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La nonviolenza e' in cammino. 777
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 777
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 13 Dec 2004 00:06:53 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 777 del 13 dicembre 2004
Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Silenziatori
2. Augusto Cavadi ricorda Lucio Schiro' D'Agati
3. Mao Valpiana: Buon compleanno, "Raggio"
4. Maria Luigia Casieri: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
5. Giancarla Codrignani: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
6. Alessandro Pizzi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
7. Come ci si abbona ad "Azione nonviolenta"
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: SILENZIATORI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]
Ci sono tipi di sofferenze che abbiamo imparato ad accettare come naturali e
normali solo perche' sono molto diffuse. Come abbiamo appreso a mettere il
silenziatore non solo ai nostri sentimenti ed alle nostre intuizioni, ma
anche alle fonti dell'immaginazione, che hanno il potere di creare visioni
alternative?
Numerose conoscenze "silenziate" esistono all'interno delle ordinarie
esistenze degli individui e delle comunita': con conoscenze "silenziate"
intendo quelle conoscenze che ognuno di noi sistema in un rifugio di
silenzio, ritenendo pericoloso comunicarle a noi stessi o agli altri. Le
sanzioni contro di esse, che vengano dalla famiglia, dalla comunita' di
appartenenza o dalla piu' vasta cultura dominante, rendono tali conoscenze
mute ed inaccessibili. Una volta che sia stato applicato loro il
silenziatore, esse richiedono pero' la nostra energia per mantenerne la
dissociazione dalle nostre vite, ed il nostro "oscuramento" dell'intero
sforzo per evitarne il dolore.
*
Alcune di queste conoscenze silenziate richiedono di metabolizzarsi
attraverso parecchie generazioni, tanto esse sono difficili da ascoltare e
da riconoscere. Un esempio di metabolizzazione viene dalla storia di un
giornalista australiano, Peter Sichrovsky, che intervisto' dozzine di figli
e nipoti di ex nazisti (le interviste divennero il libro "Born Guilty: The
Children of Nazis", 1988)
Sichrovsky parlo' con una donna tedesca, Suzanne, che era cresciuta ben
sapendo che il padre era un fervente nazista, ma non aveva mai sviluppato
nessun interesse o curiosita' al proposito. Suzanne resistette anche alle
domande di suo figlio Dieter, quando quest'ultimo venne a casa da scuola con
il compito di effettuare una ricerca sugli effetti dell'Olocausto nella
citta' in cui viveva.
Come molti altri della sua generazione, la terza dall'inizio della II guerra
mondiale, Dieter voleva sapere. Il suo cammino verso la conoscenza e la
guarigione rispetto alla sua eredita' culturale erano interconnessi. Dopo
aver esaminato archivi e scritto a sopravvissuti, Dieter fece una scoperta
sorprendente. La casa in cui sua madre e lui erano cresciuti era stata
confiscata ad una famiglia ebrea. Dieter lesse il documento ai suoi
genitori:
"Qui vivevano Martha Kolleg, di anni 2, Anna Kolleg, di anni 6, Ferdi Kolleg
di anni 12, Harry Kolleg, di anni 42, e Susanne Kolleg, di anni 38.
Arrestati il 10 novembre 1941, deportati il 12 novembre 1941. Data ufficiale
della morte dei bambini e della madre: 14 gennaio 1944. Luogo della morte:
Auschwitz. Il padre e' ufficialmente disperso".
I nonni di Dieter, il padre e la madre di Suzanne, avevano preso possesso
dell'appartamento nel giorno stesso in cui la famiglia Kolleg era stata
deportata ad Auschwitz. Il nonno di Dieter, infatti, era una delle guardie
del campo di sterminio. L'informazione portata alla luce dal ragazzo diede
inizio ad un processo di memoria e di lutto in sua madre. Per la prima
volta, Suzanne provava rabbia per cio' che era accaduto, e per il silenzio
che aveva coperto l'accaduto. Era stata certamente conscia dello svolgersi
della guerra anche prima, e inoltre ricordava che suo padre l'aveva condotta
ad Auschwitz quando lei aveva 16 anni: ma il modo in cui le spiego' il
proprio coinvolgimento fu presentandosi egli stesso quale vittima. L'ordine
non scritto, ma saldamente fissato nell'inconscio dell'intera famiglia, era
che certe domande non andavano fatte. "In retrospettiva, disse poi Suzanne,
la cosa terribile di mio padre era la sua 'oggettivita''. I suoi racconti,
le sue descrizioni degli eventi. Non l'ho mai visto versare una lacrima, non
l'ho mai udito interrompersi perche' impedito dall'emozione. C'erano solo
quelle monotone litanie, ed era come se le leggesse da un libro".
Dieter aveva dato voce alla conoscenza "silenziata", al segreto su cui la
sua famiglia era vissuta, letteralmente e metaforicamente: e cioe' che la
stessa casa in cui vivevano era una rapina del razzismo e del genocidio.
Solo attraverso questa rimembranza (un ridare corpo, ri-membrare) l'effetto
dissociativo delle narrazioni del nonno poteva essere riconosciuto ed
elaborato.
*
Questa semplice storia solleva tre difficili questioni:
1) Quali modi, di esistere e di conoscere, rendono possibile per la gente
comune derubare, brutalizzare ed uccidere i propri vicini di casa? E quali
modi, di esistere e di conoscere, rendono possibile vivere a fianco del
terrore e dell'abuso tenendoli per "normali", cose su cui non ci si
interroga? Durante il XX secolo ci sono state al mondo oltre 500 guerre
civili, in cui si e' dato ogni tipo di violenza. Mentre scrivo, la gente
muore in circa 50 guerre in corso. Come viviamo in un mondo siffatto, e come
tale scenario ha influenza su di noi?
2) In secondo luogo, quando si vive in un ambiente in cui la violenza,
l'odio e l'esclusione sono le regole, quali perdite subisce ogni individuo
in termini di spontaneita', apertura e creativita'? Parlando degli effetti
della dittatura in Argentina, la ricercatrice Diana Taylor ha coniato il
termine "percetticida", intendendo con esso l'erosione della nostra
capacita' di percepire e conoscere. Cosa accade alla nostra consapevolezza,
quando le nostre vite sono piene di oggetti la cui creazione a basso costo
ha richiesto condizioni di lavoro inique e degrado ambientale? Quando di
alcune cose e' proibito parlare, alcune conoscenze sono "silenziate", e
l'espressione delle stesse e' riprovata socialmente, quale tipo di
personalita' mutilata sviluppiamo?
3) In terzo luogo, come una comunita' guarisce dopo un periodo storico di
estrema violenza? In Cile, Argentina, Bosnia, Macedonia, Ruanda, Corea,
Vietnam e Sudafrica, ad esempio, sono stati creati spazi in cui dare
pubblico riconoscimento alle narrazioni dolorose. Se ogni momento di
violenza ed abuso del passato vede l'amnesia (e/o la riscrittura) da un
lato, e la rabbia latente o manifesta dall'altro, uno scenario che puo' solo
condurre a cicli di odio e violenza ricorrenti, il mondo contemporaneo si
avvia su un china rovinosa, privo di controllo. Il dialogo, com'e' ovvio,
non puo' che avvenire fra individui: come possono individui che hanno
formato le loro personalita' in ambienti segnati dalla cancellazione,
apprendere a ricordare e a riconnettersi a sentimenti perduti? Forse
potremmo trovare delle risposte in una "giustizia riparatrice", che
comprenda l'intima interdipendenza fra individui e comunita', che preveda la
memoria, la possibilita' di esprimere il lutto ed il re-immaginare le nostre
vite. La consapevolezza personale e la liberazione sociale sono anch'esse
interdipendenti.
*
Naturalmente e' facile guardare a problemi lontani ed offrire ad essi
soluzioni semplicistiche; com'e' sempre piu' facile vedere la pagliuzza
nell'occhio altrui. Sarebbe invece interessante guardare con maggior
profondita' a cosa accade nelle nostre case, nelle nostre organizzazioni,
nelle nostre vite sociali. E' qui dove siamo che dovremmo esaminare i nostri
processi di "normalizzazione", tramite i quali mutiliamo i nostri sentimenti
e ci rifugiamo nelle amnesie: e cioe' il perpetuarsi della nostra miopia ed
il fallimento della nostra capacita' di immaginare, i processi per cui le
tragedie di ogni giorno ci appaiono normali ed inevitabili. Desmond Tutu
suggeri' (1999) il concetto africano di "ubuntu" (costruzione di comunita')
come valore chiave: "Una persona con 'ubuntu' e' aperta e disponibile agli
altri, alla loro affermazione come individui. Non si sente minacciato dalle
abilita' altrui, perche' lui o lei ha la propria assicurazione di autostima,
che viene dal sapere di essere parte di un tutto piu' grande, che soffre di
diminuzione quando gli altri sono umiliati o spossessati, quando gli altri
sono torturati o oppressi, o trattati come se fossero meno di quel che
sono". In questo concetto l'autostima (vostra, mia) si crea attraverso i
modi in cui l'Altro e' trattato. Lo sviluppo positivo del Se' e' collegato
al relazionare con l'Altro in modo rispettoso ed affermativo per entrambi,
un modo libero dall'abuso, dallo sfruttamento, dall'umiliazione.
E' vero che noi camminiamo in una lunga storia di oppressioni e di
discriminazioni, e' vero che ne risultiamo privilegiati anche se non ne
siamo direttamente responsabili. Se vogliamo guarire le nostre storie e le
nostre comunita' l'ascolto profondo dev'essere seguito dalla cura,
dall'intenzione di capire e sostenere, e da gesti di riparazione. Ma tutto
questo non e' possibile se non abbiamo la volonta' di rompere i codici
sociali che ci impongono il silenzio, e che spesso lo hanno imposto da
generazioni.
*
Il sistema dell'economia "globale" ha rapidamente esportato il lavoro di
produzione ai paesi piu' poveri, dove i lavoratori e le lavoratrici
producono gli oggetti che noi consumiamo a paghe scandalosamente basse (che
spesso ammontano a poco piu' di un euro al giorno).
Mary Atkins, madre adottiva di una bimba di 9 anni originaria della Cina,
cosi' racconta del suo viaggio in quel paese (2002): "La cosa che ci ha
sconvolto di piu' fu la visita ad una fabbrica di tessuti di seta. Dentro
strutture massicce e chiuse, nel rumore assordante di centinaia di telai,
immerse in una temperatura caldissima (40 gradi) lavoravano ragazzine poco
piu' grandi di mia figlia. Ci dissero che molte di loro lavorano 12 ore al
giorno, altre dormono addirittura nello stabilimento, in un ambiente
decisamente malsano. Persino le famiglie piu' povere tentano di evitare il
fato delle fabbriche di seta alle loro figlie. La maggior parte delle
ragazzine viene dalle campagne, dove le condizioni di vita sono miserabili.
Se le famiglie hanno qualche soldo da investire nell'istruzione, questa
spetta ai figli maschi, e cio' lascia milioni di bambine fuori dalle porte
delle scuole, disponibili per le fabbriche che esportano i frutti della loro
terribile fatica nei nostri paesi. Dai loro telai fluivano bellissimi
tessuti multicolori, delle stoffe regali. Cominciai a piangere, soffocata
dalla tragedia umana che si svolgeva davanti ai miei occhi. La seta e la
tristezza delle ragazze divennero un tutt'uno. Ora non posso piu' guardare
degli abiti o delle stoffe in una vetrina senza connettermi a cio' che mi e'
nascosto, che e' fuori di vista: le lunghe ore di una fanciulla al lavoro in
una fabbrica, una fabbrica che non produce nulla di utile a lei o alla sua
gente".
*
La liberta' e' indivisibile, non solo nel senso "popolare" che tutti gli
oppressi del mondo sono idealmente uniti, ma nel senso "impopolare" che
l'oppressore stesso e' preso prigioniero dalla cultura dell'oppressione.
Senza esaminare quale tipo di consapevolezza si struttura attraverso la
partecipazione a relazioni di oppressione, non possiamo determinare
l'estensione della ferita. E' come se fossimo malati senza saperlo. Per
guarire, dobbiamo divenire consci della malattia, farne esperienza. E
guardare a noi stessi/e e agli altri in modo compassionevole, non attraverso
la lente della colpa.
L'ideale della competizione, ed i comportamenti ad esso correlati, il mito
del "farsi da soli", la vita vissuta come una corsa in cui bisogna arrivare
primi (e ogni mezzo e' lecito, se legittimato dalla vittoria), distruggono
la cooperazione di cui abbiamo disperatamente bisogno: tutti abbiamo
necessita' degli altri, dell'Altro.
*
Riconoscere l'interdipendenza e' la sfida alla maturita' degli individui e
dei gruppi. Rifiutarsi di farlo e' continuare a vivere in un sogno infantile
e narcisistico di onnipotenza individuale, dove gli ego lottano per il
predominio ed il controllo. Il controllo viene ottenuto tramite la creazione
della gerarchia e la sua scalata verticale, provvedendo le risorse solo a
coloro che si situano in cima alla scala. Il linguaggio delle corporazioni
economiche, i cosiddetti "soffitti di vetro", riflettono esattamente questo
tipo di individualismo.
La narrazione dell'Altro come inferiore, arretrato e primitivo, ci permette
di mitigare la diretta percezione delle violenze perpetrate contro di
lui/lei. La dissociazione tra la narrazione della cultura dominante (gli
eventi come ci vengono presentati) ed ogni nostro sentimento di empatia o
conoscenza "trasgressiva", causa la necessita' di difenderci da queste
ultime.
E' in questo modo che la dissociazione interna alla storia culturale si
traduce in dissociazione psichica. E naturalmente essa ha bisogno di energia
per la propria continuazione: lo stato che ne risulta e' di sofferenza
mentale, di compromissione della vitalita', della creativita', dell'eros e
della compassione. Il campo che proiettiamo sulla personalita' dell'Altro
agisce come una nube oscurante, permettendoci di non fare esperienza della
sua sofferenza umana. Il lavoro di guarigione dovrebbe comprendere il
chiederci quanto e che cosa della nostra stessa sofferenza, dei nostri
pensieri, sentimenti e percezioni, sia andato "perduto" in questo processo.
Quando teorici di varie discipline descrivono il nostro tempo come segnato
dal narcisismo, stanno descrivendo la pericolosa situazione psicologica in
cui ci troviamo a fare a pezzi le nostre ed altrui esperienze, dividendole
in opposizioni binarie di superiorita' e inferiorita'. Non e' solo la
molteplicita' delle relazioni nel mondo ad essere negata, ma anche le
molteplici relazioni del Se'. Il paradigma individualista del Se' tenta di
immaginare se stesso come unita' monolitica. Non incoraggia l'ascolto
profondo delle nostre stesse ambivalenze, ne' il discernimento della
molteplicita' di voci che abbiamo interiorizzato grazie alle nostre
relazioni presenti e passate. Siamo sordi anche noi a noi stessi, pur di
ingrandire il nostro ego.
*
Christa Wolf affronto' nel libro Trame d'infanzia il difficile recupero
della propria lingua, il tedesco, che risultava intrecciata in modo
sconvolgente alla lingua del tempo dell'abuso, del periodo nazista. In altri
lavori (come Befund, 1994) descrive la perdita della capacita' di comunicare
e la difficolta' di "provare compassione per la propria stessa persona, il
tipo di difficolta' di cui fa esperienza una persona che fu forzata, sin da
piccola, a trasformare la compassione per deboli e perdenti in odio e
ansieta'".
I protagonisti/le protagoniste di questi racconti soffrono di mal di testa,
attacchi d'ansia, dolori di stomaco: i sintomi del corpo, quindi, esprimono
la loro protesta non verbale alla struttura costrittiva in cui e' stata
incastrata l'immaginazione, una situazione molto comune, e di cui in molti/e
abbiamo fatto esperienza. Sarebbe il caso di cominciare a prendere questa
protesta seriamente, ovvero di scorgere nei nostri sintomi di sconforto i
semi di narrazioni alternative delle nostre storie personali e sociali.
*
Per meglio profittare dell'oppressione altrui, abbiamo creato culture e
sistemi di valori che giustificano l'oppressione. L'Altro e' inferiore,
impulsivo, sottosviluppato, incapace di pensiero astratto, superstizioso.
L'Altro necessita la nostra coloniale sovrintendenza per le necessita'
minime della sua sopravvivenza. La nostra intelligenza, il nostro saper
lavorare, la nostra superiore morale (non uso il termine etica, che e' ben
altra cosa), il nostro pensiero logico, le nostre conoscenze scientifiche...
questo ed altro giustificano il nostro controllo della "torta".
Ma questo tipo di "Se' coloniale" deve anche separarsi da tutto quanto in
lui/lei e' inferiore, sottosviluppato, impulsivo e vulnerabile. La
separazione binaria, dove un polo e' lodato ed ambito, l'altro degradato e
disprezzato, ricade nella psiche del colonizzatore e del colonizzato,
creando caricature identitarie e letture della storia false e parziali.
L'intelligenza viene indotta a separarsi dal sentimento, dall'intuizione,
dall'immaginazione. Il lavoro viene dissociato dalla vitalita', dalla
creazione, dalla generazione.
*
Per cominciare a maneggiare l'eredita' di questo rigido complesso
dissociativo dobbiamo porre una sfida ai noi stessi, al nostro stesso
tentativo di controllare la storia, di evitare ricordi dolorosi. E' solo nel
recupero della memoria culturale, nell'ascolto dei sentimenti
precedentemente zittiti, che i sintomi e gli effetti della dissociazione
interiore possono guarire.
Per mantenere la nostra storia in modo che essa informi il nostro presente,
dobbiamo nutrire le nostre capacità di provare il lutto, di cercare la
verita' e la riconciliazione. Il lutto richiede la capacita' di sostenere e
rapportarsi: parte della tristezza che deve essere riconosciuta sta nel modo
in cui abbiamo impedito ad alcune delle nostre conoscenze piu' profonde di
interagire con le principali scelte della nostra vita. Noi possiamo
"sentire" la sofferenza che il paradigma individualista del Se' ci ha
portato: l'isolamento e la solitudine, il dubitare interiormente di noi
stessi, l'oscillazione narcisistica fra i poli inferiore/superiore su cui
abbiamo costruito l'assestamento del Se' e dell'Altro, l'oggettificazione
della natura, il restringersi della compassione, la frenesia compulsiva
generata da un Se' vuoto.
*
L'alternativa liberante a cui penso e' il vivere le nostre capacita'
nell'interdipendenza, e' il lenire la sete di relazione e connessione. Il
modo in cui trattiamo l'Altro dovrebbe divenire la principale
identificazione di quale sia la stoffa con cui il nostro Se' e' fatto.
Nel lavoro per guarire i traumi culturali, il sentiero comincia dal
permettere a frammenti e pezzi di sentimenti e memorie sconnesse di venire
alla superficie, per poterne fare esperienza in un ambiente che ha cura e
protegge.
La chiave e' il riuscire a creare contenitori di dialogo per questo lavoro,
ed entrare in essi con la semplice intenzione di condividere. Tali dialoghi
hanno bisogno di piu' spazio, pazienza e silenzio dei dialoghi ordinari.
Hanno bisogno di dare il benvenuto all'ignoto, alle voci provenienti dai
nostri "margini". Ricostruire le nostre storie perdute significa prendere
fra le mani i pezzi in cui sono state separate, con amore e attenzione, come
fossero tessere di un puzzle il cui disegno finale comincia appena a
delinearsi.
Questo richiede piu' ascolto, piu' meraviglia, piu' immaginazione. E meno
lunghi discorsi, meno conoscenze certe, meno attaccamento all'oggetto: un
dialogo che muova, passate il termine a una donna di pochissima fede, verso
la "grazia". Potreste obiettare che questo tempo di recupero, questo tipo di
dialogo, non pertengono al tipo di efficienza che siamo abituati/e a
riconoscere. Ed io vi rispondero' che tutto quello che sacrifichiamo
all'efficienza, cosi' come siamo abituati a definirla, continua ad agitarsi
dentro di noi, decomponendo e sabotando, trovando rifugio nel sintomo fisico
fino a che la voce silenziata verra' trovata e udita.
2. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI RICORDA LUCIO SCHIRO' D'AGATI
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione il capitolo "Il Martin Luther King della Sicilia"
dedicato a Lucio Schiro' D'Agati, estratto dal suo recente stupendo libro
Gente bella. Volti e storie da non dimenticare, Il pozzo di Giacobbe,
Trapani 2004, pp. 199, euro 15; il testo che riportiamo e' alle pp. 159-167.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e'
impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova
edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la
lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A
scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze
didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza
cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain
fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo.
Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce
"Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie,
Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici.
Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000;
Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato
in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente
bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004. Vari suoi contributi sono apparsi
sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il
sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia
completa)]
I difficili inizi
Nel nostro Paese - aduso, secondo la felice formula di Ennio Flaiano, a
"correre in aiuto del vincitore" - le minoranze non hanno mai avuto vita
facile. Essere socialista ed essere protestante, a cavallo fra il XIX ed il
XX secolo, significava trovarsi due volte in minoranza: dunque, condannarsi
ad una vita doppiamente difficile. E tale, infatti, e' stata l'esistenza di
uno di quei tanti concittadini straordinari di cui - eccezion fatta per
qualche congiunto - perdiamo, talora definitivamente, la memoria. Lucio
Schiro' D'Agati nacque ad Altofonte, a pochi chilometri da Palermo, il 18
marzo 1877, ma il precoce decesso della madre e il carattere riservato della
seconda moglie del genitore non contribuirono a rallegrarne i primi anni:
"la mia infanzia tramonto' senza che io avessi un bacio, neppure dal padre
che subiva il pregiudizio che i figli si baciano quando dormono" (cosi' lui
stesso in una pagina di diario ripresa dalla figlia Miriam in Un lottatore
senz'armi: mio padre Lucio Schiro' D'Agati, Zephyro, Milano 2003, p. 16). Si
vanno intanto organizzando i "Fasci siciliani": Lucio ha solo 15 anni ma,
"preso dallíeloquenza di Nicola Barbato, dottore" (ivi, p. 16), aderisce al
Movimento di Riscossa Popolare e, per evitare la repressione poliziesca, e'
costretto - come De Felice, Verro e lo stesso Barbato - a fuggire: si
imbosca in una salsamenteria dove svolge le funzioni di garzone. I cinque
anni di servizio militare presso la Guardia di Finanza segnano una svolta
positiva: conosce nuovi amici, puo' studiare, ritrova - dopo aver perso la
fede cattolica familiare - una prospettiva religiosa nel mondo protestante
prima a lui sconosciuto e incontra Consiglia, la donna che lo sposera' e lo
accompagnera' per oltre un cinquantennio, sino a quando lo lascera' vedovo e
addolorato, "nonostante tanti figli attorno" (p. 54).
Gli esordi, in Puglia, come predicatore dei Metodisti (confessione cristiana
fondata nel Settecento dall'inglese John Wesley) non furono proprio dei piu'
incoraggianti. "Il 14 luglio 1901 - racconta egli stesso - alcuni conoscenti
mi invitarono (...) per una conferenza. Lo seppero i preti. Sobillarono la
plebaglia, mi assalirono con urli, insulti, minacce e furore collettivo. Io
avevo depositato la mia borsa nell'albergo, ma l'albergatore fu costretto a
rimandarmela non certo senza rammarico. Nell'albergo non c'era posto per me!
I Carabinieri non intervenivano. La plebaglia mi sospingeva verso la
campagna. Un sacerdote che, mi dissero, possedeva la laurea in Medicina e
Chirurgia, parroco, arciprete, mi mando' una sfida per l'indomani. Risposi:
'Domani alle otto saro' a sua disposizione'. Urla bestiali della plebaglia
che gridava: 'Ma domani sarai vivo?'. L'aggressione si fece piu' tremenda,
fui circondato ed esposto a gravi minacce; qualche sasso volo' tra la
mischia..." (p. 20). L'indomani, comunque, all'appuntamento il prete non si
fa trovare: "era andato ai bagni con una comitiva sghignazzante per la
prodezza della sera precedente. Fu pero' chiamato e venne accompagnato dal
medico condotto. Il prete disse: 'Parliamo dentro che' la folla non puo'
capire'. Comincio' la discussione sul Decalogo di Mose' contro le sculture.
Il prete aveva studiato Medicina, non Teologia. Io ero ignorante di Medicina
ma rispondevo da piccolo teologo. 'Per la vostra ostinazione vi romperei la
testa!' mi disse il medico. Con una calma che non mi parve mia, gli dissi:
'Il medico del mio paese cuciva le teste rotte. Lei rompe quelle sane!'. La
battuta fu efficace. Rise anche il prete. Ci licenziammo e me ne andai,
questa volta non minacciato e non insultato" (p. 21).
Dopo alcune tappe intermedie (Abruzzo, Umbria), nel 1908 Lucio viene
trasferito in Sicilia, a Scicli (Ragusa) dove trova una situazione sociale
intollerabile: "i ricchi signori, - sintetizza la figlia Miriam - divenuti
feudatari con mezzi anche illeciti, trattano come bruti i coloni. Li fanno
lavorare dalla mattina alla sera, lontani dalle famiglie, che vedono solo
alla domenica, per un piatto di fave e un po' di frumento alla raccolta" (p.
25). Davanti a tanto disastro, non si scoraggia ma progetta e, gradualmente,
attua una complessa strategia di liberazione su piu' livelli.
Innanzitutto, si dedica alla istruzione e alla formazione culturale: "fonda
scuole elementari, doposcuola, una sezione di asilo infantile, corsi serali
per analfabeti" (p. 26). Per rafforzare ed estendere la promozione culturale
fonda un giornale, "Il Semplicista", che resistera' - con sospensioni
forzate - per decenni: "un esperimento religioso unico" - commentera' nella
tesi di laurea del 2001 la giovane ricercatrice Laura Malandrino - "perche'
fu aperto a chiunque, evangelici, cattolici, buddisti, maomettani ed atei;
esempio di un esperimento politico come pochi, essendo stato lo specchio
dell'opera politica di Schiro', che fece di Scicli una sorta di repubblica
indipendente nello Stato".
Nella convinzione che la formazione dell'intelletto e' condizione necessaria
ma insufficiente, si impegna in prima persona anche su un secondo livello:
l'organizzazione sociale. Avendo notato che "nel periodo estivo i fanciulli
piu' poveri sono lasciati liberi per le vie del paese rese quasi
impercorribili dal caldo afoso e snervante" e che, addirittura, "qualcuno
non ha mai visto il mare", Schiro' "riunisce i genitori e organizza insieme
a loro una colonia estiva" (p. 32). Nella stessa ottica, avvia "una
cooperativa dove i poveri possono acquistare i prodotti a prezzi moderati" e
fonda "una lega di contadini" (p. 26), una sorta di sindacato.
La formazione culturale, l'organizzazione sociale: ma non basta. Con
intelligenza davvero lungimirante, egli intuisce che - se si vuole incidere
profondamente e durevolmente - bisogna attivarsi anche sul piano della
politica istituzionale. E' cosi' che, sin dal 1910, con la stretta
collaborazione di un avvocato, fonda a Scicli la sezione del Partito
Socialista: dopo la Prima guerra mondiale, cui egli si era opposto
fermamente, i socialisti vincono le elezioni del 1920 e il pastore della
chiesa metodista diventa anche sindaco della citta'. Avverte la stranezza, o
per lo meno la straordinarieta', dell'identificazione in una sola persona
dei due ruoli e, sin dal primo discorso alla popolazione, chiarisce il suo
desiderio di andare oltre l'emergenza per tornare alle occupazioni abituali:
""Io guardo questo posto e mi sento a disagio. Questo posto non e' mio, e'
degli sciclitani. Il mio posto e' alla Chiesa. Ben vengano i paesani a
gridare viva il Socialismo, io allora al loro grido esultante uniro' la mia
benedizione" (p. 29).
*
Socialista, pacifista, nonviolento: dunque antifascista
Per decenni siamo stati abituati a considerare inscindibile il legame fra
radicalita' rivoluzionaria e lotta armata: al punto che, quando il
segretario nazionale di un partito comunista propone - come in questi mesi -
un'adozione seria e convinta della metodologia nonviolenta, scattano gia'
nella stessa Sinistra i sospetti di opportunismo e le diffidenze verso
possibili ripiegamenti compromissori. Lucio Schiro' D'Agati non sara' stato,
a giudicare dagli scritti che ci rimangono, un pensatore particolarmente
profondo o originale: ma ha certamente visto con lucidita' anticipatrice
cio' che intere generazioni successive hanno stentato - e tutt'ora
stentano - a vedere. Intendo che ha visto con chiarezza stupefacente come
l'interesse delle fasce deboli dei popoli di tutto il mondo implica il
rifiuto della guerra come mezzo per risolvere i conflitti fra gli Stati e
che il rifiuto della guerra implica il rifiuto della violenza come arma per
risolvere i conflitti interni agli Stati. In altri termini: che il
socialismo comporta il pacifismo e che il pacifismo comporta la nonviolenza
attiva. La riprova che la connessione fra questi tre principi "funziona" e'
data dalla sua incompatibilita' con qualsiasi logica reazionaria. E infatti
il fascismo storico si scateno' spietatamente contro il piccolo pastore di
provincia che incarnava nella sua opera quotidiana l'intreccio esplosivo (e
tanto pericoloso per gli interessi dei poteri forti) fra difesa dei poveri,
rifiuto della guerra e lotta tendenzialmente nonviolenta.
Che cosa abbia significato per Schiro' essere socialista, cioe' dalla parte
degli sfruttati, lo si e' accennato: pur senza escludere mutamenti di regime
epocali, egli ha innescato - nel "qui ed ora" della sua sfera d'intervento -
iniziative culturali, sociali e politiche che rendessero in qualche modo
visibile e palpabile un processo di emancipazione. Aveva tante ragioni per
maledire il buio ma, per riecheggiare un detto orientale, ha preferito
accendere la sua candela.
Si e' anche accennato alla sua (per me conseguente) opposizione
all'intervento dell'Italia nella Prima guerra mondiale. Su questo punto non
si puo' non citare almeno qualche passaggio cruciale di un articolo del 12
dicembre 1914 in cui egli taccia "quei socialisti che ieri votarono contro
le spese militari ed ora son per la guerra", di tradimento del
"Proletariato, il quale, in ogni guerra, paga sempre ed esige mai!" (p. 93).
Bisogna entrare in guerra per combattere la disoccupazione? "Ma la richiesta
di lavoro a spese dell'altrui sangue mi sa di cinismo piu' che brigantesco"
(p. 93). Bisogna entrarci perche' "questa guerra sarebbe rivoluzionaria"?
"Non e' vero. Io osservando che i monarchi si fanno fotografare in divisa
militare deduco che Militarismo e Monarchia sono sposi. Percio' ogni
vittoria militare costituisce un nuovo forte attorno al Trono" (p. 93).
Bisogna entrare in guerra per ragioni patriottiche? "Pretesto borghese. Se
oggi l'Italia conquistera' Trento e Trieste, domani vorra' conquistare
Nizza, Savoia, Tunisi, Malta ecc. per cui l'ingordigia non sara' saziata e
sara' suscitata la diffidenza franco-inglese; l'odio austriaco non sara'
spento ed invece sara' acceso quello tedesco contro l'Italia, il che
richiederebbe enormi spese militari offensive e difensive. Ad ogni modo se
l'Italia conquistera' il Mondo pel Proletariato non contera' proprio nulla,
contera' per la Borghesia. Che sia dunque essa sola l'assassina" (pp.
93-94). Bisogna entrare in guerra per ragioni umanitarie, per annientare la
"barbarie teutonica"? "Superficialita'. Ammesse magari per vere e
moltiplicate per dieci le gesta barbare attribuite ai tedeschi affermo che
non pesano un terzo degli orrori commessi dal Belgio militaresco nel Congo e
dalla Russia Czaresca sul bel corpo di Maria Spiridonova e sulle menti di
Massimo Gorki, Tolstoj ecc." (p. 94).
Nella prima meta' del XX secolo non era strano che socialismo e pacifismo si
intrecciassero: molto meno ovvio, pero', che si coniugassero anche con la
nonviolenza. Qui la tradizione marxista, presente anche nel Partito
Socialista da cui nel 1921 si era distaccato il Partito Comunista, pesava
fortemente: essere rivoluzionari implicava il ripudio della guerra, ma anche
l'adozione della lotta armata. Schiro', pero', ha radici non solo
socialiste: il suo cristianesimo evangelico gli vieta di concepire l'uso
della forza fisica come metodo ordinario. Con molto anticipo su orientamenti
attuali (pensiamo, per limitarci ad un solo riferimento, al dibattito
interno al Partito della Rifondazione Comunista circa la scelta
programmatica per la nonviolenza), egli vive con costanza e coerenza un
inequivoco atteggiamento nonviolento che gli ha meritato, da parte di Andrea
Speranza nel corso di un convegno commemorativo del 1982, il titolo di
"Martin Luther King della Sicilia Sud-orientale" (p. 76).
Socialista, pacifista, nonviolento: troppo per il fascismo! Ma proprio le
persecuzioni dei fascisti lo confermeranno nella validita' delle sue
opzioni - esistenziali e politiche - di fondo. Quando il 26 dicembre del '20
le squadracce d'azione aggrediscono dei cittadini inermi, Schiro' -
informato mentre e' riunito con cento persone nell'assemblea della
Cooperativa - si precipita nel luogo dell'assalto, affronta da solo e inerme
i quaranta facinorosi e, benche' colpito alla testa e sanguinante, non
recede dalla richiesta alle forze dell'ordine di fare il loro dovere.
Quando, poi, la situazione si capovolge e la gente inferocita vuole fare
giustizia sommaria dei caporioni, e' proprio Schiro' ad accoglierli a casa
propria per evitare una strage! Ovviamente la cortesia non gli sara'
ricambiata. Intimidazioni e attentati si susseguono senza posa, anzi con
violenza crescente: sino a quella sera dell'estate del 1921 in cui i
fascisti sparano sul pastore ferendo lui, una figlioletta, alcuni amici, ed
uccidendo un pover'uomo reo soltanto d'essere simpatizzante della Chiesa
metodista. Quando poi il regime s'instaura ufficialmente, sono le stesse
autorita' ad angariare il "suddito" sospetto: come quando - siamo gia' nel
'29 - il Commissario di Pubblica Sicurezza lo interroga, lo schiaffeggia e
lo accusa di aver dichiarato di voler devolvere un certo sussidio "per il
bene dei comunisti", reagisce solo con il suggerimento ironico di consultare
il vocabolario italiano per cogliere la differenza fra "comunisti" e
"comunita'".
Il suo servizio sopravvive al crollo del fascismo ed e' "ministro" della sua
comunita' religiosa sino al 1952: si spegnera', non senza ragioni di
sconforto come pure di consolazione, il 30 giugno del 1961. In un articolo
del 1924 egli aveva evidenziato, con un linguaggio "datato" che pero'
conserva una propria tempra, come la storia documenti "l'esistenza di
profeti in determinati tempi e luoghi, senza dei quali non si sa quali
splendori avrebbe la religione se pur non avesse la bruttura di turpe
manutengola della falsa Politica. Guai al mondo (...) moderno se in tempi
difficili, in mezzo al chiasso di politicanti incoscienti, al lezzo
dell'affarismo, al disgusto del turpiloquio e dello scempio di uomini e
cose, al gemito straziante della Verita' offesa, della Giustizia mutilata e
della Liberta' inceppata, mancasse la voce ammonitrice di sinceri ministri
del Ciel!". Non mi pare esagerato affermare che proprio Lucio Schiro'
D'Agati sia stato una di queste figure "profetiche", capaci cioe' di
interpretare con piu' acutezza i "segni dei tempi" e di anticipare con piu'
inventivita' le pratiche adeguate alle sfide della storia.
3. VOCI. MAO VALPIANA: BUON COMPLEANNO, "RAGGIO"
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per
averci messo a disposizione il testo di questa intervista rilasciata
all'ottimo mensile "Raggio" (per contatti con la redazione: "Raggio", via
Cesiolo, 46, 37126 Verona, e-mail: raggio at rivistaraggio.org). Mao (Massimo)
Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato
nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista;
fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e'
diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di
intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale
del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di
Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel
1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese
militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il
riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega
obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante
la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta
per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e'
stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione
Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters
International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e'
stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle
forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da
Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con
grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]
"Raggio": Da quanto tempo conosci la rivista "Raggio"? Come l'hai
conosciuta?
Mao Valpiana: Nel 1989 ho partecipato, insieme ad Alexander Langer, ad un
convegno a Manaus, sui temi della missione, dell'ambiente, degli indios. Ci
interessava capire quella realta' e il lavoro di Chico Mendes, per riportare
in Italia elementi utili alla Campagna Nord-Sud che voleva far conoscere
all'opinione pubblica il dramma ambientale e sociale che stava vivendo
l'Amazzonia. In quel convegno ho incontrato per la prima volta suor Irene
Bersani: eravamo in un altro continente, ma venivamo dalla stessa citta' di
Verona. Lei scriveva per "Raggio", io per "Azione nonviolenta". E' stato il
primo contatto tra le due riviste.
Ringrazio sempre il compianto Alexander Langer anche per questo bel dono che
mi ha regalato, facendomi conoscere "Raggio" e il lavoro delle suore
missionarie.
*
"Raggio": Ti piace? Se si', perche'?
Mao Valpiana: "Raggio" e' una rivista particolare, per il suo sguardo al
femminile sui problemi della missione e del mondo. Si presenta con
semplicita', quasi con umilta', ma i contenuti di "Raggio" sono di una forza
rivoluzionaria: la rivoluzione della fede, e la rivoluzione delle donne.
*
"Raggio": Ti pare che risponda a una particolare fisionomia e che svolga un
servizio utile (e quale?) nel mondo della stampa missionaria?
Mao Valpiana: La stampa missionaria e' molto varia e diversificata. "Raggio"
rappresenta per me, insieme a "Nigrizia" e "Missione oggi", una delle punte
piu' avanzate. Mi piace anche come "Raggio" riesce a mantenere insieme sia
le spinte per il rinnovamento della missione, sia gli aspetti piu' profondi
della sua tradizione. E' una rivista che mira al cambiamento, ma che non
vuole perdere le proprie profonde radici.
*
"Raggio": Realizza le tue attese o come la vorresti? Quali aspetti vorresti
che fossero maggiormente focalizzati?
Mao Valpiana: "Raggio" sta facendo una propria originalissima ricerca sui
temi della nonviolenza al femminile. Mi auguro che prosegua su questo
terreno, cosi' fecondo, e cosi' utile per tutti noi.
*
"Raggio": Quali sono gli articoli o le parti che ti interessano di piu'?
Mao Valpiana: In questi ultimi anni ho apprezzato molto i calendari sulle
figure di donne per la pace e la nonviolenza. Li conservo perche' sono
strumenti utilissimi sia per la documentazione che per la divulgazione.
*
"Raggio": Hai qualche critica da fare su articoli o rubriche che ti generano
dubbi, perplessita' o altro?
Mao Valpiana: No, no ho davvero nessuna critica, anche perche' so quanta
fatica costa fare una rivista cosi' bella con pochi mezzi e poche persone.
Il lavoro che Irene e le altre suore della redazione fanno ogni mese, e'
per me un dono prezioso.
*
"Raggio": Hai consigli da darci?
Mao Valpiana: Il consiglio puo' essere quello di mantenere sempre piu' vivo
il contatto con le altre riviste missionarie e del mondo pacifista e
nonviolento. Stiamo vivendo un momento difficile per la carta stampata e per
l'informazione in generale. Le riviste libere ed indipendenti come "Raggio"
devono fare un fronte unico per la difesa della liberta' di stampa, che oggi
e' messa in pericolo sia dal dilagare della disinformazione televisiva, sia
dal pensiero unico espresso dal potere.
Un altro consiglio (ma davvero non mi pare che "Raggio" ne abbia bisogno) e'
quello di avere antenne sempre piu' lunghe per cogliere ed amplificare tutti
i segnali di nonviolenza che si levano dal continente africano, e di far
parlare i protagonisti diretti.
*
"Raggio": Cosa vorresti dire per i settanta anni di "Raggio"?
Mao Valpiana: Innanzitutto vorrei fargli i miei complimenti, perche' davvero
non dimostra l'eta' che ha.
Poi vorrei augurargli di sapersi sempre rivolgere alle giovani generazioni.
Infine, voglio mandare un forte abbraccio a suor Irene e ringraziarla del
suo servizio.
4. STRUMENTI. MARIA LUIGIA CASIERI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac at tin.it) per questo
intervento. Maria Luigia Casieri, nata a Portici (Na) nel 1961, insegna
nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali animatrici del "Centro
di ricerca per la pace" di Viterbo. Ha organizzato a Viterbo insieme ad
altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente sociale, ha svolto
un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di assistenza per gli
emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata nel settore
educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato in una
casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di ruolo
nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di pace, di
solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi di
aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni. Dopo anni di lavoro, ha
recentemente concluso la realizzazione di un "opus magnum" in 5 volumi su Il
contributo di Emilia Ferreiro alla comprensione dei processi di
apprendimento della lingua scritta]
Perche' non e' una moda, non e' una conversione dell'ultim'ora, non segue
l'andamento del mercato; perche' tenacemente da quarant'anni continua a
costruire sentieri di pace.
5. STRUMENTI. GIANCARLA CODRIGNANI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli
obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista,
impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e'
tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace
e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]
Forse non e' cosi' importante che i lettori conoscano le ragioni per cui io
sono abbonata ad "Azione nonviolenta". Il bello sarebbe che voi tutti
sapeste perche' e' bene ricevere una rivista che nel corso degli anni e'
diventata sempre piu' interessante.
Chi crede nella nonviolenza ha bisogno di informazione e di formazione per
non scoraggiarsi vivendo in un mondo violento. Inoltre la maggior parte
degli amici che abbiamo conosciuto negli anni sono diventato genitori e non
e' male lasciare in giro per casa buoni materiali per i figli.
Ritengo una fortuna che non ci sia piu' la leva obbligatoria che aveva la
sola funzione di condizionare all'ubbidienza, al senso delle gerarchie, al
falso patriottismo; ma, proprio per questo, bisogna continuare ad avere
pensiero critico e ad "obiettare".
Ci sono ragioni concrete per dare testimonianza di quel pensiero concreto
che aveva per simbolo appunto l'obiezione al servizio militare: rischiamo un
altro genere di militarizzazione e dobbiamo essere preparati non solo a dire
che un altro mondo e' possibile, ma a confermarne in termini nuovi la
cultura.
Poi diventare amici di Mao Valpiana vale veramente la pena...
6. STRUMENTI. ALESSANDRO PIZZI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per
questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano
nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza
amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative
di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la
nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i
costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il
liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna)]
Rinnovo l'abbonamento ad "Azione nonviolenta" perche' mi piace ogni mese
trovare nuovi spunti di riflerssione sui temi della nonviolenza.
Mi sembra che oggi e' importante avere strumenti teorici per orientarsi ed
agire in situazioni sempre piu' segnate da rapporti violenti dovuti alla
competizione, al consumismo, alla gerarchizzazione dei lavoratori con
conseguente esclusione ed emarginazione dei piu' deboli.
La rivista offre la possibilita' di conoscere le azioni dei movimenti
nonviolenti nel mondo e in Italia ignorate dalla stampa e dalla televisione.
Della formazione e informazione sono grato a Mao Valpiana e a tutti i
collaboratori della rivista.
Poi c'e' un altro motivo che mi spinge ad abbonarmi: e' un piacere ricevere
la rivista fondata da Aldo Capitini, i cui scritti mi appaiono sempre piu'
attuali.
Accolgo la proposta di Luciano Capitini, quest'anno sottoscrivero' due
abbonamenti e uno lo donero' ad un amico.
7. STRUMENTI. COME CI SI ABBONA AD "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 777 del 13 dicembre 2004
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