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La via è l'arte dell'incontro
- Subject: La via è l'arte dell'incontro
- From: "Daniele Barbieri" <pkdick@fastmail.it>
- Date: Mon, 5 Apr 2004 14:10:03 +0200
Questo articolo sarà su http://www.migranews.net da oggi pomeriggio; può
liberamente circolare ma CITANDO LA FONTE.
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Mantova, la babele necessaria
di Daniele Barbieri
"La via è l'arte dell'incontro": questa frase di Vincius De Moraes dava il
titolo al 4° forum internazionale sulla letteratura della migrazione che si
è tenuto sabato 3 aprile a Mantova e che festeggia anche i 10 anni del
concorso Eks&Tra.
Ad aprire le relazioni è Serge Vanvolsem (dell'università di Lovanio) che
ragiona sulla letteratura migrante con un occhio al passato recente - gli
italiani con le valigie di cartone - e molti interessanti accenni all'oggi.
Poi tocca a Fulvio Pezzarossa (docente di sociologia della cultura a
Bologna) che racconta "le 9 antologie del premio Eks&Tra" muovendosi fra le
voci di un ormai consolidato "abbecedario postcoloniale" come canone,
città/campagna, periferie, memoria/storia, sincretismo per poi aggiungere
nuove suggestioni (il riferimento è anche all'ultimo Italo Calvino) ad
altre parole-chiave: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità.
Poi tocca agli esponenti della "letteratura migrante" anche se non tutti
amano questa definizione, come nota Roberta Sangiorgi che tira i fili della
giornata.
La prima voce è dell'italo-eritrea (o viceversa) Erminia Dell'Oro che parte
dalla sua storia per fare i conti con una memoria coloniale tuttora
rimossa. "Mi sento una scrittrice africana" ripete più volte.
Scrittore e insegnante è il senegalese (da tempo a Milano, "città che amo")
Said Moussa Ba che tesse una tela con tre fili-parole: incontrarsi,
raccontarsi, ascoltarsi. "Nel dialogo si scopre la soggettività" ricorda:
"la fretta impedisce di ascoltare gli altri ma persino di dare ascolto a se
stessi dunque di riconoscersi… nell'incontro ci può anche essere lo scontro
è vero, ma va bene anche quello se è ricerca della verità". Forte di molti
esempi legati alla sua esperienza nelle scuole ("i ragazzini italiani
ignorano il loro albero genealogico") può concludere: "Conoscersi vuol dire
scendere dentro di noi per ripescare i veri valori".
Poi toccherebbe a una "migrante di seconda generazione", la giovane
italo-somala Igiaba Scego che però non ha trovato un datore di lavoro tanto
intelligente da concederle un giorno di ferie. Così arriva una sua lettera
nella quale spiega di essere una "cavia perfetta" di questa seconda
generazione che forse sta sotto gli occhi di tutti ma che si fatica ancora
ad accettare. Questa esperienza l'ha portata a scrivere il racconto
"Salsicce", meritato vincitore del concorso Eks&Tra di due anni fa.
Il programma annuncia poi, con un asettico titolo, "La letteratura della
migrazione zingara". Ma l'intervento di Alexian Santino Spinelli (docente
di letteratura romanì a Trieste) è un ciclone: riesce in pochi minuti a
raccontare secoli di ignoranza e pregiudizi promettendo che tutto il resto
si capirà la sera ascoltando il suo concerto. "Siamo una nazione senza
territorio e… senza Stati" è l'esordio: "l'etichetta di nomadi serve a
giustificare la segregazione razziale". Ricorda il mezzo milione di "rom"
(virgolette d'obbligo) massacrati dai nazisti, una strage rimossa da una
memoria tutt'ora mutilata e discriminante. Come si dimenticano i più
recenti massacri: 250 mila "rom" uccisi nei 10 anni delle guerre balcaniche
che chiudono il '900.
"Proprio come accade con i pellerossa, ci mettono in riserva, uno strumento
per favorire il degrado" e così giustificare il pregiudizio. E' una lunga
storia che nel 1400 porta dall'India all'Europa un popolo pacifico e mal
visto perché vanta eccellenti artigiani, musicisti e allevatori proprio
mentre città, signorie e poi Stati mirano a controllare il territorio,
etichettando tutti. Per un attimo Spinelli torna al tema annunciato. Per
ricordare come solo nel 1782 si scopra che il romanè è lingua "e non un
gergo della malavita come ancora si continua a dire". La letteratura romanè
(condita dalla tipica musicalità) trova una prima compiuta espressione nel
1840 per poi acquistare visibilità nel 1925 intorno alla rivista-gruppo "Un
nuovo cammino" in Urss e svilupparsi in Ungheria, Argentina, Spagna ecc.
Cita molti nomi di autrici e autori "rom" Spinelli per aggiungere un
polemico, sconsolante e veritiero: "non li avete sentiti nominare, vero?".
Ma subito il docente lascia il posto al militante (nel senso migliore del
termine) che documenta con esempi recenti come ancor oggi in Italia "noi
siamo cittadini di serie z… L'opinione pubblica non incontra esseri umani
ma gli stereotipi dai quali cerca solo conferma ai suoi pregiudizi e alla
mala informazione… Noi stiamo sopravvivendo e non vivendo". E in sintonia
con Saidou Moussa Ba conclude: "Aver paura dell'altro è temere se stessi".
Arrivato in ritardo ("mai fidarsi delle autostrade" scherza) irrompe Adel
Jabbar. E anche lui, per una volta, lascia da parte i panni del serioso -
quanto bravo - sociologo che insegna all'università di Venezia per
provocare il pubblico sul "concetto così ambiguo di cultura, confuso con
territorio e con comunità… per giustificare l'ossessione del tradimento,
dell'impossibilità a comunicare, del pericolo, dell'invasione". La storia è
fatta di intrecci, contaminazioni, meticciati anche se i teorici del
comunitarismo lo negano; ma i compromessi si possono fare solo quando (e
cita Nelson Mandela) "un popolo è davvero libero di negoziare". Per questo
- non solo per le sue qualità letterarie o la capacità di raccontare storie
- la letteratura "migrante" è così importante: "è quasi l'unica fonte che
ci permette di tener conto di intrecci complessi". E domanda: "Se vi mostro
un disegno di un edificio barocco e vi chiedo di situarlo… voi darete
risposte sagge ma sbagliate" perché si tratta di una moschea in Nigeria,
opera di schiavi, deportati in Brasile e poi liberati che in quella
costruzione… hanno fatto il giro del mondo: Europa (lo stile portoghese),
Brasile per approdare in Africa. Ma vicende simili sono sotto i nostri
occhi e Jabbar racconta di lavatrici, di prezzo del caffè, insomma di
globalizzazione che sempre più costringe persone e popoli a muoversi. "Ma
molti di questi intrecci sfuggono a quasi tutti i testi di economia,
antropologia o sociologia; soltanto la letteratura delle migrazioni ci
narra questa umanità" che è sempre più "diversificata, frastagliata e
complessa soprattutto sotto il profilo delle identità e delle culture"; e
dunque questi scritti sono "uno strumento di riconoscimento e di
emancipazione" conclude. "E che dio vi benedica" augura a un pubblico
incatenato - da ore - alle sedie senza nemmeno il conforto della
tradizionale pausa-caffè ma che ha scelto di non muoversi … perchè non vuol
perdere una sillaba di quanto viene detto.
E infatti parla in piedi ("mi devo sgranchire le gambe" esordisce) James
Walker che è professore di letteratura post-coloniale all'università di
Houston ma qui parla delle voci africane nella letteratura migrante in
Italia. "Sono sazio dopo un banchetto così ricco e ringrazio Eks&Tra per
quel che ho sentito oggi ma anche per un lavoro di 10 anni". Il suo
percorso nella letteratura afro-italiana si muove fra l'idea del griot, del
recupero dell'oralità nella scrittura ("un tentativo di cancellare la
barriera della pagina scritta fra autori e lettori"), a come le lingue
dominanti inevitabilmente devono rimodellarsi a contatto con i popoli un
tempo dominati e all'"anima dimezzata" dei migranti. Per meglio spiegarsi
Walker si serve dei testi di Kossi Komla-Ebri che è in sala e ridacchia,
facendo finta di essersi appena svegliato, e del già citato racconto
"Salsicce" dove Igiaba Scego appare come costretta a ingoiare un simbolo
per "vomitare una parte della sua identità". In bella sintonia con tutti
gli altri interventi, Walker ricorda che "l'identità composta non è solo
del migrante ma di tutte e tutti, di ogni essere umano". E riferendosi allo
scrittore nigeriano Achebe chiude con un perentorio invito: "per questo è
necessario che intellettuali e artisti non abbandonino l'impegno sociale
richiudendosi in un sempre più ridicolo solipsismo".
Anche lo scrittore-detenuto Yousef Wakkas non è riuscito a venire e ha
mandato una lettera .Il forum sarebbe chiuso ma - sembra incredibile dopo
tante ore - il pubblico ha voglia ancora di fare domande e discutere. E
dopo cena di tornare per la presentazione del libro "Baro Romano drem"
(edito da Meltemi) di Spinelli e per ascoltare il suo concerto.
Questo è accaduto nell'area visibile. Ma la cronaca non sarebbe completa
senza accennare che, in mezzo al pubblico, c'è anche un giovane rumeno
operaio-scrittore. Il nome è Cristian, il cognome lo tace per una sorta di
pudore. Sta cercando un passaggio per tornare a casa. Racconta che ha
dovuto lavorare anche sabato mattina ma dopo una doccia è saltato su un
treno ("ho preso anche una multa") perché voleva respirare un'aria buona e
trovare conforto nella sua voglia di scrivere ("ma ancora non controllo
bene la mia nuova lingua" spiega). Ed è felice di essere venuto anche se ha
perduto metà degli interventi perché "qui mi sento a casa". Chissà se in un
prossimo concorso Eks&tra sentiremo anche la sua voce.
"Tutti siamo migranti ed esuli sulla terra e dobbiamo insegnare a tutti ad
essere migranti, esuli e stranieri nello spazio e nel tempo sulle orme di
Ulisse e di Abramo, se vogliamo costruire una Europa giusta, pacifica senza
muri, prospera e tollerante" ha scritto il poeta albanese - o
italo/albanese, se così preferite - Gezim Jajdari, fra i più citati a
Mantova. Ma l'incontro non è solo storia di oggi. Se è vero come ha scritto
Jacques Le Goff, il più grande storico dell'Europa, che "la ricchezza
culturale non deriva dalla purezza ma dalla mescolanza".
Per ulteriori informazioni: 333 6723848, eksetra@libero.it,
http://www.eksetra.net oppure 0376 357505 (Centro interculturale di Mantova)
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