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La nonviolenza e' in cammino. 784
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 784
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 20 Dec 2004 00:10:48 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 784 del 20 dicembre 2004
Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Attraversare
2. Lidia Menapace: Un tribunale mondiale sull'Iraq
3. Rocco Altieri: Il risveglio religioso dei popoli puo' sconfiggere la
guerra (parte prima)
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: ATTRAVERSARE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]
La paura e' una parte naturale della nostra vita, sebbene a noi non piaccia
pensarci su troppo. Se non avessimo avuto, quando eravamo piccini, qualcuno
che aveva timore di come attraversavamo la strada, molti di noi non
sarebbero qui a leggere queste parole.
Ma ovviamente, per crescere, dobbiamo imparare ad attraversare la strada,
anche sapendo che c'e' la possibilita' di essere feriti o uccisi da un'auto
in corsa. Percio', troviamo modi di maneggiare la paura e scendiamo dal
marciapiede. Quando si tratta di attivismo nonviolento, molti di noi fanno
invece fatica a scendere dal marciapiede.
In questi giorni, poi, siamo particolarmente spaventati. Sperimentiamo la
contrazione economica, l'arroganza dei potenti, l'angoscia per il futuro.
Notiamo che molte persone sono sempre piu' arrabbiate, piu' intolleranti,
piu' insofferenti alle opinioni altrui. Abbiamo paura di essere messi a
tacere, se parliamo, e ce ne stiamo piu' tranquilli del solito. Sul
marciapiede.
Venite, attraversiamo la strada insieme. Per farlo non ci servono cose che
non abbiamo, abilita' che non possediamo. Siamo perfettamente
equipaggiate/i, ve lo assicuro.
*
1. Per attraversare, dobbiamo sapere perche' vogliamo attraversare.
Tutti gli attivisti hanno cominciato la loro "carriera" come persone prive
di esperienza, che si domandavano in che modo trovare risposte dal confuso e
respingente mondo della politica. E ciascuno di essi aveva pero' una ragione
per agire: una qualsiasi, dall'istanza immediata della salvaguardia di un
terreno dalle speculazioni edilizie alla pace nel mondo. Qualunque fosse
questa ragione, per essi era molto importante. Fare la differenza, ottenere
un cambiamento: perche' voi volete fare la differenza, che cambiamento
volete ottenere? Se lo chiarite nella vostra mente, e mantenete questa
chiarezza, i rischi a breve termine non vi affliggeranno piu' di tanto: i
vostri occhi saranno fissi alla meta.
*
2. Per attraversare, dobbiamo conoscere le regole della strada.
Per un bimbo di quattro anni, una strada trafficata e' solo un'indistinta
massa di veicoli in movimento con occasionali spazi aperti. Se la palla con
cui stava giocando finisce in strada, il bambino semplicemente la insegue:
il posto dov'e' la palla va bene quanto un altro. Una volta che si trovi
la', ecco che la faccenda diventa confusa e spaventosa molto rapidamente.
Chi voglia essere efficace nell'ottenere un cambiamento, sa che ci sono
luoghi e tempi specifici per attraversare la strada. Quando siete
preoccupati, o persino oltraggiati, rispetto a qualcosa, e volete un
cambiamento, voi potete saltare giusto in mezzo alla strada per chiederlo,
ma coloro che non vogliono ascoltarvi diranno che avete fatto la cosa
sbagliata, che siete giunti nel luogo sbagliato e che state parlando alle
persone sbagliate. A questo punto anche voi avrete dei dubbi, e vi sentirete
imbarazzati, non sapendo a chi parlare o cosa dire per maneggiare il
problema. La prossima volta, facilmente resterete sul marciapiede. Prima di
scendere, dovete riflettere su quale agenzia, istituto, ente, ecc. sia il
posto giusto dove andare; dovete sapere che domande intendete fare e quanto
intendete aspettare le risposte.
*
3. Per attraversare, dobbiamo conoscere gli schemi normali del traffico.
Chi prende le decisioni, al governo o nelle corporazioni economiche, si
muove secondo regole scritte e regole non scritte. I giornalisti sono
interessati ad un certo tipo di storie piu' che ad un altro, i governanti
rispondono piu' facilmente a certi tipi di pressione, e cosi' via.
Organizzarsi per il cambiamento e' molto meno preoccupante, se sappiamo cosa
possiamo aspettarci. Stando sul marciapiede, ci vengono in mente le cose
piu' folli: ad esempio che organizziamo una conferenza stampa e arrivano in
massa le tv nazionali (mitico se accade, ma quanta paura); oppure mettiamo
uno striscione di protesta al balcone, e la polizia viene ad arrestarci, e
tutti i nostri vicini mormorano alle nostre spalle e i nostri parenti ci
rinfacciano la vergogna che gli abbiamo gettato addosso (ancora piu'
spaventoso); facciamo il giro del quartiere per invitare i nostri vicini
alla riunione e ne arriva un gruppetto che contesta tutto e fa picchettaggio
all'ingresso (terrore). Bene, ognuna di queste cose e' accaduta a qualcuno.
Ma qualcuna di esse accadra' a voi? Molto probabilmente no, soprattutto se
invece di spaventare voi stessi con questi scenari fittizi vi prenderete la
briga di imparare dal passato, di vedere come altri hanno maneggiato
situazioni difficili, e di pianificare le vostre risposte ad esse. Vi
assumerete dei rischi, ma nessun rischio che non sia necessario.
Se il vostro piccolo ha seguito la palla rotolata in strada, ed ora piange
la' in mezzo e non sa più come muoversi, voi dovete raggiungerlo
velocemente, anche se questo significa bloccare il traffico: ma voi non
avete bisogno di fare questo ogni volta in cui attraversate. La maggior
parte delle volte aspettate il verde al semaforo, o che non ci siano
automobili in vista. Per lavorare bene per il cambiamento non avete bisogno
di saltare in mezzo a situazioni pericolose senza aver pianificato la vostra
azione, e questo vale per ogni rischio che si presenta, non solo per quelli
piu' drammatici (come l'essere arrestati o feriti). Se avete appena trovato
lavoro in un ristorante, potreste non voler essere il/la portavoce del
vostro gruppo rispetto alle istanze di sicurezza alimentare, per timore di
essere licenziati: questo non dovrebbe essere un problema, per
l'organizzazione, perche' qualcun altro puo' assumersi l'incarico di parlare
sull'istanza (mentre voi potete fornirgli informazioni di prima mano). Ogni
volta in cui misuriamo un rischio reale per qualcuno, inclusi noi stessi,
dobbiamo essere ragionevoli. Nessuno che si dedichi all'attivismo
nonviolento deve essere messo in una posizione in cui temere per il proprio
impiego, o per la propria famiglia, o per la propria sicurezza personale, a
meno che non ci sia veramente una buona ragione, una ragione che avete
discusso e condiviso. Spesso, comunque, non si presenta alcun rischio del
genere: noi lo temiamo perche' sappiamo che molta gente che detiene del
potere non e' d'accordo con noi, che altre persone sono urtate dalla nostra
limpidezza e coerenza (se l'attivismo nonviolento non presenta queste
caratteristiche, toglietegli pure l'aggettivo "nonviolento"), e questo ci
rende nervosi. Alcune delle cose che potrebbero capitarvi facilmente, come
la domanda stupida o cattiva di un giornalista, o la telefonata di minacce a
casa, non sono sicuramente divertenti, ma vi sopravviverete. Riflettete e
scegliete che rischi assumervi, e poi fate cio' che e' necessario per
maneggiarli, niente di piu' e niente di meno.
*
4. Per attraversare, e' utile aver gia' attraversato.
Le situazioni che conosciamo poco, e che per questo ci fanno paura,
diventano sempre meno spaventose con il passare del tempo, mentre impariamo
a conoscerle. Persino l'attivista piu' eloquente, convincente, calmo e
dignitoso che conoscete ha cominciato come voi e me, in modo incerto e
perdendo qualche volta le staffe: ma dopo un po' di riunioni, e azioni, e
colloqui con funzionari, e convegni, ecc., dopo un po' di vittorie, e un po'
di sconfitte, ci si alza al mattino e si va semplicemente dove i nostri
scopi e il nostro cuore ci portano. Riflettete: c'e' sicuramente qualcosa
che fate, oggi, e che in passato eravate molto spaventati dal dover fare:
pu' trattarsi di qualcosa che riguarda il vostro lavoro, come guidare un
mezzo nuovo, imparare ad usare il computer, assimilare le ultime circolari;
oppure puo' riguardare le vostre relazioni, come parlare a quella persona
nuova, strana, a voi straniera, che oggi e' vostro marito, la vostra
compagna o il vostro migliore amico. Piu' volte attraversate la strada, piu'
facile diventa attraversare.
*
5. Per attraversare, e' utile avere un sistema di sostegno.
Molti di noi attraversano la strada da soli, ma anche cosi' non smettiamo di
essere parte di una comunita'. Se attraversando inciampiamo, o veniamo
feriti da un veicolo, sappiamo di poter contare sul fatto che qualcuno ci
assistera'. Se stiamo attraversando con il verde al semaforo, contiamo sul
fatto che gli automobilisti rispetteranno le regole, e si fermeranno per
lasciarci passare. Se ognuno di noi fosse totalmente solo, potremmo non
riuscire mai ad attraversare la strada. Le persone che cercano il
cambiamento sociale sono di solito efficaci quanto le connessioni e le
relazioni che sanno creare, e tali connessioni e relazioni diminuiscono di
molto le nostre paure: e' piu' facile parlare in pubblico, ad esempio, se
sappiamo che altre persone ci stanno sostenendo, fanno il tifo per noi,
hanno preparato con noi quel momento.
*
6. Per attraversare, bisogna crederci.
Cio' in cui si crede, cio' in cui si ha fede, non e' materia che discutiamo
spesso nei nostri gruppi. E' un errore non farlo, perche' non si lavora ad
una campagna a lungo termine o non si partecipa ad un'azione diretta senza
quel "qualcosa" in cui si crede e che da' significato a quello che si sta
facendo. Poco importa che questo "qualcosa" sia una fede religiosa, un
sistema di idee politiche, o solo la bella sensazione che la vita e il mondo
possono essere migliori: sia quel che sia, vi aiutera' molto nei momenti
difficili.
Naturalmente, "credere" non e' un sostituto per la consapevolezza e la
pianificazione. C'e' una storiella, che forse conoscete, in cui un uomo di
fede si trova isolato su un'altura nel mezzo di un'inondazione. L'acqua
continua a salire. Per soccorrerlo, arrivano due barche e poi un elicottero,
ma sempre l'uomo respinge i suoi salvatori, dicendo che sara' la sua fede a
trarlo al sicuro. L'acqua continua a salire, e l''uomo annega. In paradiso,
si lamenta con Chi Avrebbe Dovuto Fare Qualcosa: "Pensavo di poter contare
sulla mia fede. Dov'eri? Perché non mi hai soccorso?". E subito gli arriva
la risposta: "Ti ho mandato due barche e un elicottero". Perci', usiamo
tutti i doni, i talenti, i sostegni che abbiamo, e manteniamo viva la fiamma
di quel "qualcosa' in cui crediamo, e che ci rende forti.
*
Per concludere, quando diamo uno sguardo al mondo intorno a noi, vediamo che
milioni di persone sono semplicemente ignorate, o trattate con disprezzo. I
loro bisogni non vengono soddisfatti, le loro preoccupazioni non vengono
ascoltate, i loro problemi e le loro lotte sono invisibili ai media, ai
governi e ai decisori in genere. L'attivismo nonviolento e' il modo migliore
di cambiare questa situazione. Un passo alla volta, un giorno alla volta,
lentamente ma completamente, noi possiamo lavorare insieme, condividere il
potere e ottenere il cambiamento.
2. INIZIATIVE. LIDIA MENAPACE: UN TRIBUNALE MONDIALE SULL'IRAQ
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Il Tribunale mondiale sull'Iraq ha tenuto la sua prima sessione anche a
Roma, dopo quella fondativa a Istambul e poi a New York, Bruxelles,
Hiroshima, Copenhagen, Tokio. Con l'intenzione dichiarata di raccogliere
documentazione precisa sulle violazioni dei diritti umani ed esecuzione di
crimini di guerra e contro l'umanita' da parte delle truppe occupanti, in
mancanza di sedi formali adeguate o funzionanti.
E' - a mio parere - molto importante che questa istituzione informale
avanzi, come anche il Forum per la democrazia costituzionale europea,
perche' rappresentano un anello decisivo nel sistema politico nuovo.
Mi spiego: un tempo i partiti avevano i loro movimenti di pertinenza, la Dc
usava il "collateralismo" e il Pci le "organizzazioni di massa". In qualche
modo erano stabilite delle procedure (ad esempio delle incompatibilita') e
degli ambiti di pertinenza. Ma i nuovi movimenti sono diversi: non sono di
pertinenza di questo o di quel partito, essi interpellano partiti e
istituzioni, avendo anche espresso la novita' di essere molto critici verso
partiti e istituzioni, ma non opposti o estranei (un'altra differenza
rispetto al Sessantotto, che ci mette al sicuro dal vedere i movimenti che
si trasformano in partiti).
La necessita' - a questo punto - di costruire un sistema di relazioni e'
impellente, altrimenti tutto si impoverisce, confonde e diventa ripetitivo.
Mi e' parso chiaro proprio quando, sul finire dei lavori del Tribunale, dopo
un intervento da parte di un giovane del Social forum mondiale, una giovane
ha preso la parola mentre stavamo votando un documento finale, per chiedere
che il Tribunale decidesse di "convocare" il movimento, cosa che non si puo'
fare senza violarne l'autonomia: pero' l'appassionata e insistita richiesta
rivela che nel movimento si avverte la necessita' che legami si stringano e
rapporti si definiscano. E' dunque necessario che chi puo' e sa, studi e poi
proponga qualche procedura per avere consultazioni e rapporti precisi e
stabili tra movimenti veri e propri, istituzioni informali (tribunale Iraq,
Forum costituzionale europeo, partiti,sindacati) e istituzioni formali
rappresentative.
E' tra l'altro un inizio di nuova formazione del diritto, in un momento nel
quale la distruzione programmata del diritto internazionale, l'assalto ai
testi costituzionali, lo smantellamento delle garanzie (art. 18) mette in
luce un pericoloso scivolamento (ma quasi una frana o una valanga tanto e'
veloce) verso la distruzione dello stato di diritto, sostituito dagli
"istinti bestiali" (animal spirits) del mercato, che - non avendo piu' o non
volendo alcuna regola giuridica - si sfrena nella violenza degli stati.
*
Intanto il Tribunale - dicevo - ha tenuto i suoi lavori ascoltando
agghiaccianti testimonianze dall'Iraq di una compagna di"Un ponte per...",
di un medico e di una professoressa iracheni e di un imam, che hanno
descritto le situazioni ed enunciato decisioni in ordine alle elezioni-farsa
in previsione (le considerano farsesche tutti, sia i civili iracheni
presenti che pensano comunque che a qualcosa potrebbero servire, sia l'imam
che dirige l'area del boicottaggio delle stesse, perche' possono significare
solo una sorte di microlegittimazione del dominio Usa). Si propone da parte
nostra di stabilire dei criteri: se una delegazione di parlamentari italiani
non puo' andare a Bagdad durante il percorso elettorale perche' "non si
puo' garantire la sicurezza" (cosi' e' gia' stato risposto alla richiesta)
questo significa o che le elezioni non si possono fare perche' manca in
generale la sicurezza, oppure che gli Usa non vogliono testimoni (si chiede
a gran voce di rifare le elezioni in Ucraina con osservatori esterni, in un
paese sovrano, e lo si nega in un paese militarmente occupato mentre
continua una guerra gia' dichiarata finita da piu' di mezzo anno?): si
debbono fare, dicono Usa e alleati, ma non ci debbono essere testimoni. In
ogni caso i motivi per invalidarle sono infiniti.
E poiche' intanto viene anche a scadenza la "missione" italiana, e tra il 30
dicembre e la fine di febbraio si dovra' decidere che fare, il momento e'
giustissimo per reiterare la richiesta di ritiro immediato delle truppe
italiane anche per non trovarsi coinvolti in una operazione sporca di
inquinamento delle elezioni. Se persino dei parlamentari non possono andare
in Iraq durante le elezioni, e le ong si stanno ritirando, e i giornalisti
non possono scrivere quel che vedono senza timore di andare sotto codice
militare di guerra, la raccolta di dati e le testimonianze sulla situazione
non si possono avere. E' necessario dunque, come il Tribunale ha gia'
deciso, tenere un paio di sessioni sull'informazione...
3. RIFLESSIONE. ROCCO ALTIERI: IL RISVEGLIO RELIGIOSO DEI POPOLI PUO'
SCONFIGGERE LA GUERRA (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso su "Quaderni
Satyagraha" (la prestigiosa pubblicazione di cui e' curatore) n. 3, giugno
2003, alle pp. 73-92; pubblichiamo oggi la prima parte dell'articolo. Rocco
Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne
e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi
sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso
l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza
all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le
opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione
nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca
Franco Serantini, Pisa 1998. Per abbonarsi ai "Quaderni Satyagraha" (per
contatti: tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito:
pdpace.interfree.it): abbonamento annuale 30 euro da versare sul ccp
19254531, intestato a Centro Gandhi, via S. Cecilia 30, 56127 Pisa,
specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"]
"'Ove i popoli sono infieriti con le armi, talche' non vi abbiano piu' luogo
le umane leggi, l'unico potente mezzo di ridurgli e' la religione' (G. B.
Vico, Dignita' XXXI). E religione vuol dire oggi essenzialmente questo: che
la struttura morale va a costituire l'intima struttura del mondo, che la
realta' sarebbe nulla senza la nostra anima; che ha valore universale
l'iniziativa d'amore e il promovimento infinito di liberta', di sviluppo, di
creazione di valori, che la vita divina si attua nel darsi spontaneo e
liberale. Questa e' una cosa che nessun armato puo' toglierci, e quando egli
veda ben questo, e' gia' vinto e buttera' via le armi". (Aldo Capitini,
Nuova socialita' e riforma religiosa, p. 17).
*
Uno degli aspetti piu' sorprendenti ogni volta che si rilegge Capitini, ha
notato Norberto Bobbio (1), e' lo scoprire la sua "straordinaria
chiaroveggenza" rispetto al corso della storia.
In un momento di grande smarrimento di fronte alle strategie della guerra
preventiva scatenata dall'impero americano, avvertendo un assoluto vuoto di
coscienza storica nella cultura politica contemporanea, siamo andati a
rileggere cosa scriveva Capitini nel lontano 1936, l'anno della guerra
civile in Spagna e dell'avventura imperiale dell'Italia in Africa Orientale:
"La violenza e' dilagata perche' si e' visto che avere pochi strumenti per
difendersi o imporsi, e' come non averne nessuno. Si sostiene che la
migliore difesa e' l'offesa preventiva, e il deprimere via via tutti quelli
che domani o piu' tardi ci potrebbero nuocere. E si resta tutti assorbiti da
questa cura; e piuttosto che migliorare se stessi, si cerca di spiantare gli
altri, dedicando tutte le energie alla preparazione di una mentalita'
offensiva. E allora? continuare sino al massimo su questa via? che cosa
diverra' la vita? E se invece di moltiplicare i congegni micidiali, di
estendere su larghissima scala la pena di morte, si cercasse e si
diffondesse una persuasione elementare, atta a vivere energicamente
nell'animo, non si darebbe un altro impulso alla civilta'?" (2).
Dieci anni piu' tardi, nell'agosto 1945, pochi giorni dopo l'esplosione
della prima bomba atomica, Capitini cosi' rifletteva:
"Questo tempo e' tale che tutto in esso si riassume e culmina. Questo mondo
distinto in continenti e in tante genti, ecco che si va unificando, e la
resa del Giappone (una specie di Cartagine) e' un altro passo. Ecco un
cosmopolitismo crescente, macchine, film, edifici, che possono collocarsi
indifferentemente in qualsiasi parte della terra; e infine ecco che la
forza, invece di stare decentrata in migliaia e migliaia di industrie di
guerra, si raccoglie in una bomba di sovraterrena potenza, che mette al
bivio: o essere terribilmente violenti o essere inferiori sul piano della
forza. La vittoria ha piegato le ali e ha scelto la sua dimora? l'imperium
non gira piu' da popolo a popolo? Si torna effettivamente a riconoscere ad
uno solo il diritto di far guerra, quell'uno che e' potenzialmente il tutto,
e non piu' ai singoli popoli, diritto riaffermato nel Rinascimento?
Certamente, sorge il problema dell'uso della forza e della scelta del
'mezzo' per lottare, per affermare.
Come raggiunta l'unita' mondiale, sorge la crisi di questa unita', ... cosi'
posseduta la massima forza, sorge la crisi della forza, e il problema se,
per attuazione di liberta', non le si possa contrapporre una ancora piu'
formidabile". (3).
*
Il senso di smarrimento e di incertezza, emerso in questi mesi tra tanti
intellettuali di sinistra (4), nasce dal fatto di non saper immaginare una
politica internazionale che si realizzi al di fuori degli strumenti
tradizionali della potenza economica e militare.
Ritorna in campo una nostalgia per un mondo bipolare che non c'e' piu', e
allora si ipotizza di reimpiantarlo, promovendo l'Europa, una volta che si
sara' dotata di un suo esercito e di una sua politica estera autonoma, al
rango di chi si contrappone alla volonta' dell'impero.
Tuttora nessuno dei cultori del diritto internazionale sembra intravedere
l'efficacia di una attiva azione politica di pace al di fuori degli Stati,
attraverso l'esercizio di un potere popolare nonviolento che Capitini
riteneva essere piu' forte della bomba, auspicando gia' nel lontano 1945 la
creazione su basi culturali nuove di nonviolenza di una "internazionale
della umanita' lavoratrice" (5).
Negli anni immediatamente successivi alla caduta del fascismo Capitini si
affanno' moltissimo nel tentativo di spiegare ai partiti politici di
sinistra che "la forza non e' tutto, e che per le contrapposizioni assolute
bisogna allestire ben altro" (6). Alle rivendicazioni economiche e politiche
del socialismo bisognava aggiungere, "con evidenza assoluta, una centralita'
etico-religiosa" (7), cosi' come avvenne contro l'apoteosi dell'impero
romano quando sorse "la croce e l'attiva noncollaborazione dei cristiani
contro colei che era l'assolutizzazione del potere politico" (8).
Ma questa impostazione religiosa fu irrisa dai leader dei partiti, accusata
di essere sentimentale e poco realistica:
"Sono molti anni - lamentava Capitini - che io esprimo le mie riserve circa
la teoria e la prassi che la nuova civilta' dell'umanita' lavoratrice possa
e debba affermarsi mediante la forza e i mezzi della potenza; e ho
incontrato troppi richiami alla realta' e frequenti sorrisi alla cinese,
ispirati dalla fiducia in un'abile mescolanza di tattica e di forza. Ho
pensato e penso che le vittorie che contano sono vittorie dal di dentro,
quelle di Atene e di Gerusalemme" (9).
*
Gia' negli Elementi di una esperienza religiosa Capitini aveva annunciato:
"Si va verso una difficile, ma inevitabile, riaffermazione religiosa nel
mondo. Sara' una conquista, potente come non mai, dell'interiorita'..."
(10).
Ma non era folle, si chiedevano i piu', anche tra i suoi amici ed
estimatori, proporre una "astrusa" riforma di religione, spacciata come
necessaria e propedeutica a una rivoluzione politica nonviolenta, in un
mondo che si avviava ormai verso la sua emancipazione da Dio e la sua
definitiva secolarizzazione, in un tempo in cui la religione diveniva
invisibile, secondo la celebre espressione di Thomas Luckmann (11),
ricacciata cioe' nella sfera del privato, ridotta a una dimensione di
credenza individuale, senza piu' alcuna rilevanza pubblica?
La fine della religione veniva argomentata facendo ampio ricorso alle
analisi dei padri fondatori delle scienze sociali: Marx, Durkheim, Weber,
Freud. Ma questi grandi pensatori sociali, pur partendo da una posizione di
non-credenza, nel loro sforzo creativo di decifrare lo statuto simbolico
profondo sotteso all'esperienza religiosa non fecero altro che riscoprire la
potenza della coscienza religiosa e la centralita' del fenomeno religioso
all'interno del sistema sociale umano (12).
*
Nell'elaborare la sua teoria dell'azione sociale Parsons, ad esempio, il
principale teorico del funzionalismo sociologico, ha sostenuto che, in
realta', a una analisi attenta della modernita' l'influenza della dimensione
religiosa non appare essersi attenuata, anzi:
"Per molti anni la visione generale che sono andato esponendo e' che nella
sfera socio-culturale, e quindi anche in quella psicologica, cio' che viene
generalmente chiamata 'religione' sta ai piu' alti livelli nella gerarchia
cibernetica delle forze che, nel definire la direzionalita' generale
dell'azione, tra le possibili alternative permesse dalla condizione
esistenziale dell'uomo, controlla i processi dell'azione umana (13).
In realta', l'interpretazione che Parsons ci offre del processo di
secolarizzazione differisce da quanti teorizzano il declino della religione
nel mondo moderno e il suo degradarsi ad affare privato, mentre si avvicina
molto alla visione laica sostenuta da Capitini nella sua proposta di una
"religione aperta" (14). Parsons attribuisce al fenomeno moderno della
secolarizzazione un duplice significato, spiegandolo, innanzitutto, come un
processo di differenziazione funzionale tra la componente religiosa e le
componenti secolari, che lungi dal portare a un declino dei valori
religiosi, introduce, e' questo il secondo aspetto fondamentale, a una nuova
fase di istituzionalizzazione di tali valori all'interno dell'evoluzione dei
sistemi sociali e culturali. Istituzionalizzare significa per Parsons che
"tali valori vengono a rappresentare il centro nella definizione della
situazione per la condotta dei membri delle societa' secolari, precisamente
nei loro ruoli secolari" (15).
Parsons immagina uno sviluppo a spirale dei processi di differenziazione e
di istituzionalizzazione, all'interno del quale si puo' riconoscere una sua
teoria del conflitto e del cambiamento, che e' stata, invece, completamente
misconosciuta dai suoi critici (16).
Il cambiamento matura per Parsons nella sfera del sottosistema culturale e,
all'interno di questo, si manifesta soprattutto nella dimensione religiosa
piu' profonda. La differenziazione va intesa come scissione e antagonismo
tra le forze emergenti della nuova religione di fronte ai vecchi poteri
costituiti (17). E' il processo che abbiamo visto nella storia realizzarsi
in modo paradigmatico con la nascita della chiesa cristiana rispetto alla
comunita' giudaica e alla societa' dell'impero romano (18). Il processo di
cambiamento culturale si sviluppa come desacralizzazione e sottrazione di
legittimita' ai poteri costituiti, per cui in nome della nuova fede i
cristiani si rifiutavano di prestare giuramento, di militare nell'esercito,
di bruciare il granello di incenso sull'altare dell'imperatore.
L'agire sociale per Parsons non si puo' spiegare soltanto coi meccanismi
della razionalita' utilitaristica, ricorrendo ad esempio alla teoria dei
giochi, per cui la societa' nel suo insieme e' vista come una grande
macchina complessa, totalmente soggetta al calcolo mirante a massimizzare il
proprio tornaconto personale.
L'agire strumentale e' un concetto indebolito e riduttivo di ragione cui si
potrebbe dare piu' esattamente il nome di "ragione calcolante", strumento
soltanto dell'uomo d'affari, del tecnico o dell'analisi scientifica. "Una
volta - ha scritto Tillich - la ragione era il potere di conoscere i
principi ultimi del bene, del vero, del bello" (19). Questo concetto e'
andato perduto nel XIX secolo, sostituito da qualcosa che nei secoli
precedenti era assolutamente secondario. E' avvenuta una "disumanizzazione"
della ragione, ridotta a conoscenza calcolante o controllante. Ma "quando
tale conoscenza recide i suoi legami con la conoscenza olistica - quando la
scienza diviene scientismo- finisce per impazzire nello sforzo insaziabile
di misurare e gestire" (20).
In realta', a fianco all'etica utilitaristica esiste sempre una possibile
scelta etica non egoistica, altruistica, orientata ai valori
(love-orientation, come viene chiamata nel funzionalismo sociologico).
Parsons riprende a questo proposito la distinzione di Weber tra la
Zweckrationalitaet, ossia la razionalita' strumentale, e la
Wertrationalitaet, ossia la razionalita' ispirata ai valori (21). Il carisma
e' per l'appunto quella componente non-razionale (ma certo non definibile
come irrazionale) dell'agire umano, fatta di fede religiosa, affettivita',
sentimenti, la cui presenza va riconosciuta a pieno diritto accanto alla
razionalita' strumentale nell'influenzare la condotta dell'uomo e
l'organizzazione sociale.
Parsons nella sua teoria dei sistemi simbolici parla diffusamente dei
"simboli costitutivi" espressivi e morali, che sono alla base della nascita
della societa' umana.
Il processo di inaridimento della cultura, a cui assistiamo, potrebbe essere
rovesciato attraverso un processo di rivitalizzazione promosso da un
generale risveglio religioso. Tyriakian, riprendendo Parsons e Durkheim
parla a questo proposito di un ciclico processo di de-differentiation (22) o
rigenerazione della societa' (23). "In termini parsoniani, il settore 'L'
(24) viene ad essere riattivato per rigenerare la 'potenza' di tutto il
sistema" (25).
*
Religioni e rivoluzioni hanno una comune matrice nell'impegno a mobilitare,
risvegliare i popoli contro le strutture di dominio. Questa mobilitazione
unifica le persone, crea legami di cooperazione attiva e di solidarieta',
facendo sentire tutti come un solo popolo, al di la' di ogni differenza
sociale o politica (e' questo per l'appunto il realizzarsi del processo di
de-differenziazione) (26).
La religione come affermazione creativa della verita' in rapporto alla
totalita' dell'esperienza umana e', percio', una dimensione ineliminabile
(27). Ha scritto Robert Bellah, sociologo formatosi alla scuola di Parsons :
"Quella che generalmente viene chiamata secolarizzazione e declino della
religione, in questo contesto apparirebbe come il declino del sistema
esterno di controllo della religione ed il declino della credenza religiosa
tradizionale. Ma la religione, come quella forma simbolica attraverso la
quale l'uomo trova un accordo con le antinomie del suo essere, non e' venuta
meno, di fatto, non puo' venire meno, a meno che la natura dell'uomo cessi
di essere un problema per esso" (28).
In un certo senso la secolarizzazione del cristianesimo, nel significato
datole dalla teoria funzionalista, ha portato a una maturazione della
coscienza religiosa moderna. Bellah, riprendendo la distinzione di Tillich
(29) tra fede e credenza, tra fede e pratiche religiose (considerazione che
e' centrale anche in Capitini), afferma come la centralita' della coscienza
rispetto all'autorita' della legge sia l'acquisizione piu' importante della
modernita', introducendo quella che Bellah chiama l'internalizzazione
dell'autorita' (30).
Bisogna sempre distinguere tra fede (faith) e credenza(belief): "La fede -
secondo Tillich - e' lo stato consistente nell'essere afferrati da qualcosa
che ha un significato supremo, e nell'agire e pensare in base ad esso come
persona dotata di un centro. Le credenze sono opinioni che si ritengono
vere, che possono essere o meno realmente tali" (31).
Confondere fede e credenza ha portato storicamente a esiti nefasti, aprendo
la strada al dogmatismo e all'intolleranza. Scrive Bellah:
"Lo sforzo di mantenere la credenza ortodossa e' consistito principalmente
in uno sforzo di mantenere l'autorita' piuttosto che la fede. Faceva parte
di un intero modo gerarchico di considerare il controllo sociale,
profondamente radicato nella societa' tradizionale" (32).
Ma la fede autentica non accetta forme di coercizione esterna, ha in se'
uno spirito antidogmatico e antiautoritario.
Il processo di differenziazione funzionale introdotta dalla modernita' tra
Chiesa e Stato, ha portato a una purificazione della prassi religiosa,
vincendo ogni tentazione "cesaro-papista", rompendo l'allenza medievale tra
trono e altare. Come osserva Bellah:
" (...) E' necessario ora come lo e' sempre stato caricarsi della croce e
seguire Colui che fu crocifisso fuori dalle porte della citta'. In un certo
senso [il processo di differenziazione] solleva la chiesa da un pesante
fardello. Non deve piu' fornire il cemento sociale per un imperfetto ordine
sociale; non deve piu' mantenere due ruoli come il Concilio notturno delle
Leggi di Platone (33). In un mondo non autoritario, la chiesa puo' soltanto
essere come era in origine, una societa' volontaria. Questo non vuol dire
che la chiesa sia isolata e alienata, anche se oggi qualsiasi persona
moralmente impegnata deve spesso sentirsi sola e alienata. Ma diviene
possibile riconoscere l'azione dello Spirito santo, per usare un simbolismo
cristiano, in gruppi e individui che non si definirebbero cristiani, e
riconoscere il modello biblico in movimenti che proclamano rumorosamente il
loro anti-cristianesimo. I cristiani possono unirsi ai non cristiani nel
definire il consenso emergente per certi valori, nel criticare i valori
esistenti nei termini del criterio di umanita' comune e di integrita'
personale, ed insistere perche' i valori che costituiscono gia' un impegno
per tutte le societa' siano attuati per tutti i gruppi sociali. (...)
Non e' possibile dividere l'umanita' in credenti e non-credenti. Tutti
credono a qualcosa, e gli indifferenti e quelli con scarsa fede si possono
incontrare sia nelle chiese che fuori di esse. Lo Spirito soffia dov'e'
ascoltato e uomini di integrita' appassionata si trovano in strani luoghi.
(...)
I cristiani assieme con altri uomini sono chiamati a costruire la comunita'
senza frontiere, il corpo dell'uomo identificato con il corpo di Cristo,
anche se poi tutti gli uomini sono liberi di simbolizzarlo nel modo che e'
loro proprio (34)..
*
Anche per Capitini affermare la laicita' dello Stato e' stato un bene
assoluto per la vita e il rinnovamento della religione, liberandola
finalmente sia dalla tentazione del dominio temporale, sia dall'assoluto
controllo governativo. Ma e' erroneo pensare che questa scelta di laicita'
debba portare a separare la religione dalla politica. Infatti, non vanno
confusi o identificati lo spazio della politica con quello dello Stato. E'
questo un nodo cruciale per la comprensione della nonviolenza.
Jose' Casanova, sociologo americano, vede come il processo di
secolarizzazione abbia spostato il baricentro della religione verso il
basso, passando, attraverso un processo di trasformazione, dall'alleanza
con i vertici dello Stato verso la progressiva immersione nella societa'
civile (35).
Questo processo pone il legame tra religione e politica su basi nuove,
distinguendo le concezioni della "politica di potenza" promossa dagli Stati
dalla politica come azione popolare per la liberazione degli oppressi e come
servizio al bene comune, agendo positivamente nel promuovere solidarieta' e
giustizia. Secondo questa ultima accezione chi nega lo stretto legame
esistente tra religione e politica, come ha scritto Gandhi alla fine della
sua autobiografia, non ha capito bene cosa si intenda per religione (36).
Jose' Casanova (37) trova riaffermata questa intuizione gandhiana nel suo
studio delle rivoluzioni popolari che si sono susseguite con successo nel
corso del decennio 1979-'89, dall'Iran all'America Latina, dalle Filippine
ai paesi dell'Est europeo, mettendo in luce come la sfida ai poteri
autoritari sia venuta dal cuore delle religioni tornate a svolgere un ruolo
politico determinante.
Casanova chiama questo nuovo protagonismo pubblico delle religioni processo
di deprivatization of religion (38). Le religioni, uscendo dalla sfera del
privato dove lo spirito moderno sembrava volerle confinare, diventano lo
spazio culturale profondo all'interno del quale la comunita' rinnova,
secondo la visione data da Durkheim (39), la base morale della propria
identita', dei propri valori fondanti, dei significati ultimi del proprio
agire, e, allorche' si manifesti una situazione di crisi, consente di
avviare un processo di delegittimazione dei poteri costituiti e di
ridefinizione dei nuovi confini.
"I movimenti sociali a carattere religioso - osserva Casanova - sfidano in
nome della religione la legittimita' e l'autonomia delle due primarie sfere
secolari, in particolare gli Stati e i Mercati" (40).
I movimenti contestano in particolare il fatto che l'economia e la politica
facciano le loro scelte seguendo esclusivamente le logiche del profitto e
della volonta' di potenza, ignorando completamente, secondo la critica
sostanziale che gia' fece John Ruskin nell'800, i principi etici
dell'umanita':
"Similmente, istituzioni e organizzazioni religiose rifiutano di limitarsi
alla cura pastorale delle anime e continuano a sollevare questioni sulle
interconnessioni tra moralita' pubblica e privata e a sfidare le pretese dei
sottosistemi, particolarmente degli stati e dei mercati, di essere
dispensati da considerazioni normative estranee. Il risultato di questa
crescente contestazione e' duplice, un processo interrelato di
ripoliticizzazione della religione privata e della sfera morale, e una
ri-normativizzazione dell'economia pubblica e della sfera politica. Cio' e'
quello che io chiamo, per mancanza di un termine migliore, la
deprivatizzazione della religione" (41).
*
La cultura dominante del liberismo economico ha orrore della
politicizzazione della religione, bollando come "fondamentalismo" il
risveglio dell'Islam e "comunismo" l'opzione privilegiata per i poveri
presente nella teologia della liberazione e nelle comunita' cristiane di
base dell'America Latina, avversandole entrambe con una guerra ideologica di
criminalizzazione senza precedenti. In realta', scrive Casanova, "la
concezione liberale ha paura che l'etica religiosa esca dal privato,
sostenendo concezioni alternative di giustizia, pubblico interesse, beni
comuni, solidarieta', dentro le deliberazioni 'neutrali' della sfera
pubblica liberale" (42).
Tre sono le questioni cruciali, fondamentali, su cui le religioni, secondo
Casanova, lanciano la sfida ai potentati del mondo globalizzato: la
promozione dei diritti umani e delle liberta' civili contro l'oppressione
totalitaria del libero mercato; la messa al bando delle armi nucleari e
della guerra; l'affermazione di una bioetica nell'orizzonte della difesa
della vita (43).
I movimenti religiosi che rivendicano un forte legame tra fede e politica
vengono spesso bollati come fondamentalisti.
Ma il fondamentalismo, in realta', non va identificato tout court con
l'estremismo e il fanatismo violento, con il nazionalismo che cerca di fare
un uso strumentale delle frustrazioni popolari e del sentimento religioso,
alimentando la guerra tra civilta'.
Il concetto di fondamentalismo, come hanno dimostrato Martyn E. Marty e
Scott Appleby nella loro magistrale ricerca (44), e' in se' molto ambiguo,
perche' non distingue la diversita' di posizioni tra la reazione violenta e
l'opzione nonviolenta, entrambe presenti all'interno di un comune processo
di mobilitazione politica della religione, pur avvertendo che le azioni
violente vengono di gran lunga enfatizzate dai mass-media a svantaggio di
quelle nonviolente, che sono innumerevoli, ma silenziose, diffuse, e
costruite dal basso della societa', lontano dai riflettori.
C'e' indubbiamente una possibile ambivalenza del sacro, di un modo di essere
violento o nonviolento delle religioni, che gia' J. J. Rousseau aveva
evidenziato nelle sue riflessioni a proposito della Religione civile (45).
Mark Juergensmeyer (46) ha di recente analizzato in maniera magistrale i
meccanismi sociologici e culturali che possono trasformare la religione in
un cemento ideologico capace di mobilitare le folle e spingere i credenti ad
atti violenti di martirio e di terrorismo.
Bisogna, allora, fare tutto un lavoro educativo di purificazione della
prassi religiosa in senso nonviolento, per spostare la lotta dalla violenza
contro l'altro, all'impegno assieme all'altro, per sconfiggere la violenza
strutturale presente nei sistemi sociali contemporanei (47).
Bisogna, secondo l'invito di Gandhi, scoprire e rivitalizzare tutti gli
elementi di nonviolenza presenti in ogni tradizione religiosa.
Nella guerra degli Usa contro l'Irak ben ha fatto la popolazione sciita a
sfuggire alla morsa tra il regime e gli eserciti aggressori, sottraendosi
alla resistenza armata e spostando la lotta sul piano della opposizione
popolare e religiosa, cosi' come e' avvenuto con le grandiose manifestazioni
nonviolente di Kerbala (48), schierandosi ne' con Bush, ne' con Saddam, ma
rivendicando il proprio diritto all'autoderteminazione.
*
Note
1. Norberto Bobbio, Cinquant'anni dopo, in Aldo Capitini, Elementi di
un'esperienza religiosa, Bologna, Cappelli, 1990, (prefazione alla ristampa
anastatica della seconda edizione del 1947), p. XX.
2. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Bologna, Cappelli,
1990, pp. 21-22.
3. Aldo Capitini, Italia nonviolenta, Bologna, Libreria Internazionale di
Avanguardia, 1949, ristampa a cura del Centro Studi Aldo Capitini,
Perugia,1981, p. 46.
4. Si pensi ad esempio al dibattito ospitato dal quotidiano "Il manifesto" a
cura di Luigi Cavallaro (20 e 22 aprile 2003) sui recenti scritti di Michael
Hardt e Toni Negri dedicati alla politica di Gorge W. Bush, pubblicati sul
primo numero di "Global Magazine", aprile 2003.
5. Ivi, p. 47.
6. Ibidem.
7. Ibidem.
8. Ibidem.
9. Ibidem.
10. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, op. cit. , pp.
21-22.
11. Thomas Luckmann, Invisible Religion, New York, Macmillan, 1967. E' il
testo piu' famoso che teorizza la secolarizzazione come processo moderno di
riduzione della fede a un fatto privato e individuale.
12. Cfr. Robert N. Bellah, Beyond Belief. Essays on Religion in a
Post-Traditional World, New York, Harper & Row, 1970, ed.it.: Al di la'
delle fedi. Le religioni in un mondo post-tradizionale, Brescia,
Morcelliana, 1975, p. 249.
13. Talcott Parsons, Action Theory and the Human Condition, New York, The
Free Press, 1978, p. 240.
14. Aldo Capitini, Religione aperta, Parma, Guanda, 1955.
15. Talcott Parsons, op. cit., p. 241.
16. Questa visione viene enfatizzata soprattutto nei suoi ultimi scritti,
che delineano una terza fase del suo pensiero, tuttora trascurata e poco
studiata. Cfr. Peter Hamilton, Talcott Parsons, Bologna, Il Mulino, 1989,
pp. 151-168.
17. E' evidente l'influenza della teoria weberiana della forza carismatica.
18. Cfr. Talcott Parsons, op. cit., nota 11, pp. 241-2.
19. Paul Tillich, L'irrilevanza e la rivelanza del messaggio cristiano per
l'umanita' oggi, Brescia, Queriniana, 1998, p. 53.
20. Ivi, p. 15.
21. Ivi, pp. 236-7.
22. Tiryakian scrive che "c'e' bisogno di abbinare la de-differenziazione
con la differenziazione strutturale per arrivare a un modello teorico
generale di sviluppo" in Edward A. Tiryakian, On the significance of
de-differentiation, in S. N. Eisenstadt and H. J. Helle, Macro-Sociological
Theory, vol. I, London, Sage, 1985, p. 131.
23. Cfr. Emile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Roma,
Newton Compton Italiana, 1973, pp. 214-246.
24. "L" sta per latenza e indica nel modello di controllo cibernetico AGIL,
elaborato da Parsons, il sottosistema culturale che opera in interazione con
il sottosistema economico, politico e sociale. AGIL e' un acronimo: A sta
per Adaptive subsystem (l'economia); G sta per Goal-attainment subsystem (la
politica); I sta per Integrative subsystem (le norme di controllo sociale,
altrimenti detto comunita' societaria); L identifica il luogo delle
motivazioni ultime, dell'etica orientata ai valori, della religione civile.
Cfr. Talcott Parsons & Gerald M. Platt , The American University, Cambridge,
Massachusetts, Harvard University Press, 1973, pp. 426-428.
25. Edward A. Tiryakian, op. cit., p. 129.
26. Ibidem.
27. Cfr. Andrew Greeley, Unsecular Man: The Persistence of Religion, New
York, Schocken, 1972.
28. Robert N. Bellah, Al di la' delle fedi. Le religioni in un mondo
post-tradizionale, cit., p. 242.
29. Paul Tillich (1886-1965), tra i piu' eminenti teologi del secolo scorso,
fu tra i primi oppositori di Hitler e percio' sospeso dall'insegnamento e
costretto all'emigrazione negli Stati Uniti. Sua opera principale e' la
Teologia sistematica in tre volumi (1951-1963).
30. Robert N. Bellah, op. cit., p.238.
31. Paul Tillich, op. cit., p. 42.
32. Ivi, p. 235.
33. Nel libro X delle Leggi Platone sostiene la necessita' di una serie di
credenze (l'esistenza di Dio, l'immortalita' dell'anima), per cui la
manifestazione di incredulita' era passibile di punizione.
34. Ivi, pp. 243-244.
35. Jose' Casanova, Public Religions in the Modern World, Chicago, The
University of Chicago Press, 1994, pp. 58-63.
36. M. K. Gandhi, An Autobiography, or the Story of my Experiments with
Truth, (1927-29), Ahmedabad, Navajivan Publ., 1979, p. 383.
37. Jose' Casanova, Public Religions in the Modern World, cit.
38. Ivi, p.65-66
39. Cfr. Emile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, cit.
Durkheim nel capitolo 7 del secondo libro (nell'edizione italiana capitolo
11, pp. 214-246) sostiene che il sacro costituisce la base fondamentale
della comunita' morale, l'espressione simbolica della vitalita' collettiva
della societa'.
40. Jose' Casanova, op. cit, p. 5
41. Ivi, pp. 5-6.
42. Ivi, p. 55.
43. Ivi, pp. 57-58.
44. Cfr. M. E. Marty, R. S. Appleby, Fundamentalism Observed, Vol. I, The
Fundamentalisms Project, Chicago, Chicago University Press, 1991.
45. Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, in Scritti Politici,
Torino, Utet, 1970, p. 838. Per analisi piu' recenti cfr.: Marc Gopin,
Between Eden and Armageddon: The Future of World Religions, Violence, and
Peacemaking, New York, Oxford University Press, 2000; R. Scott Appleby, The
Ambivalence of the Sacred. Religion, Violence, and Reconciliation, Lanham,
Maryland, Rowman & Littlefield Publ., 2000.
46. Mark Juergensmeyer, Terror in The Mind of God. The Global Rise of
Religious Violence, Berkeley, University of California Press, 2001.
47. Cfr. Johan Galtung, La pace con mezzi di pace, Milano, Esperia, 2000.
48. Kerbala, a meta' strada tra Baghdad e Najaf, e' la citta' santa sciita,
dove tra il 21 e il 22 aprile sono confluiti in pellegrinaggio milioni di
persone, nell'anniversario dell'assassinio 1300 anni fa dell'iman Hussein,
figlio di Ali'. Il pellegrinaggio e' stata l'occasione per manifestare
pubblicamente di essere ne' con Bush, ne' con Saddam.
*
(Continua)
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 784 del 20 dicembre 2004
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