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di ritorno dal Kossovo
Kossovo luglio 2004, ANCORA PRIGIONI A CIELO APERTO
Osservare le stelle da una enclave serba in Kossovo è qualcosa di
impressionante: ti colpisce prima di tutto la bellezza naturale del cielo e
l´intensa luminosità delle stelle (anche perché ancora oggi centinaia di
famiglie kossovare vengono sistematicamente lasciate senza corrente
elettrica per ore ed ore tutti i giorni!), ma poi ti assale prepotentemente
la consapevolezza che stai guardando le stelle da una prigione a cielo aperto.
Il Kossovo è terra di Albanesi mussulmani e cattolici, di Serbi, Gorani,
Egizi, Rom... ma è anche terra di nessuno.
L´Operazione Colomba (che è il Corpo Nonviolento di Pace dell´Associazione
Giovanni XXIII di don Benzi) è l´unica realtà internazionale non militare
presente a Gorazdevac dal ´99 ad oggi (anche grazie al coordinamento di
associazioni denominato "Trentino con il Kossovo"): Gorazdevac è una
piccola enclave serba a circa 2 km da Pec-Peja.
Il villaggio sembra tranquillo: ci sono molti giovani, case povere ma ben
curate, giardini fioriti, piccoli orti e cimiteri.
Sembra tutto normale peccato ci siano all´ingresso e all´uscita del
villaggio check-point della KFOR (Kossovo Force) a "tutela e controllo di
ogni movimento umano".
Noi possiamo entrare ed uscire a nostro piacimento, passaporto in mano vai
ovunque, peccato che i serbi di Gorazdevac siano rinchiusi lì da 5 anni e
non abbiano libertà di movimento al di fuori di questi confini senza
rischiare di mettere a repentaglio la propria vita.
La storia, la politica e i bombardamenti NATO hanno relegato le varie etnie
a vivere isolate, diffidenti, depresse ed insoddisfatte.
E´ una storia fatta di e/orrori mai ammessi, responsabilità di tutti e di
nessuno... pagliuzze e travi, dove le colpe sono sempre dell´ "altro".
Quando parli di Kossovo pensi ai profughi, alle bombe della NATO, alla
pulizia etnica, ai morti e ai tanti ragazzi militari in missione di "pace",
ma oggi più che mai pensi anche ai miliardi di dollari arrivati sotto forma
di "aiuti umanitari", "programmi speciali" e "investimenti" che avrebbero
potuto risolvere i problemi di qualsiasi Stato africano ma che in Kossovo,
sinceramente, hanno risolto ben poco (anche perché forse solo in piccola
parte sono concretamente andati a beneficio della gente...!?)
Non pensi però a persone vere, persone con volti e nomi, che sono
sopravvissute a morte, dolore e distruzione e che vivono soffrendo la loro
condizione di prigionieri-fantasma.
E´ più facile pensare che una terra piena zeppa di truppe armate sia una
terra tranquilla e che ghettizzare le persone crei una situazione
facilmente controllabile.
Ma è proprio "sul campo" che tocchi con mano (per ammissione più o meno
diretta di responsabili dell´UNMIK - Missione in Kossovo delle Nazioni
Unite) il fallimento dell´intervento internazionale, di molte ONG
(Organizzazioni Non Governative) e di alcuni programmi dell´ONU.
Vedere negli occhi di alcuni nostri amici che lavorano nell´Amministrazione
Civile dell´ONU l´imbarazzo nel non saperci ancora dire che Status avrà in
futuro il Kossovo (indipendenza o autonomia?) e leggergli in volto, tra un
sorriso ironico ed uno isterico, la triste consapevolezza di essere alla
guida di una nave costretta a brancolare nel buio mentre miliardi di
dollari continuano ad essere spesi per mantenere in piedi strutture
logistiche praticamente inutili... e poi l´incapacità della struttura
militare di essere forza di polizia e di protezione in situazioni post
belliche, di entrare in contatto con la gente, di intessere rapporti
umani... tutto ciò è molto triste.
Amareggiati allora pensiamo: è veramente una "grazia" (o "fortuna" per i
non credenti...) che qui ci sia l´Operazione Colomba... volontari che,
lontano dai riflettori della cronaca, spendono la propria vita per proporre
il dialogo come unica alternativa possibile all´annientamento morale e
umano e che dopo aver curato "le ferite" dell´animo dei civili vittime dei
bombardamenti e della follia omicida di entrambe le parti, negli ultimi 5
anni hanno tracciato un cammino fatto di piccoli passi verso la
riconciliazione, nel tentativo di costruire nuovi e più solidi ponti tra
tutte le persone che inevitabilmente e da ogni parte hanno perso qualcosa
(se non tutto).
Ed è con questa semplicità che dopo aver guardato le stelle da una prigione
abbiamo abbassato lo sguardo e visto 23 ragazzi mangiare allo stesso tavolo
e bere la stessa birra: ragazzi italiani, ragazzi serbi "padroni"
dell´enclave e ragazzi albanesi "ospiti" venuti appositamente dalla città
(senza scorta armata ma con noi come accompagnatori e garanzia) per
festeggiare insieme, giovani che per non far morire la speranza di una vita
normale cercano di andare oltre i pregiudizi e le ingiustizie passate,
trovando punti in comune in tante piccole attività quotidiane.
La perplessità e l´amarezza che ci restano è sapere che se la comunità
internazionale avesse lavorato con umiltà e attenzione da subito forse non
avremmo ancora oggi queste prigioni a cielo aperto dove a volte i sogni
muoiono sulla riva di un fiume insieme ai ragazzi, come Ivan, che su quel
fiume hanno provato a sognare.
I volontari dell´Operazione Colomba
Daniele e Patrizia Aronne