze militari come la Nato o grandi potenze militari ed economiche come gli Usa; tra le terze figurano le politiche della Banca Mondiale, del Fmi e della Wto. Qui, secondo Bendana, vanno individuati alcuni gravi ostacoli per i processi di riconciliazione intesi come processi di trasformazione nonviolenta dei conflitti. La logica del mercato teso alla massimizzazione del profitto, e che oggi funziona nell'ambito di un paradigma neoliberista globale uscito vincente dalla guerra fredda, gli interessi geopolitici degli Usa, le politiche di aggiustamento strutturale dettate dalle istituzioni di Bretton Wood, costituiscono congiuntamente gravissimi ostacoli a processi di riconciliazione in quanto sono tra le maggiori cause di quelle disparita' e disuguaglianze che tali processi sono tesi ad eliminare o quanto meno a diminuire. In quest'ottica si colloca anche la critica di Bendana alle politiche di "aiuto umanitario" da parte di paesi "donatori" del Nord a paesi del Sud smembrati da terribili guerre civili e a quel mondo delle Ong che, magari con buone intenzioni, in realta' fa il gioco dei paesi "donatori" e costituisce un ostacolo, invece che una risorsa, per la messa in moto di processi seri di riconciliazione. * La riconciliazione, intesa come processo di trasformazione nonviolenta di conflitti violenti, e' parte di una piu' generale visione della conduzione nonviolenta dei conflitti e presuppone una filosofia generale della nonviolenza. Ne' Villa-Vicencio ne' Alejandro Bendana nei rispettivi scritti di cui consiste questo volume articolano un discorso in questo senso. Ma un articolato discorso sulla nonviolenza esiste, ed e' quello che in parte si ispira a Gandhi il quale ha portato la teoria, oltre che la pratica, della nonviolenza a nuovi livelli e che per la riconciliazione tra indu' e musulmani nel subcontinente asiatico ha lottato in modo nonviolento per gran parte della sua vita - anche se bisogna riconoscere che, a quasi cinquant'anni dalla morte del Mahatma, assassinato proprio per il suo tentativo di riconciliazione, pure tra questi due gruppi la riconciliazione e' tuttora difficile. Ma quali altre strade vi sono? 4. DOCUMENTI. GIOVANNI PAOLO II: NON LASCIARTI VINCERE DAL MALE MA VINCI CON IL BENE IL MALE [Riproduciamo il testo del messaggio del papa Giovanni Paolo II per la celebrazione della giornata mondiale della pace del primo gennaio 2005] 1. All'inizio del nuovo anno, torno a rivolgere la mia parola ai responsabili delle Nazioni ed a tutti gli uomini e le donne di buona volonta', che avvertono quanto necessario sia costruire la pace nel mondo. Ho scelto come tema per la Giornata Mondiale della Pace 2005 l'esortazione di san Paolo nella Lettera ai Romani: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (12, 21). Il male non si sconfigge con il male: su quella strada, infatti, anziche' vincere il male, ci si fa vincere dal male. La prospettiva delineata dal grande Apostolo pone in evidenza una verita' di fondo: la pace e' il risultato di una lunga ed impegnativa battaglia, vinta quando il male e' sconfitto con il bene. Di fronte ai drammatici scenari di violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l'unica scelta veramente costruttiva e' di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al bene (cfr Rm 12, 9), come suggerisce ancora san Paolo. La pace e' un bene da promuovere con il bene: essa e' un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni della terra e per l'intera umanita'; e' pero' un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene. Si comprende allora la profonda verita' di un'altra massima di Paolo: "Non rendete a nessuno male per male" (Rm 12, 17). L'unico modo per uscire dal circolo vizioso del male per il male e' quello di accogliere la parola dell'Apostolo: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (Rm 12, 21). * Il male, il bene e l'amore 2. Fin dalle origini, l'umanita' ha conosciuto la tragica esperienza del male e ha cercato di coglierne le radici e spiegarne le cause. Il male non e' una forza anonima che opera nel mondo in virtu' di meccanismi deterministici e impersonali. Il male passa attraverso la liberta' umana. Proprio questa facolta', che distingue l'uomo dagli altri viventi sulla terra, sta al centro del dramma del male e ad esso costantemente si accompagna. Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono. La Sacra Scrittura insegna che, agli inizi della storia, Adamo ed Eva si ribellarono a Dio e Abele fu ucciso dal fratello Caino (cfr Gn 3-4). Furono le prime scelte sbagliate, a cui ne seguirono innumerevoli altre nel corso dei secoli. Ciascuna di esse porta in se' un'essenziale connotazione morale, che implica precise responsabilita' da parte del soggetto e chiama in causa le relazioni fondamentali della persona con Dio, con le altre persone e con il creato. A cercarne le componenti profonde, il male e', in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell'amore (1). Il bene morale, invece, nasce dall'amore, si manifesta come amore ed e' orientato all'amore. Questo discorso e' particolarmente chiaro per il cristiano, il quale sa che la partecipazione all'unico Corpo mistico di Cristo lo pone in una relazione particolare non solo con il Signore, ma anche con i fratelli. La logica dell'amore cristiano, che nel Vangelo costituisce il cuore pulsante del bene morale, spinge, se portata alle conseguenze, fino all'amore per i nemici: "Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere" (Rm 12, 20). * La "grammatica" della legge morale universale 3. Volgendo lo sguardo all'attuale situazione del mondo, non si puo' non constatare un impressionante dilagare di molteplici manifestazioni sociali e politiche del male: dal disordine sociale all'anarchia e alla guerra, dall'ingiustizia alla violenza contro l'altro e alla sua soppressione. Per orientare il proprio cammino tra gli opposti richiami del bene e del male, la famiglia umana ha urgente necessita' di far tesoro del comune patrimonio di valori morali ricevuto in dono da Dio stesso. Per questo, a quanti sono determinati a vincere il male con il bene san Paolo rivolge l'invito a coltivare nobili e disinteressati atteggiamenti di generosita' e di pace (cfr Rm 12, 17-21). Parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dieci anni or sono, della comune impresa al servizio della pace, ebbi a far riferimento alla "grammatica" della legge morale universale (2), richiamata dalla Chiesa nei suoi molteplici pronunciamenti in questa materia. Ispirando valori e principi comuni, tale legge unisce gli uomini tra loro, pur nella diversita' delle rispettive culture, ed e' immutabile: "rimane sotto l'evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso... Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si puo' pero' distruggere, ne' strappare dal cuore dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle societa'" (3). * 4. Questa comune grammatica della legge morale impone di impegnarsi sempre e con responsabilita' per far si' che la vita delle persone e dei popoli venga rispettata e promossa. Alla sua luce non possono non essere stigmatizzati con vigore i mali di carattere sociale e politico che affliggono il mondo, soprattutto quelli provocati dalle esplosioni della violenza. In questo contesto, come non andare con il pensiero all'amato Continente africano, dove perdurano conflitti che hanno mietuto e continuano a mietere milioni di vittime? Come non evocare la pericolosa situazione della Palestina, la Terra di Gesu', dove non si riescono ad annodare, nella verita' e nella giustizia, i fili della mutua comprensione, spezzati da un conflitto che ogni giorno attentati e vendette alimentano in modo preoccupante? E che dire del tragico fenomeno della violenza terroristica che sembra spingere il mondo intero verso un futuro di paura e di angoscia? Come, infine, non constatare con amarezza che il dramma iracheno si prolunga, purtroppo, in situazioni di incertezza e di insicurezza per tutti? Per conseguire il bene della pace bisogna, con lucida consapevolezza, affermare che la violenza e' un male inaccettabile e che mai risolve i problemi. "La violenza e' una menzogna, poiche' e' contraria alla verita' della nostra fede, alla verita' della nostra umanita'. La violenza distrugge cio' che sostiene di difendere: la dignita', la vita, la liberta' degli esseri umani" (4). E' pertanto indispensabile promuovere una grande opera educativa delle coscienze, che formi tutti, soprattutto le nuove generazioni, al bene aprendo loro l'orizzonte dell'umanesimo integrale e solidale, che la Chiesa indica e auspica. Su queste basi e' possibile dar vita ad un ordine sociale, economico e politico che tenga conto della dignita', della liberta' e dei diritti fondamentali di ogni persona. * Il bene della pace e il bene comune 5. Per promuovere la pace, vincendo il male con il bene, occorre soffermarsi con particolare attenzione sul bene comune (5) e sulle sue declinazioni sociali e politiche. Quando, infatti, a tutti i livelli si coltiva il bene comune, si coltiva la pace. Puo' forse la persona realizzare pienamente se stessa prescindendo dalla sua natura sociale, cioe' dal suo essere "con" e "per" gli altri? Il bene comune la riguarda da vicino. Riguarda da vicino tutte le forme espressive della socialita' umana: la famiglia, i gruppi, le associazioni, le citta', le regioni, gli Stati, le comunita' dei popoli e delle Nazioni. Tutti, in qualche modo, sono coinvolti nell'impegno per il bene comune, nella ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio. Tale responsabilita' compete, in particolare, all'autorita' politica, ad ogni livello del suo esercizio, perche' essa e' chiamata a creare quell'insieme di condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona (6). Il bene comune, pertanto, esige il rispetto e la promozione della persona e dei suoi diritti fondamentali, come pure il rispetto e la promozione dei diritti delle Nazioni in prospettiva universale. Dice in proposito il Concilio Vaticano II: "Dall'interdipendenza ogni giorno piu' stretta e poco alla volta estesa al mondo intero deriva che il bene comune... diventa oggi sempre piu' universale ed implica diritti e doveri che interessano l'intero genere umano. Pertanto ogni comunita' deve tener conto delle necessita' e delle legittime aspirazioni delle altre comunita', anzi del bene comune di tutta la famiglia umana" (7). Il bene dell'intera umanita', anche per le generazioni future, richiede una vera cooperazione internazionale, a cui ogni Nazione deve offrire il suo apporto (8). Tuttavia, visioni decisamente riduttive della realta' umana trasformano il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente, e lo svuotano della sua piu' profonda ragion d'essere. Il bene comune, invece, riveste anche una dimensione trascendente, perche' e' Dio il fine ultimo delle sue creature (9). I cristiani inoltre sanno che Gesu' ha fatto piena luce sulla realizzazione del vero bene comune dell'umanita'. Verso Cristo cammina e in Lui culmina la storia: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realta' umana puo' essere condotta al suo pieno compimento in Dio. * Il bene della pace e l'uso dei beni della terra 6. Poiche' il bene della pace e' strettamente collegato allo sviluppo di tutti i popoli, e' indispensabile tener conto delle implicazioni etiche dell'uso dei beni della terra. Il Concilio Vaticano II ha opportunamente ricordato che "Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa e' contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicche' i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carita'" (10). L'appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Basta che un bambino venga concepito perche' sia titolare di diritti, meriti attenzioni e cure e qualcuno abbia il dovere di provvedervi. La condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l'assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarieta' internazionale nei confronti di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio della cittadinanza mondiale. * 7. Il bene della pace va visto oggi in stretta relazione con i nuovi beni, che provengono dalla conoscenza scientifica e dal progresso tecnologico. Anche questi, in applicazione del principio della destinazione universale dei beni della terra, vanno posti a servizio dei bisogni primari dell'uomo. Opportune iniziative a livello internazionale possono dare piena attuazione al principio della destinazione universale dei beni, assicurando a tutti - individui e Nazioni - le condizioni di base per partecipare allo sviluppo. Cio' diventa possibile se si abbattono le barriere e i monopoli che lasciano ai margini tanti popoli (11). Il bene della pace sara' poi meglio garantito se la comunita' internazionale si fara' carico, con maggiore senso di responsabilita', di quelli che vengono comunemente identificati come beni pubblici. Sono quei beni dei quali tutti i cittadini godono automaticamente senza aver operato scelte precise in proposito. E' quanto avviene, a livello nazionale, per beni quali, ad esempio, il sistema giudiziario, il sistema di difesa, la rete stradale o ferroviaria. Nel mondo, investito oggi in pieno dal fenomeno della globalizzazione, sono sempre piu' numerosi i beni pubblici che assumono carattere globale e conseguentemente aumentano pure di giorno in giorno gli interessi comuni. Basti pensare alla lotta alla poverta', alla ricerca della pace e della sicurezza, alla preoccupazione per i cambiamenti climatici, al controllo della diffusione delle malattie. A tali interessi, la Comunita' internazionale deve rispondere con una rete sempre piu' ampia di accordi giuridici, atta a regolamentare il godimento dei beni pubblici, ispirandosi agli universali principi dell'equita' e della solidarieta'. * 8. Il principio della destinazione universale dei beni consente, inoltre, di affrontare adeguatamente la sfida della poverta', soprattutto tenendo conto delle condizioni di miseria in cui vive ancora oltre un miliardo di esseri umani. La Comunita' internazionale si e' posta come obiettivo prioritario, all'inizio del nuovo millennio, il dimezzamento del numero di queste persone entro l'anno 2015. La Chiesa sostiene ed incoraggia tale impegno ed invita i credenti in Cristo a manifestare, in modo concreto e in ogni ambito, un amore preferenziale per i poveri (12). Il dramma della poverta' appare ancora strettamente connesso con la questione del debito estero dei Paesi poveri. Malgrado i significativi progressi sinora compiuti, la questione non ha ancora trovato adeguata soluzione. Sono trascorsi quindici anni da quando ebbi a richiamare l'attenzione della pubblica opinione sul fatto che il debito estero dei Paesi poveri "e' intimamente legato ad un insieme di altri problemi, quali l'investimento estero, il giusto funzionamento delle maggiori organizzazioni internazionali, il prezzo delle materie prime e cosi' via" (13). I recenti meccanismi per la riduzione dei debiti, maggiormente centrati sulle esigenze dei poveri, hanno senz'altro migliorato la qualita' della crescita economica. Quest'ultima, tuttavia, per una serie di fattori, risulta quantitativamente ancora insufficiente, specie in vista del raggiungimento degli obiettivi stabiliti all'inizio del millennio. I Paesi poveri restano prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l'uso inefficace del risparmio non favoriscono la crescita. * 9. Come ha affermato il Papa Paolo VI e come io stesso ho ribadito, l'unico rimedio veramente efficace per consentire agli Stati di affrontare la drammatica questione della poverta' e' di fornire loro le risorse necessarie mediante finanziamenti esteri - pubblici e privati - concessi a condizioni accessibili, nel quadro di rapporti commerciali internazionali regolati secondo equita' (14). Si rende doverosamente necessaria una mobilitazione morale ed economica, rispettosa da una parte degli accordi presi in favore dei Paesi poveri, ma disposta dall'altra a rivedere quegli accordi che l'esperienza avesse dimostrato essere troppo onerosi per determinati Paesi. In questa prospettiva, si rivela auspicabile e necessario imprimere un nuovo slancio all'aiuto pubblico allo sviluppo, ed esplorare, malgrado le difficolta' che puo' presentare questo percorso, le proposte di nuove forme di finanziamento allo sviluppo (15). Alcuni governi stanno gia' valutando attentamente meccanismi promettenti che vanno in questa direzione, iniziative significative da portare avanti in modo autenticamente condiviso e nel rispetto del principio di sussidiarieta'. Occorre pure controllare che la gestione delle risorse economiche destinate allo sviluppo dei Paesi poveri segua scrupolosi criteri di buona amministrazione, sia da parte dei donatori che dei destinatari. La Chiesa incoraggia ed offre a questi sforzi il suo apporto. Basti citare, ad esempio, il prezioso contributo dato attraverso le numerose agenzie cattoliche di aiuto e di sviluppo. * 10. Al termine del Grande Giubileo dell'Anno 2000, nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho fatto cenno all'urgenza di una nuova fantasia della carita' (16) per diffondere nel mondo il Vangelo della speranza. Cio' si rende evidente particolarmente quando ci si avvicina ai tanti e delicati problemi che ostacolano lo sviluppo del Continente africano: si pensi ai numerosi conflitti armati, alle malattie pandemiche rese piu' pericolose dalle condizioni di miseria, all'instabilita' politica cui si accompagna una diffusa insicurezza sociale. Sono realta' drammatiche che sollecitano un cammino radicalmente nuovo per l'Africa: e' necessario dar vita a forme nuove di solidarieta', a livello bilaterale e multilaterale, con un piu' deciso impegno di tutti, nella piena consapevolezza che il bene dei popoli africani rappresenta una condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale. Possano i popoli africani prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico! L'Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive! Per raggiungere tali obiettivi si rende necessaria una nuova cultura politica, specialmente nell'ambito della cooperazione internazionale. Ancora una volta vorrei ribadire che il mancato adempimento delle reiterate promesse relative all'aiuto pubblico allo sviluppo, la questione tuttora aperta del pesante debito internazionale dei Paesi africani e l'assenza di una speciale considerazione per essi nei rapporti commerciali internazionali, costituiscono gravi ostacoli alla pace, e pertanto vanno affrontati e superati con urgenza. Mai come oggi risulta determinante e decisiva, per la realizzazione della pace nel mondo, la consapevolezza dell'interdipendenza tra Paesi ricchi e poveri, per cui "lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso" (17). * Universalita' del male e speranza cristiana 11. Di fronte ai tanti drammi che affliggono il mondo, i cristiani confessano con umile fiducia che solo Dio rende possibile all'uomo ed ai popoli il superamento del male per raggiungere il bene. Con la sua morte e risurrezione Cristo ci ha redenti e riscattati "a caro prezzo" (1 Cor 6, 20; 7, 23), ottenendo la salvezza per tutti. Con il suo aiuto, pertanto, e' possibile a tutti vincere il male con il bene. Fondandosi sulla certezza che il male non prevarra', il cristiano coltiva un'indomita speranza che lo sostiene nel promuovere la giustizia e la pace. Nonostante i peccati personali e sociali che segnano l'agire umano, la speranza imprime slancio sempre rinnovato all'impegno per la giustizia e la pace, insieme ad una ferma fiducia nella possibilita' di costruire un mondo migliore. Se nel mondo e' presente ed agisce il "mistero dell'iniquita'" (2 Ts 2, 7), non va dimenticato che l'uomo redento ha in se' sufficienti energie per contrastarlo. Creato ad immagine di Dio e redento da Cristo "che si e' unito in certo modo ad ogni uomo" (18), questi puo' cooperare attivamente al trionfo del bene. L'azione dello "Spirito del Signore riempie l'universo" (Sap 1, 7). I cristiani, specialmente i fedeli laici, "non nascondano questa speranza nell'interiorita' del loro animo, ma con la continua conversione e la lotta 'contro i dominatori di questo mondo di tenebra e contro gli spiriti del male' (Ef 6, 12) la esprimano anche attraverso le strutture della vita secolare " (19). * 12. Nessun uomo, nessuna donna di buona volonta' puo' sottrarsi all'impegno di lottare per vincere con il bene il male. E' una lotta che si combatte validamente soltanto con le armi dell'amore. Quando il bene vince il male, regna l'amore e dove regna l'amore regna la pace. E' l'insegnamento del Vangelo, riproposto dal Concilio Vaticano II: "La legge fondamentale della perfezione umana, e percio' anche della trasformazione del mondo, e' il nuovo comandamento della carita'" (20). Cio' e' vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito, il Papa Leone XIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in se' e accendere negli altri "la carita', signora e regina di tutte le virtu'" (21). I cristiani siano testimoni convinti di questa verita'; sappiano mostrare con la loro vita che l'amore e' l'unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l'unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace. In quest'anno dedicato all'Eucaristia, i figli della Chiesa trovino nel sommo Sacramento dell'amore la sorgente di ogni comunione: della comunione con Gesu' Redentore e, in Lui, con ogni essere umano. E' in virtu' della morte e risurrezione di Cristo, rese sacramentalmente presenti in ogni Celebrazione eucaristica, che siamo salvati dal male e resi capaci di fare il bene. E' in virtu' della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che possiamo riconoscerci fratelli, al di la' di ogni differenza di lingua, di nazionalita', di cultura. In una parola, e' in virtu' della partecipazione allo stesso Pane e allo stesso Calice che possiamo sentirci "famiglia di Dio" e insieme recare uno specifico ed efficace contributo all'edificazione di un mondo fondato sui valori della giustizia, della liberta' e della pace. Dal Vaticano, 8 Dicembre 2004. * Note 1. A questo proposito, Agostino afferma: "Due amori hanno fondato due citta': l'amore di se', portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la citta' terrena; l'amore di Dio, portato fino al disprezzo di se', ha generato la citta' celeste" (De Civitate Dei, XIV, 28). 2. Cfr Discorso per il cinquantesimo anniversario della fondazione dell'Onu (5 ottobre 1995), 3: Insegnamenti XVIII/2 (1995), 732. 3. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1958. 4. Giovanni Paolo II, Omelia presso Drogheda, Irlanda (29 settembre 1979), 9: AAS 71 (1979), 1081. 5. Secondo una vasta accezione, per bene comune s'intende 'l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione piu' pienamente e piu' speditamente". Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 26. 6. Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961), 417. 7. Cost. past. Gaudium et spes, 26. 8. Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961), 421. 9. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991), 844. 10. Cost. past. Gaudium et spes, 69. 11. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991), 837. 12. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988), 572. 13. Discorso ai partecipanti alla Settimana di studio della Pontificia Accademia delle Scienze (27 ottobre 1989), 6: Insegnamenti XII/2 (1989), 1050. 14. Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 56-61: AAS 59 (1967), 285-287; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33-34: AAS 80 (1988), 557-560. 15. Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: "L'Osservatore Romano" 10 luglio 2004, p. 5. 16. Cfr n. 50: AAS 93 (2001), 303. 17. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 17: AAS 80 (1988), 532. 18. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22. 19. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 35. 20. Cost. past. Gaudium et spes, 38. 21. Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII 11 (1892), 143; cfr Benedetto XV, Lett. enc. Pacem Dei: AAS 12 (1920), 215. 5. DA TRADURRE. EMILIA FERREIRO: VIGENCIA DE JEAN PIAGET Emilia Ferreiro, Vigencia de Jean Piaget, Siglo Veintiuno Editores, Mexico-Madrid 1999, pp. 136. Una raccolta di saggi dell'illustre studiosa sul suo non dimenticato maestro. 6. RILETTURE. GERMAINE GREER: L'EUNUCO FEMMINA Germaine Greer, L'eunuco femmina, Bompiani, Milano 1972, 1979, pp. XXIV +380. Un libro classico, e indimenticabile. 7. RILETTURE. GERMAINE GREER: LA DONNA INTERA Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, pp. VI + 390, euro 8,26. Una lettura indispensabile. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 796 del primo gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 797
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 797
- Indice: