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Kossovo: è cambiato tutto e non è cambiato niente



Il Kossovo dopo quattro anni: è cambiato tutto e non è cambiato niente

Un viaggio breve, di cinque giorni, ma quanto basta per permettermi di
affermare che dopo quattro anni in Kossovo è cambiato tutto e non è cambiato
niente.
Vi ero stato con l'Operazione Colomba (Corpo Nonviolento di Pace dell'Ass.
Papa Giovanni XXIII) nel 1999 per diversi mesi, sia prima dei bombardamenti
NATO, con un progetto di riconciliazione in uno dei pochi villaggi "misti"
che in quel momento di forte tensione era rimasto abitato da serbi  e
albanesi, sia subito dopo i bombardamenti con progetti di protezione
nonviolenta delle minoranze: albanese nella parte nord di Mitrovica e serba
in un villaggio vicino Pec - Peja.
Avendo avuto la possibilità di conoscere personalmente il Kossovo sia prima
dei bombardamenti che subito dopo, già allora mi ero fatto un'idea
abbastanza chiara: qui è cambiato il dominatore, ma non la logica del
dominio. la violenza potrebbe ritrovare presto terreno fertile.
Se prima l'arroganza e la supremazia imposta con la forza dalla minoranza
serba era tangibile, subito dopo la mafia albanese e la logica della
vendetta avevano preso sistematicamente potere.
Mentre fosse comuni rinvenivano con tutto il loro orrore e fetore, donne
serbe violentate e sgozzate divenivano oggetto di vendette e rese dei conti.
Mentre si piangeva sulle case albanesi che erano state bruciate dai serbi
prima dei bombardamenti e durante la ritirata, venivano bruciate le case dei
serbi in fuga verso l'ennesimo campo profughi della periferia di Belgrado.
fuoco, fiamme, profughi e dolore prima; fuoco, fiamme, profughi e altro
dolore dopo.

E in tutto questo che ruolo svolgeva l'ingresso trionfale della NATO e in
seguito dell'ONU?
La NATO mi sembrava avesse più interesse a guadagnare e affermare
velocemente le proprie posizioni sul campo che altro. Anche se devo
riconoscere l'importanza di alcune azioni (più che prettamente militari, le
definirei di polizia con la limitatezza dei mezzi militari) a difesa e
protezione delle minoranze e di gestione del caos che si era creato in
questo vuoto amministrativo, avevo sempre più l'impressione che fossero
iniziative dovute all'impegno e alla sensibilità di qualche singolo
piuttosto che alle capacità della "struttura" militare.
Il giubilo era tanto nell'accoglienza delle truppe NATO, ma presto si era
trasformato in sospetto e rabbia, fino al punto che qualcuno osava
confidarti a bassa voce nell'orecchio: quando c'erano i serbi non si stava
poi così male .
D'altra parte l'ONU, in un contesto così difficile, senza un mandato ben
preciso, spesso perso nelle sue lentezze burocratiche e diplomatiche, faceva
fatica a ritagliarsi un ruolo centrale che sarebbe stato di immediata e
assoluta importanza nella gestione di un tale caos.

Questo il Kossovo che avevo lasciato quattro anni fa, ma il Kossovo di oggi,
apparenze a parte, non è poi così diverso.
Sì, non ci sono più sparatorie selvagge, case che bruciano, fughe di
profughi in preda al panico, caos per le strade, omicidi di massa. la
ricostruzione è ben avviata grazie soprattutto agli ingenti aiuti economici
dell'occidente, grossi palazzi risplendono nei centri abitati, addirittura
ho visto una limousine parcheggiata sotto uno dei tanti Hotel sorti come
funghi... ma chi va in vacanza in Kossovo?
La ricostituita polizia locale apparentemente multietnica gestisce l'ordine
pubblico e la presenza militare NATO, anche se ben allocata nelle enormi
basi costruite ad hoc sulle colline delle periferie delle grandi città
(quella italiana, per esempio, vicino Pec - Peja, si chiama "Villaggio
Italia" e di notte risplende come una stella nel firmamento kossovaro, tanto
è grande e tanta è l'illuminazione che necessita), almeno per le strade è
molto discreta.
L'amministrazione delle Nazione Unite è a regime, ci sono state libere
elezioni che hanno eletto Ibraim Rugova Presidente e così, almeno
apparentemente la situazione procede nel migliore dei modi.
Ma dove è allora, almeno secondo me, il problema vero? Perché dico che non è
cambiato nulla?
Le esperienze che ho fatto come civile in zone di guerra mi hanno fatto
maturare una convinzione: interessi economici a parte, a cosa serve
ricostruire case, tetti, hotel, ponti e così via se non si lavora
contemporaneamente per una vera ricostruzione del tessuto sociale? Basterà
un scintilla per riaccendere il conflitto e con esso rimandare in fiamme
tutto.
E' su questo punto che ho trovato le falle più grosse di un Kossovo che
cerca di ritrovare una propria identità dopo tanta sofferenza.
Se la speranza di alcuni era quella di vedere la minoranza serba
completamente in fuga verso Belgrado lasciando un Kossovo etnicamente
"pulito" e più facile da "gestire", gli è andata male.
Oggi una parte della minoranza serba è ancora in Kossovo, rinchiusa in
piccole enclave sparpagliate sul territorio, determinata a non lasciare le
proprie case, origini e radici.
I motivi credo siano essenzialmente due: il primo riguarda una poco
pubblicizzata ma tangibile pressione delle autorità di Belgrado nel
mantenere in Kossovo una presenza serba che legittimi la sovranità
nazionale.
La si può mettere in maniera più o meno diretta ma, autonomia a parte, il
Kossovo è ancora Serbia. Il secondo giace nei cuori di ogni persona: "questa
è la casa dove sono nato e cresciuto, altrove non ho nulla, meglio che
andare peregrinando ed elemosinando in una Serbia già colma di profughi
delle tante guerre recenti, rimango qui in questa specie di prigione".
Perché queste enclave in altro modo non si possono definire.
Sebbene facciano eccezione alcune zone dove la convivenza tra serbi e albane
si si riaffaccia alla finestra dell'audacia grazie soprattutto ad alcune
personalità carismatiche che hanno saputo fare della riconciliazione e del
perdono un impegno concreto (per esempio Don Lush Giergji, sacerdote
cattolico albanese, parroco in un piccolo paese ai confini con la
Macedonia), per il resto oggi i serbi vivono rinchiusi nei propri villaggi,
circondati e "protetti" dai militari della NATO, rischiando un linciaggio
ogni qualvolta che ne escono anche solo per andare a fare la spesa in città.

E' proprio in uno di questi villaggi che ho passato i miei pochi giorni in
Kossovo, uno di quei villaggi-prigione dove l'Operazione Colomba ha avuto
l'intuizione di andare a vivere.
Si chiama Gorazdevac, è un villaggio abitato esclusivamente da qualche
centinaio di serbi, si trova alla periferia di Pec - Peja, zona a Nord del
Kossovo, confinante con il Monte Negro, sotto amministrazione delle Nazioni
Unite, militarmente controllato dai soldati italiani.

Il lavoro dell'Operazione Colomba in quest'area è inserito in un progetto
del "Tavolo Trentino con il Kossovo" (che è un coordinamento promosso dalla
Provincia Autonoma del Trentino) e si basa essenzialmente su due pilastri.
Da un lato dare risposte tangibili alle esigenze quotidiane delle persone
più in difficoltà e bisognose.
Questo lavoro attualmente appare più urgente ed essenziale dalle parte
serba: famiglie povere, profughe, senza casa, con bambini piccoli, magari
con parenti disabili e soprattutto impossibilitate a muoversi. Si tratta di
accompagnarle a fare dei sopralluoghi delle loro ex-case, per la maggior
parte ormai distrutte o bruciate, di andargli a fare la spesa, di provvedere
a documenti e permessi ufficiali, di sollecitare aiuti materiali, di
raccogliere denuncie e così via.
Dall'altro ricostruire i ponti del dialogo e della convivenza pacifica tra
le parti attraverso un lavoro quotidiano di instaurazione di rapporti umani
e di fiducia.
E' solo nel momento in cui entrambe le parti in conflitto acquisiscono
fiducia in te, magari perché vedono che vivi come loro, in una condivisione
diretta delle condizioni di disagio e che nonostante la limitatezza dei
mezzi e delle forze li aiuti e gli sei vicino, che ti riconoscono come
garante della propria identità e ti accettano come ponte, zona franca per un
incontro con l'"altro".
In questo credo che l'Operazione Colomba sia rivoluzionaria, nel riuscire a
creare spazi di dialogo cercando sempre di rispettare i tempi e i modi che
la storia di ogni conflitto impone.
Nel concreto in Kossovo queste attività passano attraverso il  "centro
giovanile Zoom", un locale sito nella città di Pec-Peja (parte albanese)
dove vengono effettuati corsi di teatro, computer, fotografia, incontri -
dibattito a tema.
Fino allo scorso Agosto questo luogo era frequentato sia da ragazzi albanesi
che serbi, poi qualche estremista albanese esterno al "centro" ha avuto la
splendida idea di sparare su Gorazdevac e uccidere alcuni ragazzi.
Questo ha bloccato il tutto e ci ha riportati indietro nel tempo ad una
situazione di "inizio progetto".
Gli incontri solo oggi, a distanza di mesi, cominciano saltuariamente a
riproporsi, ma la voglia di andare avanti è forte e questo ci dà e dà loro
speranza.
Una delle cose che più mi ha positivamente colpito, sono proprio gli
incontri a tema che attualmente, visto quanto appena raccontato, si svolgono
separatamente: al "centro" con gli albanesi, a casa dell'Operazione Colomba
con i ragazzi serbi.
Alcuni nostri volontari presentano situazioni di conflitto nelle quali hanno
operato, tipo il Congo, la Cecenia, il Chiapas o la Palestina, sempre
geograficamente lontane e apparentemente svincolate dal Kossovo.
I ragazzi puntualmente si animano e incominciano a formulare tesi sulle
cause di "quei" conflitti e stringono virtuali alleanze con una delle parti
in causa.
Ad un certo punto scatta la molla del paragone e lì diventa estremamente
interessante vederli in difficoltà nel rileggere il proprio conflitto sotto
un'altra dimensione, non più quella spesso imbevuta di patriottismo e
revisionismo storico, ma dal lato della vittima di una esasperata propaganda
figlia di tatticismi geopolitici ed interessi economici.
E' un processo lento e lungo, ma fondamentale per una ricostruzione vera di
un Kossovo multietnico, pacifico, libero e democratico.
Daniele Aronne