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Pensieri sulla guerra
Pensieri sulla guerra
Articolo di Carmine Ferrara per www.peacelink.it
Mi è capitato di leggere osservazioni sulla guerra, nel senso universale
del termine, secondo cui essa è nata con l’uomo e scorre nel sangue di ogni
essere vivente sul pianeta. Da quando si formarono le prime tribù, i
primissimi villaggi della preistoria, la guerra ha rappresentato lo
strumento più potente di difesa. Ma la costruzione di un assetto militare
nelle comunità primitive ebbe un senso solo dal momento in cui, causa danni
provocati dagli agenti atmosferici, restavano danneggiati i propri
raccolti, e per rimediare alle perdite la popolazione decideva di attaccare
i villaggi limitrofi per rubarne le ricchezze. Fu solo successivamente che
la guerra divenne strumento di conquista territoriale e di egemonia
politico-economica. In molti sostengono che gli animali stessi affrontino
la vita quotidiana sempre sull’onda della guerra, della violenza. E ppure
esiste, in verità, una profonda differenza tra la società di oggi e quella
degli uomini primitivi, così come esiste una diversità profonda tra noi e
gli animali. Nel primo caso la differenza sta in millenni di storia, di
esperienza sociale dell’uomo. Millenni in cui non si è capito che le
ragioni di non conflittualità tra i popoli non sono da ricercarsi nel
contesto politico, sociale, economico di un paese. Non esistono guerre
giuste o sbagliate, perché prima di ogni altra cosa, il principio su cui
deve fondarsi una società civile è quello della fratellanza. Questo
principio, al contrario di quanto pensino le autorità politiche di tutto il
mondo non va reso, promulgato, diffuso con interventi politico-militari,
perché è un principio che alberga nel senso stesso che ciascuno di noi ha
della vita. Ciò vuol dire che il senso di pace e giustizia sociale non
devono essere emanati quali regole della convivenza, ma devono scaturire
spontaneamente dal profondo degli uomini, in ogni m omento della giornata,
in qualsiasi intervento, azione si possa intraprendere. Le leggi, la
politica non sopprimeranno il male che c’è negli uomini, potranno solo
oscurarlo, nasconderlo, ma prima o poi un rovesciamento della situazione si
avrà e si tornerà alla guerra. Dunque se la politica non può svolgere in
questo un compito efficace, come agire? Occorre un costante processo di
sensibilizzazione delle masse. La storia ci ha spesso insegnato quanto la
folla sia suscettibile, quanto poco basti per trasformare estremismi
politici in interventi bellici, talvolta una frase pronunciata da un grande
leader, un discorso, un libro. Procedere con la diffusione culturale dei
principi suddetti è il metodo giusto di azione. Il che non significa
credere in un mondo immaginario, inesistente, né avere in mano le chiavi
del successo, del mondo perfetto. Io sono del parere che una sola battaglia
fermata vuol dire centinaia di morti in meno, vuol dire rendere consapevoli
le genti che vivere la pace non è un sogno, ma una realtà. Da ciò è
evidente quanto io creda nelle manifestazioni di piazza, quanto ritenga
significativi i movimenti di pacifismo dei nostri giorni. Essi non sono
certamente soluzioni immediate, né è giusto che lo siano. Questo perché
manifestare in piazza il proprio dissenso contro la guerra non vuol dire
provare a bloccare istantaneamente le ostilità nel mondo, non vuol dire
avviare un piano diplomatico che risolva le questioni, come molti politici
pensano, significa invece sviluppare una mentalità, creare una coscienza
volte ai valori della pace e della buona convivenza; significa scrivere
indelebilmente nella storia il dissenso personale alla violenza nel mondo;
significa educare se stessi e le generazioni future a credere in un mondo
diverso.
Nell’era della comunicazione la diffusione di idee, opinioni ed altro ha
assunto potenzialità smisurate. Basti pensare al ruolo che la televisione
riveste nella nostra società. Essa ha influenzato, condizionato, nel bene e
nel male, diverse generazioni. Un giovane che oggi accende la tv, cosa ha
da imparare? Senza neppure accingermi a questa risposta cerco di arrivare
al punto della situazione. Se gli stessi personaggi politici del panorama
nazionale, diversi giornalisti, uomini di spettacolo esprimono giudizi
incerti sulla guerra, se essi per primi sono incapaci di credere fermamente
nel concetto di pace, quale può essere l’influenza su milioni di
spettatori? La realtà che i mass-media ci presentano è una realtà
travisata, falsata, quasi inesistente. Non è difficile rendersene conto.
Mentre da mesi va avanti la “commedia televisiva” sulla campagna elettorale
di Bush e Kerry, mentre Rumsfeld riflette su quali fantomatiche cause della
guerra possano illudere i cittadini; mentre egli stesso ci mostra
alternatamente due volti di questa guerra, prima affermando un rapido
successo delle forze militari statunitensi, poi riducendosi alla
constatazione di impossibile completamento dell’opera… mentre vanno in
onda, dicevo, queste sceneggiate sul panorama internazionale, in quei
luoghi, in Iraq, muoiono e restano ferite persone, si assiste quasi
quotidianamente a rapimenti di soldati, volontari, si violano ogni momento
i principi della Dichiarazione Universale Dei Diritti Umani. Ovvio che le
mie considerazioni non vogliono sminuire il ruolo comunque indispensabile
della politica sul piano internazionale per la lotta al terrorismo. Ma le
sue funzioni devono necessariamente abbracciare strategie culturali. Dunque
ribadisco l’importanza dell’opinione pubblica, delle manifestazioni di
piazza in cu i si ritrovano ideali che sembravano essere svaniti e lo
ribadisco sulla base di una convinzione: anche alle soglie di un mondo che
è cambiato una politica senza ideali non è politica. Inoltre tutto ciò
richiede una presa di coscienza del piano formativo ed istruttivo di tutti
i paesi del mondo. Vanno, infatti, educati i giovanissimi, nelle scuole e
nei luoghi di formazione adolescenziale, educati secondo i precetti del
vivere nella solidarietà verso il prossimo, nella fratellanza, educati ai
valori dell’antirazzismo, della pace, dell’uguaglianza tra i popoli. I
ragazzi devono conoscere le realtà in cui vivono, avere la possibilità di
formarsi un giudizio critico su ciò che accade in altre parti del mondo,
cose in cui la tv oggi, ribadisco, non è di alcun aiuto. Senza inoltrarmi
sul tema di cui sopra, mi accingo a discutere di un altro pensiero letto di
recente. Opinione di qualche giornalista è che l’uomo non possa sottrarsi
alla guerra, così come gli animali che di guerra vivono , perché essi
stessi, gli uomini voglio dire, sono, in fondo, animali. Ma un uccello che
mangia un insetto, il leone che afferra la gazzella non sono atti di
guerra. Sono azioni che rispondono all'istinto di sopravvivenza, ed è
diverso. E' diverso perché è proprio in questo che l'uomo si distingue
dall'animale. Un atto di violenza diventa guerra se c'è coscienza di tale
atto. L’animale non sa che uccidere è un atto immorale. L'uomo lo sa, e
quando uccide, non sempre lo fa perchè risponde ai suoi istinti, lo fa per
ragioni politiche, religiose, economiche, questo è il punto della
situazione. Quando l'uomo compie un atto di violenza e lo fa nella presa di
coscienza dell'ingiustizia che ne è alla base, allora l'atto diventa guerra.
Carmine Ferrara