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ex-immigrati... alle Europee: un'inchiesta di MIGRA



questo testo da doman pomeriggio sarà sul sito di Migra (cioè
<http://www.migranews.net>www.migranews.net)  da dove può essere ripreso,
citando la fonte. (db)

Ex immigrati, ora italiani, in corsa per Bruxelles: cinque storie per chi
non crede all’Europa dei muri

di Daniele Barbieri e Manfredo Pavoni Gay

Poche ore al voto. Nelle liste dei candidati al Parlamento europeo abbiamo
cercato dati anagrafici insoliti… ovvero di cittadine e cittadini che oggi
hanno – è evidente – la nazionalità italiana ma sono nati fuori da qui,
anzi fuori dalla comunità europea. E dunque sono per l’appunto
extra-comunitari; che è solo un dato tecnico pur se in certi manicheismi
purtroppo suona quasi come una parolaccia.

Siamo un Paese a immigrazione relativamente giovane e ciò giustifica (fino
a un certo punto però) se ancora ci stupiamo nel vedere un nazionale di
basket un po’ più scuro della media o un sindaco abruzzese nato in Siria.
Nel bene e nel male gli Usa - che invece sono un Paese costruito da
migranti – non si sorprendono più nel vedere un politico di primo piano che
sceglie di conservare il suo cognome greco e semmai si interrogano sul
perché quell’attore tanto famoso abbia sentito il bisogno di
"americanizzare" il cognome polacco.

Non abbiamo trovato molti "ex immigrati" nelle liste. E forse anche il
numero esiguo è un indicatore; come lo è l’assenza di "cittadini nati
altrove" tanto nelle liste Ds, cioè della forza politica più forte del
centro-sinistra, quanto di An che pure di recente sembrava aver compiuto
una "svolta" (per molti versi sorprendente) proprio sul terreno dei diritti
elettorali.

Fra loro abbiamo scartato qualche nome - non ci sembrava realmente
significativa, da un punto di vista socio-politico, come extra-comunitaria
una persona nata negli Usa o in Svizzera – e in un paio di casi ci ha
tradito il cellulare… Non lo diciamo per giustificarci – come è noto "la
fatica del giornalista non fa notizia" – quanto per dare un’informazione
aggiuntiva: non solo alcuni dei già pochi "ex immigrati" in lista sono
privi di uffici elettorali (e fin qui…) ma i loro partiti li sostengono
poco quando non li ignorano del tutto. Se aggiungiamo appunto i cellulari
scarichi e il fatto che c’è chi sembra poco interessato a "far campagna"
forse ne emerge la conferma che si tratta ancora di "candidati di colore" -
il gioco di parole era pressoché inevitabile – buoni solo per le
chiacchiere e non ancora per la concretezza dei fatti, delle scelte
politiche, della necessità di rappresentare quella società multi-etnica e
multi-culturale che pure visibilmente già esiste.



Il mediatore co-co-co (proposta di titolino interno)

"Sono talmente flessibile che potrei fare il contorsionista al circo": così
Karem Abrebi si presenta, scherzando ma non troppo… come molti "co-co-co".
Candidato da Rifondazione per le elezioni europee nell’Italia del centro,
Abrebi vive a Porto san Giorgio.

"Sono arrivato qui nel 1980 da Tunisi, dove già studiavo Lettere Italiane.
Avevo 23 anni e per l’ultimo anno di studi ho scelto Macerata. Laurea e poi
altri due anni di post-laurea linguistica. A cambiarmi la vita l’incontro,
a Giurisprudenza, con mia moglie. Una bella storia: ora abbiamo tre figli,
il più grande ha già 20 anni".

L’esperienza politica di Karem Abrebi è quasi tutta italiana ma le sue
riflessioni incrociano il Psi, il Mediterraneo e … i mondiali di calcio.

"Pur con i suoi difetti la Tunisia è sempre stato uno dei Paesi arabi
comunque più aperti. Ma lì io non ho avuto la possibilità di prender parte
alle attività politiche come avrei voluto. Nel 1987 invece mi sono iscritto
al Psi, soprattutto perché mi piaceva la sua politica estera con
un’intelligente attenzione al mondo arabo. Ricordo che quando nell’estate
del 1982 andai con mia moglie in Tunisia rimanemmo stupiti dei
festeggiamenti quando l’Italia vinse la Coppa del mondo di calcio: a Tunisi
si gioiva neanche fossimo fra italiani. E’ significativo che di recente
l’aria sia molto cambiata. Oggi in Tunisia tanti ce l’hanno con l’Italia,
dicono che è serva dell’America. Credo che anche per storia e per posizione
geografica l’Italia avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere buoni
rapporti con i Paesi mediterranei, mentre oggi ha perso molto (anche a
livello economico) per la sua scelta di seguire sempre quel che fanno gli
Usa. Io mi auguro che anche queste elezioni europee siano un segno
tangibile che occorre cambiare, insomma che i governi filo-americani
facciano le valigie, come i popoli chiedono in totale divergenza con certi
leader. Se la Spagna purtroppo l’ha dovuto fare sotto un attacco
terrorista, spero che l’Italia lo faccia per scelta, per volontà popolare
perché il suo popolo non ha una vocazione guerrafondaia. Questa scelta di
pace è un discorso che in Italia va anche oltre la sinistra, basta
ricordare l’ex Democrazia cristiana".

Parole chiare anche sul ruolo della sua candidatura e sul futuro prossimo:
idee e analisi che Karem Abrebi riassume così.

"In questa campagna elettorale il mio compito principale è ovviamente
portare avanti la questione dell’immigrazione: qui do anche il contributo
della mia cultura originaria in un’Italia che purtroppo non si è adeguato
alla linea europea sul diritti di voto ai residenti (come hanno già fatto
Irlanda, Norvegia, e altri). Penso che in un Paese moderno e democratico
non si possa disgiungere il diritto di voto dal pagare le tasse e lavorare
qui. Gli immigrati mandano i figli a scuola, molti neanche parlano più le
lingue dei genitori, sarebbe assurdo considerarli stranieri… Così nelle
Marche dove vivo e a livello nazionale ho sostenuto la campagna per il
diritto di voto. Questo non esaurisce il mio impegno, perché io difendo
ovviamente anche i diritti degli italiani. Oggi le classi normali – insomma
tutti, tranne i ricchi - sono in crisi, è duro arrivare a fine mese e non
c’entra l’euro: purtroppo non si sono predisposti strumenti di controllo
sui prezzi, ma anche le vicende di Parmalat o Cirio mostrano brutte
commistioni fra politica e finanza e la dicono lunga sul divario fra
cittadini normali che se chiedono un prestito trovano solo rifiuti mentre
le èlites dalle banche ottengono tutto, anche se non hanno i conti in
regola. Speriamo che stavolta votino in tanti: non amo quelli che si
astengono e magari poi recriminano se le cose vanno male. In democrazia il
voto è l’unica arma a disposizione. Io l’apprezzo anche più di voi perché
nei Paesi arabi quasi mai le elezioni sono veramente libere".

Dietro il candidato, ecco il co-co-co. "Dico a mia moglie, per scherzo, che
ormai sono talmente flessibile che ormai potrei fare il contorsionista al
circo. Però mi piace il lavoro di sostegno linguistico, è proprio
l’attività che mi sono scelto e penso di saper fare bene. Vorrei ancora
sottolineare una questione. Il fenomeno delle migrazioni oggi è visto in
modo duplice: negativo per la destra che vede solo pericoli, mentre la
sinistra ha una posizione più aperta ma ancora un po’ folclorica,
superficiale. Io ho una terza posizione: gli immigrati sono portatori di
culture, di visioni del mondo diverse e tutti abbiamo qualcosa da imparare
e da insegnare".

Alla domanda se c’è qualche punto negativo nella sua campagna europea,
Abrebi risponde con schiettezza.

"Credo che la mia candidatura non sia di colore, del resto sono iscritto a
Rifondazione dal 2002. Ho incontrato solo qualche ostilità per una vicenda
che ci tengo a spiegare. Al tempo della guerra in Jugoslavia, che mi fece
molto arrabbiare, ero uscito dal Psi e da un po’ mi disinteressavo di
politica; ma nel 2000 la lista Sgarbi mi propose di candidarmi: io ero un
po’ confuso sulle reali intenzioni di quella lista e accettai, poi mi resi
conto che avevo sbagliato. Giorni fa qualcuno mi ha criticato per questo
errore del passato ma io credo che nessuno sia senza macchia: anche l’Urss
non è sempre stata un modello di democrazia (le invasioni di Cecoslovacchia
e Afghanistan, tanto per dire). E’ l’unico punto negativo mentre gli
aspetti positivi sono tanti: come le telefonate di congratulazioni che mi
arrivano, anche da sconosciuti, dopo gli articoli o dopo i comizi. Penso
che la gente apprezzi il mio impegno: perché invece mettere immigrati (o
italiani) non preparati nelle liste sarebbe grave; io sostengo che la
politica sia una cosa seria anche se purtroppo nel Parlamento italiano sono
passati mafiosi, razzisti e pure la porno-star Cicciolina. Invece un
deputato di origini straniere non sarebbe uno scandalo, anzi. E spero che
presto lo vedremo".

In fuga da un 11 settembre, quello del ’73 (prop di titolo interno)

Rodrigo Rivas è nato a Santiago del Cile e vive in Italia dal 1974 in
seguito al colpo di Stato del 1973. Laureato in Scienze Politiche ed
Economia, è giornalista professionista. E’ stato capo redattore della casa
editrice Mazzotta, direttore del Cespi, di Radio Popolare di Milano, del
giornale Mani Tese, insegnante universitario a Milano e Pavia, nonché
docente in diverse università straniere (Algeri, San José, Bogotà, Lima,
Buenos Aires, Guayaquil), autore di una cinquantina di volumi in italiano.
E’ anche promotore e relatore, insieme ai Verdi e alla sinistra piemontese,
del seminario sull’alimentazione sostenibile nel Social Forum di Porto
Alegre 2003. Attualmente è "Promotore Sociale dell’Ambito territoriale 1"
(Alto Tevere Umbro), oltreché collaboratore dei mensili L’altra pagina e
Arcipelago, della "Scuola per la pace" della Provincia di Lucca, del Centro
studi Villa Montesca (a Città di Castello) e vicepresidente della
Fondazione Neno Zanchetta (a Lucca) "per la difesa dei popoli indigeni".

"Ho deciso di candidarmi perché la situazione politica del Paese è a
rischio di degrado. L’attuale governo italiano è un insieme di avventurieri
mentre le politiche militariste e neo-liberiste che stanno portando avanti
rischiano di liquidare i diritti sociali economici e culturali che i
lavoratori avevano conquistato negli ultimi 50 anni. E ho deciso di
candidarmi nella lista dei Verdi perché questo governo ha creato diversi
danni anche all’ambiente e più in generale non ha fatto nulla per sostenere
il protocollo di Kioto e spingere gli Stati Uniti a firmare l’accordo sulle
emissioni industriali".

Rivas ha impostato la sua campagna elettorale sulle tematiche della pace,
del lavoro dell’ambiente e dei diritti. In queste settimane ha incontrato
tanti immigrati che vivono in Italia e che gli hanno parlato delle loro
difficoltà: dal lavoro alla casa alla cittadinanza.

"Sui migranti bisogna fare una grande campagna in Europa per una migliore
informazione e per affermare un kit minimo di diritti. Vuoi un esempio? Le
merci viaggiano sempre più liberamente e le persone al contrario sono
schedate, fermate in centri di identificazione, ammesse in Europa solo in
quanto forza-lavoro da sfruttare e poi da espellere. Eppure, i migranti
spesso fuggono da guerre e disastri economici la cui responsabilità pesa
direttamente sull’Occidente. I media ti fanno vedere un mondo, quello
occidentale, pieno di auto, case lussuose merci e ricchezza mentre tu che
vivi in Africa, Asia e Latino-America non hai quasi nulla. Poi quando
cerchi di migliorare la tua condizione di vita vieni punito da mancanza di
diritti, sfruttamento, precarietà nel migliore dei casi; nel peggiore vieni
fermato e condotto in un Cpt (Centro di permanenza temporanea) e poi
espulso. Se sarò eletto mi batterò per superare la Bossi-Fini e per creare
un’Europa che sia anche uno spazio di diritti e solidarietà".

Parlando con Rodrigo Rivas viene fuori che il lavoro è stato un tema
fondamentale nella sua campagna.

"La discriminazione dei migranti è evidente. Basti pensare all’aumento
degli infortuni e dei morti sul lavoro, nell’edilizia ma anche
nell’industria pesante. In Italia i migranti sono costretti a fare i lavori
che nessuno vuol fare. Quanti laureati, medici, ingegneri lavorano come
muratori, nei mercati ortofrutticoli o come ambulanti? In Francia il
ministro degli Interni è un immigrato mentre in California, aldilà del
personaggio, il governatore è un tipo arrivato negli Stati Uniti solo da 15
anni. La situazione italiana è unica in Europa. Un Paese tradizionalmente
di emigrazione, dove tutto era pensato per far andare via la gente, anziché
accoglierla. Credo sia un dato importante la presenza in questa elezione di
candidati immigrati che avendo la cittadinanza italiana possono trovar
posto nelle liste elettorali. Significa che gli immigrati non hanno tutti
l’anello al naso e che, come dicono a Milano, non sono tutti dei baluba".

La Palestina nel cuore e forse a Bruxelles (prop di titolino interno)



Bassam Saleh, candidato nelle liste dei Comunisti italiani, è di origini
palestinesi. Nel 1990 riesce a ottenere la cittadinanza per aver sposato
un’italiana originaria dell’Uruguay. Saleh è nato a Burqa in Cisgiordania
nel 1967 poco dopo l’occupazione israeliana e, come tante altre, la sua
famiglia è costretta a trasferirsi prima in Kuvait, poi in Giordania. Nel
1970 arriva in Italia e studia all’università di Perugia. A Roma nel 1988
Saleh fonda un’associazione culturale palestinese e nel 2003 viene eletto
presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio.

Di mestiere fa il mediatore culturale per lo sviluppo delle attività
imprenditoriali, collabora con la Cgil, e con diverse testate
giornalistiche come Rinascita, Radio città aperta e Contropiano.

"Ho accettato la candidatura come indipendente nelle liste dei Comunisti
italiani, che mi è stata proposta da un gruppo di amici e intellettuali sia
italiani che palestinesi, perché credo fondamentale portare la questione
della Palestina in Europa. Per la prima volta in una elezione europea ci
sono alcuni candidati immigrati. Ma i giornali italiani hanno dato
scarsissimo spazio alla nostra presenza nelle liste europee. Credo che
questo dimostri da un lato la paura e i ritardi nel capire l’importanza di
integrare e dare pieni diritti agli immigrati che da anni vivono e lavorano
in questo Paese, dall’altro c’è anche un ritardo degli immigrati
nell’entrare attivamente nella vita politica e sociale del Paese di arrivo.
Penso che ci sia poco tempo per l’impegno politico, con problemi più
urgenti come un contratto di assunzione, la casa, la scuola. Forse risolti
questi problemi, che per un immigrato restano enormi, ci sarà tempo per un
maggiore impegno".

La questione palestinese è uno dei punti essenziali nel programma, di Saleh
Bassam ma non è l’unica. E così?

"Durante la campagna elettorale ho potuto ascoltare i problemi degli
immigrati in Italia, la necessità di una politica sociale ed economica che
tenga conto di loro, il desiderio di non dover essere costretti a emigrare
ma poter venire in Europa per formarsi, studiare e poi magari tornare nel
proprio Paese con un bagaglio di professionalità e competenze. Vorrei
lavorare per una Europa che abbia un maggior peso politico e sociale, per
un’Europa che si impegni sul fronte della solidarietà e della cooperazione
con i Paesi in via di sviluppo. Su due punti dell’agenda politica mi sento
particolarmente impegnato. Sul piano interno nella battaglia per il
superamento della legge Bossi-Fini, per la chiusura dei Cpt (Centri di
permanenza temporanea) e in più in generale per cambiare radicalmente le
attuali politiche nei confronti dell’immigrazione; sul piano internazionale
per cancellare il debito dei Paesi poveri e rilanciare una economia che
miri a uno sviluppo equo e solidale. Ma un'altra battaglia importante è
quella della cittadinanza. Non è ammissibile che in Italia si possa vivere
e lavorare onestamente per anni e magari non riuscire a diventare cittadino
italiano. Ho tanti amici apolidi che da anni non riescono ad avere la
cittadinanza a causa della loro origine palestinese. Non parliamo poi dei
musulmani o più in generale dei rifugiati politici. Attualmente l’unica
strada sicura per acquisire diritti di cittadinanza è il matrimonio".

Un senegalese felice a Trento (proposta di titolino interno)

"La mia esperienza è abbastanza fortunata. Avevo 30 anni quando, nel 1989,
sono arrivato in Italia, e quasi subito ho potuto mettermi in regola
(grazie alla legge Martelli). Ho incontrato quella che poi è diventata mia
moglie e ora abbiamo un bel figlio di 12 anni. Anche rispetto al lavoro non
ho avuto grandissime difficoltà: prima in edilizia, poi nella raccolta
dell’uva e in altri lavori nei campi, infine in fabbrica. Esperienze anche
faticose, dure ma comunque positive. Di politica mi interessavo già in
Senegal dove sono nato 46 anni fa perché credo che non bisogna disertare la
partecipazione. Così, arrivato in Italia, mi è stato naturale impegnarmi
per l’inserimento dei migranti, lavorando nelle istituzioni e nella società
per favorire il dialogo. Sono tra i fondatori di "Oltre frontiere" che è
un’associazione impegnata nel confronto fra culture diverse. Abito a Lasino
e in pratica sono sempre rimasto a Trento o nei dintorni".

Questo è il sintetico ritratto che di sé disegna Mamadou Seck, in lizza
alle elezioni del Parlamento europeo dove Rifondazione comunista lo
presenta nella seconda circoscrizione, quella dell’Italia nord-orientale.
Quanto ai suoi rapporti con Rifondazione, lui li descrive così.

"Sono tesserato da tre anni e nel novembre dell’anno scorso mi hanno
offerto la candidatura alle provinciali dove ho ottenuto un bel risultato,
in pratica sono risultato il terzo più votato. Questa campagna europea
sicuramente è più difficile ma sono felice dell’esperienza di potermi
confrontare anche fuori dal trentino, cioè con altre realtà italiane. Non
tutto va sempre liscio ma sinceramente le difficoltà o le incomprensioni
sono piccolezze sulle quali non vale soffermarsi. Confesso invece che
all’inizio – parlo cioè delle elezioni provinciali - ero scettico. Perciò
quando mi proposero un posto in lista, la prima reazione fu perplessa: un
po’ perché preferivo impegnarmi in attività culturali (la politica oggi è
malvista, spesso screditata… piaccia o meno è così) e un po’ perché non
volevo essere un candidato solo di facciata, folcloristico. Riflettendo e
parlando con i miei amici italiani ho invece deciso che questa presenza
poteva essere importante. Insomma non mi sento di essere una bandiera da
sventolare ma certo una candidatura come la mia può essere importante anche
a livello simbolico, per dare un segnale forte della società futura che si
vuole costruire insieme. Questa convinzione ovviamente è uscita rafforzata
dal buon risultato che ho ottenuto alle elezioni provinciali. Ognuno ha i
suoi interessi e le sue competenze, dunque io non mi occupo di tutto ma
dedico tutte le mie energie soprattutto ai problemi sociali (di tutti i
cittadini, non solo degli immigrati). A convincermi della serietà di
Rifondazione è stata anche la prima conferenza nazionale sull’immigrazione,
che si é tenuta l’anno scorso a Bologna".

E’ un realista Seck perciò dubita di "finire a Bruxelles" ma resta convinto
che la sua presenza in lista, gli incontri e i comizi fatti siano un
segnale utile, possano aiutare a riflettere. E aggiunge: "Se poi fossi
eletto… io o beninteso anche un altro di noi giunti come migranti in
Italia, sarebbe una bella novità e ovviamente renderebbe un po’ più facile
portare avanti le nostre lotte sui diritti. In primo luogo occorre ribadire
a livello europeo che la cittadinanza non deve essere data solo per nascita
ma anche per residenza. Quando vengo riconosciuto come cittadino, di
conseguenza difendo meglio tutti gli altri diritti".

Il sindaco siriano-aquilano, anzi no sudista e mediterraneo (proposta di
titolino interno)

"Quando mi hanno eletto sindaco, mi sono ricordato di essere nato altrove…
visto che il nostro paesino venne invaso dai giornalisti. Qui infatti
nessuno mi considera un immigrato, anche perché sono da tempo italiano a
tutti gli effetti ".

Per l’anagrafe è Mahmoud Srour ma davvero tutti lo conoscono come Mimmo.
Nasce in Siria nel 1948, nel ’69 arriva in Italia per studiare ingegneria
(si laurea nel ’76) e qui si sposa: così rimane a L’Aquila, diviso fra il
lavoro di ingegnere civile e la famiglia (due figli).

Arriva alla politica per un caso, o forse non troppo: "chi di noi ha radici
nel Medio Oriente ha una passione particolare per la politica che ci
dovrebbe aiutare a risolvere difficoltà, ingiustizie e tragedie di questa
parte del mondo, basterebbe pensare alla questione palestinese" racconta
con il suo caratteristico tono pacato, con un linguaggio minuzioso che
scava alla ricerca dell’aggettivo più preciso e della frase priva di
ambiguità.

"Sono arrivato in questo Paese quando gli immigrati erano più che altro
studenti ma anche l’Italia allora era molto diversa: ancora partivano
dall’Italia gli emigrati e negli anni ’70 dalla Svizzera soprattutto ci
arrivavano storie drammatiche: fra i meno giovani c’è chi ricorderà la
frana che uccise moltissimi italiani…."

… Chi ha 50 anni difficilmente può dimenticare quella strage e lo
scandaloso processo che ne seguì.

"Infatti. Anche il compianto Nino Manfredi nel film Pane e cioccolata
impersonava uno di quegli italiani, dall’incerta identità, che giravano il
mondo con valigie di cartone. La mia storia è diversa: una laurea, la
famiglia, un lavoro, la piena integrazione, la nazionalità italiana e poi
la politica attiva. Nel ’96 mi fu proposto da una lista civica di
candidarmi a sindaco nel paese Sant’Eusanio Forconesi: ho stravinto (70 per
cento dei voti), ora sono al secondo mandato. Non mi ero accorto fino
allora di essere straniero, ovviamente il merito di ciò va soprattutto ai
miei concittadini… E invece, dopo la vittoria elettorale, è scoppiato un
pandemonio nazionale con i giornalisti di tutt’Italia che volevano
conoscere l’immigrato sindaco. Già allora insomma la società reale era più
avanti di quella ufficiale. Questo è un punto importante da chiarire. Io
sono italiano e dunque non credo di poter rappresentare gli attuali
immigrati: non ho dormito in macchina, non ho avuto difficoltà di trovar
casa o lavoro. D’altro canto però come sindaco ma anche come persona nata
fuori dall’Italia ho seguito le questioni legate alle recenti migrazioni
che certo non si devono e non si possono affrontare con le cannoniere… come
vorrebbe qualcuno. Eppure fino alla legge Martelli, l’immigrazione era
vista solo come problema d’ordine pubblico non come questione sociale".

La legge Martelli fu un passo in avanti, poi altri se ne sono fatti
indietro. Vorrei il suo parere al proposito, anche perché nel frattempo la
situazione geo-politica è molto mutata.

"L’Italia è un Paese anziano, cioè con un’età media elevata mentre
sull’altra sponda del Mediterraneo ci sono Paesi giovani dove con le
antenne paraboliche vedono che a poca distanza da loro si sta meglio. Se
aggiungiamo ingiustizie sociali, crisi e guerre, si capisce perché molti
partano per venire qui: i problemi andrebbero risolti prima con la
politica, se non lo si fa credo che fermare migranti e profughi sia
pressoché impossibile. Io mi sono iscritto al Partito popolare e sono stato
responsabile per due anni dell’ufficio che si occupava del Mediterraneo.
Poi non sono stato d’accordo con la svolta in corso, così ho aderito
all’Udeur-Alleanza popolare del quale ora sono segretario per la Regione
Abruzzo e membro dell’ufficio politico: dunque mi sono impegnato nella
politica a 360 gradi. Ho fatto del dialogo fra culture e popoli la mia
religione, non credo allo scontro di civiltà (anzi penso che qualcuno
l’abbia programmato a tavolino ma questo è un lungo discorso che ci
porterebbe lontano). Come persona piango per le vittime del terrorismo e
come sindaco sono doppiamente in lutto perché quel maledetto 11 settembre
morì anche una quarantenne di Sant’Eusanio Forconesi, si chiamava Lorena
Lisi, in quella tragedia con lei sono morti cristiani di ogni tipo ma anche
indù, ebrei, musulmani. Oggi sono felice per il rilascio degli ostaggi ma
questo non deve farci dimenticare che in Irak ci sono stati gravi errori (a
partire dalle strombazzate armi di distruzione che poi non c’erano e non
potevano esserci dopo tanti anni di embargo) nè può impedirci di affermare
che il terrorismo non si combatte così, sparando nel mucchio".

Dunque per lei la campagna elettorale non è una novità come per altri
candidati. Vale però egualmente la domanda: se fosse eletto al Parlamento
europeo su cosa si attiverebbe? O su cosa vorrebbe che si impegnasse un
altro immigrato - anzi ex immigrato – arrivato a Bruxelles?

"Io sono candidato nella circoscrizione centro-meridionale e come ipotetico
rappresentante a Bruxelles di quest’Europa del sud dovrei intanto prendere
atto che è un momento difficile: l’allargamento dell’Unione ha aspetti
positivi ma significa anche spostare verso Nord il baricentro della nuova
Europa. Ma io credo invece che sia fondamentale mantenere gli accordi di
Barcellona sul partneriato mediterraneo, che dovrebbero trovare piena
attuazione entro il 2010: il futuro dei nostri figli (in particolare nel
Sud d’Italia) è nella combinazione Europa-Mediterraneo, in una zona di
libero scambio che coinvolga tutti Paesi che si affacciano su questo mare.
Noi popoli mediterranei abbiamo in comune una storia e molte ricchezze: non
ci fu solo la battaglia di Lepanto, ma il felice regno di Federico 2°, o lo
studio di Avicenna a Padova, o la scuola medica di Salerno… L’Italia aveva
un ruolo importante e mi spiace che l’attuale governo in due anni sia
riuscito a dissipare il lavoro dei Moro, degli Andreotti, dei Craxi, cioè a
distruggere 40 anni di politica intelligente verso i nostri vicini. Sino a
poco tempo essere italiano era un lasciapassare in tutti i Paesi che si
affacciano sul Mediterraneo. Ora non più così ma questo non è nel nostro
interesse. Da meridionale il mio ruolo sarebbe rilanciare questa politica
di intese, certo senza dimenticare le mie radici, che possono essere un
contributo in più. Il mio slogan è che: serve un ponte sul Mediterraneo.
Ponte di idee, sia chiaro".

Qualche anno fa in un libro intitolato La Babele ambulante - che
raccoglieva gli atti di un convegno del ’99 all’istituto San Gallicano -
proprio Srour concludeva con il simpatico ricordo del napoletano
sconosciuto che gli spedisce il testo di Monastero a Santa Chiara mentre la
professoressa sdi Ravenna, anch’essa mai conosciuta prima, gli invia
notizie sulla città romana di Bossra in Siria. E concludeva Srour con
parole ancora valide e che probabilmente potrebbero essere sottoscritte da
tutti gli altri intervistati in questa inchiesta: "Sono fiducioso in un
futuro fondato sul dialogo nel rispetto delle diversità e delle peculiarità
di ciascuno".

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